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SCHERZO
DI NATURA
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Quando
mamma mi diede alla luce fui considerata
una splendida neonata. Ho trascorso i
primi anni della vita in maniera serena.
I miei genitori raccontano che ero una
bambina particolarmente vivace, infatti,
a differenza delle mie compagne,
preferivo praticare giochi violenti:
quelli che i maschi sono soliti fare fra
loro anziché giocare con le bambole.
Provavo un dannato piacere
nel picchiare gli altri bambini, anche
quelli più grandi di me. Ogni occasione
era buona per batterli, sennonché
venivo sempre rimproverata da qualche
madre iperprotettiva che correva in
aiuto dei figli.
Tutto normale, ripeto, ma
verso i tredici anni qualcosa mutò
nella mia vita, anzi a dire il vero
qualcosa non avvenne per niente,
infatti, mentre le mie compagne di
scuola avevano sviluppato gli attributi
sessuali femminili secondari, io rimasi
confinata nella mia fanciullezza.
Ascoltavo le mie amiche fare
discorsi a proposito del ciclo mensile,
ma il linguaggio che usavano mi era
incomprensibile. Colpa della mia scarsa
educazione sessuale, infatti, nemmeno
sapevo cosa significasse la parola
menarca.
Mio padre non si occupava della mia educazione impegnato
com'era a realizzarsi nel proprio lavoro, cosicché
non diede importanza ai miei problemi,
nonostante mamma lo assillasse di
domande preoccupata per la mancata
crescita dei miei attributi femminili.
In ansia per il mio stato mamma mi
condusse in ospedale per farmi visitare
da alcuni medici pediatri. Costoro si
limitarono a rassicurarla: "Tutto
normale, signora. E' un caso di ritardo
di crescita", dissero.
Avevo quindici anni quando
per la prima volta mi visitò una
ginecologa. A differenza dei medici
pediatri non si limitò a guardarmi in
viso, mi fece sdraiare gambe all'aria
sopra un lettino ginecologico e dovetti
subire l'esplorazione delle sue dita. E
potete immaginare dove. Appena ebbe
inizio l'indagine la dottoressa si fece
seria. Mamma, notando l'espressione
turbata del viso della ginecologa, si
mise in apprensione.
"Niente di grave, non
si preoccupi" la tranquillizzò la
ginecologa.
Grave non la ero, pensavo,
ma l'irreprensibile dottoressa si
precipitò in una stanza attigua e la
sentii parlottare al telefono. Rientrò
dopo un po' di tempo accompagnata da un uomo anziano che si
presentò a mia madre come il direttore
della clinica.
Anche lui mi sottopose a
esplorazione vaginale, dopodiché informò
mamma che ero priva del collo dell'utero
e la mia "vagina" era a fondo
cieco. Lo era perché l'utero non lo
possedevo. E non lo avevo perché non
ero una donna. Ero, e sono, un uomo.
L'affezione di cui soffro
si chiama "Sindrome di Morris"
detta anche "femminilizzazione
testicolare". Ero un maschio, mi
spiegarono, ma per difetto congenito,
assai raro, mancavo della sensibilità
all'effetto virilizzante degli ormoni
maschili.
Non ero ermafrodita, ma
solo un maschio poco sviluppato. Avevo i
testicoli, ovviamente, ma erano
prigionieri nell'addome, nello stesso
luogo in cui sarebbero dovute esserci le
ovaie. Ah, già, Lui, il pene - e la
cosa a questo punto è facilmente
comprensibile - era rimasto
piccolissimo. Come fosse un grosso, ma neanche
poi tanto, clitoride.
Mamma sembrava non capire
qual era il mio stato. Ma anch'io ci
rimasi male, come si può facilmente
immaginare. Dopo la prima visita iniziai
una penosa trafila di controlli,
ispezioni, e consulenze. Tutte
ovviamente inutili: la diagnosi
formulata inizialmente dalla ginecologa
trovò ogni volta conferma. Il danno,
ahimè, irreversibile, era già avvenuto
nella pancia di mia madre, e un maschio
vero non lo sarei mai diventato.
Ah, già, dimenticavo:
avevo l'ormone del testosterone in
misura uguale a quello di un uomo e i
miei testicoli producevano una quantità
di estrogeni che in un maschio normale
non si notano, ma che sul mio corpo si
scorgevano, eccome!
All'età di sedici anni ero
alta un metro e settantatré centimetri,
con dei muscoli troppo sviluppati per
una ragazza. Difatti, a scuola,
eccellevo in tutti gli sport.
I miei gusti sessuali erano
apparentemente assenti, mi consideravo
amica di tutti ma non mi piacevano ne' i
maschi ne' le femmine.
Mia madre mi fece esaminare
dai più illustri psichiatri e psicologi
della città. Tutti si dichiararono
concordi nel ritenermi un caso clinico
piuttosto interessante.
Ero frastornata,
emotivamente non ci capivo niente,
dopotutto ero solo una ragazzina o un
ragazzino, se preferite, spaventato.
Mamma, indomita, non si
diede per vinta e infine trovò uno
specialista che le propose ciò che
voleva sentirsi dire: "Qui occorre
una cura ormonale per trasformare suo
figlio, per quanto sarà possibile, in
una donna".
In effetti, la cosa aveva
una sua logica. La terapia consisteva
nella castrazione dei miei
"inutili" testicoli e nella
somministrazione di estrogeni. Quando
capii di cosa si trattava, rifiutai di
sottopormi a quella terapia.
"Non c'è problema,
potrà sempre farlo in seguito"
disse lo specialista andrologo per
rassicurarci.
Invece mia madre mi obbligò
ad assumere dosi massicce di estrogeni
che fisicamente non tolleravo. Gli
ormoni mi procuravano nausea e
m'intristivano, ma le mie forme, piuttosto
androgine, si addolcirono sempre più.
Le ossa del bacino, sufficientemente
strette, rimasero tali, ma i fianchi si
arrotondarono. I seni, dapprima poco più
che due boccioli, si svilupparono in
modo consistente. Alta, slanciata,
spalle larghe, con gambe affusolate, serbavo
un culo sodo (dopotutto ero un
mezzo uomo) pur se androgina, e alla
gente apparivo come una gran figa.
Dopo un anno di terapia
smisi di assumere estrogeni, seppure
indispensabili per metabolizzare il
calcio nelle ossa, e poco per volta
tornai al mio stato naturale.
La vigoria atletica e il
buon umore tornarono a essere quelli di
prima, ma le tette, con mia grande
sorpresa, restarono tali; grosse e
seducenti.
L'impiego eccessivo di
estrogeni le aveva sviluppate in modo
irreversibile. D'altronde anche le donne
in menopausa mantengono le tette grosse,
seppure flaccide.
La menopausa è un'altra
delle pene che mi sarà risparmiata, se
mi sarà permesso campare a lungo.
Neanche la contraccezione è stata un
problema poiché sono sterile.
Mi consideravo, ed ero, un
caso clinico. Dovete sapere, infatti,
che nel momento in cui i miei testicoli
ricominciarono a produrre testosterone,
anche la mia nullità sessuale
psicologica cominciò a scemare. In
altri casi simili al mio non era
successo, ma a me invece capitò.
Mi resi conto, giorno dopo
giorno, che ero maschio. O almeno così
mi sembrava d'essere poiché non avevo
altri termini di paragone. La cosa
appariva molto evidente per ciò che
concerneva i lati del mio carattere,
tranne che per le preferenze sessuali,
completamente assenti perché bloccate
dal mio super-io.
Presi coscienza del mio
stato e poco per volta cominciai a
sbloccarmi, e d’incanto il mondo cambiò
ai miei occhi.
Non fu facile da sopportare
questo mio stato. Ero un uomo
imprigionato nel corpo di una donna.
Insomma, una vera tragedia.
All'età di sedici anni non
avevo ancora acquisito l'audacia di
tentare qualche timido approccio
sessuale con le ragazze, ma amavo
frequentare i maschi sentendomi come una
di loro.
Andavamo nelle discoteche e
lì mi accaloravo facendo le cose più
sconvenienti. Ai miei compagni di
baldorie, adolescenti come me, non
pareva vero di avere un'amica così
diversa dalle schifiltose ragazze con
cui erano soliti uscire in compagnia, ma
nel contempo ero considerata una
strafiga come poche altre.
Alcuni di loro
s'innamorarono perdutamente di me, ma io
rifiutai i loro approcci. Cercavo un
modus vivendi, un accordo con la mia
folle anatomia, e la cosa più semplice
fu quella di farmi passare per donna. E
per tutti, maschi e femmine, lo ero per
davvero!
Dedicai il massimo impegno
nel mostrarmi femmina, ma era
impossibile contrastare la natura. Tra i
miei amici ce n'era uno in particolare,
Luca, con cui condividevo gran parte del
tempo libero.
Era fidanzato con una
ragazza molto carina, per giunta, e da
quel lato ero tranquilla (lei un po'
meno) sulle eventuali complicazioni del
nostro rapporto. Superfluo dire che Luca
non era a conoscenza della mia vera
natura. Entrambi avevamo la passione per
le moto da enduro, e spesso
trascorrevamo i fine settimana in
montagna inerpicandoci con le due ruote
per sentieri e carraie.
Manovravo la moto con
disinvoltura, forte della mia stazza
fisica e per le ore trascorse in
palestra a irrobustire i muscoli, come
succedeva a ogni "ragazzo"
della mia età. E' stata la passione a
tradirmi (quella per le moto, intendo).
Un pomeriggio, dopo che
c'eravamo arrampicati in cima a una
montagna, ci fermammo all'ombra di una
pineta per riposarci e riprender fiato.
Rapita dalla splendida vista panoramica
mi coricai sul prato, tolsi il casco, e
lasciai che i capelli, biondi e lunghi
fino al fondoschiena, (unica concessione
alla mia presunta femminilità) si
liberassero.
Sudavo copiosamente (altro
retaggio della presenza di ormoni
maschili), ragione per cui mi tolsi la
maglietta imbottita che portavo sotto il
giubbotto di pelle. Rimasi con indosso i
pantaloni di cuoio, semiaperti, il solo
reggiseno e le mutandine.
Sdraiata sul prato,
seminuda, sudata, coi capelli arruffati,
dovevo apparire la donna meno sexy sulla
faccia della terra, ma non fu così per
il mio povero amico. Luca manteneva lo
sguardo da pesce lesso fisso su di me e
intuii subito qual era il suo problema.
Sciupata com'ero non potevo
pensare di avere fatto improvvisamente
colpo su di lui, evidentemente, morosa o
no, era cotto di me da molto tempo. Era
un bel ragazzo, non che la cosa
m'importasse granché, ma se volevo
perdere la verginità quella era
l'occasione giusta.
Decisi di provare a fare la
donna per davvero, lasciai che mi
abbracciasse, cosa che fece mostrandosi
dolce nell'approccio con me.
- Sei bellissima! - disse
carezzandomi i capelli, poi si soffermò
a sfiorarmi con le dita il viso. Iniziò
a sbaciucchiarmi l'incavo fra collo e
spalle, eccitato come non l’avevo ai
visto sino allora, mentre io rimasi
passiva come un'oca giuliva sotto di
lui, infine posò le labbra sulle mie e
m’infilò la lingua nella bocca.
Il bacio mi suscitò un
certo imbarazzo. Il sudiciume della
saliva che riversò in grande quantità
nella mia bocca mi costrinse a ritrarmi.
La cosa sembrò infastidirlo, ma non
perse la voglia di scoparmi.
Non desideravo essere
baciata, ma ero decisa a perdere
l'illibatezza. Girai la testa di lato e
slacciai il reggiseno mostrandogli i
seni. Luca si lanciò su di me e mi
abbassò le mutandine. L'ultima cosa che
vidi con lucidità fu il suo cazzo in
piena erezione. Di quello che accadde
dopo non ricordo nulla, tranne un forte
senso di soffocamento.
Ho completamente rimosso
quell'accadimento dalla mia mente e
ricordarlo mi fa stare male. Il cazzo
rimase dentro di me per un tempo
interminabile, fintanto che Luca venne e
si scostò dal mio corpo. Il distacco fu
l'unico piacere che provai in quella
occasione. Dopo quella squallida
esperienza non ho più osato rivolgere
le mie attenzioni su di un uomo. E con
le donne allora? Niente,
caratterialmente non riuscivo a
sopportarle, le consideravo troppo
diverse da me. L'unica cosa che
desideravo era portarmele a letto, ma
ero incapace di una qualsiasi
iniziativa. La vita, da questo punto di
vista, era veramente impossibile.
Per molti anni ho seguitato
a masturbarmi, ma dopo la cura di
estrogeni e il successivo ritorno alla
normalità accadde un fatto abbastanza
strano. Guardandomi nuda davanti allo
specchio mi trovai a subire una sorta di
sdoppiamento schizofrenico. Il mio io
maschile rimirava perplesso le sinuose
forme della gran figa riflessa nel vetro
e diventai guardona di me stessa.
Trascorrevo molto tempo
davanti allo specchio accarezzandomi il
corpo, voluttuosamente, finendo ogni
volta per masturbarmi. Toccavo ogni
anfratto come se possedessi quattro
mani. Vi sembra tanto strano? Allora,
chi di voi maschi non si è mai sparato
una sega davanti allo specchio? E’ da
narcisisti farlo, ma nel mio caso era più
che giustificato.
Queste esperienze
autoerotiche, per quanto fantasiose,
erano ovviamente una misera cosa. Ho
cominciato a sbloccarmi sessualmente da
adulta quando ho preso a frequentare
ragazze che avevano la dubbia fama di
essere lesbiche. Sarà tutto più
facile, pensai. Sbagliavo!
Nella miei primi contatti
con il mondo omosessuale femminile venni
a contatto con due tipi di ragazze di
questo genere. Le prime non erano
affatto omosessuali, ma lo lasciavano
intendere per attirare su di sé
l'attenzione dei maschi, che, per un
motivo che non riuscirò mai a
comprendere, sono irresistibilmente
attratti dall'idea di fare l'amore con
una lesbica. Mentre le ragazze brutte,
mezzi maschi, erano tutte lesbiche per
davvero. Lo capii da come mi guardavano
e provavo disgusto verso di loro, ancora
più che per gli uomini.
Gusti troppo difficili?
Forse, ma non scordate che ero
fisiologicamente un uomo e mi piacevano
le belle donne, quelle fatte come me!
(forse avrei dovuto cercare un altra
Morris per trovare la pace, ma come vi
ho detto siamo casi della natura assai
rari).
Controvoglia arrivai non
vergine, ma casta, all'età di
vent'anni. Nel frattempo mi ero iscritta
alla facoltà di Medicina e frequentavo
con profitto il secondo anno del
percorso quinquennale. Fu durante una
delle sessioni d'esami che conobbi
Jasmine.
Davanti all'aula dove era
riunita la commissione d'esame ero
intento a sfogliare un libro di anatomia
quando una ragazza, pure lei lì per
sostenere l'esame, che conoscevo a
malapena, appoggiò la schiena al muro
accanto a me. Afferrò una delle mie
mani e la strinse forte alla sua. Era
mulatta, ma in quella particolare
situazione era pallida come un cencio.
Ci rincuorammo a vicenda
cercando conforto nelle parole
dell'altra. L'esame era a sessioni
multiple, fummo chiamate a sostenere la
prova quasi contemporaneamente. Più
tardi la ritrovai al bar, vicino alle
aule didattiche, luogo d'incontro
abituale per gli studenti. La tensione
che mi opprimeva prima di sostenere
l'esame era sparita lasciando posto a
una forte eccitazione. Tutt'e due
avevamo superato l'esame di anatomia.
Lei aveva ottenuto 21/30 io 30/30.
Jasmine, questo era il suo
nome, rovesciò sulla mia persona una valanga di
parole pronunciandole in un italiano
quasi perfetto. I suoi occhi scuri come
la notte parevano cercare disperatamente
i miei. Iniziai a riscaldarmi di nuovo,
ma per tutt'altra ragione rispetto
all'ansia dell'esame che avevo da poco
sostenuto. Mi raccontò della
preparazione affrettata e di come era
riuscita a sovvertire una situazione che
sembrava compromessa facendo gli occhi
dolci all'esaminatore di turno.
Jasmine era somala, ma
aveva l'aspetto di una donna caraibica.
Il vestito di color fucsia che aveva indosso le
stava da dio e metteva in dovuto risalto
le splendide gambe. I capelli corti a
scalare, gli occhi neri, e il profumo
delicato della pelle le conferiva una
sensualità fuori dal comune.
L'eccitazione che mi aveva messo addosso
nell’ascoltare le sue parole la
esplicai in un invito formale.
- Ti andrebbe di rilassarci
un po' nuotando nella piscina di casa
mia? Magari questo pomeriggio?
Jasmine accettò l'invito e
mi ringraziò.
Avevo acquisito una certa
esperienza con le ragazze e questa
conoscenza mi diceva che Jasmine non era
lesbica, ma un po' troia sì.
Quel pomeriggio i miei
genitori erano assenti ed ero sola
dentro casa. Jasmine arrivò puntuale alla
guida del suo cinquantino, talmente
incantevole da levarmi il fiato di
dosso.
Indossava un sari di seta,
elegantissimo. Mentre incedevo insieme a
lei verso la piscina mi soffermai a
pensare a tutte volte che in università
l'avevo incontrata. In quelle occasioni,
come era accaduto in mattinata,
indossava abiti occidentali
sufficientemente castigati. Difetti il
suo corpo sembrava non averne, ma
mostrava d'avere poco seno.
Jasmine si tolse il sari e
rimase con indosso un bottom; poco più
di un tanga. Anch'io mi liberai degli
abiti e rimasi in topless.
Nuda era fantastica, oltre
al viso incredibilmente dolce, aveva un
corpo perfetto. I seni erano piccoli, ma
ben fatti, con le areole dei capezzoli
brune. La vita era sottile e i fianchi
deliziosamente larghi. Le gambe erano
lunghe e slanciate, mentre l'addome,
affusolato, si allargava raccordandosi
col bacino con una perfezione degna del
migliore scultore. Il sedere, poi, aveva
la forma tipica delle donne di colore a
cui l'abbronzatura naturale faceva
risaltare le forme delle natiche.
Il corpo di Jasmine era un
inno alla femminilità, roba da fare
resuscitare un morto. Ma io ero viva e
sbavavo di fronte a lei. Nel mio corpo
di donna sentii ergersi prepotente il
mio carattere di maschio. Fossi stata
una vera donna sarei rimasta avvilita
dal confronto con Jasmine, anche se non
sono fatta male e scoppiavo di una
brutale voglia sessuale nei suo
confronti.
Jasmine parlava e rideva
rivelandomi aneddoti della sua vita di
universitaria, ma non m'importava granché
di quello che diceva. Era una ragazza
solare, allegra e simpatica. Ero
stordita dal desiderio di scoparla e
depressa per non poterlo fare. Mi
sentivo imbarazzata e pensai che avrebbe
potuto leggermi in viso questo mio
interesse, del tutto inopportuno.
Jasmine si gettò in acqua
e incominciò a nuotare. Rimasi a
guardarla mentre accarezzava il pelo
dell'acqua mostrandomi per intero il
fondoschiena.
- Dai vieni anche tu in
acqua. - disse gesticolando un braccio
nella mia direzione.
Al mio diniego uscì dalla
piscina e mi venne vicino spruzzandomi
addosso delle gocce d'acqua. Mi difesi
aggrappandomi a lei stringendola con
forza a me. Dimenticai il mio imbarazzo
e le avvolsi il sedere con le mani.
- Hai un bellissimo corpo.
– dissi pronunciando quelle parole
sottovoce all'orecchio.
Lei continuò a scrollare
le mani bagnate d'acqua indirizzandomi
una buffa smorfia con il viso.
Mi attardai a palparle il
culo con discrezione, continuando a
lodare la freschezza della sua pelle.
Restammo abbracciate per un po' di tempo
fintanto che si allontanò da me
ravvivandosi i capelli bagnati.
Era meravigliosa.
- Ma cosa dici? - disse
osservando il mio corpo da capo a piedi.
- Anche tu hai un bellissimo corpo e poi
hai delle tette splendide.
Allungò una mano sopra un
mio seno e lo accarezzò stringendo le
dita attorno al capezzolo, poi avvicinò
le labbra all'estremità della sporgenza
e iniziò a succhiarlo.
Mi trovai sul punto di
svenire per il piacere che sapeva
donarmi la sua bocca dopo una vita
condotta in castità. La vista mi si
annebbiò e non riuscii a fingere
indifferenza, lasciai cadere la testa
all'indietro, poi emisi più di un
gemito di piacere. Quando rialzai il
capo avevo il suo viso vicino al mio.
- Mi piaci da impazzire. -
bisbigliò con le labbra tumide al mio
orecchio
Una specie di gorgoglio fu
la sola risposta che mi uscì dalla
bocca. Jasmine lasciò cadere le labbra
sulle mie e mi baciò intimamente. La
stessa cosa era accaduta tempo addietro
con Luca, ma stavolta l'effetto si rivelò
ben diverso. La dolcezza e l'erotismo di
quel bacio erano indicibili; era come se
fosse la mia prima volta.
Mi sentivo galleggiare e la
testa sembrava eccedere in capriole,
almeno così mi sembrava. (In seguito
ripensai a lungo a quel momento, prima
di allora non sapevo che un uomo
"vero" provasse questo tipo di
sensazioni scambiando un semplice bacio
e capii che nel mio intimo possedevo
anche qualcosa di femminile). Che
volete, sono un mistero sessuale anche
per me stessa.
Dopo il primo lunghissimo
bacio mi sentii più rilassata. Con
naturalezza cominciai a carezzarla senza
dissimulare la voglia che avevo di
scoparla. Lei si tirò indietro e si
fece seria, cominciò a guardarsi
attorno, conscia che qualcuno avrebbe
potuto vederci nonostante la fitta siepe
che si ergeva attorno alla piscina. Bastò
uno sguardo per farle intendere che
potevamo entrare in casa. Lei mi seguì
tenendomi per mano.
La mia stanza da letto si
trovava al primo piano della villa.
Avevo l'adrenalina alle stelle e mi
sentivo forte come una leonessa. Solo in
seguito venni a sapere che la mia
splendida cerbiatta era in realtà una
splendida bisessuale, piuttosto nota
negli ambienti bene della città, che
amava darsi a uno e all'altra per
mantenersi agli studi universitari.
Jasmine si coricò sul
letto e io le fui sopra. Cominciammo a
baciarci e toccarci intimamente. Se
fossi stata una donna vera, scusate la
volgare crudezza, sarei stata bagnata
nella figa, ma non la ero per la mia
peculiarità anatomica. In compenso mi
sentivo il cazzo duro, enorme, come se
stesse per uscirmi dalle mutandine.
Non ce l'avevo, ovviamente,
si trattava di una sorta di arto
fantasma. I capezzoli invece mi tiravano
da scoppiare, specie quando incominciò
a succhiarli con evidente piacere.
Il delizioso interludio si
concluse quasi subito poiché lei scese
dal letto, ma solo per sfilarsi il
tanga. Lo fece guardandomi con uno
sguardo malizioso e divertito. La imitai
e mi liberai delle mutandine. Lei si
coricò di nuovo accanto a me e
cominciai a toccarla intimamente.
Jasmine al contrario di quanto non era
successo a me era bagnata fradicia,
eccome!
Spinta dall'impulso
primordiale della mia strana mascolinità,
sapevo esattamente cosa fare e cominciai
a nutrirmi del suo splendido pube.
Jasmine iniziò a gemere
scalfita dai movimenti della mia lingua.
A un certo punto non ne potevo più, le
montai sopra e cominciai a scoparla,
prima lentamente e poi sempre più
furiosa.
Stavo vivendo dei momenti a
dir poco meravigliosi, ma sentivo la
mancanza di un pene, che pensavo di
possedere ma che anatomicamente non
c'era.
Desideravo penetrare
Jasmine e sentirmi avvolta da lei per
riempirla di sperma, ma non mi era
permesso. Il mio uccellino-clitoride era
durissimo e cominciai a strofinarlo
sulla sua passera.
Scopai, entrando per quanto
mi era permesso dentro di lei, e mi
persi in un vortice di piacere. Alla mia
compagna accade la stessa cosa.
Dopo due ore di orgasmi,
quasi ininterrotti, giunsi alla
sorprendente conclusione che essere uno
scherzo della natura non era così male.
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