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RUMORE
DI CORPI CALDI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
C urvo
su me stesso, gomiti appoggiati alla
balaustra del Ponte delle Nazioni, osservavo
l'immagine della luna piena riflessa nelle
acque del torrente. Tutt’a un tratto
qualcuno alle mie spalle mi
rivolse la parola.
- Ti va di scopare?
Altrimenti te lo posso
succhiare.
Girai il capo nella
direzione da cui proveniva la voce e
diedi una sbirciata alla donna che mi
aveva biascicato la proposta.
- Ti sto chiedendo se hai
voglia di stare con me. Hai perso la
lingua? Oppure non ti va di scopare?
La donna, di bassa statura,
indossava
una gonna cortissima, elasticizzata, e metteva in mostra un paio di cosce
appesantite dall'adipe e un paio di
sandali colore ciclamino con zeppe
piuttosto spesse. La camicetta, ordinaria, lasciava
intravedere un paio di tette abbondanti.
Nella mano stringeva una borsetta che
roteava con insistenza per aria.
L'aspetto era quello di una donna
stagionata con un pessimo trucco del
viso.
- Ti decidi? Dai, andiamo
sotto l'arcata del ponte. Te lo succhio
per venti euro. Ti va?
La guardai spazientito,
indeciso se mandarla 'fanculo oppure
ascoltarla fintanto che si fosse
stancata di tenere aperto quel catorcio
di bocca.
- Non sei di queste parti,
vero? Da dove vieni? - dissi.
- Vengo da Spezia...
- Sei in città da molto
tempo?
- Vengo a Parma almeno una sera
alla settimana. All'alba faccio ritorno
a Spezia in treno.
Mi fece di nuovo cenno di
seguirla, ma non mi lasciai convincere
dai suoi ammiccamenti e rimasi fermo lì.
- Come ti chiami?
- Maddalena, ma tutti mi
chiamano Lena.
- Vita grama la tua, eh.
- Non più di tante altre.
- Batti sempre questa zona?
- Sì, non mi allontano mai
dai dintorni della stazione ferroviaria.
- E i tuoi clienti chi
sono? Marocchini?
La donna ebbe un sussulto.
Sembrò ribellarsi alla mia
provocazione, ma non lo fece.
- Perché dici questo?
- Non volevo offenderti.
Dicevo così per dire. Tieni venti euro.
- dissi allungandole due banconote da
dieci euro che mi ero premurato di
togliere dalla tasca dei pantaloni.
- Non voglio la tua carità.
Lascia che ti spari una sega almeno.
Allungò una mano e appoggiò
le dita sulla patta dei miei pantaloni.
Cercò di stringermi il cazzo, ma fui
lesto a ritrarmi per non essere toccato
dalle sue mani.
- Anche se non vuoi fartelo
succhiare prenderò comunque i soldi che
mi hai offerto.
Afferrò le banconote che
tenevo strette nella mano e le ficcò
nell'incavo delle tette.
- Ciao, bello. - disse
volgendomi le spalle, dopodiché prese
la direzione della stazione ferroviaria.
Fissai lo sguardo sulle lancette del
Seiko Daytona che portavo al polso.
Mancavano pochi minuti alle due. Avevo
consumato la serata scopando fino allo
sfinimento con la madre di Monica, la
mia fidanzata. E ancora non riuscivo a
capacitarmi come era potuto accadere.
L'aereo per Roma era
decollato dall'aeroporto Giuseppe Verdi
alle otto in punto. Monica e sua madre
si erano scambiate consigli e
ammonimenti fino a pochi istanti prima
della partenza dell'apparecchio. Il
bimotore della Jetours avrebbe condotto
Monica a Fiumicino, da lì sarebbe
ripartita su un aereo dell'Alitalia per
New York. La tournee dell'orchestra
sinfonica di cui faceva parte l'avrebbe
condotta a esibirsi nei principali
teatri degli Stati Uniti. Soltanto dopo
un paio di mesi avrebbe fatto ritorno a
Parma.
Marianna e Monica, più che
madre e figlia, davano l'impressione di
essere sorelle. La madre, nonostante i
quarantatre anni, manteneva un aspetto
seducente ed era appetita da uno sciame di corteggiatori.
- Torna presto. - dissi a
Monica mentre oltrepassava la barriera
doganale dell'aerostazione. Mi diede un
bacio sulle labbra e mi apostrofò con
una battuta che non lasciava dubbi sulla
sua gelosia.
- Ci puoi contare! Non mi
fido a lasciarti solo per troppo tempo.
Indugiai nell'aeroporto
fintanto che l'aereo decollò. Accanto a
me, a osservare le luci di posizione
dell'aereo che s'innalzava nel cielo,
fino a scomparire nelle tenebre, c'era
Marianna, sua madre.
- E' la prima volta che
Monica sta lontano da casa per così
tanto tempo. - disse Marianna. - Ti
addolora che sia partita?
- Sì, certo, ma sono
contento per lei. L'esperienza che sta
conducendo è davvero straordinaria.
- Hai ragione. - assentì
indicandomi l'uscita dell'aerostazione.
Marianna guidò con
accortezza nel caotico traffico della
tangenziale. Il Bmw filava via liscio
senza scuotimenti nonostante il fondo
stradale dissestato. Avevo parcheggiato
la mia automobile, una Mini Cooper,
davanti alla sua abitazione ed era là
che eravamo diretti.
Le rare volte in cui mi era
capitato di trovarmi da solo in compagnia della
madre di Monica ero in imbarazzo e mentre
percorrevamo la tangenziale lo ero
ancora una volta.
Ricercatrice di fama
nazionale era autrice di numerose
pubblicazioni sulla civiltà e la
cultura medievale di cui era docente
all'università. Fra gli studenti che
frequentavano i suoi corsi correva voce
che non disdegnasse farsi scopare. Ma al
contrario di quanto si sussurrava non
era tipo da farsi abbordare tanto
facilmente, anzi. Coloro che avevano
avuto la fortuna di subire le sue
attenzioni la descrivevano come una
donna assatanata di sesso. Era
divorziata dal marito da alcuni anni, ma
dopo la separazione non aveva convissuto
con nessuno dei suoi amanti.
Lei e Monica occupavano un
attico a ridosso del torrente che
attraversa la città e dalle cui finestre
si godeva una splendida vista panoramica
in direzione delle colline.
- Stasera sarò sola dentro
casa. Perché non mi tieni compagnia?
Ceniamo insieme, ti va? Monica ne
sarebbe felice. - disse con una certa
disinvoltura.
- Ma... non saprei. -
replicai imbarazzato.
- Non dirmi che hai
soggezione di me.
- No, tutt'altro, ma...
Il Bmw si spostò sulla
corsia di sorpasso. Superammo un paio di
autovetture che rallentavano la nostra
marcia, poi tornammo a occupare la
corsia di destra sulla tangenziale. Un
banco di nebbia fece la sua comparsa
d'improvviso e rese più lenta la nostra
corsa.
- Ho dell'arrosto di
vitello nel frigorifero. Condisco un po'
di radicchi e in poco tempo la cena sarà
pronta. Ti va?
- Dovrei avvertire i miei
genitori.
- Uhm... non c'è problema.
Hai il cellulare?
- No. - mentii fingendo di
cercare l'apparecchio nelle tasche della
giacca. - L'ho dimenticato in macchina.
- Ti presto il mio. Tieni.
- si premurò.
- Sì, grazie. - dissi
seccato.
Avrei dovuto rifiutare
l'invito, invece mi lasciai convincere a
salire in casa sua.
Impiegò poco tempo a
preparare la cena. L'aiutai ad
apparecchiare la tavola seguendo i suoi
preziosi suggerimenti.
- L'arrosto com'è? -
chiese dopo essermi accomodato a sedere
di fronte a lei.
- La carne è saporita. -
dissi sminuzzando le fette d'agnello che
Marianna aveva sistemato nel mio piatto.
- Il forno a microonde è
davvero una bella invenzione. In un
batter d'occhio è possibile scaldare
ogni cosa.
- Uhm... sì, ha ragione. -
risposi.
Marianna intinse dei
pezzetti di pane nel condimento della
carne arrostita. Inghiottì alcuni
bocconi di cibo lordandosi le labbra di
unto.
- Ti verso del vino? -
chiese indicando la bottiglia di chianti
che stringeva nella mano.
- Sì, grazie.
Riempì il mio bicchiere
fino all'orlo e lo stesso fece col suo.
- Sei in pensiero per
Monica?
- No, affatto! - replicai
deciso.
- Sei geloso?
- Assolutamente no. -
mentii.
- Non pensi che possa
tradirti con uno dei suoi compagni di
viaggio?
- È possibile. Ma avrebbe
potuto farlo anche stando qui.
- Certamente.
- Tu invece la tradiresti
mia figlia?
Pronunciò la frase
mantenendo lo sguardo fisso su di me.
Indugiai qualche istante prima di
risponderle.
- Non credo.
- Perché dici così?
- A lei che è sua madre
non potrei rispondere diversamente, non
crede?
- Che furbo che sei. -
disse abbozzando un sorriso.
- Non mi considero astuto,
per niente.
- Scaltro allora?
- Nemmeno.
- Che idea ti sei fatto di
me?
- Di lei?
- Sì, di me.
- A proposito di cosa? -
dissi con un certo imbarazzo.
- Del mio corpo ad esempio.
Avrei voluto scansare la
domanda, ma non mi riuscì di trovare un
altro argomento da contrapporre alle sue
parole.
- Lei è una bella donna.
Questo è quanto sostiene la maggioranza
degli studenti che frequentano le sue
lezioni.
- Ah sì? E cos'altro
dicono di me?
- Dicono tante cose.
- Quali ad esempio? -
insistette.
- Gliel'ho detto, no?
- Non precisamente. E tu
che idea ti sei fatto di me?
- La stessa dei miei
coetanei.
- Cioè?
Esitai prima di rispondere.
Ma l'effetto del chianti che entrambi
avevamo bevuto in abbondanza stava per
dare i suoi effetti.
- Dicono che lei è una
mantide, e buona da scopare.
Abbassai gli occhi sul
piatto dopo avere pronunciato la frase.
Lei restò silenziosa, avvicinò il
bicchiere alla bocca e sorseggiò il
vino.
- Non pensi che sia un po'
troppo vecchia?
Alzai gli occhi e la
guardai in viso. I capelli arricciati le
giungevano fino alle spalle. Erano di
colore castano chiaro con striature
scure. Il viso era privo di rughe. La
pelle era liscia e morbida. Un lieve
nota di trucco metteva in bella luce gli
occhi bruni. La bocca, piccola e
particolarmente sensuale, era identica a
quella di Monica. Le labbra erano
sporgenti con una nota di un
lucidalabbra rosso.
- Non la pensano così
molti studenti. - risposi.
- E tu sei d'accordo con
loro?
- Sì.
Ero imbarazzato. Non volevo
essere sedotto com'era accaduto a molti
studenti prima di me. D'improvviso prese
a parlarmi delle vacanze oltre atlantico
raccontandomi alcuni aneddoti
divertenti.
- Sei mai stato negli Stati
Uniti?
- No, ma prima o poi vorrei
andarci. Magari ci tornerò con Monica.
- Il modo di vivere degli
americani è molto diverso dal nostro.
Uomini e donne sono molto puritani. Per
loro conta solo il business. Perlomeno
questa è l'impressione che ne ho tratto
quando sono stata lì.
- Allora non le è piaciuta
l'America.
- Uhm... diciamo che la
loro cultura è molto diversa dalla
nostra.
- E' meglio di quella di
noi europei allora?
- Dipende...
- Da cosa?
- Per quanto riguarda il
sesso sono meglio gli italiani, anche se
certi neri. - disse lasciandosi sfuggire
un debole sorriso.
Lasciai cadere il discorso
sperando che non ricominciasse a parlare
di sesso e tradimenti.
- Non prendiamo il caffè?
- dissi.
- Sì, certo, ma andiamo di
là, in salotto.
Si alzò in piedi e mi
precedette in soggiorno. Accese lo
stereo e fece partire un cd musicale. Le
note di una musica romantica, eseguita
al pianoforte, si diffusero nella
stanza.
- Accomodati. - disse
indicando il sofà.
- Ti piace questo brano? -
chiese.
- Non è male.
- Ci scommetto che è un
tipo di musica che non sei abituato ad
ascoltare.
- Non è vero, mi piace. La
trovo rilassante.
- Vado in cucina a
preparare la moka, torno subito.
La guardai mentre si
allontanava. Roteava le natiche da un
fianco all'altro di proposito, certa che
sarei rimasto a guardarla. Indossava un
tailleur piuttosto corto che metteva in
luce un paio di gambe ben tornite con
caviglie filiformi. Fece ritorno quasi
subito e si fermò dinanzi a me.
- Uhm... questa musica mi
ha fatto venire una gran voglia di
ballare. Dai, facciamo un giro.
- Cosa?
- Ma sì, dai, mica vorrai
farti pregare.
- In discoteca non ballo
mai lenti. - mi lamentai.
- E' la volta buona per
imparare.
Marianna si strinse al mio
corpo, mi circondò le braccia attorno
al collo e premette le mammelle contro
il mio torace. Percepii subito la
compattezza di cui erano permeate le
tette e ne rimasi stupito. Ero
consapevole del fatto che aveva delle
protesi di silicone nel petto. Me lo
aveva confidato Monica che in più di
un'occasione aveva rimarcato la
perfezione delle tette della madre,
affermando che le sue non avrebbero
potuto competere con quelle.
Marianna prese a
strusciarsi contro il mio corpo
approfittando del ritmo della musica.
Stringere fra le braccia una donna
sensuale come lei mi suscitò una forte
eccitazione, anche il cazzo prese una
certa consistenza. Marianna dovette
accorgersene, infatti, cominciò calcare
l'addome contro quella protuberanza e,
per nulla imbarazzata, prese a
strusciarsi con la guancia sul mio
collo.
Tutt'a un tratto sollevò
il capo e mi guardò dritta negli occhi. Abbassò
di nuovo il mento e cominciò a baciarmi
sul collo. Ormai non ascoltavo più la
musica, l'unica cosa che percepivo era
l'andirivieni delle sue labbra sulla mia
pelle.
Non ero suo prigioniero,
sarei potuto fuggire in qualsiasi
momento, invece rimasi lì.
Acconsentii che mi frugasse
con le mani sotto la camicia e si
impadronisse dei capezzoli. Cominciò a
carezzarli con le dita facendoli
inturgidire, castigandomi a un inusitato
piacere. La lasciai fare anche quando mi
levò la camicia di dosso. Imitai il suo
gesto e le tolsi la camicetta.
Indossava un reggiseno di
tessuto bianco che le avvolgeva le
tette. Posai le mani sul gancetto alle
sue spalle e lo liberai. Marianna
condusse le braccia verso il basso e
l'indumento intimo finì sul pavimento.
Le tette erano come le
aveva descritte Monica. Non troppo
grosse, tonde, col capezzolo largo e di
colore bruno. Deposi le mani sulle
protuberanze e cominciai ad
accarezzarle.
Conducevamo una danza nel
mezzo della stanza nudi fino a
mezzobusto per niente imbarazzati.
Quando il brano musicale terminò
accostai le labbra alle sue e la baciai.
Lei contraccambiò il movimento delle
mie labbra e incominciò a leccarmele
con la punta della lingua. Un nuovo
brano musicale fece seguito al
precedente.
Stesi le mani e raggiunsi
il suo fondoschiena, poi cominciai a
esplorarlo con le dita. Avevo una strana
smania addosso e il suo corpo era
percorso da fremiti di piacere. Intrecciò
le dita fra i miei capelli
stropicciandoli rabbiosamente. La sua
lingua attraversò le mie labbra e
cominciò a scoparmi nella bocca
penetrandomi più volte. Entrava e
usciva nella cavità muovendosi con
delicatezza e determinazione.
Godevo! Cazzo se godevo!
La sua lingua era una sonda
che scandagliava la mia bocca
provocandomi un dannato piacere. Smisi
di ballare e mi ritrovai fermo dinanzi a
lei. L'unico suono che avvertivo era
quello che le usciva dalle narici mentre
mi scopava nella bocca con la lingua.
Le tette di Marianna
premevano sul mio petto accrescendo il
desiderio di scoparla. Accompagnai la
sua mano sulla patta dei pantaloni e lei
fu svelta a trascinare brache e mutante
sul pavimento, dopo avermi sganciato la
cinghia.
S'inginocchiò ai miei
piedi e cominciò a leccarmi il cazzo
partendo dalla radice. Tastò i
testicoli, dopodiché inglobò fra le
labbra la cappella e prese a succhiarla
con avidità.
Con le dita della mano
accompagnava i movimenti delle labbra
masturbandomi. Ci sapeva fare. Succhiava
bene. Cazzo se succhiava bene!
- Sì... sì... succhia...
succhia così. - dissi.
Continuò a spompinarmi
impegnandosi a farmi venire. Avevo
trascorso il pomeriggio scopando con
Monica e gran parte dello sperma
custodito nelle palle se l'era portato
in viaggio lei.
Marianna mi trascinò sul
tappeto, abbassò la gonna e collant, e
rimase nuda. Il suo corpo non aveva né
adipe né smagliature. Me l'ero
immaginata così.
Si sdraiò sul tappeto
accanto a me. Stesi la mano nell'incavo
fra le sue cosce e l'accarezzai
risalendo con le dita verso la figa
umida. Allargò le gambe dandomi licenza
d'incunearmi con le dita sino all'ano.
Stimolai il tessuto attorno l'orifizio
frizionandolo con la parte estrema delle
dita. Accolse volentieri questa visita
lasciandosi sfuggire un leggero tremore
alle gambe.
Mi stavo cacciando in una
situazione senza ritorno, ma in quel
momento non m’importava granché. Mi
alzai da terra e andai a sistemarmi in
ginocchio fra le sue cosce aperte.
Marianna stava lì, sotto di me. Da
sopra potevo osservare il corpo
abbronzato dal sole d'estate. Girò il
capo da un lato per non incrociare il
mio sguardo. Lasciai cadere le mani
sulle tette. I capezzoli erano turgidi e
sviluppati quanto basta per eccitarmi.
Incominciai ad accarezzarli. Marianna si
mise a mugolare di piacere ansimando in
maniera eccessiva. Continuai a sfregarli
a lungo, sempre più violentemente.
- No... no... mi fai
male... mi fai male... - si lamentò.
Deposi la bocca sulla figa
e cominciai a leccarla. Abbrancai il
bacino da sotto le natiche e le impedii
di muoversi mantenendola con la forza
delle braccia ancorata al tappeto.
- Sì... sì...
succhiamela... succhiamela. - implorò.
Mi appropriai del clitoride
e lo inglobai fra le labbra per non
farmelo sfuggire, poi cominciai a
succhiarlo con avidità.
- Così... bravo...
bravo... continua... continua.
Il corpo erettile era
turgido. Dare asilo a un simile gioiello
della natura nella mia bocca lo
considerai un giusto premio alla serata.
Sfregai a lungo la lingua sulla
superficie liscia fintanto che Marianna
cominciò a gridare:
- Sì... sì... mi fai
godere... mi fai godere.
Parlava in maniera
concitata mentre godeva. Continuai a
succhiarle il clitoride senza
interrompere la mia azione, anche quando
il suo corpo cominciò a scuotersi.
Mugolava di piacere insistendo nel
torcere il bacino per sfuggire alla mia
stretta. Raggiunse l'orgasmo poco per
volta. Si aiutò da sola strizzandosi i
capezzoli con le mani.
- Godo... godoo... godooo.
- urlò più volte.
Cercò di allontanarmi per
sfuggire al movimento delle mie labbra.
La costrinsi a subire le mie attenzioni
tenendola ancorata al tappeto.
- Basta... basta... ti
prego... ti prego. - urlò più volte.
Si liberò della stretta e
si mise carponi su di me. Afferrò il
cazzo nella mano e lo sospinse nella
vagina. Cominciò a scoparmi nella
posizione a smorzacandela. Manteneva le
braccia stese sul mio torace spingendo
il pube in avanti, alternando movimenti
rotatori del bacino ad altri sussultori.
Le tette ballonzolavano davanti ai miei
occhi. Afferrai i capezzoli nelle mani e
cominciai a sfregarli.
- Ti piace se li tocco?
Lasciò passare qualche
secondo prima di rispondermi, poi
articolò alcune parole.
- Stai zitto! Zittooo. -
disse comprimendo il cazzo con la mucosa
della vagina, accrescendo il mio
piacere.
- Vengo... vengo... -
l'anticipai.
- Sì... sì... sì...
vieni ora... subito. - supplicò.
Serrai le natiche e i
muscoli dell'ano. Appena in tempo per
sfilarmi prima di sborrarle addosso.
Marianna fu lesta ad accostare le labbra
alla cappella.
Lo sperma le scivolò in
gola. Fui colto da una lunga serie di
brividi. Marianna riversò sulle mie
labbra quel poco di sperma che le era
rimasto depositato in gola dopo che
l'aveva ingerito.
La stazione ferroviaria
distava poche centinaia di metri dal
ponte dove avevo sostato a lungo
rincorrendo i miei pensieri. Avevo
lasciato la Mini Cooper parcheggiata
nella piazza della stazione, a poca
distanza dal monumento a Vittorio
Bottego, davanti alla abitazione di
Marianna. Imboccai un vicolo senza
preoccuparmi dei rischi a cui sarei
andato incontro a quell'ora di notte. A
metà del tragitto mi trovai al cospetto
di un uomo. Se ne stava ritto con la
schiena appoggiata al muro.
Inginocchiato ai suoi piedi, celato
dall'oscurità, un altro uomo era
intento a succhiargli il cazzo.
Sembrarono non accorgersi
di me. Continuarono a fare i loro porci
comodi infischiandosene della mia
presenza e io della loro.
Attraversai la piazza e mi
ritrovai sotto il porticato dove si
affacciavano numerosi esercizi
commerciali. Alcuni nordafricani, dediti
a fare marchette, mi avanzarono delle
proposte a cui reagii con un sorriso e
il diniego del capo.
L'autovettura era
parcheggiata dove l'avevo lasciata prima
di accompagnare Monica all'aeroporto.
Misi in moto la Mini Cooper e poco dopo
ero di ritorno a casa.
Era l'alba quando mi
addormentai.
Il cellulare trillò.
L'apparecchio l'avevo lasciato a portata
di mano sul comodino accanto al letto.
Prima di dare risposta osservai sul
quadrante il numero per capire da chi
proveniva la chiamata.
- Pronto. - dissi.
- Ciao, come stai?
- Bene.. bene. - risposi
con voce assonnata.
- Mi manchi.
- Anche tu mi manchi.
- Avrei voglia di baciarti.
- Anch'io. - la rassicurai.
- Beh, tutto qui. Non sai
dire altro?
- Il viaggio è andato
bene?
- La trasvolata è durata
sette ore. Sono stanca morta.
- Lì è giorno?
- Sì, è mattina. Sono
esattamente le 8.45 ora di New York.
- Qui manca un quarto d'ora
alle tre del pomeriggio. E dove stai?
- Sono circondata da
grattacieli. Ah! Sono proprio davanti
alle Torri Gemelle. Le conosci no?
- Sì, certo. Le conosco.
- Oddio! - urlò.
- Pronto. Pronto...
La telefonata s'interruppe.
Era l'11 settembre dell'anno 2001.
Monica non fece mai ritorno a casa.
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