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2°
NON NOMINARE
IL NOME DI DIO INVANO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
L'ennesima
folata di vento entra nella stanza dalla
finestra spalancata. L'aria fresca della
notte sospinge la tenda nella mia
direzione e dà refrigerio al corpo
nudo.
Sdraiata sul letto, il
corpo imperlato di sudore, fatico a
prendere sonno. Sollevo il capo dal
guanciale e osservo il display della
radiosveglia. I led segnano le 2.00.
In questa notte d'agosto un
vortice d'immagini si accalcano nella
mia mente. Sono ombre e volti che
appartengono al passato e sembrano
volermi parlare. Non ho paura né orrore
di loro. Ormai ci conosciamo da troppo
tempo e ho imparato a conviverci.
Appartengono a uomini e donne che ho
visto spegnersi fra le mie braccia.
Vengono a farmi visita di notte quando
sono depressa oppure affaticata, e
questa è una di quelle notti.
Ricordo con affetto i volti
delle numerose persone che ho visto
morire. Li distinguerei fra mille
spettri. Il volto di Franco mi si fa
incontro. Lo riconosco dal particolare
modo di sorridere e per il labbro
superiore leggermente ripiegato all'insù.
Ho presente la notte in cui si è
suicidato gettandosi dalla finestra del
terzo piano della Clinica Urologica.
Sono stata la prima a
soccorrerlo. Era steso sul selciato,
immobile, un piccolo rigagnolo di sangue
gli usciva da un orecchio, unico indizio
della tragedia che si era consumata. E'
spirato fra le mie braccia prima che un
medico rianimatore potesse soccorrerlo.
Sto a fissare la sua ombra
e continuo a chiedermi perché non sono
stata capace di recepire la disperazione
che si portava dentro. Perché lo hai
fatto? Perché? Lui mi guarda, sorride e
il suo volto si dissolve nel buio delle
tenebre.
E tu Vittorina che ci fai
qui? Il volto dell'anziana donna,
segnato da rughe profonde come i solchi
di un aratro, mi si fa incontro. Ha gli
occhi infossati. Le labbra racchiuse
sembrano aprirsi e dirmi qualcosa, poi
sbocciano in un sorriso. Quante volte
l'ho lavata, vestita, pettinata. Quante
volte le ho accarezzato il volto
pensando di accudire la mia povera
nonna. Vittorina mi viene a cercare
mentre sto per addormentarmi, ma non so
cosa dirle.
Scaccio dalla mente quelle
immagini e mi rigiro nel letto
trascinando il corpo nudo fra le
lenzuola di raso. Mi stendo supina e
lascio che le dita scivolino sulla fica,
poi inizio ad accarezzarla.
L'inquietudine sembra assopirsi mentre
seguito a masturbarmi. Dopo che sono
venuta, stringendo forte le cosce sulle
mie dita, mi addormento.
Il trillo della
radiosveglia mi coglie impreparata,
mentre vorrei dormire ancora a lungo.
Rimango a crogiolarmi al caldo del
piumone per qualche minuto prima di
alzarmi da letto. Quando raggiungo
l'ospedale sono maledettamente in
ritardo. La mia collega di turno è
impegnata a ricevere le consegne dalle infermiere
che hanno trascorso la notte in corsia.
- Scusate il ritardo. La
suoneria della sveglia ha funzionato
benissimo, ma purtroppo mi sono
riaddormentata.
- Sei perdonata. - annuisce
Luciana, visibilmente prostrata dalla
nottata trascorsa in piedi.
- Ci sono novità? - chiedo
a Francesca, la mia compagna di turno,
dopo che le nostre colleghe hanno
lasciato la corsia.
- Niente di particolare.
Dividiamoci i compiti, piuttosto.
- Ti spiace se questa
mattina coadiuvo i medici durante la
visita? Tu occupati della
somministrazione delle terapie, delle
flebo e delle medicazioni. Ai prelievi
ci penso io. Va bene?
- Come vuoi, la cosa mi è indifferente.
Quando mi capita di
lavorare nel turno di mattina mi piace
entrare nelle camere dei pazienti ed
essere la prima a dare il buongiorno. E'
uno dei rari momenti della giornata in
cui posso entrare in confidenza con
loro. Dopo che hanno trascorso la notte
insonni, fra mille paure, hanno voglia
di parlare, di sciogliersi ed essere
rassicurati dalle parole amiche di una
donna.
La visita del primario
inizia alle nove in punto, come tutte le
mattine. Il codazzo di medici si muove
fra le stanze alla stessa maniera di una
processione con l’anziano primario in
testa. Li seguo dappresso trascinandomi
dietro il carrello delle cartelle
cliniche dei pazienti.
Durante la visita prendo
nota delle indicazioni terapeutiche e
annoto le richiesta dei medici per gli
esami ematici, radiologici o quant'altro
necessita ai pazienti. A mezzogiorno il
corteo raggiunge l'ultima camera di
degenza, dopodiché la visita del
primario sarà terminata.
- Buongiorno a tutti. - è
la frase che il direttore pronuncia ogni
volta che fa il suo ingresso in una
delle camere di degenza.
- Come sta signor
Lanfranchi? Ha ripetuto le coliche? -
chiede al paziente che occupa uno dei
due letti della stanza, mentre l'altro
letto è vuoto.
- No, niente coliche!
Grazie al cielo sto meglio.
- Come le ho detto nei
giorni scorsi, sia l'ecografia sia
l'urografia hanno evidenziato un piccolo
calcolo all'uretere di destra. Inoltre
è presente una modesta idronefrosi.
Lunedì mattina proveremo a estrarre il
calcolo in endoscopia.
- Sentirò male?
- Non deve preoccuparsi.
Risaliremo l'uretere con una piccola
sonda, agganceremo il calcolo e faremo
in modo che scenda giù. Tutto qui!
- Da ieri, professore, non
ho più evacuato. Ho bisogno di
liberarmi l'intestino. Potrei fare un
clistere?
- Sorella, le dispiace
prendere nota.
Annoto con una certa
irritazione il trattamento terapeutico
da eseguire. E' il quarto clistere che
dovrò praticare allo stesso paziente da
quando è ricoverato in questo reparto.
L'altra mattina, nel momento in cui ho
estratto la sonda dall'ano, ho notato
che nella mano stringeva il cazzo. La
cosa potrebbe anche considerarsi
normale, sennonché ce l'aveva dritto e
turgido, segno evidente che stava
traendo piacere da quell'insolita
terapia.
Sto riflettendo sulla
singolare richiesta del paziente quando
il codazzo di medici si allontana e mi
ritrovo da sola nella stanza in sua
compagnia.
- Allora sorella, quando
viene a farmi il clistere?
L'atteggiamento impudico
con cui mi sollecita la prestazione mi
infastidisce non poco. Lascio
trascorrere alcuni secondi prima di
rispondergli placando la rabbia che
sento divorarmi dentro. Osservo con
attenzione il pigiama di seta rosa che
indossa e gli rispondo garbatamente.
- Non si preoccupi signor
Lanfranchi fra non molto sarò da lei.
- Ah! Bene. Allora mi
preparo. - insiste soddisfatto.
Spingo il carrello fuori
dalla stanza e mi avvio verso la
guardiola.
Resa furiosa dalle parole
del paziente entro nella stanza delle
medicazioni e inizio a preparare
l'enteroclisma. Tutt'a un tratto una
strana idea mi frulla nella testa.
"Adesso gliela faccio
passare io la voglia di clistere a
quello là". Sbotto fra me. Afferro
il serbatoio di plastica che servirà a
contenere il liquido per l'enteroclisma
e mi avvicino al lavandino.
"A quello stronzo gli
faccio diventare il culo rosso come un
peperone. Altro che piacere! Il fuoco
nel culo gli metto".
Contrariamente alle mie
abitudini non mi servo di una soluzione
preconfezionata. Lascio che l'acqua
tiepida del rubinetto riempia il
serbatoio di plastica, dopodiché verso
nel contenitore la soluzione di sapone
di Marsiglia che ho provveduto a
sciogliere e fare bollire in un
tegamino. Infilo la mano all'interno del
contenitore e amalgamo la soluzione di
sapone e acqua. Quando la miscela è ben
diluita, e il fluido ha assunto un
aspetto lattiginoso, afferro la boccetta
dell'alcool denaturato e ne verso una
certa quantità all'interno del
serbatoio, senza rendermi conto degli
effetti devastanti che la miscela
potrebbe provocare all'intestino del
malcapitato.
Dall'armadietto delle sonde
estraggo un vecchio catetere di gomma.
Lo depongo dentro una arcella che ho
posto sopra il carrello delle
medicazioni, dopodiché tolgo dallo
scaffale dei farmaci un barattolo di
vaselina e un paio di guanti di lattice.
Quando mi presento sulla
porta della camera l'uomo è sdraiato
sopra le coperte del letto ed è intento
a leggere il Sole 24 Ore.
- Sono pronta. - dico,
mostrandogli un sorriso di circostanza.
- Ah! Bene, molto bene. Non
vedo l'ora di liberare l'addome da
questo gonfiore. Sa com'è, sorella,
stando fermo su questo letto l'intestino
si è impigrito e non mi riesce di
defecare. Anche quando sono a casa avrei
bisogno di fare continuamente dei
clisteri di pulizia, ma non sempre trovo
qualcuno disposto a farmelo.
"Ed io sono la cretina
che nel giro di una settimana te ne ha
fatti quattro eh!", penso mentre si
libera della giacca e dei pantaloni del
pigiama. L'osservo e non posso fare a
meno di pensare che il suo aspetto è
quello di un uomo apparentemente
normale.
Sfogliando le pagine della
cartella clinica sono venuta a sapere
che è impiegato in una piccola azienda
metalmeccanica. E' sposato e ha due
figli. Nessuno penserebbe a lui come a
un pervertito cui piace farsi inculare
da una sonda e godere del dolore
provocatogli da due litri d'acqua
nell'intestino.
- Allora signor Lanfranchi,
tolga le mutande e si metta sul letto:
Sdraiato sul fianco sinistro, mi
raccomando!
- Mi giro col sedere dalla
sua parte o preferisce che stia
dall'altra?
- No! Si sdrai col sedere
rivolto verso di me.
Durante lo scambio di
parole è rimasto ritto in piedi
dall'altra parte del letto col cazzo in
piena erezione pregustando l'attimo in
cui lo penetrerò. Pochi istanti dopo è
coricato sul letto nella posizione che
gli ho indicato.
- Mi raccomando sorella.
Faccia in modo che l'acqua scenda
lentamente. Ho l'intestino delicato. Non
vorrei evacuare troppo in fretta.
"Te lo do io il
bagno!" penso, mentre mi accosto al
carrello dei medicamenti. Avvicino la
pianta metallica al lato del letto,
dopodiché ci aggancio il contenitore
per l'enteroclisma. La miscela entrerà
nell'intestino del paziente per caduta.
La velocità sarà proporzionale
all'altezza in cui è posto il serbatoio
dell'enteroclisma. Abbasso l'asta della
pianta metallica in modo che il flusso
sia il più lento possibile.
- Se lei è pronto
inizierei. - lo informo.
- Faccia pure sorella. Non
vedo l'ora di liberare l'intestino
dall'ingombro che ho.
Indosso i guanti in lattice
e intingo un dito nel vasetto che
contiene la pomata di vaselina. Gli
ammorbidisco l'orifizio dell'ano con
l'unguento e sono pronta a infilargli la
sonda nel culo. L'uomo se ne sta
rannicchiato su se stesso con le mani
strette attorno il cazzo. Detergo la
punta della sonda con la pomata di
vaselina e, dopo avergli sollevato la
natica, cerco d'infilargliela nell'ano.
Lo sfintere, nonostante la
precisione con cui mi muovo, sembra non
volerne sapere di cedere alla pressione
della sonda, così recedo dal tentativo.
"Questo stronzo vuole
giocare duro, ma non sa con chi ha a che
fare!" penso, mentre mi rialzo.
- Signor Lanfranchi si
rilassi, esegua dei respiri profondi e
non stringa lo sfintere, sia bravo, eh!
- Non lo faccio apposta. Ho
solo un po' di paura.
"Te la do io
l'apprensione. Brutto porco!" mi
verrebbe da rispondergli, ma ancora una
volta mi trattengo dal dirlo. Di nuovo
spingo la punta della sonda contro lo
sfintere e questa volta lo penetro con
facilità. Durante questa manovra l'uomo
ha un debole sussulto di cui immagino
l'origine. Apro il rubinetto del
serbatoio e lascio che il liquido
defluisca nell'intestino.
- Esegua dei respiri
profondi in modo che il liquido penetri
in ogni anfratto nell'intestino. Mi
raccomando, eh!
Trascorre un certo lasso di
tempo prima che metà del liquido gli
penetri nelle viscere. L'uomo ha il viso
contratto. Un lieve strato di rossore
illumina le sue guance e la fronte.
L'iniziale spavalderia si è tramutata
in timoroso nervosismo.
- Sorella! Avverto uno
strano senso di calore all'addome.
- Non si preoccupi è colpa
della soluzione d'acqua saponata.
L'uomo inizia a contorcersi
per il dolore e abbandona l'impugnatura
dell'uccello.
- Oddio! Oddio! Che dolore!
Che dolore!
- Deve avere pazienza.
Manca poco al termine. Dopo starà molto
meglio.
- Oddio che male! Che male!
- Su... Su... Signor
Lanfranchi non stia a imprecare. Deve
avere pazienza.
Il liquido è disceso quasi
completamente nell'intestino quando
l'uomo, imprecando e bestemmiando, si
solleva dal letto. Toglie la sonda che
tiene infilata nell'ano e il liquido si
sparge sul copriletto. Chiudo il
rubinetto dell'irrigatore in modo che il
resto del clisma non si disperda sul
materasso.
In piedi, accartocciato su
se stesso. Si lamenta, impreca. Senza
infilarsi le mutande si dirige verso la
porta del bagno.
- Mi raccomando trattenga
il liquido nell'intestino più a lungo
che può. - gli suggerisco mentre non
posso fare a meno di lasciarmi sfuggire
una smorfia di compiacimento.
Raccolgo l'attrezzatura che
mi è servita a effettuare
l'enteroclisma e la ripongo sul
carrello. Mi avvicino alla porta che dà
sul corridoio. Porgo un ultimo saluto al
signor Lanfranchi rinchiuso nel bagno.
- Tutto bene signor
Lanfranchi?
- Tutto bene un cazzo! Ma
si può sapere cosa mi ha messo dentro?
Ho l'intestino che brucia... E' tutto un
fuoco. Oddio che male! Che male!
- Non si preoccupi. Le
passerà...
Mentre mi allontano mi
tornano alla mente i fantasmi che
stanotte sono venuti a farmi visita e
non posso fare ameno d'augurarmi di non
ritrovare fra loro quello del signor
Lanfranchi, non lo sopporterei.
*
* *
Il trillo del campanello, collegato al
quadro elettrico e alle camere dei
degenti, viene a distogliermi dal lavoro
che sto portando avanti. Mi giro verso
il quadro luminoso e noto che è acceso
il numero 6: quello della stanza in cui
è ricoverato il signor Lanfranchi.
- Vado io. - informo
Francesca.
Quando entro nella stanza
l'uomo se ne sta coricato sul letto. Ha
il volto madido di sudore. Il viso è
talmente pallido che il colore della
pelle assomiglia alla luce di un neon.
- Ha bisogno? Si sente poco
bene?
A malapena l'uomo riesce a
balbettare alcune parole.
- Ho passato il calcolo.
Almeno questa è la mia impressione.
Mi indica un piccolo
granulo, simile a un chicco di riso che
giace sul comodino.
- Allora il clistere le ha
fatto bene. Complimenti! Non dovrà più
essere operato
- Quello che ho passato nel
bagno è stato molto peggio di una
operazione.
- Però ora sta meglio.
- Ringrazio Padre Pio per
la grazia ricevuta.
- Lasci stare il frate. Ha
cose ben più importanti a cui pensare.
Ringrazi piuttosto l'alcool...
- Non capisco.
- Non occorre. Arrivederci
signor Lanfranchi.
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