L'autobus
della linea 11 era fermo alla pensilina
del capolinea di Via Volturno in attesa
di riprendere la marcia. Seduto al posto
di guida Giancarlo manteneva gli occhi
fissi sulle pagine rosa di un giornale
sportivo, steso sopra il volante, in
attesa di ripartire.
Il veicolo era spoglio di
persone al pari degli edifici in
costruzione tutt'attorno l'area di sosta
del bus. Più in là, oltre i binari
della linea ferroviaria Parma-La Spezia,
ultima barriera alla cementificazione
urbana, si scorgevano le cime
dell'Appennino imbiancate di neve.
Alle 15.10, nel pieno
rispetto della tabella di marcia, accese il motore dell'autobus.
Ripose il giornale che stava leggendo
nello spazio fra volante e parabrezza,
ma prima di chiudere le porte del mezzo
pubblico si assicurò, guardando negli
specchietti retrovisori, che nessuno
stesse per salire sul bus. Nel preciso
istante in cui stava per accingersi a
comandare la chiusura delle porte una
donna mise piede sul mezzo pubblico.
Giancarlo fissò lo sguardo
sulla figura femminile. Osservandola
ebbe la chiara sensazione di averla già
notata in altre occasioni, ma non
ricordava quali fossero. Girò il capo,
ma prima di mettere in moto l'autobus si
soffermò a guardare la donna con
maggiore attenzione nello specchietto
retrovisore che trovava posto sopra la
sua testa.
La donna arrestò il passo
davanti alla macchinetta obliteratrice,
tolse dalla borsetta un tagliando e lo
convalidò. Quando si mise a camminare
lungo il corridoio del mezzo pubblico,
solo allora la riconobbe: era Isabella.
Dall'ultima volta che l'aveva vista
salire sul bus erano trascorsi parecchi
anni. I lineamenti del corpo
erano di una bellezza rara. La pelliccia
di visone, semiaperta sul davanti,
metteva in risalto le forme dei seni
prosperosi e manifesti,
seppure celati da una maglietta nera
aderente la pelle. Ancheggiando in modo
esagerato percorse a piccoli passi la
corsia centrale del bus. Quando ebbe
raggiunto la parte anteriore del mezzo
pubblico prese posto su un seggiolino,
appena dietro il sedile dell'autista. Accavallò le
cosce e mise in mostra le scarpe dalle
forme appuntite con tacchi alti e
sottili.
Il movimento, seppure
veloce, non sfuggì a Giancarlo che
riuscì a intravedere il margine
superiore delle autoreggenti e le
mutandine di colore nero, della stessa
tinta degli occhi della donna.
Vestita in modo elegante,
con un portamento da vera signora,
pareva impossibile che fosse la medesima
Isabella che lui aveva conosciuto quando
era una liceale.
Il mezzo pubblico abbandonò
la piazzola del capolinea e proseguì la
corsa prendendo la direzione di Via
Volturno. Il traffico a quell'ora del
pomeriggio era scarso. Alla prima
fermata non salì nessuno sul bus, e
nemmeno alla seconda in
corrispondenza dell'Istituto di
Biologia.
Isabella era assorta nei
suoi pensieri. Manteneva lo sguardo
fisso oltre il vetro del parabrezza,
dando l’impressione di controllare la
strada davanti a sé.
Giancarlo si soffermò
ancora una volta a guardare la donna
nello specchietto retrovisore, allo
stesso modo che era solito fare quando
da ragazza prendeva l'autobus per
raggiungere la scuola media Parmigianino.
All'epoca erano davvero poche le adolescenti
della sua età che potevano vantare
attributi femminili pari ai suoi.
L'acerba bellezza la rendeva appetibile
agli occhi di molti adulti che
guardandola restavano affascinati dalle
forme del giovane corpo.
All'altezza di Barriera
Bixio, in corrispondenza
dell'intersezione di più linee urbane,
salirono sul bus numerosi passeggeri.
Giancarlo ne approfittò per dare una
ulteriore sbirciata a Isabella. Non
teneva più le gambe accavallate, ma accostate e coperte dal bordo
della pelliccia. I lunghi capelli lisci
di colore castano scuro le scendevano
sulle spalle e poggiavano sul bavero
della pelliccia. Un delizioso giro di
perle le cingeva il collo in rilievo su
di una maglietta nera a scollatura
tonda. L'aspetto del viso non era più
quello della ragazzina incapace di
tirarsi indietro quando i coetanei le
palpeggiavano il culo all'andata e al
ritorno da scuola. Ora sembrava guardare
con sussiego le persone che le stavano
d'intorno atteggiandosi a vera signora.
A Giancarlo tornarono alla
mente alcuni episodi del passato che
l'avevano vista protagonista, ma fu
distolto dai suoi pensieri quando la
vide togliere dalla borsetta uno
specchietto, comprimere le labbra l'una
sull'altra, più volte, distribuendo il
rossetto ai margini della bocca,
sfiorare le ciglia con le dita e le
sbattere più volte, infine rinchiuse il
coperchio dello specchio.
Giancarlo aveva seguito i
movimenti d'Isabella con curiosità,
stupito dalla raffinata gestualità,
mentre da adolescente la ricordava
oscenamente volgare, sia nei gesti, sia
nel modo di vestire.
Nella memoria aveva bene
impresso alcuni episodi piccanti di cui
Isabella era stata protagonista nella
parte posteriore del bus. Lei e le
amiche si davano da fare nel masturbare
i coetanei gareggiando a chi riusciva a
fare eiaculare per primo il maschio a cui
stringevano il cazzo nella mano. Lei,
fra tutte le ragazze, era la più svelta
a farli venire.
L'autobus riprese la corsa.
Anni addietro Isabella era
solita scendere alla fermata in
corrispondenza del Liceo Marconi.
Stavolta non scese lì, né alla fermata
successiva. L'ingombrante torpedone
proseguì nella corsa rasentando i
marciapiedi della strada che conduceva
al Ponte di Mezzo. Tutt'a un tratto
Isabella si alzò dal seggiolino, fece
alcuni passi e si avvicinò alla porta
d'uscita. Il trillo della suoneria
avvertì Giancarlo di una richiesta di
fermata. Rallentò la velocità
dell'autobus e arrestò la corsa in
corrispondenza di Piazza della
Rocchetta.
Isabella fu la prima
persona a
scendere i gradini del bus seguita
dappresso da altri passeggeri. Giancarlo
la vide incamminarsi sul marciapiede per
scomparire alla sua vista. La scorse
subito dopo mentre attraversava la
strada per scomparire dentro il portone
di una casa dall'aspetto signorile.
A Giancarlo, dopo quella
occasione, capitò di vedere Isabella
sempre più spesso, infatti, tutti i
pomeriggi, alla stessa ora, prendeva
posto sul
mezzo pubblico al capolinea di Via
Volturno e scendeva alla fermata di
Piazza della Rocchetta, dopodiché scompariva
nell'elegante portone dove l'aveva
notata mettere piede la prima volta.
* * *
L'autobus della linea undici
era fermo nella piazzola del capolinea a
poche decine di metri dall'ingresso dei
mercati generali. Il motore
dell'automezzo era spento. Giancarlo uscì
dal mercato ortofrutticolo e raggiunge
il torpedone. Nelle braccia sorreggeva
un plateau di mele renette. Depositò la
cassetta di frutta in uno scompartimento
del bus, non visibile ai passeggeri, e
si mise al posto di guida.
L'alba era spuntata da poco
ed era in anticipo di
qualche minuto sulla tabella che lo
avrebbe visto partire. Stese le pagine della Gazzetta
di Parma sul volante
e si mise a leggere la cronaca locale,
quelle che lo
interessavano maggiormente insieme a
quella degli annunci mortuari.
Un titolo, a caratteri
cubitali, richiamò la sua attenzione:
"CASA SQUILLO PER NONNI
SCOPERTA IN VIA BIXIO".
L'articolo, a nove colonne,
era corredato da numerose fotografie.
Alcune ritraevano il condominio in cui
avvenivano gli appuntamenti. Giancarlo
osservò la foto e gli sembrò di
riconoscere l'edificio, ma non ne fu
sicuro. Il bordello, nella descrizione
del giornalista che aveva redatto
l'articolo, era molto esclusivo,
non solo per i prezzi praticati, ma
soprattutto per il tipo di clientela che
lo frequentava. La casa squillo, da
quello che avevano scoperto gli
investigatori, era riservata a uomini
con più di settant'anni d'età. Tutta
gente benestante proveniente anche da
fuori città. Al momento dell'irruzione
delle forze dell'ordine alcuni nonnetti
erano stati sorpresi coricati sui letti,
legati e incatenati, in compagnia
giovani donne. Un vasto assortimento di
strumenti per la flagellazione era stato
rinvenuto nelle stanze dove avvenivano
gli incontri.
Gatti a nove code con
stringhe di cuoio, canne di bambù,
fruste, verghe di legno d'ogni tipo e
dimensione, erano gli strumenti di
lavoro delle ragazze. All'interno di un
armadio era stata ritrovata una intera
collezione di pantofole da camera,
palette da spiaggia di plastica e in
legno. Tutti strumenti utilizzati dalle
prostitute per infliggere punizioni
corporali ai vecchietti.
Giancarlo diede uno sguardo
alle foto che ritraevano i volti delle
ragazze implicate nella retata: una di
loro era Isabella.
* * *
L'autobus della linea undici era fermo
al capolinea di Via Volturno. Seduto su una panca, all'ombra della
pensilina, Giancarlo era in attesa di riprendere la
marcia. Nel
podere adiacente, oltre la linea
ferroviaria Parma-Spezia, un contadino
era impegnato a tagliare l'erba con la
motofalciatrice.La giornata era afosa, un
delicato profumo d'erba medica gli
riempiva di profumo le narici.
Una donna si avvicinò al
capolinea. L'incedere dei passi era
elegante come poche donne sapevano
esserlo. Un paio di occhiali scuri le
celavano gli occhi alla vista della
gente. I lunghi capelli scuri le
ricadevano sulle spalle e lambivano il
colletto della camicetta. Indossava un
bolero di color turchino senza maniche.
Una gonna elasticizzata le avvolgeva le
natiche sporgenti.
Quella donna era lei:
Isabella.
Attraversò la strada e salì
sull'autobus. Obliterò il biglietto e
prese posto su uno dei sedili.
Giancarlo, sprofondato col culo sulla
panca, rimase a osservarla mentre
percorreva il corridoio centrale del
torpedone. Attraverso i vetri
panoramici del bus la vide prendere posto su uno
dei seggiolini, girare il capo, e
guardare dritto verso di lui.
Giancarlo accese una
sigaretta, tirò alcune boccate di fumo,
e si soffermò a pensare che in tanti
anni non gli era mai capitato di
rivolgerle la parola.
L'autobus s'incuneò nelle
strette strade del centro. Alla fermata
di Piazza della Rocchetta arrestò la
corsa. Alcuni passeggeri lasciarono
l'automezzo, altri salirono. Giancarlo
volse lo sguardo verso lo specchietto
retrovisore. Una giovane donna si era
seduta accanto a Isabella. Entrambe
gesticolavano con le dita delle mani nel
linguaggio di chi è privo della parola.
Giancarlo sorrise. Pigiò il pedale
sull'acceleratore e riprese la corsa.
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