UCCELLI
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

    Mentre alla guida del Bmw percorrevo la strada statale che da Parma conduce a Cremona mi ritrovai a osservare una lunga fila di storni, sospesi come statuette sui cavi dell'alta tensione, e mi chiesi come facessero a non rimanere fulminati dalla corrente elettrica. Formulai più di una ipotesi senza trovare una ragionevole spiegazione al fenomeno. 
   La giornata era colore del piombo. Nella corsia di marcia opposta a quella della mia direzione i fari delle autovetture bucavano i frequenti banchi di nebbia segnalandomi la presenza di un possibile pericolo. Ancora pochi chilometri e avrei raggiunto il luogo dell'appuntamento concordato con Marianna.
   "Che cazzo ci sono venuto a fare sino qui?" pensai, mentre lasciavo alle mie spalle la strada statale per proseguire il viaggio sulla carrabile che si dipanava sull'argine del fiume Po. 
   La storia con Marianna era iniziata qualche mese addietro con uno scambio di e-mail, poi la decisione d'incontrarci di persona.
   Il luogo dell'appuntamento, scelto da lei, era uno spazio adibito a parcheggio delle autovetture, all'interno di un parco golenale, dirimpetto a un famoso ristorante.
   Avevamo evitato di scambiarci delle foto che ci avrebbero reso riconoscibili. L'incontro sarebbe stato una sorpresa per entrambi. L'unico elemento di cui avevo cognizione, riferito alla sua persona, era il colore dei capelli: rossi. Me lo aveva rivelato lei stessa in una e-mail che c'eravamo scambiati oltre alla descrizione di altri particolari del suo giovane corpo.
   I racconti erotici pubblicati nel suo sito internet di Eroxé li avevo letti tutti, alcuni più di una volta, al pari di quelli che aveva postato sul newsgroup it.sesso.racconti. Di Marianna mi aveva affascinato l'apparente facilità con cui traeva spunto da situazioni di vita quotidiana, soprattutto del piccolo paese in cui viveva in riva al Po, per ricamarci sopra romantiche storie erotiche.
   La nostra storia era iniziata quando, scrivendole, mi ero complimentato con lei per la qualità dei suoi racconti, poi un mese fa, a conclusione della lettera che mi apprestavo a inviarle mi ero congedato con una frase diversa dal solito "BACI LORENZO", che ero solito scriverle, ma con:
   "BACIOTTI SUI TUOI CAPEZZOLI ROSA".
   Rispondendo al mio messaggio anche lei modificò gli abituali saluti. A conclusione della e-mail trovai scritto:
   "BACI SOFFICI SOPRA I TUOI CAPEZZOLI".
   Con l'andare del tempo i nostri scambi di messaggi si fecero più frequenti, soprattutto rispetto al recente passato, ma ciò che li rendeva particolari erano soprattutto i saluti finali.
   "BACIOTTI LI' E LA'".
   Scrissi a conclusione della lettera successiva e lei rispose:
   "BACI, BACI".
   E ancora, pochi giorni dopo, conclusi l'ennesima lettera con queste parole:
   "BACI CALDI LI'".
   E lei rispose:
   "BACIOTTI, BACIOTTI, BACIOTTI".
   "BACIONI SOPRA E SOTTO" - scrissi.
   "BACI SOTTOSOPRA" - rispose lei.
   Il gioco, col trascorrere del tempo, si fece sempre più intrigante. Mi deliziavo nell'inventare frasi a doppio senso e nel leggere i saluti di commiato in calce ai suoi messaggi. C'eravamo rincretiniti, lo so, ma faceva piacere a entrambi fare dell'ironia soffiando sul fuoco dei sensi.
   Stavo andando a un appuntamento con una donna di cui non conoscevo nemmeno l'età, anche se una certa idea me l'ero fatta. Ma soprattutto con la speranza di fare del sesso.
   Da quando ero salito sul Bmw avevo l'uccello duro che pulsava con insistenza sotto il tessuto delle brache. Ero eccitato, terribilmente eccitato: con una straordinaria agitazione addosso. Manipolai in continuazione i tasti dell'autoradio alla ricerca di una emittente radiofonica capace di addolcire lo scompiglio ormonale che mi portavo appresso.
   Prima d'intraprendere il viaggio da Parma, verso il luogo dell'appuntamento, non avevo preso in considerazione l'eventualità d'incappare in una donna brutta o peggio ancora deforme. Mentre mi approssimavo alla meta valutai persino l'eventualità che ad attendermi non ci fosse una donna, ma un uomo. In quel caso gli avrei rifilato un cazzotto dritto sulle palle.

   
   La golena ai lati della polverosa carraia, che stavo percorrendo sull'argine del Po, era satura di pioppi collocati a poca distanza uno dall'altro secondo una disposizione geometrica di rette parallele incrociate. Guidavo, ma nella mente mi pullulavano una infinità di pensieri. Dopo un paio di chilometri percorsi sull'argine arrestai la vettura ai margini della strada, dopodiché spensi il motore.
   Mica potevo presentarmi all'appuntamento in quello stato, con il cazzo duro che spingeva contro il tessuto dei pantaloni. Di sicuro ci avrei fatto la figura del maniaco sessuale, infatti, se solo mi avesse sfiorato la cappella con le dita le avrei sborrato nella mano o nel migliore dei casi fra i peli del pube, ancora prima di seppellirglielo nella fica.
   Spensi il motore e accesi le luci di posizione intermittenti del Bmw in modo che l'automezzo fosse visibile a chi si avventurava sull'argine avvolto dalla nebbia. Abbassai i pantaloni e tirai fuori il cazzo.
   La cappella era umida e ne usciva una sostanza filamentosa che serviva da lubrificante. Afferrai il cazzo e iniziai a masturbarmi. Scivolai con la schiena all'indietro, sul sedile, distesi le gambe, e seguitai a masturbarmi. Desideravo venire alla svelta, per questo accelerai i movimenti delle dita sfiorando ripetutamente la cappella.
   Sborrai quasi subito e raccolsi nella mano gli schizzi di sperma che fuoriuscivano dall'uretra. Il liquido filamentoso s'insinuò fra le mie dita e lo sperma precipitò sulla moquette del Bmw. Afferrai un fazzoletto di carta dall'involucro che tenevo sul cruscotto e arrestai in qualche modo la caduta dello sperma. Consumai numerosi fazzoletti prima di riuscire a togliere il colloso fluido che mi impiastricciava le dita.
   Ero maledettamente in ritardo. Sollevai i pantaloni, chiusi la lampo, riallacciai la cinghia, e rimasi per qualche istante a guardarmi d'intorno.
   Ogni volta che mi capita di masturbarmi ho la sensazione che tutto il mio corpo traspiri odore di cazzo. Ho persino paura che le persone con cui verrò a contatto possano percepirlo. Ero certo che anche Marianna se ne sarebbe accorta.
   Mentre percorrevo il breve tratto di strada che mi separava dal luogo dell'appuntamento gettai dal finestrino i fazzoletti di carta ancora umidi di sperma, solo allora notai che ce n'era un'infinità sparsi a ridosso dell'argine da entrambi i lati. Segno evidente che la strada era frequentata da coppiette che andavano lì a scopare.

   L'edificio che ospitava il ristorante poggiava su dei grossi pali metallici infossati nel terreno golenale. Il pavimento del fabbricato raggiungeva e superava di poco il terrapieno dell'argine maestro. Più in là, sulla strada, in corrispondenza di un'ansa del fiume, in una lanca, si elevavano numerose casette di pescatori: vere e proprie palafitte costruite in muratura e in legno. Uno spesso strato di melma grigia era depositato alla base delle costruzioni e nel terreno circostante, probabile effetto dell'ultima piena del fiume.
   Dal terrazzo di ogni casupola spuntavano delle bilance da pesca di forma quadra, dotate di grandi reti a fili intrecciati e sostenute da due archi metallici incrociati collegati con una corda a un lungo bastone, di norma manovrato dai pescatori.
   Quando raggiunsi il luogo dell'appuntamento due autovetture erano presenti nel parcheggio del parco naturalistico. La prima vettura era una Panda l'altra una Fiat Coupè grigio metallizzato; probabilmente la sua, pensai.
   Mi avvicinai alle due vetture e affiancai l'auto sportiva. La ragazza era seduta al posto di guida con il finestrino abbassato. Nella mano stringeva una fotocamera. All'istante puntò l'obiettivo verso di me. Schiacciò il pulsante dello scatto, più volte, in breve successione, poi abbassò l'apparecchio fotografico e sorrise.
   I suoi capelli erano lunghi e ondulati, di un intenso colore rosso, come li aveva descritti in un recente racconto autobiografico. Mi ricordarono quelli di una famosa attrice americana degli anni cinquanta: Rita Hayworth.
   Rimasi colpito dalla bellezza del suo sorriso. Le spesse labbra carnose, dipinte con un voluttuoso strato di lucidalabbra rosso corallo, le conferivano un aspetto impudico e sensuale. All'apparenza sembrava avere poco più di trent'anni. Boh! Chissà se era rimasta delusa nel vedermi di persona, pensai. Io non lo ero, anzi. Uscimmo tutt'e due dalle autovetture e ci trovammo uno di fronte all'altra, vicinissimi.
   - Ciao! - fu lei a rompere il ghiaccio.
   Accostammo le labbra alle guance e ci scambiammo un amichevole saluto. Di fronte a me avevo una donna carina, ma non bellissima, ma qualcosa di speciale la rendeva affascinante, perlomeno ai miei occhi, ma non riuscivo a capire cos'era. Piccola di statura indossava un lungo abito nero, con un profondo décolleté che metteva in evidenza le forme scoperte dei seni. Non pareva turbata dalla temperatura fredda dell'aria, già rigida in quei primi giorni di novembre. Io invece fui attraversato da brividi di freddo.
   - Beh, che decidiamo di fare? - dissi infilando le mani nelle tasche dei pantaloni per ripararle dal freddo pungente.
   - Pensavo che ti avrebbe fatto piacere restare in mia compagnia nella casetta che ho in riva al fiume. E' una di quelle. - disse indicando col braccio il gruppo di case di pescatori che avevo intravisto al mio arrivo.
   - E' quella di colore ocra, col tetto scuro, stretta fra le due baracche dalle pareti bianche. Potremmo stare lì ad ascoltare un po' di  musica e raccontarne di cotte e crude sugli amici scrittori del newsgroup it.sesso.racconti. Che ne dici? Ne ho tante di cose da raccontare su di loro. 
   Ancora una volta il suo viso si riempì di un piacevole sorriso.
   - Accetto! - dissi.
   L'uccello che solo pochi istanti prima sembrava assopito, dopo la sega che mi ero sparato, riprese a ingrossarsi spingendo la cappella sulla mia coscia. Inserii la mano nella tasca dei pantaloni nel tentativo di mitigare la sua corposa consistenza, ma inutilmente.
   - Ti spiace se raggiungiamo la casa a piedi? Sono solo pochi passi.
   - No, anzi. - dissi.

   La nebbia avvolgeva la pianura. Con l'approssimarsi della sera la visibilità era andata via via scemando riducendosi a poche decine di metri. Risalimmo l'argine e c'incamminammo lungo il viottolo che conduceva alla sua abitazione. Nonostante fosse vestita con un abito piuttosto sbracciato, che le giungeva fino ai piedi, sembrava non risentire dell'umidità di cui era permeata l'aria.
   - Mi è piaciuto tantissimo l'ultimo racconto che hai scritto. - riprese lei. - Mi riferisco a quello del bambino che in spiaggia si allontana dai nonni e va a succhiare le tette alla ragazza sdraiata sul lettino prendisole. L'ho trovato molto dolce.
   - Mi fa piacere, lo sai che adoro scrivere storie mielose.
   In quell'istante ebbi come un flash. Mi vennero in mente alcune sequenze dei suoi racconti, così diversi dai miei, le cui trame avevano come protagonisti uomini e donne che esercitavano sui partner vessazioni fisiche e psichiche di ogni tipo, fino a renderli schiavi e succubi. Eppure nel momento in cui l'avevo vista scendere dall'automobile non mi era parsa assatanata di sesso come me l'ero immaginata leggendo i suoi racconti.
   La sua voce era suadente, dai toni caldi, capace di esercitare su di me un certo fascino. Mi prese sottobraccio, come si usa fare tra vecchi amici e, mentre camminavamo, seguitò a strofinare ripetutamente il seno contro il mio braccio.

   La casetta di pescatori, all'apparenza piccola, si componeva di un unico locale molto ampio. Il pavimento era composto da tavolette di legno giustapposte secondo un preciso disegno. Due divani di pelle, separati da un rustico tavolino, arredavano lo spazio adibito a soggiorno. Una libreria, posta trasversalmente alla stanza, separava la parte giorno da quella notte dove trovava posto un letto matrimoniale. In un angolo, vicino alla porticina che conduceva alla terrazza e dava su una lanca del fiume, scorsi un tavolo da cucina e il lavandino.
   - Vieni, accomodati, questo è il mio rifugio. Ti piace? Vengo qua quando ho voglia di starmene lontano dalla gente. E' in questo posto che scrivo i miei racconti. Mi ritiro in compagnia di Roxy, il pastore tedesco di cui ti ho parlato nelle mie lettere. Un tempo in questa casetta ci veniva mio padre a pescare, soprattutto nei fine settimana.
   - E' delizioso. Lo hai arredato con gusto. Ma non c'è pericolo che una piena del fiume porti via la casa?
   - Il pericolo c'è, ma chi vive in queste terre è abituato a convivere col fiume. Sono cresciuta senza avere paura dell'acqua, confidando che il Po non ci tradirà mai. Ciò che mi dà sgomento sono le devastazioni ambientali provocate dagli uomini a monte. Quelle sì, perché vengono a ripercuotersi sulle nostre terre.
   La stanza seppure impregnata di umidità era accogliente e non assomigliava a quella di un pescatore.
   - L'hai arredata tu?
   - Sì, dopo che mio padre è morto volevo metterla in vendita. Invece l'ho fatta ristrutturare e ne ho fatto una seconda casa. Vengo qua quando ho voglia di stare da sola o in occasioni speciali come questa.
   - Hai del gusto nell'arredare gli ambienti, infatti, non deve essere stato facile progettare quest'unica stanza e riempirla di cose carine come hai fatto tu.
   Mi avvicinai a una delle due finestre che si affacciavano nella lanca del fiume. Scostai la tenda, svelando il vetro, e guardai fuori. La nebbia, fittissima, impediva di scorgere il panorama circostante. In un angolo del terrazzo riuscii a scorgere, a tratti, sfumata dalla nebbia, una enorme bilancia da pesca e la sua rete.
   - E' stupendo questo posto. - dissi.
   Le pareti bianche erano arredate con stampe di foto in bianco e nero, opportunamente virate con colori di seppia, che le facevano apparire più antiche di quanto fossero in realtà. Erano foto anonime, scattate in una casa di tolleranza degli anni venti. Ritraevano scene sadomaso di cui erano vittime soprattutto soggetti maschili.
   - Sediamoci sul divano. - mi suggerì. – Togliti il giubbotto, mica avrai freddo?
   L'unica luce accesa nella stanza era quella di una abat-jour situata a lato del sofà. Dopo essermi liberato dell'indumento andai a sedermi sul divano. Lei si accomodò accanto a me.
   - Ho portato l'ultimo racconto che ho scritto, vorrei un tuo giudizio. Ti spiace se lo leggo? - disse.
   - No, anzi, siamo qui anche per questo no?
   Sorrise, poi prese la carpetta che stava appoggiata sul tavolino e iniziò a leggere il racconto.
   Era una storia di dominazione, come al solito. La protagonista, una giovane donna, si faceva scopare da un amico del fidanzato che con quell'atto di cessione voleva dimostrarle quanto immenso fosse l'amore che provava per lei, e quanto grande era lo stato di dominazione che esercitava nei confronti della donna che accettava passivamente, per amore, di essere ceduta a un altro.
   - Beh, che ne pensi? - domandò quando giunge alla fine della lettura.
   - Il racconto mi è piaciuto, non sono d'accordo sulle conclusioni che ne hai tratto. C'è forse amore nella dominazione? C'è amore nell'essere padrone? C'è amore nel tenere sotto dominio fisico e psichico un'altra persona?
   - Io penso di sì.
   - Certo si può giocare alla dominazione ed essere complici, ma quando l'evento da gioco e divertimento diventa plagio allora si cade nel patologico, almeno credo.
   - E tu, saresti disposto a farmi da schiavo e soddisfare i miei voleri?
   - No, io sono un tradizionalista, ma potremmo farlo per gioco. Tu potresti atteggiarti a mistress, ma non riusciresti a sottomettermi.
   - Ne sei sicuro?
   Si alzò in piedi e indietreggiò di pochi passi. Portò le mani dietro la schiena e, senza distogliere lo sguardo su di me, sfilò la cerniera dell'abito. Il tessuto cadde sul parquet raggomitolandosi ai suoi piedi. Me la trovai di fronte, nuda, senza veli con la pelle bianca come il latte.
   Le forme del corpo non erano sottili, anzi, ma ricche di sinuose curve come quelle delle giovani donne ritratte nelle stampe che abbellivano le pareti. Incominciai a essere oppresso da nuovi scossoni ormonali perché il cazzo riprese a pulsarmi incontrollato sotto le brache.
   Posai lo sguardo sulle tette dalle forme tondeggianti. I capezzoli, ampi e pronunciati, avevano un colorito roseo che li rendeva particolarmente sensuali e desiderabili. Fra le cosce, nel pube, riccioli di peli dorati proteggevano l'accesso alla fica.
   - Sei ancora deciso a non farti schiavizzare?
   Si avvicinò al divano dove stavo seduto e accostò il pube contro il mio viso. Il profumo dolce di J'Adore, di cui avvertii la presenza sulla pelle, mi fece apparire ancora più gradita la vicinanza della fica. Filiformi riccioli dorati gravitavano a poca distanza del mio viso sfiorandomi la bocca. Marianna roteò le anche e cominciò a strofinare il pube contro le mie labbra riempiendomi la bocca di sottili peli, poi mi afferrò la nuca con entrambe le mani e la sospinse verso di sé. La punta del naso affondò nel manto di peli che sovrastavano il pube e ne annusai l'odore.
   - Ti piace?
   Il suono della sua voce era caldo, passionale, ma imperativo. Non le risposi, allungai le mani e le circuii le natiche. Erano sode, abbondanti, prosperose come i suoi seni. Abbrancai la pelle dei glutei e affondai le dita nella carne, divaricando le due metà del sedere mentre con la lingua incominciai a leccarle l'addome attorno l'ombelico.
   - Dimmi che ti piace.
   La sua voce aveva cambiato tono assumendo una inflessione risoluta. Mi trascinò giù dal divano e mi ritrovai asservito ai suoi piedi, in ginocchio.
   - Leccali! - ordinò.
   Si liberò delle scarpe che fino a pochi istanti prima calzava e mi sospinse il capo verso i piedi scalzi. Esitai prima di cedere al suo ordine.
   - Leccali! - ripeté, una seconda volta, con maggiore decisione.
   Era solo un gioco, un perfido gioco. Accondiscesi alla richiesta, chinai il capo e sfiorai con la lingua il dorso di un piede, poi incominciai a leccarli entrambi senza trovare gusto nel farlo, ma trovai divertente il piegarmi ai suoi desideri eseguendo, con scrupolo, i dettami delle sue richieste senza ribellarmi.
   Risalii con la lingua le sue gambe e mi soffermai a leccarle l'incavo fra le cosce. Aveva la pelle liscia, morbida, accattivante. Accompagnai i movimenti delle labbra con una serie di baci, lambendo con esili carezze ogni tratto di pelle lungo le cosce. Stavo per avvicinarmi con la bocca alla fica, quando mi sentii afferrare il tessuto della maglietta che indossavo.
   - Spogliati! - ordinò.
   Mi alzai in piedi e iniziai a spogliarmi. Mi liberai della polo e in breve successione della canottiera e dei pantaloni, per ultimo levai i boxer. Mi sentii a disagio con il cazzo ritto davanti a lei. Ebbi l'impressione di sottostare a un esame di anatomia ed ero imbarazzato. Studiò con attenzione ogni particolare del mio corpo, senza proferire alcuna parola. Anch'io la guardai. Aveva i seni leggermente asimmetrici, ma fino a quel momento non me n'ero accorto.
   I lunghi capelli rossi, arricciati e mossi, le giungevano fino alle tette ed erano in netto contrasto con la pelle bianca. Dovevo apparirle ridicolo nudo, in piedi, col cazzo che pulsava rigido. Lasciai che fosse lei a condurre il gioco che ci vedeva protagonisti. In fin dei conti ero pur sempre suo ospite. Si allontanò e andò a sedersi sul bordo del letto, poi mi fece un cenno con l'indice della mano indicando di avvicinarmi.
   - Leccamela! - ordinò.
   Lasciò cadere le mani dietro la schiena e le distese sul copriletto. Schiuse le cosce e divaricò le gambe. Il colore rosato delle grandi labbra che si schiusero come un bocciolo di un fiore mi fecero apparire invitante la sua fica. Mi inginocchiai ai suoi piedi e iniziai a leccarle l'interno delle cosce tutt'intorno alle grandi labbra.
   Mugolò di piacere dando segno di gradire la mia azione. Seguitai a leccarla, seppure per pochi attimi, disordinatamente, nel solco che introduce alla vagina. I passaggi di lingua la fecero godere, lo percepii in modo chiaro. Seguitai a insistere a leccare fino a quando fagocitai fra le labbra il clitoride. Era gonfio, esteso, turgido. Scappucciai con le labbra il tessuto che lo ricopriva e iniziai a succhiarlo. Un fremito percorse il corpo della mia compagna quando appoggiò una mano sopra la mia fronte. Per un istante pensai che volesse allontanarmi, invece si lasciò cadere all'indietro, sul letto. Infilò le dita fra i miei capelli e, mentre le succhiavo il clitoride, mi accarezzò il capo.
   Era eccitatissima, agitava le mani, e a più riprese accennò a chiudere le cosce, ma la tenevo ferma circondandole il bacino con le braccia. Si dibatteva come una indemoniata, emettendo urla e inveendo con insulti e parolacce verso di me, ma non allentai la stretta e seguitai a succhiarle il clitoride.
   - Lasciami. Basta! Basta! Mi fai morire.
   Non le diedi retta, proseguii a succhiarle il clito fino a quando il suo corpo sussultò come se fosse preda di allucinazioni sensoriali.
   - Aaahh... Aahhh... Godo... Godooo.
   Seguitai a leccarla, ma Marianna riuscì a liberarsi dalla morsa delle mie mani.
   - Basta! Ti prego... Basta! - Urlò mettendosi carponi sul letto.
   Aveva un fondo schiena rotondo e succulento. Affondai i denti sui glutei facendola sobbalzare. Poi l'attirai verso di me e le sfiorai la fica con la punta della cappella. Continuai a strofinarmi contro senza mai penetrarla. Era bagnata fradicia e l'umore le colava fra le cosce.
   Finalmente dopo tanta attesa giunse il momento di scoparla. Messa alla pecorina le infilai cazzo nella vagina senza difficoltà. Con le mani appoggiate sopra le sue natiche coordinai i miei movimenti ai suoi. Spinsi il cazzo nella cavità estraendo e infilando la cappella di continuo, poi fu lei a scivolare via facendomi sedere sul margine del letto. Si mise cavalcioni sulle mie ginocchia, afferrò il cazzo e lo accompagnò nella vagina. Nella posizione a smorzacandela ricominciammo a scopare con rinnovata passione.
   Affondò le dita sul mio petto pizzicandomi i capezzoli, infliggendomi sadiche unghiate sulla pelle. Anch'io strinsi i suoi capezzoli fra le dita sollecitando il movimento del bacino che si strofinava sul cazzo.
   - Vengo... Vengo... - urlai.
   Stavo per ritrarmi quando abbrancò il mio bacino impedendomi di farlo, così le sborrai nella fica. Solo allora lasciò che mi allontanassi da lei. Chinò le labbra sulla cappella, inglobandola per intero nella bocca, e succhiò gli ultimi fiotti di sperma che fuoriuscivano dall'uretra. Restammo abbracciati sul letto per parecchio tempo, scambiandoci qualche coccola, spettegolando sulle persone con cui lei era entrata in contatto frequentando il newsgroup it.sesso.racconti.
   - Ho una sorpresa per te. - disse.
   Pronunciò la frase mentre si alzava da letto. Dal ripiano del comodino tolse un telo di stoffa che serviva a coprire una modesta apparecchiatura elettronica con innumerevoli tasti e lampadine d'ogni colore.
   - E quello che è? - dissi.
   - Un elettrostimolatore.
   - Un elettro che?
   - Sì, hai capito bene. Un elettrostimolatore. L'ho visto reclamizzato in tivù durante una televendita. Mi è venuta subito l'idea sul come utilizzarlo.
   - Di solito viene usato da persone immobilizzate a letto per lungo tempo o dagli atleti che vogliono aumentare la massa muscolare.
   - Sì, hai ragione, ma oltre a queste indicazione ha anche una azione tonificante e di benessere su tutto il corpo. Inoltre permette di modellare le forme dei muscoli rendendoli sodi e compatti. Dopo venti giorni di applicazioni i glutei possono sollevarsi fino a cinque centimetri, mentre i seni si alzano di tre. Tutto questo l'ho letto su un depliant, ma come hai potuto verificare di persona io non ne ho bisogno.
   - E allora perché lo hai comprato?
   - Per giocarci con voi uomini.
   - Ma anch'io non ne ho bisogno.
   - Lo dici tu, dai, sdraiati.
   - Perché?
   - Ti faccio vedere come si usa.
   Inserì uno degli elettrodi sulla parete anteriore del cazzo, un altro alla radice, e uno sulla pelle dello scroto. Ne appose altri due alle grandi labbra della fica e si coricò accanto a me, Pigiò l'interruttore di un telecomando e diede inizio all'elettrostimolazione.
   A intervalli regolari gli impulsi mi provocarono delle scosse al cazzo. Il movimento di oscillazione, improvviso e violento, fu in grado di provocare la contrazione del muscolo suscitandomi un forte stimolo sessuale.
   Sdraiati sul letto, nudi, uno accanto all'altra, ci trovammo con i genitali percorsi da impulsi di onde Kotz e ne subimmo gli effetti.
   - Ti piace? 
   - Sì, molto. E' difficile descrivere ciò che sto provando, ma è una sensazione strana.
   Allungò una mano sul cazzo e iniziò a menarmelo, mentre le scosse si susseguivano a ritmi regolari.
   - Vieni... facciamo l'amore. - disse quando il cazzo riprese a pulsare.
   - Ma siamo pieni di fili.
   - Non ti preoccupare, sono lunghi a sufficienza per non dare fastidio.
   Mi coricai sopra di lei e la penetrai ancora una volta. Le contrazioni dei muscoli della vagina, provocate dall'elettro stimolatore, accrebbero la nostra eccitazione. Non avevo mai provato sensazioni di quel tipo.
   Per la prima volta durante tutto il pomeriggio le nostre bocche si cercarono. Fino allora lo avevamo evitato e non sapevo spiegarmene la ragione. Il sapore della sua bocca era dolce, e forte era il richiamo che esercitava su entrambi il contatto delle lingue.
   Le labbra scivolarono l'una sull'altra, cercandosi a vicenda, con passione. Non smisi per un solo istante di sospingere il cazzo nella fica. Stavo godendo come un riccio, e desiderai che quegli attimi di intenso piacere non dovessero mai terminare. Accelerai i movimenti sollecitato dalle continue contrazioni della vagina sul cazzo. Ci ritrovammo con i corpi madidi di sudore mentre sentivo imminente il sopraggiungere dell'orgasmo.
   - Sto per venire. - gridai.
   - No! Ti prego... aspettami... aspettami.
   Rallentai l'azione, anche se le continue contrazioni di cui ero vittima non mi permettevano di dominare la smania che avevo di eiaculare.
   - Sì... Sì... Sì... Vengo... - Urlò mentre stavo per sborrarle nella fica.
   Restammo abbracciati per alcuni interminabili secondi, poi ci separammo.
   L'elettrostimolatore seguitò imperterrito a trasmettere impulsi fintanto che lei spense l'interruttore. Sudato ed ammaliato dalla piacevole novità, mi trovai a pensare agli storni che qualche ora prima, percorrendo la strada per arrivare lì, avevo intravisto sui cavi dell'alta tensione. Finalmente compresi qual era la ragione per cui gli uccelli sostano a lungo sui fili elettrici.

 

 

 
 

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