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NON
E' PIU' TEMPO
DI NOSTALGIA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L 'appartamento
era tutto sottosopra. Scatole di cartone,
colme di oggetti per l'arredo della
casa, giacevano accatastate in ogni
stanza. Fabrizio aveva impiegato una
intera settimana a imballare le cose da
trasferire nella nuova abitazione.
L'indomani, di prima mattina, come aveva
concordato con l'impiegata della
cooperativa di traslochi, i facchini
avrebbero trasferito altrove tutte le
masserizie.
Fra le mura della
abitazione che stava per lasciare lui
c'era nato. In quel quartiere ci aveva
trascorso l'infanzia. Lì era diventato
adulto. Ogni parete, porta, finestra e
mattonella erano impregnate di ricordi.
Ma l'ordinanza giudiziaria di sfratto
emessa dal tribunale lo aveva costretto
a lasciarsi alle spalle molte tracce
della propria vita.
Spossato, dopo
l'impegnativo lavoro d'imballaggio, si
lasciò cadere sul divano. Accese la tivù
e si soffermò a guardare le immagini
che presero forma sullo schermo. Fra uno
spot pubblicitario e l'altro una
annunciatrice comunicò che stava per
iniziare la proiezione del film
"Don Camillo".
- Merda! Ma lo hanno già
trasmesso una decina di volte! -
bofonchiò a voce alta. - Maledetti
bastardi di Mediaset.
Mentre i titoli di testa
del film scorrevano sullo schermo la sua
attenzione fu rapita da un contenitore
per le scarpe. La piccola scatola di
cartone sporgeva da uno dei cartoni per
l'imballaggio. Tutt'a un tratto si
ricordò che nell'involucro c'era
custodito molto del suo passato. Si
sporse in avanti, afferrò la scatola e
la sistemò sulle ginocchia. Tentò di
aprire il coperchio, ma uno spago
avvolgeva la scatola rendendone
difficile l'apertura. Una minima
pressione delle dita servì a sciogliere
il laccio che la manteneva chiusa.
All'interno c'erano
custodite fotografie, lettere, ritagli
di giornale, gadget, e altri piccoli
oggetti. Fece scorrere alcune fotografie
fra le mani contemplandole con una certa
meraviglia. Era trascorso molto tempo
dall'ultima volta che le aveva strette
fra le dita. Giorgia la ricordava col
suo immancabile caschetto di capelli
scuri, la minigonna a metà coscia, e il
sorriso luminoso. Lucia invece non
assomigliava alla donna che aveva
incontrato di recente per strada. La
foto la ritraeva con trenta chili di
meno e anche il viso era meno sciupato.
La foto che ritraeva
Rossana era un bellissimo primo piano
del volto. L'aveva scattata lui stesso
quella fotografia. Non faticò a
ricordare la circostanza in cui aveva
scattato quella e altre foto che riempivano
la scatola.
Una busta da lettere fece
capolino fra le fotografie. Era di
Rossana, l'unica donna con cui aveva
intrattenuto scambi epistolari nel corso
della propria esistenza. La busta era di
colore rosa. Il bordo triangolare, che
un tempo serviva a tenerla chiusa, aveva
disegnato un motivo di foglie verdi
intrecciate con fiorellini colorati. A
dispetto degli anni la busta aveva
mantenuto intatta l'essenza romantica
che aveva ispirato la scelta di quel
tipo di busta. Tolse la lettera dalla
custodia e iniziò a leggerla.
L'inchiostro con cui era
stata scritta riempiva ambedue le
facciate della lettera. In calce, dopo
la firma, c'era l'impronta sbiadita di
un paio di labbra colorate di rosso.
La lettera apparteneva al
periodo in cui aveva prestato il
servizio militare. All'epoca lui e
Rossana avevano l'abitudine di scriversi
ogni sera, al calare del sole. Era
l'appuntamento che li teneva uniti.
In cuor suo era convinto di
avere distrutto ogni lettera di Rossana.
Si meravigliò nel trovare una
testimonianza del loro contrastato
rapporto d'amore fra quelle foto.
La scrittura era fresca,
innocente, come lo era stato l'amore di
Rossana per lui. Si commosse fino alle
lacrime, poi depose la lettera nella
scatola insieme al resto degli oggetti
su cui non trovò il coraggio di fissare
lo sguardo.
Richiamare alla mente il
passato lo fece stare male. Non aveva né
rimpianti né nostalgia, ma si sentiva
truffato nei sogni perché ogni foto e
oggetto era testimonianza di quanto era
stato ingenuo. E per certi versi non si
sentiva cambiato rispetto allora.
Coricato sul fianco, con il
capo appoggiato su un paio di morbidi
cuscini, sistemati su un lato del
divano, si perse a guardare sullo
schermo della tivù le vicende di
Peppone e Don Camillo. Abbozzò più di
un sorriso contagiato dalle spassose
battute che i due attori si scambiavano
sullo schermo.
Dopo cena era solito
appisolarsi sul divano, davanti alla tivù,
e rimanerci fino a mezzanotte, ora in
cui si svegliava e andava a letto.
Tutt'a un tratto il trillo della
suoneria del citofono distolse la sua
attenzione dallo schermo, quando ormai
era in procinto di appisolarsi.
Raggiunse la porta d'ingresso e sollevò
la cornetta del citofono.
- Chi è?
- Sono io, Gabriella.
- Vieni su?
- Eh, sì. Certo.
- Ti apro.
Schiacciò il pulsante che
comandava l'apertura elettrica del
portone e ripose il citofono
nell'apposito supporto. Dopo qualche
istante la suoneria riprese a trillare.
- Pronto.
- La porta non si è
aperta.
- Aspetta, riprovo.
Calcò il pulsante più
volte, ma la serratura comandata
elettronicamente sembrò non
volerne sapere di schiudersi.
- Prendo l'ascensore e
vengo giù. Aspettami. - la informò.
- Va bene, ti aspetto.
Strinse nel pugno il mazzo
delle chiavi che giaceva sulla
cassapanca e uscì da casa in ciabatte,
con indosso jeans e maglietta.
Premette il pulsante di
chiamata dell'ascensore e rimase in
attesa. Quando aprì la porta dentro la
cabina avvertì una spregevole puzza di
sudore. "Apparterrà di certo alla
signora Battistotti pensò, conscio che ogni sera a quell'ora era
solita accompagnare lo Yorkshire Terrier
a compiere una passeggiata nel parco.
Pigiò il pulsante e l'ascensore scese
fino a terra.
- Ciao, sorpreso? - disse
Gabriella dopo che lui le ebbe aperto il
portone.
- Un poco sì. - perché?
- Ti pensavo a casa in
compagnia di tuo marito.
- Sono imprevedibile, lo
sai, no.
- Andiamo su da me?
- Ti seguo.
Gabriella aveva sulla pelle
un profumo aspro, di quelli utilizzati
dagli uomini, che nell'ascensore andò a
mescolarsi con la puzza di sudore della
signora Battistotti. La serie di specchi
che avvolgeva tutt'attorno la cabina
rifletteva l'immagine dei loro corpi.
- Non sei contento di
vedermi?
- Sì, certo.
- Dai, Fabrizio, non fare
così. Mica è la fine del mondo. Nella
nuova casa ti troverai meglio.
- Dici?
- Sì.
Gabriella gli accarezzò il
viso. Fabrizio osservò la fossetta fra
le tette sospese verso l'alto da un
reggiseno con imbottitura di gel che da
qualche tempo era solita indossare.
Adorava le forme di quelle tette, non
troppo voluminose e prive di pieghe.
Gabriella gli appariva perfetta, specie
per i fianchi larghi che lei invece
detestava perché a suo dire la facevano
apparire più in carne di quanto non
era.
- Posso rimanere fino a
mezzanotte. - annunciò quando
l'ascensore si fermò al piano dove
Fabrizio aveva l'abitazione.
- Ho la casa in disordine.
- Non è una novità, ormai
ci ho fatto l'abitudine a vederla così.
La precedette in salotto.
La tivù era ancora accesa. Fra uno spot
pubblicitario e l'altro sullo schermo
persistevano le immagini del film di Don
Camillo. Presero posto sul divano e
restarono a guardare il film in bianco e
nero. Gabriella accavallò le gambe e
appoggiò il capo sulla spalla di
Fabrizio.
- Ti piace questo genere di
film?
- Sì, mi divertono. Messi
a confronto con i film d'oggigiorno
sembrano persino dei capolavori.
- Ma sono così ingenui.
Pensi che cinquant'anni fa la vita fosse
davvero semplice come viene raccontata
in questo film.
- Penso di sì. I miei
genitori erano giovani all'epoca.
Rivedendo le immagini della campagna e
certi dialoghi fra Don Camillo e Peppone,
mi pare di sentire le parole di mamma e
papà.
- Ci siamo persi molto
allora?
- Sì.
- La gente era davvero così
ingenua e piena d'ideali?
- C'era più solidarietà,
comprensione e poi non esisteva il
consumismo d'oggi.
- E dai, sei il solito
idealista, non cambi mai.
Gabriella avvicinò le
labbra a quelle di Fabrizio e penetrò
con la lingua la fessura della bocca
dell'amante.
- Ho voglia di te. - disse
Gabriella.
Fabrizio le infilò la mano
fra le cosce morbide e lisce. Fra lui e
Gabriella c'era una forte attrazione
fisica e una grande intesa sessuale. La
loro relazione andava avanti da circa
tre anni, ma non c'era amore. Lei era
sposata e aveva una figlia e per nessuna
ragione al mondo avrebbe lasciato la
famiglia per un altro uomo. Lui invece
si consumava di piacere a scoparla e
desiderava averla tutta per sé.
- Leccamela, dai. - lo
provocò.
Gabriella sapeva bene
quello che le dava piacere. Il tempo a
sua disposizione era sempre poco ed era
la ragione per cui voleva andare subito
al sodo.
- Agli ordini signora.
Fabrizio scivolò sul
tappeto e si mise in ginocchio ai piedi
dell'amante. Lei fece slittare la gonna
sul pavimento lasciando che fosse lui a
toglierle le mutandine. Fabrizio accostò
le mani ai fianchi della compagna e si
adoperò nel fare scendere il tessuto di
pizzo, scoprendole poco per volta il
pube.
Un ceppo di peli scuri
sovrastava la figa che appariva bene
rasata tutt'intorno. Le divaricò le
ginocchia e affondò la bocca fra le
cosce. Gabriella si sporse in avanti
fino a raggiungere con le natiche il
margine del divano. Fabrizio infilò la
punta del naso nella figa e con la
lingua risalì il solco che separava le
grandi labbra. Assaporò l'umore di cui
era ricca eccitandosi a dismisura.
Adorava quel tipo di odore e la figa di
Gabriella emanava una fragranza davvero
speciale. Avvolse le braccia attorno il
bacino della donna e l'attirò verso la
propria bocca.
Gabriella provava piacere
nel sentire la lingua distendersi sulle
labbra della vagina, era insaziabile in
questo. Ogni volta che facevano l'amore
Fabrizio aveva l'impressione che
nutrisse più soddisfazione nell'essere
leccata nella figa, piuttosto che
penetrata, ma non aveva mai trovato
sufficiente coraggio per chiederglielo.
Scivolò con la lingua dentro le grandi
labbra e incominciò a leccarla e
morderla fino a quando Gabriella iniziò
a mugolare di piacere.
- Sì. E' bellissimo,
bellissimo... - gridò. - Mi fai godere.
Mi fai godere. - e poi riprese - Sei
fantastico. Solo tu sai farmi godere così.
Il corpo di Gabriella
fremeva a ogni passaggio della lingua
sulla mucosa umida. Fabrizio si deliziò
nel farle raggiungere questo stato di
eccitazione, dolce preludio
all'imminente orgasmo.
Il cazzo gli pulsava sotto
le brache. Non vedeva l'ora che lei
venisse. Ancora non si era adoperato a
spompinarle il clitoride che avvertiva
turgido ed eretto. Lo infilò fra le
labbra umide di saliva e iniziò a
succhiarlo provocandole brividi di
piacere in tutto il corpo.
- Basta... Basta... Ti
prego... Ti prego. - lo supplicò
Gabriella.
- Sì... Sì... Sì...
- Ancora... Ancora...
Ancora... - urlò nel momento in cui
Fabrizio rallentò la sua azione.
Qualche istante dopo
accelerò gli spostamenti delle labbra
sulla sporgenza erettile che stava in
cima alla vagina farcendola con
dell’altra saliva. Gabriella provò a
liberarsi dalla stretta delle braccia,
ma Fabrizio riuscì a tenerla ancorata
al divano e le infilò due dita nella
figa, dopodiché le mise subito in
movimento.
- Sì... Sì... Sì... -
Ancora... Ancora... Ancora...
Gabriella era all'apice
dell'eccitazione. Arrischiò a
congiungere le cosce sciogliendosi in
tremiti convulsi. Fabrizio premette le
labbra sulla sommità del clitoride e lo
tormentò con la lingua conducendo la
compagna al sospirato orgasmo. Lei si
sciolse dalla stretta e lui si allontanò.
Fabrizio rimase a guardarla
inginocchiato sul tappeto mentre
Gabriella, esausta, se ne stava
raggomitolata su se stessa. Lei abbozzò
un sorriso. Di rado avevano cose da
dirsi. Occupavano il tempo svagandosi a
fare del sesso e ancora una volta non
seppero sottrarsi a questo rito.
Erano lontani i tempi in
cui scriveva lettere d'amore e si
perdeva a fantasticare su di un futuro
tutto rosa. Oggi non sarebbe stato in
grado di comporre nemmeno poche righe.
Eppure avrebbe voluto ritrovare, almeno
in parte, la fiducia in un futuro
migliore. Cambiare casa poteva essere un
punto di partenza per ridare significato
alla sua esistenza, ma forse era solo
una illusione.
- Beh, che fai? Non vuoi
che te lo succhi?
Gabriella, sgattaiolata ai
piedi di Fabrizio, gli abbassò la
cerniera dei jeans e accostò il cazzo
alle labbra, poi si diede da fare a
succhiarlo.
Il film di Don Camillo era
giunto al termine. I titoli di chiusura
cominciarono a scorrere sul monoscopio
mentre la musica scemava via.
Lasciò che le labbra di
Gabriella si muovessero sapienti sul
cazzo e d'incanto pensò che non era più
tempo di nostalgia.
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