SONO IO 
IL TUO PARADISO

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

          Mancavano pochi minuti alle 8.00 quando il Dott. Maestri oltrepassò il portone al civico 172 di Via Galimberti. L'edificio, in stile liberty, era ubicato in pieno centro cittadino, a due passi dal teatro dell'opera.
   Il primo dei quattro piani del palazzo era occupato dagli uffici dell'Assessorato Comunale all'Urbanistica, il secondo e terzo piano da uffici commerciali e studi di avvocati. Il quarto e ultimo piano era occupato dagli uffici di una società di assicurazioni di cui il Dott. Maestri era il capo provveditore per l'Emilia Romagna.
   Salutò con un cenno del capo il portiere dello stabile, sprofondato su una sedia della portineria, dopodiché si avvicinò alla porta dell'ascensore.
   Come spesso gli accadeva il lunedì mattina una moltitudine di pensieri gli frullavano per la testa. Era scuro in volto, ma non poteva immaginare che la sua vita sarebbe stata messa sottosopra dagli avvenimenti che si sarebbero succeduti nel proseguo della giornata.
   Nella corsa verso il quarto piano dell'edificio la struttura metallica della vetusta cabina mobile su cui aveva posto fu scossa da qualche scricchiolio. A quel tipo di rumori ci aveva fatto l'abitudine, meravigliandosi che l'ascensore, decrepito com'era, non si fosse mai bloccato con lui sopra diversamente a quanto era accaduto ad altri visitatori.
   Quando raggiunse gli uffici della società di assicurazioni da lui diretta funzionari e impiegati erano già all'opera nelle proprie postazioni. Andò dritto verso il proprio ufficio. Per arrivarci fu costretto a transitare dinanzi alle postazioni di alcune impiegate affaccendate a fare pettegolezzi già dalle prime ore di mattina. Ai loro saluti, accompagnati da generosi e ruffiani sorrisi, diede risposta con un cenno del capo, senza soffermarsi a parlare con nessuna di loro, nemmeno con Anna, la più fidata fra le impiegate, persuaso che un dirigente fosse tenuto a mantenere un certo distacco con i sottoposti.
   Varcata la soglia dell'ufficio depositò sul piano della scrivania le copie dei tre giornali che si era premurato di acquistare all'edicola sotto casa. Si guardò intorno con l'atteggiamento di chi è alla ricerca di qualcosa che non trova al solito posto. Individuò l'attaccapanni, sistemato per errore dalle donne delle pulizie lontano dalla porta, dopodiché sistemò la giacca su una delle grucce.
   Era inquieto, eccitato, terribilmente eccitato e inquieto. Si avvicinò alla scrivania e da un cassetto tirò fuori un binocolo.

   Si allontanò dalla scrivania e si premurò di chiudere la porta dell'ufficio alle proprie spalle con due mandate di chiave. Le impiegate non si meravigliarono nell'udire il rumore provocato dalla serratura. Nessuna di loro sarebbe entrata nell'ufficio del capo prima delle otto e trenta perché questo era il suo volere. In caso di necessità avrebbero potuto comunicare con lui utilizzando la linea del telefono come era sempre accaduto.
   Nessuno, a eccezione di Anna, sapeva il motivo per cui il direttore non desiderava essere disturbato nella prima mezzora del mattino. La maggioranza delle impiegate riteneva che si dedicasse alla lettura dei quotidiani, quelli che ogni mattina era solito portarsi appresso, preoccupato delle quotazioni dei titoli finanziari delle borse, ma quello che succedeva nella stanza era assai diverso.
   Allontanatosi dalla porta si avvicinò alla finestra che occupava una intera parete dell'ufficio. Dalla straordinaria vetrata poteva godere della vista panoramica del torrente che attraversava la città. 
   Il binocolo che aveva tolto dalla cassettiera della scrivania, un 100x, era provvisto di un sofisticato meccanismo di prismi che servivano a cambiare la distanza tra gli oculari.
   La maggioranza dei binocoli, specie quelli a forte ingrandimento, simili a quello che manteneva stretto fra le mani, avevano la necessità di un treppiede poiché i più piccoli movimenti della mano sarebbero risultati amplificati rendendo instabili le immagini. Il suo binocolo invece era provvisto di uno stabilizzatore d'immagine che rendeva pressoché inutile l'utilizzo di un supporto fisso.
   Sistemò le grosse lenti del binocolo a contatto del vetro della finestra e guardò nella direzione della riva opposta del torrente. A quell'ora gli studenti del Liceo Tasso occupavano la strada dinanzi alla scuola in attesa di entrare in classe. Inseguì col binocolo i crocchi di ragazze sparsi intorno all'edificio scolastico soffermandosi a guardare i gruppi più vicini alla balaustra del torrente. Invigorito dall'inequivocabile scompiglio ormonale si perse a guardare le ragazze alla ricerca di quella che più di ogni altra gli avrebbe attizzato il cazzo.
   Riversò la sua attenzione su una spilungona dai capelli a coda di cavallo, con un paio di tette simili a mongolfiere, stupito dalla bellezza delle cosce che mostrava per intero fino all'inguine.
   La ragazza era il classico tipo da tanga nonostante l'età acerba. Non l'aveva mai vista soffermarsi nei presi della balaustra che si affacciava sul torrente, nonostante fosse sua abitudine scrutare con attenzione il panorama di carnazza che stazionava davanti alla scuola. Cercò con la mano la patta dei pantaloni e abbassò la cerniera. Tirò fuori il cazzo senza mai staccare gli occhi dal binocolo e dalle burrose forme della ragazza.
   Non l'aveva duro, il cazzo, ma fu sufficiente sfiorare la superficie della cappella con l'estremità delle dita che i corpi cavernosi si riempirono di sangue. Quando il cazzo raggiunse una posizione parallela al pavimento della stanza lo abbrancò per intero col palmo della mano e cominciò a masturbarsi.
   Sputò della saliva sulla cappella in modo da rendere fluido il movimento della mano, evitando d'irritare la sottile pelle della cappella. Non aveva intenzione di venire troppo alla svelta. Gli sarebbe piaciuto prolungare a lungo il piacere che gli dava il masturbarsi, anche se non era facile mantenere puntato il binocolo sulle tette e le cosce della ragazza, rincorrendola nei suoi spostamenti, fino al momento in cui sarebbe entrata in classe.
   Avrebbe pagato chissà cosa per farsi succhiare il cazzo da una qualsiasi delle liceali. Gli erano sempre piaciute le adolescenti, aveva un debole per la carne giovane. Eppure non aveva mai avuto occasione di fare sesso con nessuna di loro, nemmeno da studente, quando la maggioranza dei suoi compagni di classe era solita intrattenersi nei cessi della scuola per farsi succhiare l'uccello da qualche liceale.
   Alla sua età, da poco aveva superato i cinquant'anni, scopava di rado con la moglie. Anzi, nemmeno riusciva a farselo diventare duro con lei, specie da quando era entrata in menopausa. Ogni volta che l'avvicinava lei aveva bisogno di ammorbidire la vagina, ormai asciutta, con un lubrificante per non scorticargli la cappella durante l'amplesso.
   Da un po' di tempo era tornato a masturbarsi con una certa regolarità. Provava piacere a toccarsi guardando con il binocolo le liceali rimanendo nascosto alla loro vista.
   Prima che il crocchio di ragazze, su cui aveva puntato il binocolo, abbandonasse il marciapiede per entrare nell'edificio scolastico raggiunse l'apice del godimento. Gli schizzi di sperma finirono nelle dita racchiuse attorno alla cappella. Le gambe smisero di tremargli dopo che una serie di brividi lo scombussolarono da capo a piedi, poi si calmò.
   Da quando era a capo dell'ufficio di direzione, ormai erano trascorsi quattro anni, il suo interesse principale, perlomeno nella prima mezzora di lavoro, erano le ragazze del liceo Tasso. Un paio di fazzoletti di carta furono sufficienti per pulire le mani dallo sperma e asciugare la cappella. Recuperò la giacca che aveva sistemato sull'attaccapanni, aprì la serratura della porta, depose il cannocchiale nella cassettiera, e andò a sedersi dietro alla scrivania.

* * *

   Quando aveva fatto il suo ingresso negli uffici dell'assicurazione Anna lo aveva salutato allo stesso modo delle altre impiegate, senza tradire nessuna emozione. Eppure erano amanti da lungo tempo senza che nessuno degli impiegati della filiale lo supponesse. 
   La loro relazione era cominciata una mattina che era entrata nel suo ufficio per fargli firmare un documento urgente. Più volte aveva bussato alla porta senza ricevere nessuna risposta, infine aveva provato a girare la maniglia sorprendendosi nel costatare che non era chiusa a chiave. Fatti alcuni passi aveva sorpreso il direttore, di spalle, fermo davanti alla finestra, con un grosso binocolo stretto nella mano.
   Lì per lì non aveva compreso cosa stesse facendo, soltanto quando lui si era girato esibendole il pezzo di carne dalle dimensioni più grosse del normale, mantenuto stretto nella mano, aveva compreso che stava masturbandosi.
   Superato il naturale imbarazzo era fuggita dalla stanza. Ma più di tutto aveva trovato sconveniente che non avesse cessato di toccarsi davanti a lei, esibendole, in modo osceno, il cazzo che stringeva nella mano.
   Una volta fuori dalla stanza aveva ripreso a lavorare al computer senza raccontare a nessuna delle colleghe ciò che aveva visto nell’ufficio del direttore, anche se nella mente aveva bene impressa la grossa cappella dell'uomo. 
   Stava pensando a quanto l’aveva enorme quando il telefono si era messo a squillare.
   - Può venire da me, subito! Ho bisogno della sua opera. - le aveva ordinato il direttore.
   - Arrivo!
   Mettendo piede nella stanza le gambe le tremavano. Era imbarazzata dopo quanto era stata testimone. Alla sua età, da poco aveva superato quarant'anni, uomini ne aveva conosciuti più di uno anche da sposata. Eppure, nonostante avesse messo al mondo due figlie: Daria di dodici e Magda di sedici anni, si sentiva ancora giovane e piacente, desiderata dagli uomini e anche dalle donne. Avventure se n'era concessa più di una, senza intraprendere nessuna relazione seria con gli occasionali partner, soddisfatta del rapporto che conduceva con il marito.
   Il capo l'aveva ricevuta in piedi, col sedere appoggiato al bordo della scrivania, contrariamente a quanto era sua abitudine, poiché di solito l'accoglieva stando seduto sulla poltrona di pelle. L'aspetto confidenziale di quella situazione non l'aveva sorpresa, ma non capiva quali fossero le reali intenzioni dell'uomo che le stava davanti, anche se il motivo della convocazione aveva di sicuro a che fare con quello di cui era stata testimone.
   - Mi spiace che mi abbia visto mentre mi masturbavo. Spero che non racconterà a nessuno quanto è accaduto, posso contare sulla sua discrezione, vero?
   - Può starne certo, non ho l'abitudine di fare pettegolezzi, specie su accadimenti di questo tipo.
   - Succede a tutti di compiere azioni come quella a cui ha assistito, non crede? E' tutta colpa dello stato di affaticamento di cui soffro. Sentivo il bisogno di scaricare lo stress che ho accumulato in questi due giorni di festa, trascorsi in famiglia, e l'ho fatto masturbandomi, ho sbagliato?
   - Beh, non lo so.
   - Non le capita mai di masturbarsi?
   La domanda, snocciolata in modo così crudo, l'aveva colta di sorpresa. Aveva esitato prima di rispondergli perché non le era riuscito di trovare le parole giuste per farlo. Le guance le erano diventate rosse come il fuoco e lui doveva essersene accorto.
   - Lo facevo da adolescente, alla mia età non mi passa per l'anticamera del cervello di farlo. - mentì, perché le capitava spesso di toccarsi, specie mentre faceva la doccia.
   - Perché?
   - Perché ho quarant'anni, due figlie grandi, un marito a cui dedicarmi e la casa da accudire dopo che ho terminato il lavoro in ufficio.
   - Lei è ancora una donna piacente, lo sa questo?
   - Mi mette in imbarazzo.
   - Non credo.
   Il direttore, mentre le aveva fatto il complimento, le aveva afferrato una mano. Pure se imbarazzata dal gesto lo aveva lasciato fare eccitata dalla strana situazione in cui si era venuta a trovare. Nella mente aveva bene impressa la rotondità rosea della cappella che aveva scorto mentre si masturbava, di conseguenza non si era ritratta quando le aveva trascinato il palmo della mano contro la patta dei pantaloni, facendole tastare la protuberanza del cazzo duro. Nemmeno si era allontanata quando, abbassata la cerniera, le aveva messo il cazzo nella mano.
   Si era inginocchiata dinanzi a lui e, una volta avvicinata la cappella alle labbra, aveva aperto la bocca senza opporre nessuna resistenza a quella che non era più una costrizione, forse perché quando l'aveva visto masturbarsi aveva desiderato ardentemente succhiarglielo, il cazzo.
   Ingombrante per le sue dimensioni il cazzo lo era per davvero, perlomeno più di quello del marito. La cappella le aveva riempito la bocca e raggiunto più volte la gola. Per evitare di soffocare aveva afferrato il cazzo alla radice, assecondando in questo modo la spinta delle anche dell'uomo che le stava dinanzi mentre la penetrava.
   Succhiare cazzi le era sempre piaciuto. Tutti i partner a cui l'aveva preso in bocca si erano trovati soddisfatti dal modo in cui si applicava mentre succhiava. Ma più di tutto le piaceva farsi sborrare in viso.
   Il pompino al capo ufficio era durato a lungo. Per farlo venire aveva dovuto fare ricorso a tutte le sue risorse. Il fatto che si fosse masturbato da poco aveva contribuito a ritardare l'eiaculazione, infine le era piaciuto ritrovarsi con la bocca e il viso riempiti di sperma.
   Dopo quella fortuita circostanza lei e il direttore avevano seguitato a scopare di nascosto fra le mura dell'ufficio. Il più delle volte lo facevano sul divano, lontano dagli sguardi indiscreti delle altre impiegate. A lui piaceva sollevarle la gonna, obbligarla a mettersi cavallo sulle sue ginocchia, e scoparla mentre stava a guardarla negli occhi intanto che le carezzava le tette. Ma se aveva voglia d'incularla allora la metteva carponi, sul tappeto davanti alla scrivania, e s'impossessava del culo. Non scopavano spesso, una volta ogni due settimane, di solito, ma il modo brutale con cui la prendeva la eccitava da stare male.

* * *

   Dopo che il Dott. Maestri fu entrato in ufficio Anna riprese a consultare un documento che aveva appena iniziato a leggere. Seguitò a sfogliare le pagine della pratica disinteressandosi ai discorsi delle due colleghe di stanza, occupate a commentare l'abbigliamento di un'altra impiegata affaccendata alla fotocopiatrice. Quest'ultima, molto più giovane di tutte loro, mostrava una minigonna esagerata, raso chiappe, davvero appetibili.
   Mentre le due donne infilavano una banalità dopo l'altra, invidiose dell'abbigliamento della collega, mostrando la loro meschinità, Anna si domandò se in qualche occasione anche lei fosse stata oggetto delle loro critiche, ma dopo una breve riflessione si applicò alla pratica che stava consultando infischiandosene delle loro malignità, certa che nessuno era a conoscenza della relazione che intratteneva con il capo ufficio.

   Mezzogiorno era passato da mezzora quando Anna fu raggiunta dalla telefonata di Magda, una delle figlie, quella più su d'età con i suoi sedici anni. 
   - Mamma, sei tu?
   - E chi altro? E' successo qualcosa? Hai bisogno?
   - Ho dimenticato a casa il mazzo delle chiavi. - disse la ragazza piena di timore.
   - E allora?
   - Dimmi come mi devo comportare. Mica posso rimanere a bighellonare per strada fino al tuo ritorno o quello di papà.
   - Sei la solita sbadata, non ne combini mai una giusta. - disse alzando il tono della voce. - Impara una buona volta a essere autosufficiente, mica puoi sempre contare sui tuoi genitori per sbrigartela nella vita.
   - Mamma, ti prego, non ricominciare con la storia della mia indipendenza. 
   - Ma dove ce l'hai la testa? Sempre a pensare agli amichetti, eh.
   - Uffa! Mamma! Ti spiace dirmi come posso risolvere questo problema.
   - Tua sorella non viene a casa prima di te? Suona il campanello e fatti aprire la porta da lei.
   - Daria è andata a nuoto. Il lunedì ci va insieme a Elisa, la sua compagna di classe, non ricordi?
   - Ah, già, me n'ero dimenticata. Beh, allora vieni qua da me, in ufficio, ti do le mie di chiavi. E' inutile che telefoni a papà, lui è impegnato col lavoro e non ha tempo per risolvere queste cose.
   - E' quello che speravo mi dicessi, ci voleva tanto per dirmelo?
   - Magda! Ti prego! Finiscila di dire stronzate.

   Era da poco passata l'una quando Magda si affacciò nel corridoio che conduceva all'ufficio della madre. Per sua fortuna la sede della finanziaria francese si trovava a poca distanza dal liceo Tasso, dove frequentava il terzo anno del classico. Non era mai stata in quegli uffici, era la prima volta che vi metteva piede. Seguendo le indicazioni della madre avute per telefono non ebbe difficoltà a raggiungerla. Quando si affacciò dinanzi all'ufficio della madre la trovò impegnata a discorrere con un signore distinto davanti alla scrivania.
   - Disturbo? - disse la ragazza, rivolta alla madre affaccendata in uno scambio di idee col capo ufficio.
   - Un attimo e sono da te. - disse Anna, alla figlia, impaziente di dare risposta alle osservazioni dell'uomo che le stava davanti con una cartella di documenti.
   Sorpreso dalla presenza della giovane il Dott. Maestri sembrò dimenticare il motivo per cui era andato lì. Spostò la sua attenzione verso la ragazza ferma sulla porta e non ebbe difficoltà a riconoscerla. Era la medesima liceale che al mattino, appena giunto in ufficio, l'aveva ispirato quando si era sparato una sega guardandola con il binocolo. Anna notò l'attenzione che l'uomo stava riversando sulla figlia e si affrettò a giustificare la presenza della ragazza negli uffici della finanziaria.
   - Mi scusi, è mia figlia, ha dimenticato le chiavi di casa ed è venuta a ritirare le mie.
   - Nessun problema, capita a tutti di scordarsele, anche a me è accaduto di dimenticarle nelle tasche di qualche giacca o nei pantaloni, specie quando effettuo un cambio d'abito. - disse osservando il corpo della ragazza di cui era in grado di apprezzare la voce.
   - Beh, adesso vi lascio alle vostre faccende di famiglia. - disse allontanandosi dalla scrivania. Si avvicinò alla ragazza che sostava davanti alla porta confidando di riuscire a toccare, seppure fuggevolmente, il suo corpo.
   Prima di andarsene si rivolse a Anna. 
   - L'aspetto nel mio ufficio per finire il discorso che abbia cominciato.
   Anna fece un cenno d'assenso facendogli intendere d'avere compreso a cosa si riferiva con quell'invito, infatti, una volta liquidata la figlia, dopo essersi affrettata a consegnarle le chiavi di casa, andò dritta nell'ufficio del capo.

   Il Dott. Maestri stava seduto nella poltrona dietro alla scrivania con i pantaloni abbassati al pari delle mutande. Era eccitato come poche altre volte gli era accaduto fra quelle mura. Quando Anna comparve sulla porta le fece cenno di avvicinarsi a lui, ansioso di mostrarle il cazzo. 
   Anna si liberò delle mutande e si mise cavallo del capo ufficio. Lasciò che fosse lui a infilarle il cazzo nella vagina già lubrificata per l'eccitazione che aveva addosso. Non si persero in preliminari, tanto non si adoperavano mai a farli, preferendo godere dell'orgasmo che ogni volta riuscivano a raggiungere con i movimenti della penetrazione.
   Prima di raggiungere l'apice del piacere il direttore fece in tempo ad avvicinare la bocca all'orecchio di Anna e le sussurrò poche parole.
   - Hai una bella figliola, starebbe bene scopata. - disse spingendo più volte la cappella in avanti come se volesse sfondarle l'utero.
   Anna non si sorprese per quella affermazione che aveva tutta l'innocenza di un complimento. Magda col suo fisico da maggiorata, anche se ancora adolescente, attirava di continuo gli sguardi e le voglie degli uomini adulti.
   - Ti piacerebbe fartela, eh. Sporcaccione! Ma sono io il tuo paradiso.
   - Sì... sì... - concluse mentre stava venendo, immaginando d'avere il cazzo fra le cosce della figlia della donna che gli stava davanti, su cui si era soffermato col cannocchiale al mattino quando si era masturbato, ma a Anna questo non lo disse.

 

 

 
 

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