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SESSODIPENDENZA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Q uando
raggiunsi l'abbazia di San Michele
Arcangelo le ombre della sera avevano
oscurato le mura dell'antico monastero.
Lo spiazzo prospiciente il monumentale
edificio medievale era occupato da una
fitta schiera di autovetture.
Parcheggiai la Panda accanto a una
Porche Carrera, dopodiché m'incamminai
sullo sconnesso acciottolato di pietre e
sassi che conduceva all'eremo. Una
lanterna a petrolio pendeva da una trave
di legno posta in prossimità del
portone d'ingresso.
- Bentornata! - disse
Sallustro, uno degli adepti alla setta
della Stella d'Oro, incaricato di
controllare l'identità degli ospiti che
si presentavano all'ingresso dell’antica dimora.
- Grazie. - dissi
elargendogli un reverente sorriso.
- Pensavo non saresti più
venuta a trovarci.
- E invece sono tornata,
contento?
- Meglio così, mi fa
piacere. Accomodati. - disse indicando
il corridoio dalle antiche volte che
conduceva al tempio dove era già
iniziata la funzione religiosa.
Una musica d'organo
arrivava dal luogo di culto. Ero in
ritardo, maledettamente in ritardo,
rispetto l'inizio della cerimonia
d'investitura. Uscendo dalla città ero
incappata in un ingorgo di autovetture
che mi avevano tenuta bloccato sulla
tangenziale prima d’imboccare la
strada Statale della Cisa.
Nel salone adibito a
spogliatoio levai dalla pelle tutti gli
indumenti e rimasi nuda, con la sola
pelliccia di peli attorno alla figa.
Calzai un paio di sandali di cuoio e
indossai uno dei sai che ricuperai dal
ripiano di un armadio in noce che, con
alcune panche, arredava il locale.
A radermi il capo, come era
consuetudine per le donne che facevano
parte della setta religiosa, avevo
provveduto quella mattina stessa. Dopo
essermi tolta la parrucca che portavo al
capo ero a disagio in quella identità.
Ormai non ero più abituata a tenere la
volta cranica liscia come una boccia da
biliardo.
Il saio non colmava il gelo
del mio corpo, ero intirizzita dal
freddo e non vedevo l'ora di raggiungere
i piani superiori dell'eremo. La
cappella dove si svolgeva la cerimonia
era situata nel lato sud-ovest
dell'abbazia. Ci arrivai camminando
sotto le volte di un porticato che
metteva in comunicazione il convento con
il tempio.
Il luogo di culto, dalle
dimensioni assai ridotte, aveva la forma
a croce latina. Nella parte superiore
trovavano posto l'abside e il recinto
del coro, mentre ai lati della navata
centrale si espandevano due transetti,
con vetrate dai diversi colori, da cui,
durante il giorno, filtrava la luce che
illuminava l'edificio sconsacrato.
La navata centrale era
occupata da un folto numero di adepti
alla setta. Ognuno dei presenti
indossava il saio e il capo
coperto da un cappuccio idoneo a
nascondere il viso. Mi accomodai in una
delle ultime file della navata, accanto
a due proseliti di bassa statura che
intuii essere di sesso femminile.
Nell'abside due giovani
donne completamente nude erano
inginocchiate davanti all'altare. Il
Grande Maestro stava mondando il loro
capo, perfettamente rasato, con acqua
santa come prevedeva il cerimoniale.
Anni addietro anch'io ero stata
sottoposta al medesimo rito allorché
ero diventata a tutti gli effetti
Femmina di Satana.
Ero consapevole che la
messinscena era soltanto un espediente,
condotto a termine da un gruppo di uomini
e donne, per trascinare nuovi adepti
alle orge che facevano immediatamente
seguito alle cerimonie religiose.
Anch'io ero stata spalmata dal loro
sperma e non vedevo l'ora che terminasse
la cerimonia per entrare in una delle
camere dell'abbazia dove la serata
avrebbe avuto un seguito.
Dopo un anno di castità,
conseguenza dell'essere rimasta
confinata in una comunità terapeutica
gestita da suore, avevo una dannata
voglia di riprendere a fare del sesso.
Non mi considero una donna
romantica, al contrario penso che la
peggiore delle scopate dà più
soddisfazione che ricevere in regalo un
monile d'oro. Nessun bene, anche se di
valore, produrrebbe in me gli stessi
fantastici tremiti di piacere che sa
darmi un cazzo quando raggiungo
l'orgasmo, e magari sono colta da crampi
allo stomaco per l'accendersi del fuoco
del piacere che avvampa dentro di me.
- Ciao.
Girai il capo alla mia
sinistra e incrociai il volto di Ettore
celato dal cappuccio che lo proteggeva
dal mio sguardo. Contraccambiai il
saluto e ammiccai un sorriso.
Ettore era uno degli adepti
alla setta con cui ero solita appartarmi
in una delle stanze della abbazia quando
avevo voglia di scopare. Mi piaceva il
suo cazzo, ma soprattutto la cappella
disadorna, sempre in primo piano, perché
circonciso. Ettore sapeva ritardare
all'infinito il momento
dell'eiaculazione e con lui potevo
raggiungere l'orgasmo più volte di
seguito.
Le stanze delle orge dove
ogni appartenete alla setta era libero
di dare sfogo alle proprie fantasie
sessuali si trovavano al primo piano
dell'abbazia. In passato ero salita
un'infinità di volte per la scalinata,
di proporzioni monumentali, che conduce
alle camere. Ancora una volta ero pronta
a tornare lì, piena di desiderio, perché
la sessodipendenza di cui soffro
m'imponeva di catapultarmi dentro una
delle camere per tornare a essere una
delle protagoniste delle orge.
Terminata la cerimonia
d'investitura mi soffermai qualche
istante nel vestibolo del tempio a
conversare con Ettore, lasciando che la
processione di incappucciati si
arrampicasse sull'ampia scalinata per
raggiungere le camere.
Compiaciuti nell'esserci
ritrovati dopo la lunga parentesi che mi
aveva tenuta lontana dall'abbazia, per
colpa dei miei genitori che mi avevano
internata in una comunità di recupero,
concordammo di incontrarci nella stanza
blu, accanto a quella rossa delle
sodomie. Con questo impegno mi
accomiatai da Ettore e lo salutai.
Passando davanti alla porta
della camera verde non fui tentata
d'entrare e passai oltre. L'ultima volta
che avevo messo piede in quel posto il
Grande Maestro mi aveva obbligata a
distendermi nuda sul pavimento
invitandomi ad allargare le cosce,
dopodiché mi aveva spalmato sulla figa
del burro di semi di granoturco. Infine
aveva costretto uno dei due dobermann,
che lo seguono sempre dappresso, a
leccare il cremoso composto che stava
depositato fra le grandi labbra. In
quella occasione arrivai all'orgasmo in
breve tempo e fu davvero un'eccezione,
perché di solito tardo a venire.
La porta successiva
immetteva nella camera nera. Mi
soffermai qualche istante sullo stipite
ad ascoltare le voci che provenivano da
lì. Proseguii oltre tastandomi il
fondoschiena memore di quanto mi era
accaduto in quella stanza. Durante uno
dei giochi erotici di cui ero stata
protagonista in quella camera uno dei
partner mi aveva infilato nell'ano il
collo di una bottiglia di champagne,
vuota, che, a causa del risucchio
intestinale, si era rifiutata d'uscire
dal retto. Era stato necessario
praticare un foro con la punta di un
trapano nel fondo della bottiglia per
diminuire la forza del risucchio ed
estrarmela dall'ano.
Bottiglie di Coca-Cola,
palle da biliardo, lampadine, candele,
uova sode erano strumenti di gioco del
tutto naturali per chi accedeva in
quella stanza, ma dopo quanto mi era
capitato non ci avevo più messo piede,
e nemmeno volevo saperne di farmi
infilare nel culo bottiglie e recipienti
di qualsiasi tipo e forma.
La camera rosa si trovava
sul fondo del corridoio, qualche metro
prima della camera blu. Era la mia
preferita, lì si praticava
esclusivamente il sesso saffico. A poche
femmine era permesso d'entrarci. Io
appartenevo alla ristretta cerchia delle
adepte ammesse a godere delle
prelibatezze della camera.
Mi piaceva scopare con un
uomo, ma fare all'amore con una donna la
consideravo la migliore delle opportunità
che potesse capitarmi nell'abbazia. E
poi succedeva spesso che durante i
convegni si facesse uso di falli doppi
in gomma morbida, di quelli con venature
che surrogano in tutto e per tutto il
cazzo dei maschi.
Ah! le donne, le donne.
Quante cose sono capaci di fare le
donne. Gli orgasmi migliori li ho
raggiunti con loro. Mi piace praticare dei 69
e leccare una figa mentre la mia partner
si danna l'anima a strusciare la lingua
sulla mia vagina. Stringere fra le
labbra un clitoride e succhiarlo fino a
provocare nella mia occasionale compagna
un doloroso piacere è ciò che più
soddisfa la mia compulsione sessuale.
Desideravo ardentemente, più
di ogni altra cosa, farmi una delle
ragazze che occupavano la stanza, ma ero
attesa nella camera blu. L'avevo
promesso a Ettore che sarei andata lì e
non potevo sottrarmi all'impegno preso,
conscia che nella stanza ci avrei
trovato il Grande Maestro.
La porta della camera blu
si trovava all'estremità del corridoio.
Il legno di noce di cui si pregiava le
conferiva un aspetto massiccio. Si
presentava decorata con intarsi di
sottili lamine di legno e madreperla che
la facevano sembrare ancora più
preziosa di quanto non era.
Giunta dinanzi all'uscio
bussai con il dorso della mano sulla
porta. Un istante dopo l'uscio si aprì.
Non sapevo se sarei uscita viva o morta
da lì, infatti, ero cosciente del sesso
estremo che si praticava nella camera,
ma ero intenzionata a mettere a
repentaglio la mia vita perché non
volevo trovarmi a consumarla in maniera
insignificante come fa la maggioranza delle
persone.
- Bentornata. - disse
l'anziana donna, che si affacciò sulla
porta.
Era nuda, senza veli addosso, con una
grossa catena al collo. Non era per
niente cambiata dall'ultima volta che
l'avevo incontrata. Profonde rughe le
scendevano ai lati della bocca, mentre
negli occhi verdi s'intravedeva una
grande debolezza. Il corpo appariva
smunto, denutrito, le tette pendule si
presentavano raggrinzite, un ciuffo di
peli cenerognoli le solcavano il pube.
- Prego, sì accomodi. -
disse con voce rauca scostandosi di
lato, trascinando dietro di sé la
grossa catena metallica che le cingeva
il collo.
La porta si chiuse alle mie
spalle e ancora una volta mi trovai a
dare sfogo alla mia sessodipendenza.
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