UNA CAREZZA E UN BACIO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

        A volte mi capita di imbattermi nella figura di Luisa. Succede perlopiù di mattina quando, in sella alla bicicletta, attraverso Via D'Azeglio per recarmi al lavoro. I portici dell'Ospedale Vecchio sono la sua abituale dimora. Alcuni cartoni da imballaggio, pressati uno sull'altro, le fungono da giaciglio. Altri cartoni, sistemati per traverso su gambe e l'addome la proteggono dai rigori del freddo.
Durante il giorno stende la mano verso le persone di passaggio, con l’aspettativa di ricevere in dono qualche centesimo. Le persone non fanno caso alla sua mano, oppure c'è chi guarda nella sua direzione solo per esprimerle il proprio disprezzo, magari con una smorfia o peggio con un insulto. Eppure basterebbe assai poco per renderla felice; sarebbe sufficiente rivolgerle un sorriso.

     Luisa è parte integrante dell'arredo urbano dell'Oltretorrente, un po' come i cestini dei rifiuti disseminati qua e là per strade e piazze del quartiere, ma trascurati dai giovani che seguitano a insudiciare i marciapiedi con i residui dei chewing-gum.
Luisa è una donna scomoda al pari dei mendicanti che sostano davanti alle chiese del quartiere. Alcuni politici, paladini del decoro urbano, nonché difensori della sicurezza collettiva, si sono appellati al sindaco affinché si faccia promotore di una ordinanza che obblighi gli agenti della Polizia Municipale a intervenire, sanzionando con verbali clochard e zingari sorpresi a mendicare. Tutto questo perché, a loro dire, non sono consoni a una città a vocazione turistica come Parma, dimenticando che il concetto di decoro urbano è soltanto una questione estetica, che non ha niente a che vedere con il problema della sicurezza ambientale invocata per mero interesse di partito da chi cavalca le paure della gente verso tutto ciò che è diverso.
     E' assurdo pensare che mendicanti e zingari, abituati a vivere d'elemosina, smettano di farlo. Se Luisa seguita a chiedere l'elemosina è soltanto perché non ha denaro sufficiente per mantenersi in vita. Le sanzioni amministrative così dispensate non servono a nulla, ma tornano utili a chi vuole mettere altro fumo negli occhi alle persone sprovvedute a cui risulta facile fare credere che la loro sicurezza passa attraverso l'esclusione degli emarginati penalizzandoli con sanzioni amministrative.

    Luisa è una donna senza età. Ha il viso sciupato e pieno di rughe, con gli occhi cerchiati e stanchi. I capelli, scompigliati, hanno il colore della cenere.
    E' una donna riservata che sopravvive con dignità allo stato d'indigenza in cui si trova, infatti fa ben poco per attirare su di sé l'attenzione delle persone che transitano davanti alla sua postazione sotto i portici dell'Ospedale Vecchio.
     Luisa non suona la chitarra, né canta per attirare su di sé l'attenzione dei passanti. Non ha cani da esibire e nemmeno supplica uomini e donne con frasi compassionevoli per ricevere in cambio denaro, l'unica cosa che fa è stendere la mano e guardare le persone negli occhi e nel cuore.
     Non so niente di Luisa, eppure ho l'impressione di conoscerla da sempre, forse perché in lei riconosco una parte di me stesso. Da giovane doveva essere una bella donna, magari con tanti amanti, probabilmente.
     In più di una occasione, passando dinanzi alla sua postazione, mi è venuto spontaneo chiedermi come abbia potuto ridursi in quello stato, ma non sono mai riuscito a darmi una risposta, anche se sarebbe facile attribuire la sua attuale condizione, soprattutto fisica, alle conseguenze della vita che conduce.
     La scelta di vivere ai margini della società probabilmente è una sua filosofia di vita, ne sono certo, ma non deve essere facile per chiunque condurre una esistenza ai margini della società. Io non ne sarei capace.
Scegliere di condurre una vita d'accattona, in piena libertà, senza limitazioni e condizionamenti sociali, e gli obblighi derivati dalla famiglia di provenienza, non deve essere semplice nemmeno per chi come lei ha fatto questa scelta.
     Luisa è una donna forte, molto forte, altrimenti non sarebbe in grado condurre quel genere di vita, perché vivere da mendicante ha dei risvolti violenti, specie per chi come lei è donna.
Mi riesce difficile trovare una spiegazione plausibile al suo modo di vivere. Eppure non sembra nascondere un disagio psichico come spesso riesco a cogliere sul viso di molti accattoni che conducono una vita simile alla sua. Nemmeno mostra d'avere un presente o un passato da alcolista, perché non l'ho mai vista bere alcunché. E non mi va di considerare che possa avere dei trascorsi da tossicodipendente. Magari da qualche parte ha un marito e dei figli, chissà!

     Qualche giorno fa mi è capitato d'incontrare Luisa in un supermercato di Via D’Azeglio. Ero in fila con altre persone davanti a una delle casse, in attesa che giungesse il mio turno per pagare la merce che avevo acquistato, quando mi sono imbattuto nella sua presenza.
      Luisa non spingeva nessun carrello e nemmeno serrava nella mano uno dei cestini per le piccole spese a disposizione dei clienti. Al petto conservava poche cose che si è premurata di depositare sul nastro trasportatore quando è giunto il suo turno di pagare la spesa.
La cassiera, una ragazza giovane, da fisico esuberante, con le tette che parevano siluri, tanto da uscirle dalla camicetta della divisa, ha fatto scorrere sopra il lettore ottico il codice a barre di una confezione di latte e quello di una scatola di biscotti. Subito dopo ha battuto il prezzo di una baguette, dopodiché si è rivolta a Luisa e le ha indicato la somma da pagare.
     Da una tasca del cappotto Luisa ha tolto una manciata di monete, per lo più di pochi centesimi, e insieme alla cassiera ha preso a contarle fra l'insofferenza verbale di chi era in fila dietro lei.
     In quell'istante ho percepito in modo chiaro l'umiliazione cui è sottoposto chi come Luisa è considerato un rifiuto umano della società solo perché diverso, quindi senza pari dignità rispetto agli altri.
Sarei dovuto intervenire, difendendola dagli apprezzamenti poco lusinghieri delle persone che le gravitavano d'intorno, ma non l'ho fatto. Ho lasciato che la offendessero senza prendere le sue parti, invece sarei dovuto intervenire per difenderla, sostenendo che le persone come Luisa non sono una calamità, ma la conseguenza di una società malata che ha le fondamenta sulla convenienza e il profitto, organizzata solo per alcuni e non per tutti, una società che favorisce chi sta bene rispetto a chi invece sta male e avrebbe maggiore bisogno d'aiuto.
 

     Uno splendido sole scalda il Parco Ducale. L'erba dei prati è bagnata per la pioggia caduta sino a un paio di ore fa.
In compagnia di Pirlo, il mio cane bassotto, cammino lungo uno dei viali sterrati che dall'ingresso del parco, in corrispondenza di Ponte Verdi, conducono alla peschiera. Quando sono a metà viale distinguo in lontananza la figura di Luisa.
     Avvolta in un cencioso cappotto grigio topo è seduta su una panchina. Mantiene la schiena accostata alla spalliera di legno e guarda nella mia direzione. Le sue gambe gonfie, avvolte da sacchetti di cellophane, straboccano di vene varicose. I capelli sudici e selvaggi si confondono nel volto caliginoso. Tutt'a un tratto un colpo di vento scuote i rami degli alberi di castagno. Un raggio di sole si fa largo fra le foglie e le illumina il viso.
     Quando i nostri occhi s'incrociano mi prende la voglia di esprimerle con un bacio e una carezza la mia comunanza. Esito prima di farlo. Lei invece stende la mano nella mia direzione e mi chiede l'elemosina.
In modo vigliacco fingo di non accorgermi della mano stesa. Come tutte le volte in cui le sono passato davanti la ignoro, proseguo nel mio cammino lasciandola con la mano tesa alle mie spalle.

  

 

 

 
 

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