SAPORE DI SALE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

       Il serpentone di autovetture occupava entrambe le corsie di marcia dell'autostrada del Brennero in direzione Nord. Carlo e io eravamo partiti da Parma alle otto in punto, ora in cui, secondo le previsioni della polizia stradale, si sarebbero messi in viaggio milioni di vacanzieri.
   Alla confluenza dell'autostrada Milano-Venezia con la Modena-Brennero una colonna di autovetture aveva rallentato la nostra marcia. La teoria di autovetture era lunga una decina di chilometri. Lo avevamo appreso dalle frequenze 103.3 di Isoradio, su cui avevamo sintonizzato l'autoradio, per rimanere aggiornati sulle condizioni di viabilità delle strade. 
   La vettura su cui viaggiavamo, un Bmw station-wagon, era priva d'aria condizionata a causa dell'impianto guasto. Nell'abitacolo la temperatura aveva raggiunto i 38 gradi e il caldo si era fatto insopportabile. I vetri delle portiere anteriori, mantenuti abbassati, lasciavano entrare oltre all'aria fresca i gas di scarico delle autovetture che ci precedevano. Scostai il sedile all'indietro e sistemai le caviglie sopra il cruscotto mantenendoci le gambe stese.
   Tutt'a un tratto il getto d'aria che fuoriusciva dai bocchettoni del pannello di comando mi sollevò la gonna e la fece ricadere sull'addome. Carlo approfittò di un attimo di distrazione dell'uomo alla guida della vettura che ci precedeva per infilarsi nella corsia di sorpasso, ma dopo alcune decine di metri ci ritrovammo di nuovo con l'auto bloccata. Agguantai la bottiglia d'acqua minerale che conservavo nella borsetta e mi dissetai. Quando l'allontanai dalle labbra, dopo essermi dissetata, girai il capo alla mia destra e incrociai lo sguardo dell'uomo alla guida della vettura affiancata alla nostra.
   Il tizio si sporse dal finestrino e finse di guardarsi d'intorno, interessato a sbirciare le mie gambe piuttosto che il resto del panorama. Era calvo e mostrava un capo lucido simile a quello di una palla da biliardo. Un fazzoletto annodato attorno al collo fungeva da barriera alle gocce di sudore che gli scendevano copiose dalle guance. Indossava una canottiera bianca macchiata in più parti di sudore. Sul sedile accanto all'uomo c'era seduta una donna esageratamente obesa che cercava di mitigare l'arsura agitando un ventaglio.
   L'auto su cui viaggiavano, una Fiat Ritmo colore blu cobalto, aveva il portapacchi occupato da una montagna di valigie e scatoloni da imballaggio. La carrozzeria, sottoposta a siffatto carico, sfiorava con il tubo della marmitta il selciato stradale. 
   L'uomo volgeva di continuo lo sguardo nella mia direzione interessato a guardarmi le cosce scoperte. Incurante del suo sguardo, ma desiderosa di provocarlo, iniziai a carezzarmi le ginocchia e l'inguine facendo sembrare i movimenti delle dita il più naturali possibili.
   Impegnato com'era ne guardarmi gambe e cosce cessò di rispondere alle parole che a getto continuo la moglie gli scaricava addosso.
   - Ma che fai ? - disse Carlo. - Dai spettacolo? La gente ti osserva, smettila di fare la puttana per favore! Possibile che devi sempre farti compatire ogni volta che ne hai l'occasione.
   - Ma dai, sto divertendomi a fare sbavare quel povero vecchio. Guarda che montagna di lardo ha accanto a sé.
   Stavo ammiccando un sorriso al mio occasionale ammiratore quando Carlo pigiò il piede sul pedale dell'acceleratore. L'automobile si mise in movimento insieme alla colonna di macchine che aveva ripreso ad avanzare. Superata l'uscita di Verona Nord il traffico riprese a scorrere veloce e proseguimmo nella marcia di avvicinamento verso le montagne del Trentino.

   Meta delle nostre vacanze estive era una piccola azienda agrituristica denominata "Lo Scoiattolo" in Val di Fassa. La fattoria era in un posto isolato e raggiungerla non fu un impresa facile. Ci arrivammo percorrendo una strada sterrata che dal fondo valle s'inerpicava sino al crinale di una montagna.
   La malga era una preziosa gemma immersa nel verde, l'ideale per trascorrere una vacanza tranquilla. Verso sera ci ritrovammo seduti sulle panche della cucina, attorno a un lungo tavolo, intenti a consumare la cena insieme agli altri ospiti della azienda agrituristica.
   I carboni ardenti del caminetto diffondevano nell'ambiente un certo tepore. Il padrone di casa e la moglie ci servirono un primo piatto di pasta e fagioli che divorammo in un batter d'occhio. Con qualche difficoltà riuscimmo a comunicare con una coppia di tedeschi e un'altra di Reggio Emilia, quest'ultimi troppo indaffarati a badare ai loro figlioli piuttosto che a socializzare col resto della compagnia.
   Una polenta fumante fece da prologo alla portata di alcuni tegami di carne di camoscio in umido. Una leccornia cui non eravamo avvezzi stante l'abitudine che abbiamo, io e mio marito, di consumare pietanze cucinate in modo sbrigativo. Dopo cena ci addormentammo nel tepore della baita adeguatamente riscaldati da una trapunta di piumini d'oca.
   La vacanza era una occasione per ritemprarci dalle fatiche accumulate sul posto di lavoro, ma soprattutto per allentare le tensioni e lo stress che negli ultimi mesi ci aveva condotto a litigare sempre più spesso.
   La mattina seguente il nostro arrivo alla baita, consumata la colazione, abbandonammo l'agriturismo per farvi ritorno soltanto verso sera. La moglie del gestore, prima che ci allontanassimo, si premurò di consegnare a ciascuno dei due un sacchetto con una provvista di cibo.
   - C'ho messo dentro del pane, alcune mele, dello speck e del formaggio di capra di nostra produzione. Fate attenzione perché è molto piccante. Al ritorno fatemi sapere se il cibo è stato di vostro gradimento, mi raccomando.
   - Grazie, signora. - dissi esprimendole la nostra riconoscenza con un sorriso. - Questa sera le faremo sapere se c'è piaciuto, ma sono certa che sarà tutto ottimo.
   Distante qualche centinaio di metri dalla baita c'imbattemmo in un laghetto alpestre. Rapita dalla pace di quel luogo scelsi di non accompagnare Carlo nell'escursione. Decidemmo di consumare il pranzo di mezzogiorno in quel prato, al suo ritorno dalla camminata. Se invece avesse tardato avrei pranzato da sola.
   Il laghetto era circondato da una vasta area erbosa e da un fitto bosco di abeti. Poco distante dal prato dove avevo scelto di coricarmi, decisa ad abbronzarmi ai cocenti raggi del sole, pascolavano alcune vacche da latte e delle capre, ma non ci feci troppo caso.
   Dopo essermi liberata del tanga e del reggiseno tolsi dallo zainetto la giacca a vento e la dispiegai sull'erba, insieme al maglione che mi ero tolta in precedenza, poi mi ci sdraiai sopra. 
   Mi piace prendere il sole nuda, specie alle elevate altitudini, difatti i raggi ultravioletti oltre i mille metri d'altezza sono più penetranti e conferiscono alla pelle una abbronzatura dorata. 
   Da una tasca dello zainetto levai un libro. Accostai il capo sullo zainetto e iniziai a leggere le pagine del romanzo.
   Il calore dei raggi del sole sul mio corpo era mitigato da una leggera brezza di vento. Concentrata nella lettura del romanzo non mi avvidi del sopraggiungere di un ospite. Allarmata da un rumore che proveniva alla mia destra girai il capo in quella direzione. A poca distanza dal terreno erboso in cui ero coricata vidi una capra. 
   L'animale, per nulla intimorito dalla mia presenza, stava cibandosi d'erba. Guardai l'orologio. Il tempo era volato. L'una era passata da più di mezz'ora.
   La vista dell'animale, intento a sfamarsi, mi fece venire voglia di assumere del cibo. Servendomi del coltellino multiuso che sono solita portarmi appresso durante le escursioni tagliai alcune fette di pane. Afferrai la mezza forma di formaggio e ne separai una porzione.
   Il sapore era piccante, ma gustoso. Il pane era migliore rispetto a quello che sono solita consumare in città. L'aroma aveva una fragranza molto particolare, merito dell'acqua con cui la farina era stata impastata oppure della cottura nel forno a legna della baita, probabilmente.
   Stavo con le gambe lievemente divaricate quando la capra si avvicinò fino a sfiorarmi i piedi. Frantumai parte del formaggio e ne depositai alcuni spicchi sul palmo di una mano, poi lo porsi all'animale. Attirata dal prelibato profumo del formaggio la capra iniziò a cibarsene. Un movimento scomposto dell'animale fece cadere alcune briciole di formaggio sull'erba e sui peli del mio pube. La capra chinò il capo e, cogliendomi di sorpresa, avvicinò la lingua sui peli attorno alla fica su cui erano scivolati alcuni pezzetti di formaggio. I ripetuti movimenti della lingua mi misero addosso una strana eccitazione. Superato l'iniziale imbarazzo iniziai a godere nel sentirmi sfiorare la fica dalla lingua rugosa dell'animale. Frantumai il formaggio che tenevo racchiuso nella mano e disseminai la poltiglia sulle grandi e piccole labbra.

   Sdraiata sul prato appoggiai la pianta dei piedi sull'erba, dopodiché piegai le ginocchia e divaricai le cosce. La capra iniziò a leccarmi la piccante prelibatezza sospingendo la lingua nella fessura della mia adorata fichetta.
   L'animale mi fece dono di un piacere inconsueto. Cominciai a solleticarmi i capezzoli compiacendomi di quell'insano piacere. Inumidii le dita di saliva e sfiorai il clitoride abbandonandomi a un duplice appagamento, cosciente di percepire sensazioni irripetibili.
   La capra seguitò a nutrirsi del formaggio che avevo provveduto ad aspergere sulle labbra della passera il cui umore era andato a mescolarsi al formaggio formando un'unica prelibata crema. L'orgasmo giunse liberatorio senza che la capra si accorgesse di ciò che mi stava succedendo. Tentai di serrare le ginocchia, ma la capra me lo impedì, per niente propensa a interrompere il delizioso pasto.
   Urlai di piacere con tutta la forza che avevo in corpo. L'eco della valle amplificò a dismisura le mie grida che si dispersero nell'aria fino a esaurirsi definitivamente. Appagata nei sensi mi divincolai dalla lingua della capra e mi alzai in piedi. Afferrai un altro pezzo di formaggio e lo gettai distante, sull'erba. La capra si lanciò all'inseguimento del prezioso nutrimento e sì allontanò. 
   Da tempo non appagavo i sensi sperimentando un simile piacere. Ero soddisfatta di quanto era accaduto e non provavo nessun disgusto.
   Mi coricai sull'erba e ripresi a leggere il romanzo dalla pagina in cui avevo interrotto la lettura. Verso le due del pomeriggio Carlo fu di ritorno.
   - Scusa il ritardo, ma per raggiungere la cima ho impiegato più tempo di quanto avevo preventivato. Tutto bene? Hai già mangiato?
   - Sì, ti ho lasciato da parte un po' di frutta e lo speck. Il formaggio l'ho mangiato tutto io. Delizioso direi, anche se è troppo piccante per i miei gusti.
   Restammo ad abbronzarci ai raggi del sole nudi entrambi. Soltanto nel tardo pomeriggio facemmo ritorno alla baita.
   Le giornate successive trascorsero lente come si conviene a ogni vacanza. Approfittai più volte delle assenze di Carlo, impegnato nel fare escursioni, per dedicarmi alla lettura, ma soprattutto nutrendo la capra con i miei umori.
   La moglie del contadino, dietro mia insistenza, mi rifornì di un sacchetto di sale grosso. La capra si dimostrò ghiotta di quella leccornia e anch'io delle sue prestazioni.

   La vacanza giunse a termine rapidamente. La sera che precedette la nostra partenza ci ritrovammo con gli altri ospiti della malga seduti attorno alla tavola per consumare l'ultima cena. L'ambiente era allegro, festoso, spensierato. A fine pasto eravamo brilli per il troppo vino consumato e sazi per avere gustato un prelibato piatto di spezzatino di carne in umido con contorno di polenta bianca. Una prelibatezza che il gestore della baita ci aveva preparato per festeggiare la nostra partenza.
   La stagione turistica era giunta al termine e la malga sarebbe rimasta chiusa agli ospiti fino all'estate successiva. A fine cena il gestore si soffermò a scambiare delle impressioni sulla vacanza con ciascuno di noi.
   - Allora, signorina Erika è rimasta soddisfatta del soggiorno? 
   - Sì, molto. Credo che il prossimo anno ripeterò questa esperienza.
   - Spero sia rimasta contentata della cena. Nella malga tutto è genuino.
   Per compiacerlo gli dispensai i miei complimenti per la cena che ci aveva preparato.
   - Mi è piaciuto tantissimo lo spezzatino in umido.
   - Siete stati fortunati. E' un piatto che prepariamo a fine stagione quando macelliamo una delle capre che teniamo nel recinto delle vacche vicino al laghetto. Forse in questi giorni le sarà capitato di vederne qualcuna.
   Nel sentire quelle parole rimasi di stucco. Un irrefrenabile dolore allo stomaco mi costrinse ad alzarmi da tavola. Andai in bagno e vomitai. Carlo si avvicinò alla porta e volle sapere come stavo.
   - Come va? Tutto bene?
   - Sì, tutto bene.
   Più tardi, a letto, tornammo a fare l'amore dopo molto tempo che non lo facevamo. E fu bello rientrare nella normalità

 

 

 
 

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