Ogni
anno, nel mese di gennaio, mamma era
solita gettare le basi per le vacanze
estive. Infatti, insieme a papà,
peregrinava da un posto all'altro della
riviera ligure alla ricerca di un
appartamento da prendere in affitto.
Insoddisfatta dei costi e delle
tipologie delle abitazioni, d'accordo
con papà, decise che era giunto il
momento per acquistare un appartamento
al mare.
"E' una opportunità
da non lasciarsi sfuggire"
disse l'agente immobiliare quando mostrò
ai miei genitori la casa che sarebbe
diventata meta obbligata delle nostre
villeggiature estive e invernali per
molti anni ancora.
Dal paese di campagna dove
abitavamo, a ridosso del fiume Po,
l'auto di papà, una Fiat Ritmo,
impiegava all'incirca due ore a
percorrere la tortuosa autostrada della
Cisa per raggiungere la riviera ligure.
A mia madre non sembrò
vero di essere padrona di una casa al
mare. L'immobile a due piani, di cui
eravamo diventati proprietari, ubicato
in un maleodorante intreccio di vicoli
in forte pendenza sul mare, trasudava
umidità da ogni parete.
I miei genitori si diedero
un grande da fare ad arredare le due
stanze da letto, la mia e la loro, e
anche la cucina, facendo ricorso a vecchie
suppellettili di cui papà si sobbarcò
il trasporto facendo la spola da Parma a
La Spezia, sistemando il tutto sul
portapacchi e nel baule della nostra
Fiat Ritmo.
Il tetto della casa non
aveva tegole, ma una terrazza che
l'agente immobiliare ci assicurò essere
praticabile e da cui potevamo scorgere
il mare. Sennonché al primo temporale
tutta la famiglia si munì di pentole e
pentolini per raccogliere l'acqua che
colava dal soffitto della terrazza.
L'impermeabilizzazione
della terrazza ci costò dell'altro
denaro, ma non fu l'unico inconveniente
cui andammo incontro. L'unico servizio
igienico della casa era un cesso alla
turca collocato al primo piano fra la
mia camera e quella dei miei genitori.
Una piccola finestra, affacciata sul
vicolo, dava luce alla mia stanza da
letto.
La spiaggia, se cosi è
possibile definire i cinquanta metri di
battigia situata in una insenatura fra
le rocce, la si poteva raggiungere
percorrendo un sentiero in forte
pendenza, provvisto di scalini scavati
nella roccia.
Mamma era una delle
villeggianti più mattiniere del paese
ligure a strapiombo sul mare. Alle nove
era già in spiaggia. Stendeva sulla
sabbia i teli da mare per me e papà,
mentre a mezzogiorno arrivavo io.
Era l'epoca in cui le
ragazze cominciavano a mostrarsi in
topless. Io avevo quattordici anni e
l'unica ragione che mi tratteneva in
spiaggia, costretto a sorbirmi le frequenti
discussioni fra mamma e papà, era che
non mi stancavo di guardare le tette e
il fondoschiena delle ragazze. Mi
eccitavo a fissare i loro corpi nudi
mentre distribuivano creme idratanti
sulla pelle, ma dopo un po' che le
fissavo non vedevo l'ora di fare ritorno
a casa per spararmi una sega.
Mi masturbavo tre o quattro
volte al giorno, spesso anche due volte
di seguito. Di solito lo facevo nel
gabinetto alla turca. Chiudevo la porta
alle mie spalle serrandola col
chiavistello per non essere scoperto.
Stando in piedi, con la schiena
accostata all'uscio, sputavo saliva
sulla cappella, poi chiudevo gli occhi e
cominciavo a menarmi l'uccello.
"Ma cosa combini
chiuso in quel cesso per tanto tempo. Si
può sapere?" mi rimproverava
mamma. "E' colpa dell'acqua del
mare, mi fa venire il male di
pancia" mi giustificavo. In
effetti, l'acqua del mare, in quel punto
della costa ligure, era inquinata per la
presenza di colibatteri. Un affollamento
di microrganismi sufficiente a provocare
mal di pancia, e non solo quello, a
chiunque mettesse piede in quelle
acque. Soltanto qualche anno più tardi
un depuratore mise fine all'inquinamento
batterico.
Cazzo, se mi
piacevano le ragazze! Ma ero timido e
aspettavo che qualcuna di loro mi
facesse un cenno che invece non arrivava
mai. Trascorrevo le giornate leggendo
libri, facendo qualche bagno per
togliermi di dosso l'arsura del sole
sulla pelle. Ma soprattutto facendo dei
bagni in acqua per dare refrigerio
all'uccello che a quell'età tenevo
sempre in tiro.
*
* *
La ragazza attraversò il terrazzo
dirimpetto alla mia abitazione. Addosso
aveva un pareo damascato che le copriva il
corpo. Stava canticchiando una canzone. Lo
intuii dal movimento delle labbra. Da un
filo teso sul terrazzo afferrò il costume
che aveva messo ad asciugare, dopodiché
scomparve nella scala a chiocciola. Poco
dopo la vidi, attraverso una finestra
lasciata aperta, comparire
nell'appartamento sottostante e scomparire
alla mia vista.
La mattina seguente stavo
facendo colazione quando, dalla finestra
al pianterreno della mia abitazione,
distinsi la ragazza uscire dal portone
della casa
dirimpetto alla mia. Era in compagnia di
un ragazzo e di una ragazza dalla
carnagione pallida pari alla sua. Mi
affacciai sulla porta di casa e rimasi a
osservarla mentre percorreva
l'acciottolato di pietre del vicolo
diretta alla marina. Indossava un paio di
jeans turchesi, tagliati sopra le
ginocchia, una t-shirt bianca, e
una grossa borsa tracolla. I capelli
biondi raccolti a coda di cavallo le
conferivano un aspetto malizioso.
Ormai non ero più un
ragazzino, anche se non avevo abbandonato
l'abitudine di masturbarmi, ma ero pur
sempre un po' ingenuo. Avrei voluto
mettere in atto una qualsiasi strategia
per abbordarla, ma ero troppo timido per
farlo. Dopo pochi giorni avrei dovuto
sostenere l'esame di maturità e avevo
promesso a mamma e papà che mi sarei
impegnato nello studio evitando qualsiasi
genere di distrazione. Era questa la
ragione per cui mi ero ritirato in
eremitaggio nella nostra casa al mare.
Il clima a fine maggio non
era sufficientemente caldo per fare il
bagno, ma invogliava a rimanere sdraiati
nella spiaggia per abbronzarsi e respirare
a pieni polmoni il profumo di salsedine
che proveniva dal mare.
Andai a letto presto quella
sera dopo avere studiato tutto il giorno.
Ero irrequieto, nervoso, e non riuscivo a
prendere sonno. Tutt'a un tratto delle
sagome in movimento, simili a ombre
cinesi, illuminarono una parete della mia
stanza buia. Scesi dal letto e mi
avvicinai alla finestra. Le imposte
dell'appartamento all'altro lato del
vicolo erano aperte. La ragazza bionda che
avevo intravisto al mattino uscire da
quella casa era distesa sul letto, nuda,
col ventre all'insù, intenta a leggere le
pagine di un libro. I capelli non erano
raccolti a coda di cavallo come al
mattino, ma le scendevano sulle spalle. Le
tette, di piccole dimensioni, apparivano
sode con i capezzoli di un colorito roseo
e sporgenti. Ero imbarazzato a guardarla,
ma piacevolmente eccitato da quella vista.
La ragazza manteneva una mano
stesa sul pube mentre con l'altra
sorreggeva un libro. L'inguine che a
malapena riuscivo a scorgere, e su cui
poggiava le dita, era guarnito da un
intreccio di peli arruffati colore
dell'oro. La vidi intingere le dita nella
bocca e subito dopo toccarsi la fica.
Eseguiva gli spostamenti
delle dita con delicatezza senza distrarsi
dalla lettura delle pagine del libro che
manteneva stretto nell'altra mano. Il
cazzo non tardò a pulsare. Me lo ritrovai
turgido nella mano e cominciai a
masturbarmi. Seguitai a farlo emulando i
movimenti della mano della ragazza che
seguitava a toccarsi la fica. Quando la
vidi sfiorare il clitoride con le dita
bagnate di saliva cominciai a fare uso
anch'io della saliva accumulata nella
bocca e ne sputai più di un grumo sulla
cappella. Presi a menarmi l'uccello con
maggiore vigore e venni quasi subito
infradiciandomi le dita di sperma che
asciugai utilizzando il bordo di un
lenzuolo del letto.
Quando tornai dinanzi alla
finestra la mia musa ispiratrice se ne
stava con le ginocchia sollevate e le
gambe completamente divaricate. Il viso
era scopertamente eccitato, le dita della
mano scorrevano veloci sulla passera e
l'orgasmo sembrava ormai prossimo a
venire.
Ripresi nella mano il cazzo e
ricominciai a masturbarmi una seconda
volta. La vidi raggiungere l'acme del
godimento, raggomitolarsi su se stessa e
girare il capo nella mia direzione, solo
allora mi vide. Mi scostai dalla finestra
per non farmi vedere. Lei spense la luce e
la camera precipitò nel buio. Io terminai
di masturbarmi.
* * *
Sdraiato sul tappetino
in riva al mare mi abbronzavo al sole e
leggiucchiavo un libro. La spiaggia era
piena di belle ragazze. Giorgia era
sicuramente la più affascinante fra tutte
loro. Fu
lei a abbordarmi, lo fece chiedendomi in
prestito i fogli rosa del giornale
sportivo che conservavo accanto al telo da
mare.
- In cambio della Gazzetta
dello Sport posso offrirti Novella 2000. -
disse dispensandomi un sorriso.
- No, grazie, preferisco
proseguire nella lettura del libro. -
risposi mostrandole "Lamento di
Portnoy di Philip Roth".
- L'ho letto. E' un gran bel
libro, mi è piaciuto un sacco, ma non ho
nessuna intenzione di sciorinarti il perché
del mio gradimento, altrimenti ti
rovinerei il proseguo della lettura. A
proposito, il mio nome è Giorgia e il
tuo?
- Lorenzo.
- Sono in vacanza con
un'amica. E' quella laggiù. - disse
indicando una ragazza mora immersa
nell'acqua fino alla cintola e orgogliosa
d'ostentare un gran bel paio di tette. -
Restiamo in vacanza per una settimana,
abbiamo preso in affitto un appartamento e
tu?
- I miei genitori sono
proprietari di una casa qui, ma in questo
periodo sono a Parigi per un viaggio di
piacere.
- Allora ci vedremo spesso,
spero.
Pronunciò la frase con aria
compiaciuta prima di sfogliare le pagine
del giornale che le avevo dato in
prestito. Proseguii nella lettura, ma poco
dopo eravamo già lì a chiacchierare.
Ascoltò incantata le mie
parole senza interrompermi, quando lo fece
fu per sorridere. Ebbi l'impressione che
condividesse ciascuna delle cose che le
raccontavo, ma forse voleva solo rendersi
simpatica.
La sera seguente me la portai
a letto o meglio fu lei a chiedermi di
dormire nel mio letto accampando la scusa
che l’amica aveva trovato compagnia
maschile. Mi chiese ospitalità per non
esserle nei piedi e io acconsentii ad
alloggiarla.
Sapeva scopare divinamente.
Cazzo, se ci sapeva fare! Imparai più
cose da lei in quei pochi giorni di
vacanza che da tutte le ragazza con cui
avevo fatto sesso fino allora.
La prima ragazza a succhiarmi
il cazzo è stata lei, nessun'altra lo
aveva voluto fare prima. A dire il vero
non fui io a chiederglielo, lo fece di sua
spontanea volontà succhiandomi il cazzo
fintanto che le sborrai in bocca. E poi mi
sverginò il culo. Lo fece infilandomi un
dito nell'ano mentre la scopavo.
Mi ammaestrò a leccarle la
fica in modo che raggiungesse facilmente
l'orgasmo, educandomi a succhiare il
clitoride come piaceva a lei, e io eseguii
pari pari ogni suggerimento.
Acquisii tante di quelle
cognizioni da costringerla a contorcersi
fra le lenzuola per il piacere che le
procuravo. Mi obbligò a leccarle le
falangi dei piedi solleticandoli fino a
farla urlare di piacere.
La settimana di vacanze passò
troppo velocemente in sua compagnia. Prima
di accomiatarsi venne di nuovo a cena a
casa mia.
- Domani parto sei contento?
- Mi mancherai.
- Ne sei sicuro?
- Te lo giuro.
- Voi uomini siete tutti
uguali.
- Come potrei dimenticarti?
- Beh, facciamo così,
seguimi.
Si alzò da tavola e mi fece
cenno di seguirla nella mia camera. Accese
l'abat-jour e si mise in piedi sul letto.
- Mettiti comodo sul
pavimento. - disse.
- Obbedisco! - risposi.
Accese la radiosveglia senza
preoccuparsi della stazione radio su cui
era sintonizzata. Una musica
latinoamericana uscì dal piccolo
altoparlante e riempì di note musicali la
stanza. Giorgia iniziò a muoversi sul
materasso con le grazie di una
spogliarellista. Sciolse il laccio che
serviva a tenerle i capelli raccolti e
lasciò che si spandessero sulle spalle
roteando il capo più volte. Strinse
entrambe le mani al bordo inferiore della
ti-short. La sollevò poco per volta,
cavandosela di dosso in modo definitivo
gettandola sul lenzuolo. Le tette mi
apparvero nella loro straordinaria
perfezione. Giorgia si toccò
ripetutamente i capezzoli e le punte
divennero turgide. Non vedevo l'ora di
stringere fra le labbra quelle sporgenze
carnose, colore vinaccia, che si elevavano
al centro delle mammelle, ma resistetti
dal farlo.
Applaudii il piccante
spogliarello e lei di rimando ammiccò un
sorriso. Abbassò la cerniera della gonna
jeans e la fece scivolare, senza fretta,
lungo i fianchi scoprendo le mutandine in
pizzo nero che portava indosso.
La gonna cadde ai suoi piedi
e io fui lesto ad afferrarla liberandole
le estremità dall'ingombrante tessuto.
Nuda, con indosso soltanto le mutandine,
aveva l'aspetto di una divinità. Nella
settimana trascorsa in sua compagnia non
mi era mai apparsa cosi bella come si
mostrò a me quella sera.
- Mi desideri ancora?
- Sì.
- Sei sicuro?
- Sì, ne sono certo.
Abbassò le mutandine e sotto
venne alla luce un minuscolo assorbente.
Liberò la fica dal tampone di ovatta
intriso di sangue e lo lasciò cadere sul
pavimento. Divaricò entrambe le gambe e
dei rivoli di sangue le scesero da
entrambe le cosce.
- Mi desideri ancora? - ripeté
un'altra volta.
- Sì. - dissi senza
esitazione.
Mi avvicinai a Giorgia e,
imitando Alexander Portnoy, esuberante
personaggio senza quiete protagonista del
romanzo di Philip Roth, che giustappunto
mi aveva visto leggere sulla spiaggia, lo
imitai e cominciai a leccare via dalle
cosce di Giorgia il sangue del flusso
mestruale inzuppandomi le labbra della
preziosa emissione della mucosa della
passera.
Sono diventato un pervertito quella
sera, ma quello è stato solo l'inizio di una
lunga serie di pervertimenti, non ultimo
quello di eccitarmi e masturbarmi
scrivendo racconti erotici.
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