UN BICCHIERE 
PIENO DI RABBIA

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

         La lavagna d'ardesia, sistemata su di un treppiede all'ingresso della trattoria "La buca", riportava la scritta: "Oggi trippa alla parmigiana". Il locale, a conduzione familiare, aveva mantenuto intatta la semplicità tipica delle osterie degli anni cinquanta. L'arredo serbava una combinazione di vecchie credenze, sedie impagliate e tavoli di noce. Le pareti, nonostante l'intonaco rifatto di recente, spandevano una puzza di vino che dava titolo e sapore al locale.
   Lo stomaco di bovino bollito e tagliato in sottili strisce, cucinato con un condimento d'olio, burro, pomodoro, cipolla ed erbe aromatiche, era una delle specialità della trattoria. 
    Io e Leila avevamo prenotato per tempo due coperti per gustare il prelibato piatto che, nella trattoria, era servito ai clienti una sola volta alla settimana nella giornata di giovedì.

    Quando in compagnia di Leila misi piede nel locale le 9.00 di sera erano passate da pochi minuti. Alfredo, titolare della trattoria, ci venne incontro e ci fece accomodare nell'unico tavolo rimasto libero, vicino alla cucina, parecchio distante dalla porta d'ingresso del locale.
   - Vi ho riservato questo posto. Va bene? - disse indicando un tavolo apparecchiato per due persone, poi si affrettò ad accendere lo stoppino del cilindro di cera che spuntava da una campana di vetro sistemata al centro del tavolo.
   - Sì, certo! - disse Leila.
   - Torno fra poco, intanto accomodatevi e scegliete dalla carta dei menù cosa posso servirvi come primo piatto.
   La trattoria traboccava di persone sedute ai tavoli. Un rumore confuso, tutt'altro che sommesso, generato dalle persone che parlavano a voce alta, era attutito dalle volte del soffitto. Mi guardai d'intorno nella speranza di scorgere qualcuno di mia conoscenza, ma non vidi nessuno.
   - Beh, non hai finito di raccontarmi cosa hai combinato ieri sera. - dissi rivolgendomi a Leila.
   - Te l'ho detto. Non ho combinato un bel niente.
   - Non ci credo! Non me la racconti giusta, sei bugiarda. - dissi abbozzando un sorriso.
   - Ludovico mi ha accompagnata a casa e basta, cosa hai pensato?
   - Non lo hai fatto salire su da te?
   - Non me lo ha chiesto.
   - E tu non lo hai invitato?
   - Uffa! No.
   - Perché non lo hai fatto? Si può sapere?
   - Non mi andava di farlo, ecco perché!
   - Sei una stronza, allora! Mi hai fatto una testa grande come una mongolfiera dipingendomi le sue qualità e poi non te lo sei portato a letto? Ma va.
   Stavo per dirle dell'altro quando Alfredo si avvicinò al tavolo con lapis e taccuino per ricevere le ordinazioni.
   - Dunque avete deciso cosa volete per cena?
   - Un piatto di tortelli d'erbetta. - dissi togliendo lo sguardo dalla carta del menù.
   - A me invece un tris. - disse Leila.
   - Di secondo vi porto il piatto del giorno?
   - E che altro? Siamo venute qua apposta per gustare la trippa! - dissi.
   - Da bere?
   - Un vino che si calzi bene con la trippa, fai tu. - dissi.
   - Va bene, lasciate fare a me. Dolce niente?
   - Ma dai, ci vuoi proprio male allora.
   - No, anzi, voglio vedervi bene in carne. E' così che mi piacciono le donne.
   - Ma va. - disse Leila mentre Alfredo si dileguava sparendo oltre la porta della cucina. 
   Numerose coppiette popolavano i tavoli accanto al nostro scambiandosi sguardi e carezze. Quando affondai la forchetta nel piatto di tortelli, preparati con ricotta e spinaci, li feci fuori in un battere d'occhio, tanta era la fame che mi portavo addosso. Leila fece altrettanto divorando un tris di tortelli di zucca, spinaci e patate.
   Quando Leila era passata da casa mia per condurmi a cena le avevo aperto la porta seminuda, con addosso il solo tanga e il reggiseno. Lei ne aveva approfittato per mettermi le mani addosso. La cosa mi aveva fatto piacere anche se avevo finto di soggiacere con riluttanza alle sue voglie. 
   Sul parquet dell'appartamento avevamo dilapidato molte energie leccandoci la figa a vicenda sino allo sfinimento. A tavola, invece, ci affaccendammo nel fare onore al cibo preparato dalla moglie di Alfredo.
   Assorte com'eravamo nel gustare il piatto di trippa non ci accorgemmo dell'ingresso in sala di tre rapinatori. Il rumore sordo della saracinesca, fatta scorrere sulle guide fino a raggiungere il pavimento, ci scosse dall'inerzia in cui eravamo sprofondate mentre assaporavamo il piatto di trippa.
   - State tutti fermi e non vi succederà nulla. - urlò uno dei malviventi blandendo la rivoltella in aria.
   Un’altro dei rapinatori si avvicinò al bancone del bar. Con un balzo felino l'uomo passò sopra l'ostacolo e raggiunse la cassa dove era custodito l'incasso della giornata. Gli altri due malviventi si avvicinarono ai tavoli e intimarono ai clienti di consegnare gioielli, orologi, denaro e portafogli.
   - Mettete tutto qui dentro. - disse uno dei rapinatori indicando un sacchetto di plastica. - fate presto!
   Si mise a girare fra i tavoli e si fece consegnare gli oggetti di valore. Uno dei rapinatori, quello che si era occupato di ripulire la cassa, si collocò davanti alla saracinesca, all'uscita del locale. Un altro si spostò verso la cucina e ne uscì trascinandosi appresso la moglie di Alfredo.
   I clienti, impauriti dai modi violenti dei malviventi, consegnarono con riluttanza gli oggetti di valore, anche Leila si liberò dell'orologio e lo appoggiò sul tavolo insieme al portafogli. Io rimasi seduta al mio posto determinata a non consegnare alcunché degli oggetti di valore che avevo addosso.
   Quando uno dei rapinatori mostrò a Leila la borsa di plastica gonfia di refurtiva la mia compagna c'infilò l'orologio che portava al polso e un anello.
   - Togli anche la collana che hai al collo. - le ingiunse l'uomo. 
   Non scorgendo alcunché di prezioso nella parte del tavolo che occupavo si rivolse a me.
   - Beh, e tu non hai niente? Fai la furba?
   Non risposi. Lo guardai fisso negli occhi cercando d'imprimere nella memoria ogni particolare del viso di chi mi stava davanti.
   - Si può sapere che c'hai da guardarmi in questo modo, eh?
   Ancora una volta, nello spazio di pochi secondi, non gli diedi risposta mandandolo su tutte le furie.
   - Ehi, ragazzi, qui c'è una stronza a cui piace scherzare col fuoco. - disse a uno dei complici.
   - Ci penso io. - rispose il rapinatore che poc'anzi avevo visto trascinare fuori dalla cucina la moglie di Alfredo. - Tu vai avanti ad alleggerire di preziosi agli altri clienti. Me la sbrigo io con questa stronza.
   Si avvicinò al tavolo dove ero rimasta seduta, mi squadrò da capo a piedi, poi si rivolse a me.
   - Beh, come la mettiamo?
   Rimasi silenziosa nell'atteggiamento spavaldo di chi è troppo sicura di sé per cedere alle minacce.
   - Oh, è così dunque!
   L'uomo, un tipo dalla corporatura robusta, mi afferrò per un braccio e mi trascinò verso di sé. Quando mi trovai col muso davanti a lui mi minacciò con la lama di un coltello, poi mi spinse verso la porta della cucina.
   - Ti piace atteggiarti a donna dura, eh? - disse quando mi ritrovai insieme a lui nella cucina. Mi spinse contro una parete e mi puntò la lama dello stiletto contro il collo. - Sei una di quelle stronze che guardano gli uomini dall'alto al basso, vero?
   Anche stavolta non risposi mostrandomi sprezzante nei suoi confronti, anche se ero spaventata per la lama che mi teneva puntata contro.
   - E allora che hai di prezioso da consegnarci, eh?
   Continuai a guardarlo senza abbassare lo sguardo.
   - Niente? Proprio niente? Non ci credo, perché qualcosa di molto prezioso il tuo corpo ce l'ha, non credi?
   La sua affermazione era troppo esplicita perché non ne afferrassi appieno il significato. Avvicinò la lama ai bottoni della camicetta e li fece schizzare via uno dopo l'altro, poi incise il tessuto che serviva da giuntura fra le coppe del reggiseno che si aprì liberando le tette.
   Avevo i capezzoli turgidi per l'ansia prodotta dalla lama puntatami contro. Scostò i lembi della camicia con la punta della lama e scoperchiò per intero le tette. Respiravo con affanno dilatando all'inverosimile il torace mentre il diaframma si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del battito cardiaco.
   - Hai delle belle tette, complimenti! - disse.
   Non avevo bisogno che me lo confermasse, lo sapevo già. In quel momento le sentivo gonfie come frutti maturi e avevo paura che affondasse la lama su ciascuna, incidendole come si fa con i meloni.
   - Adesso fai quello che ti dico, capito! Altrimenti...
   Stavolta, intimorita dalle minacce, lasciai intendere che ero disposta a collaborare. Spostai il capo verso il basso e accennai a un consenso.
   - Inginocchiati! - disse tenendomi premuto il coltello alla gola.
   Ubbidii e mi ritrovai ai suoi piedi con il culo appoggiato sui talloni. L'uomo abbassò la cerniera dei jeans e scodellò il cazzo fuori dalla patta. Quello che voleva da me era abbastanza chiaro, l'avevo immaginato nel momento in cui mi aveva obbligata a seguirlo nella cucina.
   Il rotolo di carne, in piena erezione, pulsava davanti alla mia bocca nell'attesa che lo facessi mio, stringendolo fra le labbra. Questo, infatti, m'intimò di fare il rapinatore.
   Esitai qualche istante prima di sorbirlo nella bocca, ma quando avvertii la lama incidere la pelle sotto il mento affondai le labbra attorno alla cappella e cominciai a succhiare per lo spavento che mi aveva procurato il taglio della pelle.
   - Ecco così, da brava, continua.
   Aspiravo la cappella stringendo le labbra tutt'attorno il cazzo, senza lasciarmelo sfuggire per paura che affondasse la lama sulla pelle.
   L'uomo accompagnò il movimento delle labbra con quello del bacino spingendo il cazzo in profondità dentro alla bocca. La cappella premette più volte contro il palato bloccandomi il respiro, fui costretta a rimuoverla dalla bocca per tossire, ma l'uomo mi spinse di nuovo il capo contro la cappella e io ripresi a succhiare.
   Nel frattempo, oltre la parete della cucina, i complici incominciarono a chiamarlo invitandolo ad allontanarsi dal locale insieme a loro.
   - Vengo, vengo. Subito.
   Ma non venne subito, godeva troppo per allontanare il cazzo dalla mia bocca. M'invitò ad affrettare il movimento delle labbra per accelerare il momento dell'eiaculazione. Allora accompagnai il movimento della bocca con quello della mano, masturbandolo mentre succhiavo.
   Tutt'a un tratto uno dei complici si affacciò sulla porta e imprecò contro l'uomo a cui stavo succhiando il cazzo.
   - Va bene... arrivo. Maledizione!
   Mi allontanò la bocca dal cazzo e lo rimise a fatica dentro la patta dei pantaloni, poi mi diede un manrovescio sulla guancia facendomi cadere per terra.
   - Troia, ciucciacazzi! Neanche sei stata capace di farmi venire, accidenti a te!
   Mi prese la mano e mi portò via l'anello e l'orologio che reggevo al polso, poi mi diede un calcio sul torace facendo cadere sul pavimento. Si allontanò al pari dei complici lasciandomi semisvenuta. Quando Leila giunse in mio soccorso stavo distesa sul pavimento con le tette fuori dalla camicetta e in stato catatonico.
   - Ehi, Erika... Come stai? - disse sollevandomi il capo.
   - Bene... Bene...
   Alfredo e sua moglie giunsero in mio soccorso e mi aiutarono a risollevarmi da terra. Andai a sedermi su di una sedia e qualcuno mi diede dell'acqua da bere. Nel palato avevo il sapore del cazzo del mio violentatore, mandai giù l'acqua ma sì era soltanto un bicchiere pieno di rabbia.

 

 

 
 

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