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SORVEGLIATA
SPECIALE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Il
rumore che udivo alle mie spalle pareva
dissolversi nel nulla ogniqualvolta
rallentavo il passo. Ero uscita dal
Brigantino Blu, la pizzeria dove
lavoravo come cameriera di sala, verso
le due di notte. Avrei impiegato una
decina di minuti per approdare al
lungomare e altrettanti per raggiungere
il
portone di casa.
Uscendo dalla pizzeria,
terminato il turno di lavoro, ero solita
spostarmi a piedi fra i vicoli male
illuminati che conducono all'angiporto i
cui lampioni lasciano ampie zone d'ombra
sul selciato.
Prestavo servizio al
Brigantino Blu da circa un anno. Un
lavoro umile che però mi permetteva di
guadagnare il denaro necessario per
mantenermi agli studi universitari.
Servendo ai tavoli mi divertiva ricevere
le attenzioni dei clienti giovani,
sempre sobri negli apprezzamenti, mentre
gli anziani non mancavano di
gratificarmi con laute mance e
molestarmi con proposte indecenti.
Cessato il turno di lavoro
non vedevo l'ora di fare ritorno alla
mia abitazione, ficcarmi sotto la
doccia, e togliermi dalla pelle il
cattivo odore di puzza di fritto
accumulato durante le ore di lavoro.
Non era mai accaduto che
qualcuno mi pedinasse, ma da un po' di
sere percepivo la costante presenza di
una sagoma scura che mi seguiva
dappresso, attenta a non farsi scoprire.
Un'ombra sfuggente che si eclissava nel
buio della notte quando arrestavo il
passo e guardavo alle mie spalle.
Percorrevo quel tratto di
strada più volte al giorno, ma se alla
luce del sole mi spostavo fra i vicoli
con disinvoltura, nonostante la fitta
presenza di nordafricani, di notte mi
prendeva l'angoscia se ero costretta a
spostarmi da sola nel dedalo di viuzze
male illuminate dell'angiporto.
Una precipitazione
improvvisa, tipica della stagione
primaverile, aveva rovesciato sulla città
una pioggia violenta e di breve durata.
Era trascorso più di un'ora da quando
il temporale era cessato. Il selciato,
reso viscido dalla pioggia, era occupato
da ampie pozzanghere.
Stavo scendendo le strade
che conducevano verso il lungomare con
estrema cautela, prestando attenzione a
non scivolare, mantenendo un passo
sciolto ma non troppo spedito. Le scarpe
da running e i jeans elasticizzati mi
avrebbero facilitato la corsa nel caso
fossi stata costretta a una fuga.
L'unico intralcio ai miei movimenti era
determinato dal giubbetto militare che
indossavo sopra la camicetta per
ripararmi dal freddo della notte.
L'inquietante presenza di
uno sconosciuto alle mie spalle mi
rendeva nervosa. Come avrei reagito se
mi avesse aggredita? Avrei urlato? Mi
sarei difesa? Oppure sarei rimasta
passiva? Istintivamente portai la mano
alla tasca del giubbotto alla ricerca
del cellulare, necessario per richiamare
il 113 o il 112 nel caso fossi stata
aggredita. Tastai ogni tasca ma del
telefonino non c’era traccia.
L'avevo dimenticato da
qualche parte, forse nel grembiule da
lavoro, come spesso, ahimè, mi succede.
In prossimità di un
lampione che sporgeva dalle mura di una
casa di pietre e sassi girai attorno
l'edificio e mi fermai dietro l'angolo.
Mi sistemai a ridosso delle mura e
sbirciai con l'occhio nella direzione
del viottolo da cui ero giunta fino lì.
La figura del mio ipotetico
aggressore, illuminato dalla luce del
lampione, fece la sua comparsa in
lontananza. L'uomo indossava un
impermeabile sportivo di colore panna
sbottonato sul davanti. Un cappello con
la tesa abbassata, a coprirgli gli
occhi, nascondeva i lineamenti del viso.
Il tizio non sembrava giovane,
tutt'altro. Non mi pareva di conoscerlo
come invece avevo sospettato prima di
scorgere la sua figura.
Mi allontanai dal muro e
ripresi a camminare in direzione del
lungomare. La strada in quel punto
sarebbe stata trafficata e non avrei
corso il rischio che il mio inseguitore
si avventasse su di me.
Tutt'a un tratto un gatto
arrestò la corsa e bloccò le zampe a pochi
passi dai miei piedi. Il mantello
di pelo corto era nero. Gli occhi
cangianti avevano un fascino
particolare. Rimase fermo a lungo, con
il capo torto e lo sguardo nella mia
direzione, poi con un balzo felino salì
sopra un muretto e mi lasciò sola,
ambita preda dell'individuo che mi
tallonava dappresso. Interpretai la
presenza dell'animale come un segno
premonitore del destino. La situazione
in cui mi ero venuta a trovare stava per
concludersi in maniera tragica, ormai ne
ero certa.
Ero a metà del cammino che
mi separava dal lungomare e il
potenziale aggressore sembrava non
decidersi a prendere l'iniziativa. Che
cosa aspettava? Quali erano le sue reali
intenzioni? Questa e altre riflessioni
mi frullavano nel cervello
appesantendomi il capo.
Allungai il passo decisa a
incrementare l'esiguo margine di
vantaggio che avevo su di lui, ma il
rumore dei passi alle mie spalle era
costante, anzi sembrava farsi sempre più
vicino. In prossimità di una piccola
nicchia, ricavata nello spessore di un
muro, mi segnai il petto con la mano
tracciando il segno della croce.
La statuetta della Madonna
di Lourdes, incastonata dietro una grata
metallica, illuminata da una lucerna,
pareva guardarmi con aria dispiaciuta,
del tutto incapace di venirmi in
soccorso. Incominciai a correre e
seguitai a farlo, aumentando l'andatura
dei passi, implorando la Santa Vergine
di venirmi in aiuto al più presto.
Avvertivo il cuore
martellarmi dentro il petto, in maniera
scomposta, sempre più celermente.
Faticavo a respirare ed ero in affanno.
Avrei voluto gridare, cercare aiuto,
attirare l'attenzione della gente che a
quell'ora stava dormendo dietro le
finestre delle case, ma le parole non mi
uscivano dalla gola. Correvo forte,
sempre più forte, sempre più forte.
Mi muovevo speditamente sul
selciato bagnato rischiando di cadere da
un momento all'altro. Il lungomare era
ormai prossimo, anzi a pochi passi.
D'improvviso scivolai e caddi in avanti.
Mi trovai distesa per terra, a faccia in
giù, con le braccia protese sul
selciato per proteggermi il viso dalla
caduta. Da coricata captai il rumore dei
tacchi del mio aggressore fattosi sempre
più vicino. Preso dalla foga della
corsa si fermò a pochi passi dal punto
in cui ero distesa a terra.
Alzai il capo e lo guardai.
Tutte le mie paure svanirono d'incanto.
Malconcia per la caduta trovai la forza
di drizzarmi in piedi. L'uomo se ne
stava fermo di fronte a me. Mi avvicinai
e misi il muso davanti al suo in segno
di sfida. Solo allora mi resi conto che
la sua statura era bassa più del
normale. Il cappello che portava sul
capo volò lontano urtato da un
movimento deciso della mia mano.
- Cazzo boia! Ti va di
spiegarmi cosa vuoi da me?
L'uomo non reagì alle mie
parole. Azzardò un movimento, come se
stesse sondando il modo per
allontanarsi. Gli afferrai il bavero del
trench e con la forza della mano lo
trascinai verso di me.
- Cosa pensi di fare, eh?
Coglione!
- Niente... niente. - disse
sottovoce, intimorito dalla mia
inaspettata reazione.
- Ti sembra normale quello
che stai facendo?
L'uomo, un tipo su di età,
con una calvizie incipiente, rimase
muto.
- Cosa ti andava di fare?
Aggredirmi forse? Violentarmi? O
mettermi paura?
L'uomo non rispose. Il
volto non tradiva emozioni nonostante le
sollecitazioni cui lo stavo
sottoponendo.
- Che cazzo vuoi da me?
Rispondi! Che cazzo vuoi? - urlai.
Ero fuori di testa.
M'infastidiva la sua remissività e
incominciai a provocarlo.
- Ti sarebbe piaciuto
guardare com'è fatta la mia fichetta?
E' così? Dillo che è così, oppure no?
Gli presi una mano e la
portai a contatto dei miei jeans
sfregandomi ripetutamente il pube con le
sue dita.
- Ti piace toccarla? Sarai
contento ora, oppure no?
L'uomo allontanò la mano
liberandola dalla mia stretta.
- Preferisci che te lo
tocchi io?
Allungai una mano e
l'avvicinai alla patta dei suoi
pantaloni. Era aperta e mi ritrovai le
dita impiastricciate da un liquido
filamentoso che insudiciava il tessuto
delle brache.
- Oh, cazzo. Ma tu sei già
venuto! E che cazzo di uomo sei per
venire così presto?
L'uomo, con ritrosia,
dischiuse la bocca.
- Non ho mai fatto del male
a nessuna donna, mi piace seguirle e
godere di questo, tutto qui.
- Ma lo sai che mi hai
spaventata da morire?
- Lo so. E' in questo modo
che mi eccito.
- Eh?
- Raggiungo l'orgasmo
seguendo le donne, toccandomi di
nascosto, che c'è di strano?
Accostai la mano imbrattata
di sperma sul soprabito dell'uomo e la
strofinai sul tessuto pulendo le dita
dal sudiciume.
- Sei sposato?
- No.
- E che aspetti a trovarti
una donna?
- Chi io?
- Sì, che c'è di così
strano?
- Niente. E' che sto bene
così.
- Non ti va di scopare?
- Godo solo in questo modo,
io.
- Mah! - dissi poco
convinta.
- Non ci credi?
- Sì, ma...
- Ho eiaculato senza
nemmeno toccarmi con la mano, grazie a
te. Il tuo modo di fare, quel continuo
girarti indietro, le corse per i vicoli,
la tua paura, mi hanno provocato una
serie di polluzioni molto intense.
- Ma va... - dissi
volgendogli le spalle mandandolo 'fanculo
con un gesto della mano, poi
m'incamminai verso il lungomare distante
solo poche decine di metri.
Non mi girai indietro per
controllare se mi seguiva. Il suo scopo
l'aveva ottenuto e probabilmente se
n'era già fuggito via alla ricerca di
un'altra preda in grado di soddisfare i
suoi orgasmi.
La strada che costeggia il
lungomare era bene illuminata e
frequentata come ogni notte da un grande
numero di macchine. Alcuni automobilisti
diedero qualche colpo di clacson per
attirare la mia attenzione. Proseguii
con la mia andatura dinoccolata senza
volgere lo sguardo nella loro direzione,
facendo finta di non udire gli
appellativi con cui mi gratificavano
sporgendosi dai finestrini.
L'odore di salsedine riempì
i miei polmoni rigenerandomi dopo la
brutta avventura di cui ero stata
vittima. Mi ritrovai sola,
disperatamente sola, in cerca di nuove
avventure e risposte dalla vita.
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