ROSETTA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

      La notizia di una vasta operazione di rastrellamento eseguita sulle montagne intorno a Corniglio e Monchio delle Corti, messa in atto dalle truppe tedesche affiancate da tre compagnie di Camice Nere, era giunta in città poche ore dopo l'inizio dei combattimenti.
   Le indicazioni, seppure frammentarie delle staffette, avevano messo in apprensione i membri del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N) riuniti in gran segreto a Palazzo Conforti. Nessuno in città sapeva per certo quale sorte fosse toccata ai distaccamenti partigiani che agivano nella zona dell'Appennino Parmense a cavallo con i territori della Lunigiana, ma i presagi erano foschi.
   Soldati tedeschi e Camicie Nere avevano messo a ferro e fuoco diversi casolari nell'alta Val Parma torturando e dando la morte a intere famiglie. Lo avevano fatto per rappresaglia, infierendo sulla popolazione inerme, colpevole secondo i loro informatori di avere dato ricovero ai ribelli.
   A dispetto del vasto impiego di uomini, messi in campo dal comando tedesco e dalle Camicie Nere, la maggioranza delle bande di partigiani si era sottratta all'accerchiamento. Numerosi ribelli erano caduti durante i combattimenti, mentre una quindicina erano stati catturati dalle milizie nazifasciste.
   I traditori della patria fatti prigionieri, perché così erano considerati i partigiani dai fascisti, erano stati caricati sui camion e trasportati in città per essere rinchiusi nelle carceri di San Francesco. Fra i partigiani catturati per essere interrogati dalla polizia segreta c'era anche Veraldo, l'uomo di Rosetta.
    Non era la prima volta che Veraldo prendeva parte a un combattimento armato. Soltanto qualche settimana prima, insieme con alcuni combattenti della formazione partigiana di cui faceva parte, era andato all'attacco del presidio fascista di San Michele Tiorre costringendo le Camicie Nere alla fuga. Prima ancora aveva partecipato all'occupazione del paese di Traversatolo, disarmando i carabinieri della locale stazione requisendo le armi e le munizioni di cui era dotato il presidio.
   Nella sua militanza partigiana Veraldo non aveva mai ucciso nessuno, pur avendo preso parte a più di una operazione di combattimento, ma non si sarebbe sottratto a questo compito se gli fosse capitata l'occasione di mandare all'altro mondo qualche fascista o soldato tedesco.
   La notizia del rastrellamento eseguito dai nazifascisti sulle montagne si era diffusa in un baleno in città. Rosetta ne era venuta a conoscenza dalla moglie di un partigiano che combatteva nella medesima banda di Veraldo. Fino all'ultimo aveva sperato che il proprio uomo fosse fra quelli sfuggiti all'accerchiamento e avesse trovato rifugio in Lunigiana. Quando le era stato comunicato che Veraldo faceva parte del gruppo di partigiani imprigionati nelle carceri cittadine, era stata colta da malore ed era svenuta.
   Da quelle mura il suo uomo non sarebbe mai uscito vivo. Rosetta lo sapeva bene. Fascisti e nazisti erano soliti torturare i prigionieri per indurli a rivelare i nomi dei complici con la promessa di una impunità che invece non gli sarebbe mai stata accordata, ma che avrebbe potuto lusingare i prigionieri meno resistenti alle torture.
   Veraldo non avrebbe mai tradito i compagni durante gli interrogatori e di questo Rosetta ne era sicura, ma aveva paura delle torture a cui l'avrebbero sottoposto i fascisti prima di farlo morire.
   In città la maggioranza della popolazione era a conoscenza dei metodi di tortura cui venivano sottoposti i prigionieri rinchiusi nelle carceri fasciste. Si sapeva con certezza che i partigiani catturati erano soggetti a violenze indicibili. Ad alcuni era negato il cibo e l'acqua per molti giorni consecutivi per indurli a collaborare. Altri, venivano rinchiusi all'interno di celle piene di escrementi dove, per la ristrettezza dello spazio, era impossibile rimanere in piedi o seduti. Mantenuti svegli per giorni e giorni venivano sottoposti a continui interrogatori per indurli a parlare. Ad alcuni veniva messo il fuoco sotto i piedi, introdotte schegge di legni sotto le unghie delle mani e dei piedi, oppure versata dell'acqua bollente sulla pelle. Di sicuro a tutti i prigionieri venivano inflitte percosse di ogni tipo.
   I fascisti torturatori davano l'impressione di eccitarsi alla vista del sangue. Colpivano i carcerati con qualsiasi cosa gli capitava fra le mani: randelli, pugni di ferro e perfino guanti da boxe. Ma c'era anche chi conficcava nella carne dei prigionieri la lama dei pugnali facendo l'atto di tagliargli la gola o le orecchie, producendo copiose emorragie.
   Queste e altre pratiche di tortura, di cui era giunta notizia alla gente dalle carceri, era la dimostrazione di quanto sadismo e brutale malvagità fosse presente fra le schiere delle Camicie Nere per i quali torturare le persone costituiva un atto di gaiezza infinita.
   Rosetta era disposta a tutto, anche a morire, se ciò fosse servito a ridare la libertà a Veraldo. I rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N) con cui era entrata in contatto attraverso compagni fidati l'avevano rassicurata. Avrebbero fatto di tutto per liberare lui e gli altri partigiani catturati durante il rastrellamento. Lo avrebbero fatto proponendo ai fascisti uno scambio di prigionieri, cosa che in passato era già accaduta con successo.
   Un colonnello e un sottufficiale dell'esercito tedesco, catturati da una banda di partigiani della 47.a brigata Garibaldi qualche giorno prima del rastrellamento sulle montagne di Corniglio, allorché era stato attaccato un posto di blocco tedesco sulla strada per Citerna, era quanto di meglio il Comitato di Liberazione Nazionale potesse offrire nello scambio di prigionieri.
   Al momento della trattativa con i fascisti i rappresentanti del C.L.N. erano riusciti a spuntare la liberazione di una decina di detenuti politici, ma nessuno dei partigiani catturati durante l'operazione di rastrellamento sulle montagne di Corniglio era stato liberato.
   Delusa dal mancato scambio di prigionieri, ma soprattutto dalle notizie che giungevano per vie traverse sulle condizioni dei partigiani detenuti nel carcere di San Francesco, Rosetta decise di fare di testa propria. Avrebbe preso lei stessa contatto con Alfio Bertonelli. 
   L'ufficiale della Brigata Nera di Parma era uno dei pochi gerarchi fascisti che conosceva di persona. Tempo addietro, prima di unirsi in matrimonio con Veraldo, l'aveva a lungo corteggiata e in più di una occasione invitata a diventare la sua donna. Lei si era sempre rifiutata, non perché fosse brutto e goffo, anzi era davvero un bell'uomo, aitante e gagliardo, ma indossava la camicia nera e questo le era bastato per rigettarne le avance.
   Alfio Bertonelli era stato fra i primi camerati, appartenenti alla federazione fascista di Parma, a aderire al partito armato che, per decreto di Mussolini, nel giugno del 1944, aveva preso il nome di Brigata Nera. A lui andava il merito di molte azioni di polizia, condotte dalla compagnia di brigata di cui era al comando, che avevano condotto all'uccisione e alla cattura di numerosi ribelli e di chi li fiancheggiava.
   Rosetta si guardò bene dall'informare i compagni di lotta dell'intenzione di mettersi in contatto con il gerarca fascista. Se qualcuno dei partigiani ne fosse venuto a conoscenza avrebbero fatto di tutto per dissuaderla da quella azione nel timore d'essere arrestata e sottoposta a torture, con il rischio di rivelare il nome di qualche antifascista.
   Erano da poco passate le cinque del pomeriggio quando Rosetta uscì di casa. Lasciatasi alle spalle i borghi dell'Oltretorrente raggiunse Piazza della Rocchetta e prese la direzione di Piazza Garibaldi. Poco dopo si ritrovò davanti al Gran Caffè Ducale.
   Le poltroncine di vimini, disposte a cerchio attorno ai tavoli che occupavano lo spiazzo davanti alla caffetteria, a poca distanza dal monumento all'Eroe dei Due Mondi, erano occupate esclusivamente da uomini. I pochi avventori conversavano fra loro mentre assaporavano l'aperitivo oppure ingollavano dell'estratto di caffè discutendo di politica e di guerra. Ma fra loro c'era chi si distraeva a osservare con un po' di curiosità il viavai di persone che a quell'ora del pomeriggio andava a passeggio nella piazza.
   Rosetta andò a occupare una delle poltroncine di vimini rimaste libere. Sistemò la borsetta sul piano del tavolo, dopodiché rimase in attesa che il cameriere le si avvicinasse per fare l'ordinazione.
   Non era abituata a frequentare quel tipo di locali, a detta di tutti esclusivi della borghesia. A lei e Veraldo, prima che il marito si desse alla clandestinità, piaceva andare a ballare, specie nei mesi estivi quando le balere mobili, assai diffuse in città e nelle frazioni, venivano montate nelle piazze in occasione di feste, con le piste da ballo formate da pannelli di legno che si incastravano uno nell'altro.
   Rosetta incominciò a guardarsi attorno covando la speranza di incrociare lo sguardo di Alfio Bertonelli. Dei tanti fascisti in camicia nera che occupavano i tavoli non le riuscì di scorgere il volto dell'uomo per cui era andata lì. Delusa rimase seduta al tavolo consumando più di un estratto di caffè, dopodiché all'ora di cena se ne andò via. Lo stesso fece il pomeriggio seguente. Il terzo giorno, mentre stava per prendere posto su una delle poltrone di vimini della caffetteria, finalmente incrociò lo sguardo di Alfio Bertonelli.
   L'uomo era in compagnia di un paio di camerati con cui discorreva animatamente. Quando la vide interruppe la conversazione e le rivolse un cenno di saluto. Rosetta contraccambiò il gesto di cortesia elargendogli un voluttuoso sorriso. Al cameriere che le si fece incontro ordinò un estratto di caffè, dopodiché volse uno sguardo accattivante verso l'uomo per cui era andata lì, certa che prima o poi le si sarebbe avvicinato, cosa che accadde puntualmente dopo poco.
   - Posso sedermi al tuo tavolo? - disse l'ufficiale fascista quando si trovò in piedi davanti a Rosetta. Lei lo guardò ossequiosa faticando non poco a reprimere la rabbia che le rodeva in corpo e gli sorrise.
   Alfio Bertonelli indossava la divisa da ufficiale delle Camicie Nere. Un cinturone marrone scuro su cui era fissata una bandoliera di pelle, portata tracolla da una spalla al fianco opposto, sorreggeva la fondina di una pistola Beretta 7.65 con caricatore inserito. Sull'altro fianco, in bella vista, mostrava un pugnale d'assalto. L'uomo non indossava la giacca ma un maglione nero a girocollo, con l'emblema di un'aquila e un teschio sul petto; dalla parte del cuore. Un paio di pantaloni grigi alla zuava completavano l'abbigliamento insieme agli stivali di pelle nera, lucidi come i capelli tirati all'indietro, spalmati di brillantina, che riflettevano la luce del sole.
   - Sì, certo, accomodati pure. Magari non ci crederai, ma se oggi sono venuta qua è solo per vedere te. - disse Rosetta all'ufficiale fascista.
   - Ma va? Non posso crederci. - rispose l'uomo sorpreso da quella rivelazione.
   - Eppure è così, te lo assicuro.
   - Posso sapere qual è la ragione di questo tuo interessamento. - disse dopo avere preso posto sulla sedia di vimini di fronte a lei.
   - Non lo immagini?
   - Dovrei?
   - In passato ho respinto le tue avance soltanto perché ero innamorata di un altro uomo e non c'era spazio nel mio cuore per te. Se oggi sono qui è perché voglio qualcosa da te, ma in cambio sono disposta a darti tutto ciò che desideri.
   Rosetta pronunciò l'ultima parte del breve discorso in modo che all'uomo fosse ben chiaro a cosa alludeva.
   - Se posso agevolarti, per quel poco che mi consente il mio ruolo di fascista, lo faccio volentieri.
   - Ed io saprei come ricompensarti. - disse Rosetta scaccavallando le cosce e abbassando gli occhi verso l'inguine.
   - Beh, allora? Dimmi cosa vuoi.
   - Notizie su un uomo che tenete prigioniero in una delle celle di San Francesco.
   - E chi sarebbe costui?
   Rosetta esitò prima di pronunciare il nome di Veraldo non sapendo in che modo presentarlo, poi glielo spiattellò.
   - E' Veraldo Bianchini.
   - E cosa rappresenta per te?
   - E' mio marito.
   - Ah!
   - Ci siamo sposati poco prima che iniziasse la guerra. Non lo sapevi?
   - No. Avete figli?
   - No.
   - E qual è il motivo della sua detenzione?
   - E' stato catturato dalle milizie tedesche durante un rastrellamento in montagna e portato a Parma per essere processato, presumo.
   - Ah, e io cosa dovrei fare?
   - Niente, ma vorrei avere sue notizie. Sapere se è ancora vivo.
   - E perché non dovrebbe esserlo. Mica siamo degli assassini noi fascisti! 
   - Sì, lo so. - mentì Rosetta consapevole che non avrebbe potuto rivelargli ciò di cui la gente dell'Oltretorrente era informata in merito all'efferatezza dei metodi di tortura messi in atto dalla polizia segreta. - Quello che mi preoccupa è la Gestapo, potrebbero indurlo a confessare atti di ribellione che non ha mai compiuto. Lui è un debole.
   
   L'unica arma che gli antifascisti avevano a disposizione quando incappavano nella polizia segreta era il silenzio. Rosetta era consapevole di questo, infatti, soltanto il silenzio avrebbe potuto salvare la vita al suo uomo. Tradire i compagni significava ammettere anche le proprie colpe e di conseguenza le attività clandestine di cui i partigiani catturati erano imputati. Resistere alle torture, perseguendo un ostinato silenzio, avrebbe impedito ai fascisti d'entrare in possesso dei nomi degli altri ribelli. E poi anche in caso di delazione tedeschi e fascisti avrebbero fatto comunque tutto ciò che desideravano sulla pelle dei detenuti e questo Rosetta lo sapeva bene.

   - Proverò a informarmi sulle attuali condizioni di tuo marito, poi te le riferirò. Ma sono soltanto notizie sulla sua salute che vuoi?
   - Io, be'...
   - Dimmi pure, non farti scrupolo.
   - Sarei disposta a tutto, proprio a tutto, per vederlo uscire vivo da quella prigione.
   Rosetta pronunciò le parole tutte d'un fiato guardando Alfio Bertonelli dritto negli occhi senza mostrare nessuna incertezza.
   - Lo immaginavo, e questo mi fa piacere. - disse l'uomo che le stava di fronte. Subito dopo accostò la mano sopra quella di Rosetta che stringeva l'impugnatura della tazza di caffè. - Domani ti saprò dire qualcosa di più preciso.
   - Se per te va bene possiamo darci appuntamento in questa caffetteria alla medesima ora. - disse Rosetta senza sottrarre la mano dalla tazza che l'uomo seguitava ad accarezzarle disinteressandosi degli sguardi della gente seduta ai tavoli intorno a loro due.
   - Va bene, restiamo d'accordo così. - concluse Rosetta.

   Il giorno seguente Rosetta si presentò all'appuntamento con una decina di minuto di ritardo sull'ora fissata. Alfio Bertonelli era ad attenderla sulla medesima poltrona di vimini che aveva occupato il giorno precedente. Stavolta era vestito in abiti borghesi, con giacca grigia in doppio petto e camicia nera. Quando la vide si alzò in piedi e la fece accomodare di fronte a lui, dopodiché chiamò il cameriere e si fece servire un paio di tazze di caffè d'orzo.
   - Beh, allora? Come sta mio marito? - chiese trafelata per l'emozione.
   - Uhm... bene, bene, gode di ottima salute, per adesso.
   - Perché dici così.
   - Perché le accuse a suo carico sono gravi, molto gravi. Rischia la fucilazione.
   - Dopo un sommario processo naturalmente.
   - I processi non sono mai sommari, ma quando riguardano casi di tradimento, come nel caso di cui è imputato tuo marito, allora sono brevi perché il più delle volte le prove a carico dei traditori sono schiaccianti. Quando è stato catturato impugnava un fucile Mab 38° sottratto qualche mese fa in una caserma della milizia fascista di Fornovo. Lo sapevi questo?
   - Allora non puoi fare niente per lui? Nemmeno modificare l'accusa, fingendo che abbia collaborato in modo da evitargli la fucilazione?
   - Forse sì.
   - E io te ne sarei per sempre grata, lo sai.
   - In che modo lo sarai con me?
   - Posso dimostrartelo anche subito se vuoi. - disse sbattendo più volte le ciglia dei occhi.
   - Purtroppo fra mezz'ora devo presenziare a una riunione con altri camerati nel palazzo del Podestà, adunanza a cui non posso mancare, potremmo vederci domani sera a casa mia se ti va.
   - Sì, certo.

   L'abitazione di Alfio Bertonelli era situata al primo piano di Palazzo Vecchio, poco distante dalla residenza del Podestà. Rosetta la raggiunse servendosi del tram, sfidando una fitta pioggia che dal primo pomeriggio cadeva sulla città. Uscendo da casa si premurò di mettere nella borsetta una pistola a tamburo da sei colpi, molto facile da usare a differenza delle rivoltelle che spesso si inceppavano.
   Alle nove precise picchiò il battente del portone di Palazzo Vecchio, sul Corso Vittorio Emanuele, dopodiché, rimase in attesa che qualcuno si decidesse a venirle ad aprire.
   Non le importava granché di tradire Veraldo con uno degli uomini più odiati della città. Una volta lavata, la vagina sarebbe tornata quella di prima, ma quello che le stava a cuore era salvare la vita al suo uomo e avrebbe fatto di tutto per riuscirci.
   Ad aprire il portone si presentò Alfio Bertonelli in persona. Questo la stupì perché si aspettava che venisse un fascista della milizia a riceverla. L'uomo indossava una vestaglia da camera di seta damascata che gli nascondeva il petto nudo e gli conferiva un aspetto da amante appassionato. Si premurò di farla accomodare nel corridoio per raggiungere il cortile da cui dipartiva una doppia scala che conduceva ai piani superiori dell'edificio. Fatti pochi passi, ancora prima di raggiungere il cortile, le fu addosso.
   Rosetta si trovò con la schiena spiaccicata contro una delle pareti e il Bertonelli che la stringeva forte a sé. Il gerarca incominciò a baciarla sul collo, tastarle il petto, e morderle la pelle dietro la nuca addentandola ripetutamente. 
   Si meravigliò della foga che l'uomo metteva nel toccarla perché non era abituata a essere trattata in quel modo brutale. Un paio di mani le cinsero le natiche e la abbrancarono da dietro. Le ginocchia dell'uomo le si insinuarono una dopo l’altra fra le cosce costringendola ad allargare le gambe. Avvertì la consistenza del cazzo che le premeva contro l'addome e ne rimase turbata. Da troppo tempo non ne godeva la pressione sulla pelle.
   Non si ribellò al movimento delle labbra che insieme alla lingua si misero a esplorarle il viso aspergendo la pelle di saliva. Il Bertonelli pareva non decidersi a raggiungerle la bocca per penetrarla con la lingua. Era andata lì con l'unico scopo di sedurlo e ottenere la liberazione di Veraldo, anche se la cosa pareva impossibile, ma non aveva messo in conto che si sarebbe eccitata nel subire quel tipo di attenzioni.
   Il gerarca le inserì il palmo della mano sotto il tessuto della camicetta e incominciò a palparle i seni. Rosetta si ritrovò con i capezzoli turgidi e si vergognò di questo. L'eccitazione che le stava suscitando quell'uomo dai modi bruschi e violenti, che tanto la disgustava mentre la stringeva a sé, toccandola e riempiendola di baci sulla pelle, non le riuscì di nascondere. Fece di tutto per rimanere inerme, evitando di farsi coinvolgere dalle carezze di chi le stava appiccicato addosso, fintanto che il gerarca la obbligò ad abbassare la testa e la spinse a inginocchiarsi davanti a lui. Estrasse il cazzo, liberandolo dalla vestaglia, e lo avvicinò alla bocca di Rosetta che si stupì nel costatare come era superdotato l’uomo.

   La pioggia cadeva rumorosa qualche passo più in là, nel cavedio del cortile, e copriva i gemiti di piacere che a Rosetta uscivano dalle labbra mentre succhiava la cappella. Per fare venire il gerarca in breve tempo si aiutò col movimento della mano che si premurò di stringere tutt'attorno alla radice del cazzo. I fiotti di sperma le riempirono la bocca quando l'uomo eiaculò. Deglutì in fretta il liquido seminale ripulendo la cappella da ogni traccia con la lingua, badando a soddisfare gli ordini che lui le propinava.
   - Adesso vieni con me. - disse il gerarca dopo averla presa per mano.
   Insieme attraversarono il cortile e raggiunsero la scalinata che conduceva ai piani superiori. Al primo piano misero piede in una delle due abitazioni che si affacciavano sul pianerottolo. Superata la porta d’ingresso le chiese di spogliarsi di tutto ciò che aveva addosso. Lei acconsentì senza battere ciglio mostrandogli il corpo nudo come aveva fatto soltanto con Veraldo, dopodiché lo seguì nella stanza da letto dove il gerarca la condusse.
  Quella sera Rosetta venne a conoscenza che c'erano uomini come il Bertonelli che traevano un piacere sadico nell'infliggere dolore fisico o feroci umiliazioni alle donne con cui facevano l'amore. Sennonché essere coinvolta in situazioni anche lesive della sua integrità fisica, sperimentare sofferenza, disprezzo, e subire umiliazioni di ogni tipo cui la sottopose il gerarca per tutto il tempo che rimasero in quella camera le diede piacere.
   Facendo sesso con il gerarca Rosetta scoprì che una situazione di dolore, soprattutto fisico, era in grado di provocarle una forte eccitazione e accentuazione del piacere. Infatti, si trovò a raggiungere più di un orgasmo e un completo abbandono del corpo e della mente, sensazioni che non aveva mai provato facendo l'amore con Veraldo, e questo la lasciò disorientata.
   Rossetta non sapeva cosa fosse il sadomasochismo, nemmeno aveva mai sentito quella parola. Lo scoprì quella sera, mettendosi a disposizione di quell'uomo, rifiutando ogni limitazione impostale dalla morale comune, accrescendo il proprio piacere, ma soprattutto capì che nel fare sesso non bisognava porsi alcun limite. Le sensazioni d'euforia, conseguenza del dolore che le aveva imposto il Bertonelli con le sevizie cui l'aveva sottoposta, si erano espresse in un piacere che avrebbe desiderato assaporare in futuro con Veraldo.

   Verso mezzanotte la pioggia diminuì d'intensità. Rosetta scese dal letto, indolenzita, con la pelle tumefatta in più di una parte del corpo. Con un po’ di difficoltà prese a vestirsi decisa a fare ritorno a casa. Durante la serata lei e il gerarca non avevano mai parlato di Veraldo. Quando si trovò sulla soglia della porta, pronta a lasciare l'abitazione, si rivolse al gerarca e gli fece la domanda che avrebbe voluto rivolgergli da quando aveva messo piede nell'appartamento.
   - Non mi hai dato nessuna notizia di Veraldo. Ieri mi avevi promesso che te ne saresti occupato, non è così?
   L'uomo la guardò con disprezzo, dall'alto al basso, intenzionato a infliggerle un nuovo dolore, dopodiché le snocciolò la verità.
   - E' stato fucilato questa mattina.
   Rosetta rimase impassibile. Non diede seguito alla provocazione, ma prima di uscire dall'abitazione tolse dalla borsetta la pistola a tamburo che portava con sé e la puntò dritta contro l'uomo che le stava davanti. In breve successione sparò quattro colpi contro l'ufficiale delle Camicie Nere, dopodiché scappo via.
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   Il 25 aprile 1945, otto mesi dopo quell'avvenimento, a Fornovo Taro, distante 20 km. da Parma, oltre 15.000 soldati tedeschi e miliziani fascisti, in ritirata dalla Lunigiana, furono intercettati dalle forze partigiane tra Fornovo e Pontescodogna. Le truppe tedesche, dopo avere tentato inutilmente di rompere l'accerchiamento deposero le armi e firmarono la resa.
   A Parma le avanguardie alleate della 5.a Armata raggiunsero la periferia della città e si incontrarono con i partigiani. Unità della Brigata "Parma Vecchia" presero il controllo dell'Oltretorrente, fra loro c'era anche Rosetta. 

 

 
 

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