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STREGHE
(Possessione
diabolica)
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
D opo
una nottata costellata da una pioggia
insistente il cielo era ritornato
sgombro di nubi. Piazza della Ghiaia,
luogo deputato alle esecuzioni capitali,
traboccava di gente proveniente dalle
campagne per il consueto mercato
settimanale del bestiame.
Erano parecchie
le persone accorse dai sobborghi per
assistere al rogo di Gisella, la strega.
La sentenza che l'aveva condannata a morte era stata pronunciata
dal tribunale ecclesiastico della Santa
Inquisizione, appositamente nominato
dalla Curia Apostolica, poiché la donna
era stata giudicata colpevole di
succhiare l'anima ai bambini con cui
faceva amicizia.
Invano la donna aveva gridato ai quattro venti
la propria innocenza, infine
si era dichiarata colpevole dei crimini,
di cui era stata imputata, soltanto
perché sottoposta a indicibili torture
che l'avevano espropriata d'ogni forza e
volontà.
Piazza della Ghiaia era il
palcoscenico più adatto, secondo le
autorità del Ducato e quelle
religiose, per portare a termine le
sentenze capitali. Da un po' di tempo i
verdetti di morte non riguardavano
soltanto delinquenti comuni, assassini e
malfattori, ma, come nel caso di
Gisella, punivano chi incorreva nelle
ire della chiesa. La pena per chi veniva
accusato di stregoneria non era
l'impiccagione, come succedeva a ladri e
assassini, ma il rogo purificatore.
I cadaveri degli impiccati,
subito dopo l'esecuzione capitale,
venivano fatti scempio di un macabro
rituale. Il boia provvedeva a squartare
le membra dell'impiccato in più parti
utilizzando una grossa scure. Lo faceva
nella pubblica piazza, al cospetto della
popolazione, dopodiché collocava quanto
era rimasto delle carni e del capo
mozzato dentro una gabbia di ferro. Le
guardie del Ducato provvedevano ad
appendere la gabbia a una delle travi di
Piazza della Ghiaia dove le membra
rimanevano esposte alla popolazione fino
alla putrefazione, o perlomeno sino a
quando un religioso della confraternita
di San Francesco, quella della chiesa
della S.S. Annunziata, si faceva premura
di ritirarle prendendosi cura di
seppellirle.
La morte di Gisella sarebbe
sopraggiunta per asfissia, prima che le
fiamme giungessero a lambirle la carne,
oppure se il fuoco fosse risultato
troppo debole la morte sarebbe
sopraggiunta dopo atroci sofferenze
provocate dalle ustioni. Le ceneri del
rogo sarebbero state sparse nelle acque
del torrente che attraversa la città
per evitare che qualcuno ne entrasse in
possesso.
Quando Marianna raggiunse
Piazza della Ghiaia il carro utilizzato
per trasportare i condannati a morte,
trainato da una coppia di buoi su cui
aveva preso posto Gisella, stava per
raggiungere la chiesa di San Bartolomeo.
Sul sagrato della basilica, in un angolo
della piazza, i giudici avevano fatto
erigere il patibolo. Ad attendere la
strega era presente una coppia di
carpentieri, gli stessi che avevano
provveduto a innalzare il ceppo per
l'esecuzione capitale, inoltre
assistevano alla macabra funzione il
boia e un alto prelato in rappresentanza
del Tribunale dell'Inquisizione.
Spoglia degli abiti,
completamente nuda, il capo rasato,
Gisella salì i gradini del patibolo
scortata da un paio di guardie che si
presero cura di legarle polsi e caviglie
al ceppo di legno. Dopo averla
assicurata al palo la circondarono da
fasci di legna minuta da ardere e paglia.
Il portavoce del Tribunale
della Santa Inquisizione, un frate
benedettino dal volto bucherellato dal
vaiolo, zittì la folla e si mise a
leggere ad alta voce la sentenza,
dopodiché diede ordine alle guardie di
dare fuoco alle fascine.
Marianna, appostata sotto i
portici delle beccherie, sottratta alla
vista della gente da uno dei pilastri
del colonnato, aveva seguito con terrore
l'avanzare del carro su cui aveva preso
posto Gisella. Quando l'aveva vista
salire il patibolo e le fiamme del rogo
le avevano avvolto il corpo,
istintivamente aveva afferrato nella
mano il talismano che custodiva nella
tasca del grembiule, dalla parte del
cuore, e lo aveva stretto forte, poi era
fuggita senza riuscire a contenere le
lacrime che copiose le avevano rigato le
guance nell'udire le urla di dolore di
Gisella.
La prima volta che Marianna
aveva fatto conoscenza con il diavolo
era ancora una bambina. In quella
occasione era stata ospite per un paio
di settimane degli zii contadini e,
contrariamente alle sue abitudini, aveva
dormito da sola in una stanza isolata
dal resto della casa. Una notte,
destatasi di soprassalto, si era trovata
con il diavolo accanto al letto.
L'angelo del male si era svestito e si
era coricato nel giaciglio che lei
occupava, poi l'aveva stuprata
costringendola a sottostare al suo
volere incurante del sangue che le era
uscito copioso fra le cosce.
Il dolore che aveva
avvertito in quella occasione era stato
tremendo. Aveva urlato, pianto,
imprecato ma il diavolo l'aveva fatta
tacere collocandole una mano sulla
bocca, intimorendola, fintanto che lei
aveva perso conoscenza. Dopo quella
circostanza il diavolo era tornato a
farle visita altre volte, sempre di
notte, nel periodo che aveva soggiornato
nella casa di campagna dello zio
contadino.
Quando Marianna si trovò a percorrere
il ponte romano che conduceva dall'altra
parte della città, nel quartiere dell'Oltretorrente,
si accorse di stringere l'amuleto nella mano. Glielo aveva
consegnato poche settimane
addietro Gisella e da allora non se
n'era mai separata. Era un filtro
d'amore, il suo portafortuna, l'aveva
rassicurata Gisella quando glielo aveva
consegnato.
Marianna non riusciva a
credere che fosse posseduta dal
diavolo. Sapeva bene che Lucifero era in
grado d'assumere qualsiasi sembianza per
raggiungere i suoi scopi, ma Gisella non
poteva essere una strega, era stata
buona con lei, e di questo ne era certa.
Quando raggiunse la bottega
da sellaio, governata dal padre, lo trovò
seduto al banco di lavoro intento a
riparare i finimenti di cuoio per un
cavallo.
- Già qui? Sei tornata
presto.
- Non ce l'ho fatta ad
assistere a tutta la cerimonia, ho
preferito andarmene prima.
- Non è la prima volta che
presenzi a una esecuzione capitale.
- Ma questa era diversa da
tutte le altre, la signora Gisella era
una mia amica.
- Sei pazza a dire queste
cose. - urlò il padre. - Se qualcuno ti
sentisse mentre manifesti questo genere
di affermazioni potrebbe denunciarti
alla Santa Inquisizione. Non ci pensi a
questo?
- Padre, state tranquillo
non correrò questo rischio. - disse
mentre saliva la scala di legno che
conduceva ai piani superiori della casa.
Quando si trovò nella sua
camera si coricò sul letto. Trasse di
tasca il talismano che custodiva nel
grembiule e lo guardò ancora una volta,
in trasparenza, davanti alla luce che
proveniva dalla finestra dell'abbaino.
Il filtro d'amore per
essere efficace, così le aveva
suggerito Gisella, dovrà incorporare
sostanze residue del corpo dell'uomo
amato, opportunamente mescolate con le
proprie, in modo da creare una fusione
intima tale da suscitare reciprocità
amorosa.
Marianna si era procurata
alcuni capelli e delle unghie di Romolo,
il ragazzo di cui era innamorata, ma che
pareva ignorarla. Oggetti che Gisella
si era premurata di mischiare con gocce
di saliva e sangue della ragazza,
dopodiché aveva provveduto a fare
cuocere a fuoco lento insieme con alcune
foglie di piante afrodisiache. Dopo
avere fatto seccare il tutto Gisella lo
aveva raccolto in un sacchetto che aveva
consegnato a Marianna.
- Non c'è niente di così
sicuro come questo filtro d'amore. -
l'aveva rassicurata Gisella. - Dovrai
aggiungere la polvere a qualche vivanda,
meglio una torta, e prodigarti affinché
la persona che ami se ne nutra così
s'innamorerà di te e non potrà più
lasciarti.
- Dopo quanto tempo si
produce l'effetto?
- Subito dopo avere
inghiottito la torta. Stai attenta, eh.
Perché potrebbe anche saltarti addosso
e violentarti!
- Ma va!
- Ti assicuro che è già
accaduto.
- Ma è capitato che a
richiederti un filtro d'amore sia stato
un maschio? - le aveva chiesto curiosa.
- Raramente, ma è
successo.
- E che differenza c'è
nella preparazione di un filtro d'amore
per un uomo e quello per una donna?
- Beh, il filtro in questo
caso è più schifoso. - aveva risposto
Gisella lasciandosi sfuggire un debole
sorriso.
- Perché?
- Beh, perché il filtro va
arricchito con una secrezione
supplementare che solo un uomo può
produrre: il suo sperma!
Marianna aveva prestato
fede alle parole di Gisella. Era sua
intenzione sciogliere la polvere
preparata dall'amica in un dolce che
avrebbe cotto appositamente per Romeo.
Glielo avrebbe consegnato dietro
suggerimento di Gisella di venerdì,
giorno di Venere. E venerdì era
l'indomani, quando Romeo sarebbe tornato
in città dopo un'assenza di un paio di
mesi.
Nel pomeriggio si mise a
preparare la crostata di albicocche che
era sua intenzione offrire a Romeo. Da
quando la madre era morta, alcuni anni
addietro, toccava a lei occuparsi delle
faccende di casa. Non aveva né fratelli
né sorelle e viveva sola col padre cui dava una mano nella bottega di
sellaio cucendo i finimenti di cuoio per
i cavalli.
Sulla tavola aveva
collocato gli ingredienti che avrebbe
utilizzato per la crostata di
albicocche. Prima di impastare la farina
si preoccupò di dare vigore al fuoco
del forno che avrebbe utilizzato per la
cottura della torta. Prese alcuni ceppi
di legna e li gettò sopra le braci,
dopodiché si dedicò alla preparazione
del dolce.
In una terrina mise del
burro e lo divise a pezzetti, dopodiché
vi aggiunse dello zucchero. Lavorò il
tutto con un cucchiaio di legno fino a
ottenere un composto gonfio e spugnoso.
A questo punto tolse dal sacchetto che
custodiva nella tasca del grembiule le
polveri del filtro d'amore e le mischiò
con tre tuorli d'uova, aggiunse farina
di semola e crusca, poi mescolò il
tutto.
Dopo avere lavorato
l'impasto per una decina di minuti lo
stese con un matterello e mise la
sfoglia dentro una casseruola,
successivamente vi dispose sopra delle
fette di albicocca scolate e asciugate.
La crostata giunse a
cottura in trenta minuti. Quando la
tolse dal forno la lasciò raffreddare.
Una volta tolta dalla casseruola la
ripose sotto il letto.
Quando il padre si allontanò
dalla bottega e si trasferì al piano
superiore della casa il cielo era già
buio. La ragazza aveva provveduto a
preparare la cena come ogni sera. Dalla
pignatta depositata al centro della
tavola fumava una minestra di patate e
cipolle. Un pezzo di lardo, del pane di
segale, mentre del formaggio e dei fichi
avrebbero completato il pasto serale
insieme a una caraffa di buon vino.
Una volta terminato di
cenare il padre le chiese se c'era
nient'altro da mettere sotto i denti.
Disse che non era sazio e aveva fame.
- No, mi spiace, non c'è
nient'altro. - mentì, nascondendogli la
presenza della torta di albicocca che
aveva celato sotto il letto. - Se vuoi
posso andare in cortile e prenderti
qualche fico dalla pianta.
- No, grazie, fa lo stesso.
La giornata era stata piena
di emozioni. Da prima il rogo di
Gisella, poi la notizia del ritorno di
Romeo e la preparazione della torta
avevano scombussolato il quieto vivere
di Marianna. Prese congedo dal padre
lasciando sulla tavola gli avanzi della
cena, avrebbe rimesso in ordine la
cucina il giorno dopo prima di andare
incontro a Romeo.
Era notte piena quando si
svegliò di soprassalto. Il diavolo si
era accomodato nel letto accanto a lei e
pretese di ficcarle il membro nel culo.
Dopo che a Marianna era morta la madre
il diavolo aveva ripreso a farle visita
almeno una volta alla settimana. Lei non
aveva saputo ribellarsi e fuggire da
quella casa, l'unica sua speranza era
riposta nella torta che aveva preparato
per Romeo.
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