TETTE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

      La scritta, seppure sbiadita, è tuttora visibile sui muri della palazzina che ospita la Clinica Neurologica in Via del Quartiere. L'ho tracciata con un colore a tempra durante l'occupazione dei locali del Brefotrofio trent'anni fa. Mica potevo immaginare che si sarebbe conservata così a lungo. La storia che sto per narrarvi non è la cronaca sbiadita degli avvenimenti che mi indussero a dipingerla, ma dell'amore per una ragazza che non ho mai dimenticato.
   Era un pomeriggio di dicembre del lontano 1973 quando, insieme a un manipolo di compagni, partecipai all'occupazione del Brefotrofio Comunale. La struttura aveva cessato di esistere dopo che l'ultimo orfano, ospite della struttura pubblica, era stato affidato a una famiglia di contadini residenti in un paese della Bassa Parmense.
   Il gruppo di occupazione di cui facevo parte stilò un manifesto di lotta per riconvertire la struttura pubblica in asilo nido a favore delle lavoratrici madri del quartiere dell'Oltretorrente.
   La palazzina, edificata a metà dell'ottocento, è immersa nel verde di un parco di abeti. Una cinta muraria mantiene separato l'edificio dalla strada e dai palazzi circostanti. Sembra impossibile che una struttura di tale bellezza e così ricca di storia debba essere alienata a favore dei privati, eppure è la verità. Sulla Gazzetta di Parma, il più importante quotidiano locale, è apparsa la notizia che l'intera area sarà dimessa e messa all'asta. Probabilmente acquistata da qualche istituto bancario o società immobiliare, ne sono certo. E quando l'edificio cambierà destinazione anche la scritta sarà cancellata e scomparirà l'ultimo legame che mi tiene legato a Edda.
   L'occupazione dell'ex Brefotrofio durò tre settimane. L'asilo, nonostante le promesse degli amministratori dell'ospedale, non ha mai visto la luce. I locali, in accordo con l'Università, furono destinati a ospitare la Scuola per Terapisti della Riabilitazione.
   Sono state dette e scritte tante scemenze su quegli anni di fervore politico e sociale. A distanza di quarant'anni mi sento di affermare con una certa sicurezza che il sessantotto è stato una delle pagine più ricche della mia vita. A tutt'oggi mi porto addosso gli stessi valori di allora: l'onestà, la generosità e soprattutto il sapere gioire della felicità altrui.
   Occupammo i locali di Via del Quartiere il 9 dicembre del 1973, verso sera, dopo che l'ultimo bambino ospitato nel Brefotrofio fu trasferito presso una famiglia adottiva.
   Era una giornata uggiosa. Una intensa pioggerellina bagnava le strade. In compagnia di quattro compagni, Mauro, Claudio, Antonio e Gianni andai a suonare alla porta d'ingresso del Brefotrofio.
   Ad aprirci venne una infermiera, probabilmente al suo ultimo turno di lavoro nella struttura. Le spiegammo le nostre ragioni e lei acconsentì a farci entrare. Da quell'istante ebbe inizio l'occupazione.
   Avuto sentore della presa in possesso dell'edificio molte persone vennero a esprimerci solidarietà. Fra loro un gruppo di giovani allieve della Scuola per Maestre d'Asilo.
   Eravamo consci che l'occupazione avrebbe sortito esito positivo se fossimo riusciti a coagulare attorno alla nostra iniziativa le forze sociali della città e la solidarietà della gente del quartiere. Ragione per cui dovevamo assolutamnete produrre iniziative di coinvolgimento. 
   Ognuno degli occupanti prese degli impegni. C'era chi si occupava d'intrattenere i rapporti con l'Amministrazione Ospedaliera e i rappresentanti del Comune, chi organizzava dibattiti nelle sedi dei circoli dell'Oltretorrente e chi si dedicava all'elaborazione di documenti. Con Claudio mi presi l'impegno di effettuare del volantinaggio davanti alle fabbriche, per le strade del centro, e davanti all'ospedale.
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   Edda apparteneva al gruppo di allieve maestre d'asilo che parteciparono all'occupazione insieme ai lavoratori ospedalieri. Non era parmigiana, ma originaria di un piccolo paese della provincia di Foggia. A Parma era ospite degli zii.
   - Chi viene con me a distribuire volantini in centro? - gridai al gruppo di persone che a quell'ora del pomeriggio erano raggruppate nel salone d'ingresso del Brefotrofio.
   Nessuno raccolse l'invito, dimostrando di preferire il calore dei termosifoni al freddo pungente della strada. Stavo per incamminarmi verso l'uscita quando una voce femminile ruppe il coro di silenzio.
   - Vengo io.
   Seminascosta dalle amiche intravidi il volto di una ragazza.
   - Va bene, dai, prendi l'ombrello e seguimi. - dissi.
   Edda, questo era il suo nome, prese dall'attaccapanni il cappotto e si avvicinò all'uscita dove ero rimasto ad aspettarla con l'eskimo già infilato addosso. Sino allora non avevo notato la sua presenza, se n'era rimasta in disparte per timidezza o più semplicemente perché non voleva dare troppa confidenza agli occupanti. Rimasi stupito dalla sua disponibilità e accettai di buon grado la sua compagnia.
   Alta, mora, viso ovale, capelli lunghi e lisci, e di carnagione olivastra. Questi erano gli attributi che le conferivano un'aria accattivante, perlomeno ai miei occhi. Contrariamente alle compagne, abituate a indossare minigonne vertiginose, indossava pantaloni di velluto e un maglione piuttosto abbondante, tanto che mi risultò piuttosto arduo giudicare le forme dei seni. Le Clarks che calzava ai piedi erano in sintonia con il resto del look. 
   Una leggera pioggerellina ci attendeva all'uscita dalla clinica. Dinanzi al portone esitai prima di scendere i gradini che conducevano sulla strada.
   - Ma tu non hai l'ombrello? - le chiesi.
   - No.
   - Accidenti! Dai, ti prendo sotto il mio, tanto non dobbiamo andare troppo lontano. Vorrà dire che ci bagneremo in due.
   Edda si strinse a me. Camminammo addossati l'uno all'altra per Via Imbriani. Dopo una decina di minuti ci ritrovammo al riparo dalla pioggia sotto i portici di Via Mazzini in pieno centro cittadino. Nonostante i ripetuti tentativi d'intavolare uno straccio di conversazione Edda mi rivolse solo poche parole durante il tragitto.
   A quell'ora del pomeriggio la galleria di Via Mazzini era frequentata da persone che si recavano in centro per fare compere. Prendemmo posto ai due lati della galleria e iniziammo a distribuire volantini fintanto che i commessi dei negozi abbassarono le serrande. Alle sette decidemmo di fare ritorno in Clinica.
   - Ehi! Ma tu tremi! - dissi, quando si avvicinò a me.
   - Distribuire volantini mi ha raffreddata.
   Pronunciò quelle poche parole con un certo timore, poi la vidi sorridere. Le labbra carnose si separarono una dall'altra e misero in mostra lo smalto di una dentatura priva d'imperfezioni.
   - In clinica ci riscalderemo. - la rassicurai.
   Accostai un braccio sulla sua spalla e la strinsi al mio corpo.
   Mentre camminavamo verso la clinica la pioggia si trasformò in nevischio. Al riparo dell'ombrello proseguimmo ad avanzare verso Via del Quartiere.
   Il calore dei termosifoni sciolse la riservatezza di Edda. Per la seconda volta durante la serata la vidi sorridere. A quell'ora nei locali dell'ex Brefotrofio erano presenti soltanto Claudio e Mauro, impegnati a prepararsi la cena.
   - Rimani a cenare con noi? - le domandai. - Se invece pensi di fare ritorno a casa aspetta almeno che cessi di nevicare.
   Avrei inventato qualsiasi scusa pur di trattenerla in mia compagnia.
   - Mi spiace, rimarrei volentieri, ma non posso fermarmi. Ti prometto che resterò con te una delle prossime sere. Ora devo andare! Gli zii saranno già in ansia per il mio ritardo. Non voglio che si preoccupino per me.
   Rimasi colpito dalla sua riservatezza, per il modo di proporsi e le timide parole che aveva espresso con tanto garbo. Tutto il contrario del tipo di ragazze disinvolte e sfrontate che ero solito frequentare. Restammo qualche istante accanto al termosifone strusciando le mani sugli elementi di ghisa del calorifero, poi si scostò e si avvicinò all'uscita.
   - Ehi! Mica vorrai andare via senza l'ombrello. Ti bagnerai con questa nevicata! Ti accompagno io. 
   Edda abitava a pochi isolati dalla clinica. Dopo pochi minuti ci ritrovammo dinanzi alla sua abitazione.
   - E' giunto il momento di salutarci. - disse, allontanandosi da sotto l'ombrello. Tolse dalla tasca del montgomery il mazzo delle chiavi, ma nell'avvicinarsi al portone della abitazione scivolò sul marciapiede. Lasciai cadere l'ombrello e fui lesto a sorreggerla. Ci ritrovammo abbracciati e cominciammo a ridere per la strana situazione in cui c'eravamo venuti a trovare. Come d'incanto l'espressione del suo viso cambiò e ancora una volta tornò seria.
   I fiocchi di neve a contatto con le nostre teste si liquefacevano inumidendoci i capelli. Non ci fu bisogno d'alcuna parola. Posai le labbra sulla sua bocca e le diedi un bacio. Edda non si ritrasse, schiuse le labbra e lasciò che la punta della mia lingua la penetrasse.
   Il sapore della sua bocca era dolce come una crema di zabaione. Non aveva esperienza nel baciare. Limitai i movimenti della lingua solleticandole la sua, poi avvicinai la mano sul suo viso e le accarezzai la guancia. Lei si scostò senza ritrarsi del tutto. Lasciò cadere il capo sulla mia spalla e mi cinse le braccia attorno ai fianchi. La strinsi forte a me nell'attimo in cui una automobile transitò a poca distanza dal marciapiede, spruzzandoci d'acqua, costringendoci ad abbandonare l'abbraccio. Scoppiammo a ridere per l'improvvisa doccia imprecando contro l'infame conducente della vettura. Le nostre labbra si congiunsero un'ultima volta, poi Edda si scostò definitivamente.
   - Mi spiace Lorenzo, ma devo proprio andare. Gli zii saranno in pensiero, non torno mai a casa tardi. Ciao!
   - Ci vediamo domani? - dissi, desiderando che rispondesse in maniera affermativa.
   - Può darsi. Ho molto da studiare, ma se faccio in tempo do una scappata in clinica, magari verso sera.
   - Ti aspetto allora. - dissi mentre il portone si chiudeva alle sue spalle nascondendola alla vista dei miei occhi.
   Raccattai l'ombrello e tornai in clinica. Il giorno seguente attesi con impazienza la sua venuta. Solo verso sera fece il suo ingresso nei locali dell'ex Brefotrofio.
   Ero intento a diluire con acqua il colore a tempera che m'ero portato da casa quando Edda fece capolino sulla soglia della stanza dove stavo lavorando.
   - Ciao! Cosa stai facendo? - disse con fare curioso.
   - Sto preparando la tinta per dipingere una scritta sui muri della clinica. Se vuoi aiutarmi prendi i pennelli e vienimi appresso.
   Celati alla vista della gente dal buio delle tenebre ci portammo a ridosso del muro dell'edificio, nella parte che confina con Viale Vittoria. Posai il bidone della tinta per terra e iniziai a dipingere la scritta sul muro. "VOGLIAMO L'ASILO A GESTIONE COMUNALE". 
   La frase, lunga una quindicina di metri, avrebbe attirato l'attenzione dei cittadini che transitavano per la strada; perlomeno questo era ciò che mi proponevo.
   - Complimenti Lorenzo! Hai un avvenire da imbianchino!
   Pronunciò la frase sorridendo, mostrandomi per intero la bellezza della bocca. La guardai attentamente in viso. La luce fioca che proveniva dai lampioni le conferiva un alone particolare. Le ciglia folte e scure adombravano le pupille degli occhi che, dilatate da quel poco di luce, luccicavano come comete. Fu lei a baciarmi. Appoggiò le labbra alle mie e le allontanò subito dopo.
   - Mi piace stare con te. Sei il primo ragazzo della mia vita. - disse a capo chino.
   Sorpreso dalla frase che aveva pronunciato rimasi come impietrito. Cercai di trattenerla mentre insisteva ad allontanarsi e l'afferrai per un braccio. Fu lesta a divincolarsi e corse verso la clinica. Quando feci ritorno nei locali del Brefotrofio era sparita.
   Non la rividi per qualche giorno. Un pomeriggio, durante una pubblica assemblea, fece di nuovo la sua comparsa in mezzo a noi.
   Erano trascorsi dieci giorni dall'inizio dell'occupazione. La presenza dei compagni di lotta stava via via scemando. Eravamo rimasti soltanto Claudio, Mauro ed io a occupare l'edificio durante le notti. Gli altri, stanchi e delusi dall'ottusità degli amministratori, si erano defilati. L'assemblea, promossa per verificare se occorreva protrarre o meno l'occupazione, decise all'unanimità di prolungarla.
   - Rimani con noi stanotte? - dissi, avvicinandomi a Edda. - Domani è domenica, non devi andare a scuola. Potresti raccontare una bugia ai tuoi zii, magari gli racconti che ti intrattieni a dormire a casa di una amica, poi ci ritroviamo qui. Saremo soli tu e io. Claudio e Mauro escono con le loro fidanzate e non torneranno che domani. Ci vuoi pensare?
   - Lo farò. Se posso vengo.

   Alle otto e mezzo di sera il campanello alla porta dell'ex Brefotrofio trillò. Sorpreso dal suono mi avvicinai all'uscio con un certo timore. Dall'inizio dell'occupazione eravamo soliti sprangare la porta dall'interno ponendovi a ridosso dei mobili. In tutti noi c'era la paura di un assalto da parte di qualche squadra di fascisti, cosa che in città si era già verificata durante le occupazioni di altri edifici pubblici. Con circospezione mi avvicinai all'uscio.
   - Chi è? - dissi.
   - Sono io. Edda.
   - Aspetta, libero la porta e ti apro.
   Spostai i mobili che ostruivano l'uscio e lo aprii. Edda stava lì, davanti a me. Fra le braccia teneva un sacco a pelo arrotolato, del tipo in uso all'esercito americano.
   - Ciao! Tutto bene?
   - Sì, i miei zii hanno bevuto la bugia che gli ho raccontato. Volevano accompagnarmi di persona alla abitazione della mia amica Marzia, ma li ho convinti a non farlo.
   - Hai già mangiato? - dissi.
   - Sì, e tu?
   - Anch'io.
   - Vieni. Ti accompagno nella camera dove potrai riporre il sacco a pelo.
   I locali del Brefotrofio erano dotati di camere per il pernottamento dei bambini e delle madri che provvedevano al loro allattamento. Edda si accomodò in una di queste. Posò il sacco a pelo sulla branda, vicino a quella dove in precedenza avevo riposto la mia roba, dopodiché tornammo nel salone principale.
   Restammo a parlare per tutta la sera davanti alla tivù gustandoci Carosello e poi Canzonissima. Verso le undici andammo a dormire.
   Se fino a quel momento c'eravamo comportati da buoni amici, scambiandoci solo tenere effusioni. Al momento di coricarci avvicinai la branda dove avevo posato la mia roba accanto alla sua. Mi liberai degli abiti e rimasi con indosso gli slip e la canottiera, poi m'infilai nel sacco a pelo. Edda, dopo essersi rifugiata in bagno, tornò nella stanza.
   - E' la prima volta che trascorro la notte con un uomo. - disse avvicinandosi al letto.
   Tolse i jeans di velluto e rimase con indosso la camicia, poi infilò le gambe nel sacco a pelo. Allora intravidi il colore bianco delle mutandine tempestate di fiorellini.
   - Spengo la luce? - dissi.
   - Sì. - rispose.
   La camera piombò nell'oscurità. Mi alzai dalla branda e andai a pigiare l'interruttore della luce notturna. D'incanto la stanza si colorò di una luce azzurrina.
   - Ti spiace se teniamo accesa questa luce notturna? - dissi.
   - No, va bene così. - assentì.
   Nel tornare a letto mi fermai vicino alla sua branda e le diedi il bacio della buonanotte.
   - Dormi bene. - dissi.
   Accostai le labbra alle sue e lei contraccambiò il bacio che fu lungo e appassionato. Non avevo mai ritenuto possibile trascorrere la notte con lei, ma il sogno si stava avverando. Ero eccitato, sentivo il sangue ribollire nelle vene spinto dalle contrazioni del cuore. Mi coricai sulla branda di Edda e presi posto al suo fianco. Afferrai la linguetta della cerniera del suo sacco a pelo e la feci scendere sino ai suoi piedi.
   Edda mi lasciò fare senza opporre alcuna resistenza, poi m'infilò la mano sotto la canottiera. Il contatto delle sue dita mi provocò una forte emozione. Coricato accanto a lei, sul fianco, rimasi a osservarla in viso. Lei proseguì ad accarezzarmi il petto con un tocco leggero delle dita che aveva il sapore dell'innocenza e della spontaneità. Sempre più eccitato la baciai sul collo riempiendola di succhiotti. Preso dalla foga affondai le labbra in un affettuoso morso. La sentii fremere in tutto il corpo di piacere e inarcare la schiena.
   La sua pelle traspirava un odore intenso e particolare. Edda era una ragazza speciale e ne ebbi la certezza poco dopo.
   Le nostre labbra presero a cercarsi in maniera scomposta, più la baciavo e più sentivo crescere in me la voglia di possederla. Mi liberai della canottiere e rimasi con indosso le sole mutande. Poi cercai di fare la stessa cosa con lei, ma fu lesta nell'arrestare il movimento delle mie mani.
   - Perché non vuoi? - dissi.
   - Ho un piccolo segreto, una leggera imperfezione fisica di cui mi vergogno. Spero che scoprendola non ti metterai a ridere di me.
   - Ma dai che dici! Sei bellissima. Nessuna fra le tue amiche è bella come te.
   - Quando la vedrai non metterti a ridere, ti prego. Ne morirei.
   - Ti desidero per come sei, con i tuoi difetti e i pregi. Spero che la stessa cosa valga anche per te o sbaglio?
   - No, non sbagli. Anche tu mi piaci.
   - Allora lascia che ti spogli.
   La luce notturna rischiarava la stanza e colorava i nostri corpi d'azzurro. Edda si pose in ginocchio sul letto di fronte a me. Incrociò le braccia e con un solo movimento si liberò del maglione e della camiciola. Dopo un attimo d'indecisione si liberò della maglietta della salute e portò le mani sul petto a proteggersi. Infine chinò il capo.
   Ciò che vidi mi lasciò esterrefatto. Provai a sollevarle il mento, ma lei perseverò nel mantenere gli occhi abbassati dandomi l'impressione di vergognarsi di se stessa. Le allontanai le mani dal corpo e mi apparvero i suoi seni. Erano nel numero di quattro. Quelli superiori, sodi e compatti, alloggiavano nella loro sede naturale. Quelli inferiori, più piccoli, a forma di coppa di champagne, erano collocati appena sotto gli altri con cui disegnavano una "V". Superato l'iniziale stupore mi avvicinai a Edda e la strinsi forte a me.
   - Sei stupenda. - dissi senza fare cenno all'imperfezione.
   Presi le sue mani e le portai sul mio petto, guidandola nell'accarezzarmi i capezzoli. Mentre era intenta a solleticarli feci la stessa cosa con i suoi. Ci trovammo uno di fronte all'altra ad accarezzarci l'areola dei capezzoli. I suoi, che nella penombra apparivano di un colorito scuro, erano perfettamente appuntiti. Abbassai le labbra e iniziai a succhiarli uno dopo l'altro. Quelli inferiori, forse perché più piccoli, parevano più turgidi, ma era soltanto una mia impressione.
   Eccitato com'ero presi le sue mani e le condussi sui seni inferiori invitandola ad accarezzarli, poi iniziai a succhiare gli altri due. Edda iniziò a provare piacere da quella situazione. Persa l'iniziale riservatezza, prese ad ansimare lasciandosi sfuggire dei fremiti di piacere.
   Lasciai trascorre alcuni secondi e mi alzai in piedi sul letto. Da quella posizione mi liberai degli slip. Afferrai la sua mano e la guidai a stringermi l'uccello. Il movimenti goffi con cui incominciò a muovere le dita attorno al cazzo denotavano la sua inesperienza. L'aiutai a masturbarmi pilotandola con la mia mano. 
   Provai piacere nel sentire le esili dita sfiorarmi la cappella. Lasciai che me lo menasse senza il mio ausilio, poi inumidii le dita di saliva che deposi sulla cappella. Il liquido facilitò lo scorrimento della sua mano che prese a muoversi speditamente. Trovato il giusto ritmo iniziò a provare piacere da quella manovra e mi sussurrò all'orecchio alcune parole.
   - Ti piace? Dimmelo che ti piace!
   - Sì mi piace. - dissi. - Mi fai godere!
   Rassicurata dalla mia risposta riprese a masturbarmi con maggior lena.
   Preoccupato di eiaculare troppo alla svelta allontanai la sua mano e mi coricai vicino a lei. Poggiai la mano sopra le sue mutandine, all'altezza dell'inguine, e notai che erano bagnate. Il tessuto sottilissimo di cotone mi permise di sentire il bocciolo di carne in erezione sul quale premetti con dolcezza le dita.
   Iniziai a percorrere con la mano il ventre e l'interno delle cosce invitandola ad aprirle ancora di più. M'insinuai sotto l'elastico delle mutande e le sfiorai le labbra della fica. Il sentore d'umidiccio aumentò la voglia che avevo di possederla. La liberai delle mutandine e iniziai a toccarle il clitoride. Per la prima volta la sentii gemere di piacere lasciando da parte ogni pudore. Subito dopo mi coricai sopra di lei.
   - Sono vergine. - mi sussurrò all'orecchio. Ma la sua affermazione non mi sorprese.
   - Non ti preoccupare, anch'io lo sono. - mentii. - Ci starò attento.
   La deflorai con delicatezza senza farle sentire troppo male, almeno questa fu la sensazione che ne ricevetti. Nell'attimo in cui la penetrai la sentii irrigidirsi in tutto il corpo. Digrignando i denti si lasciò sfuggire un lieve lamento. Soltanto quando affondai l'uccello in profondità si rilassò. Eccitato com'ero venni quasi subito sborrandole sull'addome. Edda si rialzò dal letto e corse in bagno per lavarsi. Tornò poco dopo rilassata e all'apparenza soddisfatta.
   Per tutta la notte continuammo a fare l'amore. L'alba ci sorprese abbracciati. Verso le otto, l'accompagnai all'uscita della clinica, le diedi un ultimo bacio e la salutai.

   Con l'approssimarsi del Natale il gruppo di persone che aveva occupato l'edificio andò assottigliandosi. Eravamo rimasti solo in tre: Mauro, Claudio e io. L'occupazione giunse a termine con il sopraggiungere del nuovo anno.
   Edda partì per Foggia l'indomani della notte passata in mia compagnia. Trascorse le vacanze di Natale insieme ai genitori, ma non fece più ritorno a Parma. Le inviai numerose lettere, ma lei non rispose a nessuna. Non seppi mai la ragione della fuga e del mancato ritorno. Della sua presenza è rimasta la scritta sul muro della Clinica e un grande rimpianto nel mio cuore.

 

 
 

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