Seduto
a un tavolo della Biblioteca Civica,
capo piegato su un paio di atlanti di
anatomia umana, penso ai giorni che mi
separano dalla prova d'esame che dovrò
sostenere.
L'esame di anatomia ha le
sembianze di un macigno insormontabile,
ma non posso tirarmi indietro e buttare
in fumo sei mesi di studio rimandando
alla sessione autunnale il superamento
di quest'immane ostacolo.
Eseguire la dissezione,
seppure virtuale, di un cadavere,
operando una analisi minuziosa dei
tessuti, è una impresa non da poco,
soprattutto per chi come me ha grossi
problemi di memoria. Persino alla scuola
elementare faticavo a fissare nella
mente le strofe delle poesie che la
maestra ci costringeva a recitare
davanti ai nostri genitori in occasione
del Natale.
Da allora poco è cambiato.
Rispetto ai miei compagni di università
fatico il doppio a imprimere nella
memoria i particolari anatomici
dell'organismo umano. Sono così
smemorato che stento persino a ricordare
il viso di Elena, la ragazza con cui ho
avuto una storia durata un paio di anni
e finita malamente senza una ragione
precisa all'incirca sei mesi fa.
Quando provo a ricordare il
suo viso uno spaccato confuso si fa
largo nella mia mente e a fatica
compongo il suo ritratto. Inizialmente
mi sono chiari i capelli scuri come la
pece, tagliati a caschetto, identici a
quelli di Valentina, protagonista dei
fumetti di Crepax, e morbidi al tocco
delle mie dita, dopodiché mi sono
chiari gli occhi penetranti, le labbra
sporgenti, e per ultimo il naso all'insù.
Soltanto mettendo insieme
questo puzzle di ricordi riesco a
comporre il ritratto del suo volto.
Sembra inverosimile, lo so, ma è la
verità, e mi chiedo quanto mi ci vorrà
prima che la dimentichi del tutto.
A volte mi assale il dubbio
di non ricordare le cose più importanti
della mia vita. Molti dei miei ricordi,
specie quelli di quando ero bambino,
giacciono ammonticchiati in qualche
angolo sperduto della mia memoria. Ad
alcuni di questi ricordi c'ho messo
sopra, seppure inconsapevolmente, un
coperchio. Fatico a esporli alla luce
del sole, forse perché ne ho paura,
specie di quelli che riguardano la sfera
sessuale, le prime seghe i primi amori.
Boh!
Il ricordo delle prime
seghe sbiadisce nella mia mente e fa
posto al ricordo di una amica di mia
madre. Cerco di richiamare dalla memoria
il volto della signora Lina, quella con
cui a quattordici anni sono stato
avviato alle prime esperienze di sesso,
quando, tutt’a un tratto, il silenzio
della biblioteca è interrotto dal
rumore di tacchi che conquistano terreno
sul parquet alle mie spalle.
Alzo il capo e seguo il
dinoccolare delle anche di una
bibliotecaria. Ha quarant'anni e li
porta bene, la troia. Supera il tavolo
che occupo con altri tre studenti e si
avvicina alla parete che ho di fronte.
La guardo con curiosità mentre è
impegnata nella ricerca di un testo.
I libri raccolti sugli
scaffali di legno che circondano tutta
la stanza, dal pavimento fino alle volte
ad archi del soffitto, sono migliaia. La
bibliotecaria fissa lo sguardo sulle
etichette appiccicate sui libri che ha
davanti.
Tutt'a un tratto provvede a
spingere la scala scorrevole, provvista
di passamano, che consente l'accesso
alle mensole di legno dei piani
superiori delle librerie, e l'avvicina
alla parete di libri su cui qualche
istante prima ha eseguito la ricerca.
Seguo con attenzione il movimento delle
gambe che salgono i gradini della scala
a castello, del tutto simile a quelle
che al cimitero consentono di
raggiungere i loculi più elevati, e non
posso fare a meno di godere della vista
delle cosce.
Sotto la gonna non è fatta
male, anzi. Indossa scarpe di vernice
nera dai tacchi alti su cui s'innalzano
un paio di gambe ben tornite protette
dalle autoreggenti. Si sporge in avanti,
verso il libri, e mostra un culo tondo
privo di cellulite. Indossa un tanga, ne
sono certo, perché nessun tessuto le
copre le chiappe. Magari è senza
mutande, penso. D'improvviso mi accorgo
di non essere il solo a guardare nella
direzione della bibliotecaria, impegnata
nell'esercizio della sua professione,
infatti, anche gli altri studenti hanno
il capo rivolto verso l'alto, nella sua
direzione.
Mi ritrovo con il cazzo
duro e una gran voglia di
seppellirglielo nella fica: magari
facendole assumere la posizione della
pecorina, la mia preferita. Sto
fantasticando su questa, ahimè, remota
opportunità quando avverto il calore di
una mano che si accosta alla mia spalla
e la stringe. Giro il capo e tolgo lo
sguardo dalle cosce della bibliotecaria.
Adrasto sta dietro me.
- Te la faresti? - mi
sussurra all'orecchio.
- Perché no?
- Gallina vecchia fa buon
brodo, eh?
- Non è per niente
stagionata, anzi! Glielo metterei in
bocca senza preservativo e me lo farei
succhiare fino allo sfinimento, se me lo
permettesse.
- C'è di meglio.
- Beh, fra le bibliotecarie
è la meglio, te lo assicuro.
- Non sto parlando di loro.
- E allora?
- Ma dai, di fica c'è
pieno in biblioteca, guardati attorno e
vedi quanta ce n'è seduta ai tavoli.
Non hai bisogno di fartelo succhiare da
una tardona con la fica inaridita. Sono
convinto che per scoparla dovresti usare
della vaselina, altrimenti la cappella si
scorticherebbe.
Rinuncio a parlargli dei
miei trascorsi giovanili quando scopavo
con Lina, l'amica di mia madre, che di
anni ne aveva pari pari la bibliotecaria
che abbiamo davanti. Desisto dal provare
a fargli cambiare idea sulle quarantenni
e da quanto sono brave a fare pompini più
di una qualsiasi adolescente. Ammicco un
sorriso e gli do la risposta che si
aspetta da me.
- Ah, si certo. C'è di
meglio, hai ragione.
- Usciamo insieme stasera?
Ti va?
- Okay! D'accordo.
Fissiamo l'appuntamento per
le dieci al Caffè Africano, un DiscoBar
ubicato in pieno centro cittadino, poco
distante da Piazza Garibaldi,
frequentato in massima parte da una
clientela di sfaccendati, studenti e
tossicodipendenti in cerca di attempati
gentiluomini disposti a scucire qualche
decina di euro in cambio della loro
compagnia.
Mentre Adrasto si allontana
la bibliotecaria si affretta a scendere
dalla scala conscia di avere su di sé
gli occhi di molti studenti. Nella mano
opposta a quella che stringe il
corrimano regge il testo di cui è
andata alla ricerca. Soltanto quando ha
messo piede a terra le teste di chi
occupa i tavoli in prossimità della
scala si abbassano: anch'io riprendo a
studiare pur con un certo calore
all'inguine.
*
* *
Prima di uscire di casa mi infilo sotto
la doccia deciso a togliermi di dosso le
tracce di sudore, dopodiché mi rado la
barba e cambio mutande e canottiera,
stando bene attento a profumarmi i peli
alla radice del cazzo come sono solito
fare ogni volta che esco in cerca di
fica. So bene quanto piaccia alle
ragazze annusare un profumo all'odore di
bosco mentre succhiano un cazzo.
Stasera non ho voglia
d'indossare giacca e cravatta. Dal comò
tiro fuori una camicia a fiori, fresca
di bucato, infilo un paio di jeans
Dolce&Gabbana e sulle spalle metto
il giubbotto di pelle.
In compagnia di
Adrasto sono certo che troverò da
scopare. Succede ogni volta che la sera
esco insieme a lui. E' un tipo dotato di
fascino e le donne ne vanno pazze. In più
di una occasione siamo stati
protagonisti di ammucchiate con fiche
rimorchiate in uno dei locali sparsi per
la città. Scambiarsi le ragazze durante
le serate è una abitudine cui non
sappiamo sottrarci e la cosa sembra
trovare il favore delle fiche che
agganciamo, perché se Adrasto ha
fascino io non gli sono da meno perché
madre natura mi ha dotato di un cazzo
fuori dall'ordinario. Lo sosteneva pure
Lina quando lo succhiava, e ancora oggi
non manco di stupire le mie compagne di
letto.
Quando metto piede al Caffè
Africano Adrasto non c'è, in compenso
il locale è affollato di belle ragazze
in cerca di compagnia. Il chiasso della
musica diffusa nel locale copre solo in
parte il rumore delle voci. Mi avvicino
al bancone e ordino un 1/2 Campari con
1/2 Vermouth Rosso Soda.
Sedute sugli sgabelli a
trampolo, accanto alla mia postazione,
ci sono appollaiate un paio di bionde
dai capelli fasulli affaccendate a
parlare fra loro come vecchie comari.
Mostrano d'essere piuttosto loquaci.
Ridono di continuo e buttano lo sguardo
sulla gente che occupa i tavoli davanti
a noi. Il cameriere in giacca bianca e
papillon serve a tutt'e due un aperitivo
alcolico a cui si premura di aggiungere
dei cubetti di ghiaccio, dopodiché si
avvicina alla mia postazione. Mi guarda
e mi fa cenno in direzione delle ragazze
che sembrano in attesa di qualche
maschio da portare a letto. Tutt'e due
hanno un trucco troppo pesante per i
miei gusti, anche se non mi farebbe per
niente schifo farmi succhiare l'uccello da ciascuna di loro arrapato come sono.
Adrasto mi raggiunge dopo
una decina di minuti che ho messo piede
nel locale e subito si impegna in una
conversazione con una delle ragazze, la
più carina delle due naturalmente.
La serata sembra bene
avviata. Già pregusto il momento in cui
seppellirò il cazzo fra le cosce della
più brutta, una stangone di un metro e
ottanta con un paio di tette che
sembrano sfidare la legge di gravità
tanto sono sospese per aria.
Stiamo per invitarle a
uscire dal locale per dare seguito alla
serata a casa di Adrasto quando
sopraggiungono due pezzi di marcantoni,
atleti di qualche disciplina sportiva
con cui hanno appuntamento, e se le
portano via lasciandoci a bocca
asciutta.
Raggiungiamo Via Farini
verso mezzanotte. La strada vive un
folle clima di festa. Succede nelle
notti d'estate, specie nei fine
settimana, quando i commerciati di
Piazza Garibaldi e delle vie
tutt'attorno danno vita alla movida.
I tavoli occupano la sede
stradale a ridosso delle caffetterie e
rendono impossibile il passaggio delle
persone. Percorriamo un lungo tratto della
strada senza trovare un tavolo libero
dove metterci a sedere. Veniamo fatti
cenno a più di un saluto da gruppi di
nostri coetanei e da ragazze che
conosciamo, ma fica da rimorchiare nisba.
La carne che c'è in giro è tutta
impegnata stasera.
Seguitiamo a spostarci da
un pub all'altro per il resto della
notte mandando giù birra e drink a non
finire senza combinare alcunché. Alle
due di notte Adrasto mi comunica
l'intenzione di tornarsene a casa.
- Non è serata, dai retta
a me. Andiamocene a letto, stiamo solo
perdendo tempo.
- Dici?
- Sì, comunque fai come
vuoi. Io me ne torno a casa.
- Ti arrendi così
facilmente? Non è da te.
- Bisogna sapere perdere. -
sorride dopo essersi lasciato sfuggire
una smorfia di sonno.
- Se lo dici tu.
- Ho la macchina
parcheggiata in viale Toschi. E tu?
- Da tutt'altra parte. L'ho
piazzata davanti al Teatro Due.
- Ah, bene, allora ci
vediamo domani all'università.
- Si credo proprio di sì.
Arriverò tardi, sicuramente dopo le
undici.
- Va bene, ciao.
- Ciao.
Adrasto prende la direzione
di Via Cavour. Gli giro le spalle e
m'incammino per Via Farini con
l'intenzione di raggiungere il piazzale
dove ho parcheggiato l'automobile.
Quando transito davanti all'Hangar2002,
un locale frequentato per lo più da
lesbiche, un gruppo di ragazze, quattro
o cinque, mi si fa incontro ma non ci
faccio troppo caso.
Mentre cammino ripasso
nella memoria gli elementi anatomici di
una mano immaginando di produrmi della
dissezione di un cadavere.
Il gruppo di ragazze mi
viene incontro e mi supera. Tutt'a un
tratto mi sento chiamare per nome da una
voce di donna che sta dietro di me.
- Lorenzo...
- Eh!
Arresto il passo, mi guardo
alle spalle, e scorgo il gruppo di
ragazze che poc'anzi mi hanno superato.
- Non mi saluti nemmeno.
Fai finta di non vedermi?
Elena si è staccata dalle
amiche e viene verso di me. Quando è
vicina mi accorgo che i lineamenti del
suo viso non sono gli stessi di un
tempo. Mi appare diversa, persino più
bella, anche se affascinante la è
sempre stata.
- Scusami, ma ero
soprappensiero. Non ho fatto caso alla
tua presenza e a quella delle tue
amiche.
- Poco male. Come va, tutto
bene?
- Sto preparando l'esame di
anatomia e sono incasinato forte.
- Beh, però il tempo per
stare fuori di notte lo trovi comunque.
- Serve a distrarmi.
- Da cosa?
- Passo le giornate piegato
sui libri e la notte non riesco a
dormire. Sono fuso con la testa. Sono
uscito di casa per togliermi l'ansia che
ho addosso.
- Ma dai, stai scherzando?
- Dico sul serio.
Forse dovrei scopare al più presto,
dicono che sia un buon calmante. Tu che
ne pensi?
- Non lo so. Chissà con
quante ragazze avrai scopato da quando
non ci vediamo più.
- Con nessuna. - mento.
- Seee...
- Dico sul serio.
Le amiche di Elena sembrano
impazienti di andarsene. Lei fa di tutto
per dare un seguito alla nostra
conversazione. L'ampio décolleté della
camicia lascia ampio spazio
all'attaccatura delle tette. Deve avere
un reggiseno push-up perché non gliele
ho mai viste cosi grosse e tonde, e non
voglio credere che si sia sottoposta a
un intervento correttivo, con l'aggiunta
di una protesi di silicone, perché non
è il tipo di ragazza capace di farlo.
Non la vedo da sei mesi e
tutto di lei mi appare diverso da quando
ci siamo lasciati. I capelli non hanno
più la foggia di un tempo. Hanno un
taglio più sbarazzino e le lasciano la
fronte scoperta a differenza della
frangia che raggiungeva le sopracciglia
e le conferiva un aspetto innocente.
- Elena, vieni via con noi
o resti lì? - alza la voce una delle
amiche distanti qualche passo dal
marciapiede dove lei e io siamo fermi.
- Resta qui con me. - do
risposta anticipando Elena la cui
replica tarda ad arrivare.
- Andate pure ci vediamo
domani.
- Sei sicura? - interviene
un'altra delle ragazze.
- Sì.
- L'accompagno io a casa,
non preoccupatevi.
Invece non andiamo a casa
sua. Seguitiamo a camminare per Via
Farini e raggiungiamo il Lungoparma.
Abbiamo una infinità di cose da dirci.
Il flusso di parole che escono dalle
nostre labbra hanno un corso
inarrestabile, si accavallano e sembra
non debbano finire mai.
Facciamo l'alba indugiando
su una panca del Lungoparma, a ridosso
del torrente, fintanto che i primi raggi
del sole portano via il buio della
notte. Elena mantiene il capo accostato
sulla mia spalla. Il suo respiro mi
scalda il collo. Annuso il suo odore e
mi viene una dannata voglia di
stringerla a me. Il tessuto della
camicetta lascia trasparire le forme dei
capezzoli appuntiti. Il desiderio di
scoparla si gonfia sotto il tessuto dei
pantaloni e diventa sempre più
impellente.
Elena mi prende una mano,
la strige forte, e l'accompagna sotto la
gonna. Apre le cosce e lascia che le
dita risalgano dove è calda e umida.
Non faccio caso al rumore
delle spazzole metalliche azionate dai
netturbini, alla guida delle macchine
per la pulizia delle strade, che si
spostano senza fretta alle nostre
spalle. L'associazione di pensieri, fica
e studio, che mi ha perseguitato tutto
il giorno si ferma qui, nemmeno ricordo
che fra pochi giorni dovrò sostenere
l'esame di anatomia. Affondo la lingua
nella bocca di Elena e la bacio. Lei
ricambia il movimento della mia bocca e
risucchia la lingua dentro sé come una
ventosa.
Seguitiamo a crogiolarci
nelle nostre salive fintanto che Elena
si mette cavallo delle mie cosce e mi
ritrovo il viso di fronte al mio, con le
braccia che mi cingono il collo.
- Ti sono mancata.
- Molto.
- Molto quanto?
- Tanto.
- Che stronzo che sei. Lo
so che non mi ami neanche la metà di
quanto ti amo io.
- Ho voglia di scoparti.
Non ti basta?
- Voglio di più.
- Cosa vuoi da me?
- Tutto.
Appoggio le labbra sulle
sue e la bacio mettendo fine alla
conversazione. Il suo respiro si è
fatto affannoso. Ha le tette in tumulto
e io c'ho il cazzo che mi duole tanto è
duro. E' svelta ad abbassarmi la
cerniera dei pantaloni e tirarmi fuori
il cazzo. Si mette in piedi e si libera
delle mutande sfilandole dalle caviglie.
Subito dopo si rimette seduta sulle mie
ginocchia e infila il cazzo nella fica.
L'abbraccio e la stringo
forte a me. Lei fa lo stesso. Restiamo
saldi l'uno all'altra senza muoverci,
poi inizia a spostare il bacino avanti e
indietro gemendo di piacere. Mi
abbandono piacevolmente alle
oscillazioni del suo sedere. Ha la fica
fradicia d'umore e la cosa mi fa
piacere.
Riprendiamo a baciarci,
titillando le lingue, mentre seguitiamo
a scopare fregandocene delle macchine
per la pulizia delle strade che operano
nelle vicinanze. Il rumore delle
spazzole metalliche che sfregano il
selciato stradale accompagna la nostra
scopata. Vengo dentro di lei senza
staccarmi mentre i primi raggi di sole
mi accecano. L'ultima cosa che scorgo
prima di raggiungere l'orgasmo e il
volto di Elena che mi bacia.
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