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TRACIMAZIONE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Nubi
scure, apportatrici di pioggia,
cavalcano i tetti dell'Oltretorrente. I
parapetti del Ponte di Mezzo sono
occupati, già dalle prime ore di luce,
da una moltitudine di persone impegnate
a osservare lo spettacolo delle acque del
torrente in piena.
E' un evento straordinario
quello dell'ingrossamento delle acque,
ma anche una condizione di estrema
gravità che non si verificava in città
da una decina di anni, perlomeno questo ho impresso nella memoria.
Proseguo nel mio incedere,
attenta a non mettere i piedi in una
delle pozzanghere che si
frappongono al mio passo, pentita di
calzare tacchi da 12 centimetri, anche
se non sono solita indossare nulla
d'inferiore ai 10, eccetto quando sono
sul posto di lavoro in ospedale oppure
dentro le mura domestiche dove indosso comode pantofole con i pom-pon.
Mi muovo con qualche
difficoltà, concentrata nel mantenere
l'equilibrio sul dissestato lastricato
del marciapiede. Ogni passo mi provoca
un intenso dolore all'ano per colpa di quanto è accaduto
stanotte. Stringo i denti, anche se la
sofferenza fisica che mi procura il
camminare, per effetto del mio stato, è
difficile da sopportare.
Sul Ponte di Mezzo cammino
rasente il parapetto con lo sguardo
rivolto al torrente. Il fragore delle
acque è assordante e copre gli altri
rumori della strada. La pioggia pressoché
ininterrotta di quest'ultima settimana
ha ingrossato all'inverosimile il
torrente. Carcasse di animali, tronchi
d'albero e detriti d'ogni specie, si
cullano nell'acqua limacciosa condotti a
valle dai flutti di una corrente che
sembra non conosce ostacoli di sorta.
L'onda di piena prevista dagli esperti
di meteorologia a quest'ora del mattino
ha raggiunto i massimi livelli e l'acqua
tende ancora a salire.
Gli archi di Ponte di Mezzo
danno l'impressione di essere sommersi
da un momento all'altro dal turbinio
delle acque. Un solo metro di luce è
rimasto libero al centro delle arcate,
dopodiché il torrente strariperà
allagando la città.
Vigili urbani e carabinieri
sorvegliano l'accesso al ponte da ambo i
lati impedendo il passaggio ai veicoli
di ogni specie. Piazza della Rocchetta
è transennata. Il monumento a Filippo
Corridoni, eroe della prima guerra
mondiale, figura scolpita in bronzo con
la schiena e le braccia protese
all'indietro, mi dà il benvenuto nel
quartiere dell'Oltretorrente.
La vita in questa parte
della città, a differenza di quanto sta
succedendo in pieno centro cittadino,
sembra svolgersi in modo regolare, come
se alla gente non importasse granché
della piena del torrente.
Caffetterie e bar che si
affacciano su strada D'Azeglio sono
affollati da persone affaccendate nel fare
colazione. Avrei voglia di
assaporare uno qualsiasi dei croissant
di morbida sfoglia, farciti di
marmellata o con la crema, in bella
mostra sui banconi. Invece proseguo
ostinata per la mia strada, col culo
sottosopra e un dolore atroce all'ano,
senza lasciarmi corrompere dall'aroma di
caffè che esce dagli esercizi pubblici.
Dinanzi alla panetteria
all'angolo con Via Antelami mi riempio i
polmoni con il profumo di pane fresco
che esce dal negozio dell'omonimo forno.
Qualche decina di metri
oltre la panetteria cedo alle lusinghe
della Pasticceria D'Azeglio. Mi ficco
dentro la bottega senza alcun rimpianto
per la dieta che sto per trasgredire, e
mando fanculo il mondo intero.
La sala da tè della
pasticceria è piccola. Non c'è ressa
di clienti ai tavoli e nemmeno al
bancone, solitamente affollato da
persone che consumano il caffè o il
cappuccino stando in piedi.
Prendo posto a un tavolo.
Mentre mi chino provo una fitta di
dolore al culo appena accosto le natiche
alla sedia. Ordino un tè alla vaniglia
e due brioche; una alla crema, l'altra
all'albicocca, poi resto in attesa senza
darmi pensiero se arriverò in clinica
in ritardo, nemmeno mi preoccupa sapere
se il torrente tracimerà e non so
spiegarmi il perché.
Sorseggio la bevanda calda
che il cameriere mi ha servito al tavolo
e ripenso a quanto è accaduto stanotte
nel letto di Giorgio. A nessun uomo
avevo concesso di sodomizzarmi. Stanotte
ho ceduto alle sue lusinghe e ho
lasciato che mi scopasse nel culo.
Quello che mi è rimasto addosso è un
grande bruciore all'ano, ma non è
questo che mi fa stare male. Su letto di
Giorgio ho lasciato qualcosa di molto più
importante del culo, la mia dignità.
Ho provato un dolore
terribile quando mi ha penetrata
lacerandomi i tessuti dell'ano, non
ricordo se ho gridato, ma qualcosa devo
avergli detto, un lamento forse. Lui è
stato gentile, non ha forzato il cazzo
contro lo sfintere, mi ha preparata
introducendo un dito unto di vaselina
nell'ano, poi lo ha girato più volte
nello sfintere e la cosa mi ha lasciato
un certo gradimento. Quando ha
avvicinato la cappella al culo è stato
tutto diverso. Non vedevo l'ora che
finisse di scoparmi. E' venuto
sborrandomi nell'intestino e mi sono
sentita peggio di un animale. Giorgio si
è steso sulla mia schiena e si è messo
grugnire di piacere, forse.
Quando esco dalla
pasticceria l'orologio che indosso al
polso segna le otto e qualche minuto.
Attraverso Piazzale Santa Croce e dopo
pochi passi mi trovo a camminare sul
marciapiedi di Via Gramsci, di lato alla
cinta muraria dell'Ospedale.
Il sole ha fatto capolino
attraverso le nuvole, presagio del bel
tempo che sta per arrivare. Il disastro
ambientale provocato dallo straripamento
del torrente sembra scongiurato. Mi
attende una giornata di lavoro come
tutte le altre. Ma dopo la nottata
trascorsa nel letto di Giorgio, il
Primario della clinica in cui lavoro,
sono io a non essere più la stessa
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