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10°
NON DESIDERARE
LA ROBA D'ALTRI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
Apro
gli occhi e sul soffitto, sopra di me, intravedo disegnate delle figure
arabesche. Accenno a un movimento con le
braccia, ma non so dare impulso a
entrambi gli arti. Azzardo ad alzare una
gamba, ma senza ottenere alcun risultato. Sono bloccata.
Ai lati delle spalle e alla
base dei piedi scorgo dei bastoni di
cera i cui lucignoli illuminano
l'ambiente. Tutt'a un tratto mi accorgo
di essere completamente nuda, coricata sopra una
tavola di legno, ma non so come ho fatto
a cacciarmi in questa situazione.
I bordi del tavolo sono
impreziositi da paramenti del tutto
simili a quelli che arredano le
impalcature funerarie. Alla mia destra
il corpo nudo di una anziana donna
occupa un catafalco identico a quello su
cui sono coricata. La donna è immobile,
rigida come lo sono i cadaveri. Provo a
chiamarla, ma la voce sembra non uscirmi
dalla gola, impedita da non so quale
ostacolo. L'ambiente che mi ospita mi è
vagamente famigliare, anche se non
riesco a distinguere dove mi trovo.
Scruto le pareti della stanza alla
ricerca di un qualsiasi indizio che
possa essermi utile per riconoscere il posto, ma
inutilmente. Mi soffermo a osservare la
porta d'ingresso. Finalmente riconosco
il luogo: è la camera mortuaria della
clinica dove lavoro.
Ma cosa ci faccio qui? Cosa
mi è accaduto? Sento freddo e la pelle l'ho gelida. Il mio aspetto deve
essere cadaverico, penso, osservandomi
le tette smorte come quelle di una
anziana prostituta. Tutt'a un tratto una
porta si apre e in rapida successione
fanno il loro ingresso nella stanza
numerose persone. Indossano capi di
vestiario di tinta verde, del tutto
simili a quelli di chi opera nelle sale
operatorie. Sul capo reggono delle
cuffie che ne nascondono i capelli. I
volti sono parzialmente coperti da
mascherine chirurgiche.
Si dispongono ai lati del
catafalco intorno al mio corpo nudo. Uno
di loro, dall'apparente voce maschile,
intona le note di una nenia che
assomiglia vagamente a un canto funebre.
Le altre persone lo imitano e
all'unisono intonano il canto.
I loro occhi, che intravedo
al di sopra delle mascherine, paiono
fissare un oggetto alle mie spalle.
Sollevo gli occhi all'indietro e solo
allora mi accorgo che sopra il mio capo
c'è un simulacro di marmo raffigurante
un enorme fallo. Ancora una volta cerco
di muovere le braccia per attirare
l'attenzione degli astanti, ma
inutilmente. Sono paralizzata e non
riesco a effettuare nessun movimento.
Probabilmente qualcuno mi ha drogata,
penso mentre continuo a osservarli. Ma
come ci sono capitata qui? Chi mi ci ha
portata?
I miei ospiti seguitano a
cantare la nenia in un crescendo
ossessionante, senza preoccuparsi della
mia presenza, ma con lo sguardo fisso
sull'enorme simulacro di marmo che ho
alle spalle. Il suono della cantilena
sembra attenuarsi. I loro occhi sono
tutti convogliati sul mio corpo nudo.
Ho
la lingua addormentata, vorrei urlare,
ma la bocca sembra non reagire agli
stimoli che provengono dalla mia mente.
Sono sfiduciata, vorrei piangere, ma
dagli occhi non mi esce una sola goccia
di pianto.
La cerimonia di cui sono
partecipe deve essere un rito religioso,
ne sono certa, ma chi sono questi
uomini? E queste donne? Cosa vogliono da
me? Possibile che sia proprio io
l'agnello sacrificale?
Una mano mi sfiora
l'interno di una coscia. Un brivido
percorre per intero tutto il mio corpo.
In breve successione altre mani mi
sfiorano la pelle. Sono mani nude,
bollenti come il sangue che scorre nelle
loro vene. Vorrei sollevare il capo e le
braccia per allontanare tutte quelle
mani che in maniera indecente
perlustrano il mio corpo. Qualcuno mi
divarica le gambe per guardare le cavità
che tengo nascoste. I battiti del cuore,
sollecitati dalle molestie, sembrano
accelerarsi.
Una mano rasenta un
capezzolo e sfugge via, un'altra, dopo
avermi lambito la bocca, mi penetra le
lebbra e con le unghie mi urta i denti.
Altre mani stimolano la superficie
plantare dei piedi provocandomi
involontari riflessi e il riso. Diverse
mani risalgono le cosce causandomi un
improvviso senso di calore, destandomi
dall'oblio in cui sono sprofondata.
Alcune dita s'insinuano nella selva di
peli del pube, lambiscono le labbra
della fica, penetrano all'interno e
subito si ritraggono.
La nenia cessa
d'improvviso. Alcuni dei presenti
lasciano cadere sul pavimento brache e
mutande. Quello che appare ai miei occhi
ha dell'incredibile. Mostruosi falli
dalle proporzioni inusitate e dalle
forme abnormi, fanno mostra di sé
tutt'intorno al catafalco. Questo almeno
è ciò che mi sembra di vedere. I
falli, a causa della straordinaria
lunghezza, sono parzialmente nascosti
alla mia vista dal piano di legno del
catafalco. Riesco a vedere soltanto la
radice e parte del segmento dei corpi
cavernosi, mentre la cappella è celata
sotto il bordo del tavolo.
Devono essere adepti di una
setta segreta, probabilmente adoratori
di una divinità. Le mani che hanno
perlustrato il mio corpo afferrano i
falli e li appoggiano sul tavolo, vicino
al mio corpo. Alcuni, orrendamente
deformi, raggiungono la lunghezza di
mezzo metro. Gracili mani femminili
circondano i falli e con una certa
difficoltà iniziano a menarli. Sono
esterrefatta, ma non ho più paura.
Nonostante le manipolazioni i falli non
paiono aumentare granché di volume.
Sono sufficientemente rigidi, lo
percepisco dalle cappelle che strusciano
la superficie del mio corpo.
Sono conquistata dalla
scena e dallo sfregare delle cappelle
sulla pelle. Sette falli di quelle
dimensioni tutti per me! Incredibile,
penso.
Le mani menano i cazzi con
l'abilità di chi è abituato ad
armeggiare oggetti di quel calibro. Il
primo a eiaculare è un cazzo alla mia destra. Lo fa rovesciando una
quantità enorme di sborra su uno dei
miei capezzoli. Un'infinità di spruzzi
fuoriescono in breve successione dal
meato uretrale e tappezzano la
superficie dei miei seni di sperma.
Mi soffermo a osservare il fallo
da cui colano le ultime gocce di seme,
ma sono investita da un nuovo getto di
sperma che mi colpisce in pieno viso. E'
il cazzo dell'uomo che sta alle mie
spalle ad avere liberato il seme,
probabilmente ne deve tenere
imprigionato una grande quantità nelle
ghiandole seminali, perché non cessa
d'inondarmi il viso e la bocca.
Assaporo con la lingua il
prezioso succo di cui sono ghiotta, ma
ho il rammarico di non riuscire a
inglobare la ciclopica cappella che sta
a pochi centimetri dalla mia bocca. Sono
bloccata e non mi riesce di raggiungere
con la punta della lingua il cazzo. Nel
volgere di pochi istanti i falli,
all'unisono, zampillano sperma dai meati
infradiciandomi tutto il corpo.
Ogni getto s'infrange sulla
mia pelle e accresce il mio stato di
eccitazione. Sono bagnata di sudore e
non solo. L'ennesimo getto di sperma
centra ancora una volta il mio viso.
Urlo di piacere, ma è solo una
sensazione spuria perché nessun suono
esce dalle mie labbra. Vengo di un
piacere inconsueto, senza che il mio
corpo sia trapassato né da tremiti né
da scosse. E' un orgasmo cerebrale
quello che scuote i neuroni del mio
cervello, come non mi era mai successo
prima d'ora.
La vista mi si annebbia,
vedo tutto offuscato e un arcobaleno di
colori tinge la mia mente. Percepisco
soltanto il contatto delle mani che
iniziano a cospargere lo sperma su tutta
la superficie del mio corpo. Quando mi
riprendo attorno a me ci sono un'infinità
di volti maschili e femminili. Sono
tutti privi di mascherine e accostano le
labbra sulla superficie del mio corpo.
Avidi e ingordi iniziano a leccare lo
sperma, prima che rinsecchisca. Ancora
una volta godo di un piacere smisurato e
ho il rammarico di non riuscire a
manifestarlo.
La cerimonia sembra
giungere al termine. Gli ospiti alzano
il capo e le loro labbra brillano di uno
strano riverbero, poi uno di loro
afferra uno dei ceri posti ai lati del
catafalco e con l'aiuto di un
confratello me lo punta verso la fica.
Quando il cero mi penetra
le labbra della fica si dilatano e a
fatica l'accolgono dentro. La nenia
riprende ad accompagnare i movimenti del
cero e, ancora una volta, mi consumo di
piacere come la cera delle candele che
sta intorno a me. Quando sento arrivare
l'orgasmo un grido mi esce finalmente
dalla bocca.
-
Godoo! Godooo! Godoooooo! Godoooooooo!!!
Grido come una indemoniata
in balia di una crisi epilettica. Tutto
sembra dissolversi attorno a me in una
girandola di suoni e colori che viaggia
nella mia mente, poi perdo i sensi.
Quando mi sveglio mi
ritrovo distesa sopra una barella
nell'ambulatorio dove svolgo il lavoro
d'infermiera.
- Come va? Stai bene Erika?
- mi sussurra una voce che percepisco
essere famigliare.
- Dove sono?
- Sei svenuta in corsia
mentre praticavi una medicazione. - mi
dice Eleonora di cui riconosco la voce.
- Così ti abbiamo portato in
ambulatorio.
- Ma il catafalco dov'è?
- Quale catafalco?
Sotto il lenzuolo mi
accorgo d'avere indosso soltanto un
camice di carta. Il mio corpo è nudo,
privo di indumenti.
- Perché sono nuda?
- Abbiamo preferito
spogliarti nel caso fossero sorte
complicanze.
- Beh, ora sto meglio. Ho
avuto un incubo. Ho immaginato d'essere
nuda sopra un catafalco con qualcuno che
mi sfondava la fica utilizzando una
enorme candela.
Rasserenata mi lascio
sfuggire un sorriso che scompare nel
momento in cui tocco con le dita le
labbra della fica che sento prudermi.
Estraggo le dita da sotto le lenzuola e
con sorpresa scopro delle tracce di
cera. Sconcertata dalla scoperta
rinserro le palpebre degli occhi e
piango.
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