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RIEN
NE VA PLUS
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L'ingresso
del centro commerciale è occupato da
una ressa di persone
in
attesa dell'apertura delle porte. Sono
volti inquieti quelli dellepersone che mi circondano, forse
perché hanno fretta d'entrare.
Alle 9.00 precise le porte
a vetri del centro commerciale si
spalancano. Scrollatisi di dosso il
torpore in cui parevano mummificati,
uomini e donne si precipitano lungo il
corridoio centrale che conduce
all'ipermercato. Da automi inanimati
quali erano soltanto qualche istante
prima, ora sono esseri animati. Si
urtano con i carrelli come fossero alla
guida delle macchine elettriche che si
trovano negli autoscontro dei Luna Park.
Ciascuno di loro è pienamente consapevole
di condurre una esistenza tribolata,
forse anche inutile. E' la prima cosa
che mi viene da pensare mentre procedo,
spingendo il carrello della spesa, verso
l'ipermercato.
Il centro commerciale, con
le sue offerte mirabolanti, sembra
proporsi come un invito a inseguire
nuovi sogni, ed è quello di cui la
maggioranza della gente ha bisogno. Sì,
deve essere così, ma perché a me non
succedete? Forse è perché ho già
smesso di sognare da molto tempo.
Mi muovo spingendo il
carrello della spesa fra le corsie
occupate da merci dalle confezioni
miracolose. Ma a differenza della gente
che mi circonda non mi lascio corrompere
dai cartelli che indicano il ribasso del
prezzo su alcuni prodotti, consapevole
che si tratta di cartelli messi lì, in
bell'evidenza, dalla direzione
commerciale dell'ipermercato per
incentivare gli acquisti.
Osservo le merci esposte e
intanto penso. Penso che dovrei mettere
la testa a posto e riorganizzare la mia
vita, scegliendo fra le cose
che considero importanti quelle a cui
dare la priorità e se possibile
renderle concrete. E invece non ci
riesco. Forse ho troppe cose da fare e
altrettante a cui pensare. Ma avrei
anche molto da studiare per laurearmi
per tempo, e questa è una delle mie
priorità, anzi, dovrei metterla al
primo posto davanti a tutte le
priorità.
Più di tutto dovrei
rispolverare i miei sogni, se mai ne ho
avuti, perché il dubbio di non averne
più mi sorge sempre più spesso. Avrei
bisogno di dare ascolto ai miei
pensieri, riportare alla luce l'essenza
più intima di me stessa rimasta
assopita per troppo tempo. Ma ho poca
considerazione della mia persona e
questo è un grande difetto, e ne sono
cosciente.
Sono una donna semplice,
del tutto priva di grandi ambizioni,
infatti, non ho grilli per la testa.
Quello che voglio dalla vita è
laurearmi, formare una famiglia,
allevare figli, essere proprietaria di
una bella casa, andare spesso in vacanza
e cucinare cose buone. E' forse
sbagliato tutto ciò?
In questo periodo della mia
vita sono una donna fragile e
sufficientemente vulnerabile. Forse mi sto
destabilizzando e la cosa non mi fa
piacere. Non so dove sta andando la mia
vita, sono stanca di condurre la mia
esistenza in questo modo.
Sentimentalmente sono legata a un uomo
che frequento da un paio di anni, con
lui scopo regolarmente, trascorriamo
molto tempo insieme senza mai
asfissiarci, eppure non mi basta la sua
presenza per essere felice; e di questo
non so farmene una ragione.
Ho impiegato poco meno di
mezzora per compiere la spesa. Mi guardo
intorno e ciò che vedono i miei occhi
sono i visi compiaciuti di uomini e
donne che spingono carrelli colmi di
merce e di sogni. Io, al contrario, non
vedo l'ora di raggiungere una delle
casse per pagare la merce e andarmene
dall'ipermercato.
Quando è il mio turno
trasbordo la merce dal carrello al
nastro trasportatore senza distogliere
lo sguardo dal volto della cassiera
impegnata a fare scorrere, in maniera
meccanica, i codici a barre delle merci
sul lettore ottico. Il volto della donna
non mostra alcun segno d'insofferenza
per il lavoro ripetitivo che svolge. E
di questo me ne stupisco.
- Sono cinquantadue euro e
dieci centesimi. - mi informa mentre
finisco di raccogliere, dentro un paio
di sacchetti di plastica, la merce che
si è accumulata nella parte inferiore
del bancone.
Dopo che le ho digitato il
codici del Bancomat la cassiera si
premura di consegnarmi lo scontrino
congiuntamente a un sorriso. Subito dopo
mi ritrovo a spingere il carrello della
spesa nella corsia che conduce
all'uscita dell'ipermercato.
Nel mese di luglio ho
sostenuto ben tre esami universitari. E'
stato un periodo orrendo in cui ho
patito uno stress indicibile, tanto è
vero che non sono riuscita a rilassarmi
neppure nei giorni successivi l'ultima
prova d'esame.
A inizio agosto ho
ricominciato a correre per i sentieri
sterrati del Parco Ducale. I primi
giorni non avevo fiato, così ho
faticato tantissimo a muovere il culo e
correre, ma poco per volta ho
ricominciato a prenderci gusto, così
dopo tante settimane trascorse col capo
chino sui libri mi è tornata la voglia
di vivere, di rivedere le amiche,
seppure asfissianti con i loro stupidi
problemi, ma comunque tanto care.
Sono riuscita a rimettere
in moto certi meccanismi di difesa,
decisa a togliermi dalla pelle il lardo
(otto chili) accumulato durante i mesi
estivi, simbolo del sacrificio
intellettuale a cui mi sono sottoposta
per prepararmi al meglio delle mie
capacità agli esami. Stasera ho in
programma una bella mangiata insieme a
loro e ne sono felice perché sono
tornata a essere me stessa, ed era da
tanto tempo che lo desideravo.
Il bancone dell'Oliver Bar
è illuminato da grappoli di globi
luminosi che diffondono una luce
olivastra. Gli sgabelli a trampolo,
fissati al pavimento, sono tutti
occupati da sagome umane meno uno.
Indugio prima di decidermi ad
abbandonare il carrello della spesa e
avvicinarmi al bancone. Ho un buco
nello stomaco e ho bisogno di mettere al più presto qualcosa
sotto i denti.
Vado a occupare l'unico
seggiolino a trampolo libero. Mi
accomodo a fianco di un uomo dalla pelle
nera dalle forme esagerate. Al gestore
di bar che da dietro il bancone mi si
avvicina chiedo di servirmi un trancio
di pizza e una birra scura, dopodiché
mi guardo attorno. Lo sguardo mi cade
sul piatto di uova strapazzate e
pancetta affumicata servite all'uomo
seduto al mio fianco e faccio una
smorfia. Alzo il capo e mi accorgo che
anche lui mi guarda.
- Trovi che sia strano
quello che mangio? - mi chiede dandomi
del tu.
- Eh?
- Mi sto riferendo alle
uova al bacon e alla pancetta affumicata
che sembri guardare con disgusto.
- Se le ho dato questa
impressione ne sono dispiaciuta, non era
mia intenzione mostrarmi maleducata.
Sono ghiotta di pancetta affumicata, ma
sono allergica a certe sostanze
contenute nelle uova, per questo motivo
non mi è consentito mangiarle. E'
questa la ragione per cui mi sono persa
a guardare il piatto.
- Davvero non vuoi
assaggiarne un po'? - mi incoraggia nel
suo italiano quasi perfetto.
- No, grazie. - gli faccio
segno col capo mentre il cameriere si
affretta a deporre sul bancone il
trancio di pizza che ho ordinato. Torna
subito dopo con una Guinness scura a cui
si premura di togliere il tappo davanti
a me.
- Allora cos'altro c'è che
non va?
- Prego?
- Ti ho chiesto cosa ti
preoccupa?
- Davvero ti sto dando
questa impressione?
- Sì.
- Forse dipenderà dal
fatto che in questi ultimi mesi mi sono
impegnata troppo a studiare.
- Universitaria?
- Sono iscritta alla facoltà
di lettere, frequento il terzo anno.
- Ah, e sei brava?
- C'è chi dice che sono
brava, ma io non posso lamentarmi.
- Ti piace frequentare
l'università.
- Beh, quello che più mi
disturba è l'avere a che fare con
professori frustrati, persone
incompetenti che si atteggiano a
intellettuali, ormai riesco a esaltarmi
solo con poche persone. Mi piace
studiare, sono curiosa, e non vorrei mai
smettere di apprendere le cose. Ma non
ho più molta voglia d'imparare a
memoria date inutili, particolari
insignificanti e assecondare la contorta
psicologia di ogni docente.
- E cosa vorresti?
- Vorrei concentrarmi in
cose più importanti, vorrei dare più
senso alla mia vita.
- E' un problema di tutti,
credo.
- Il fatto è che non
riesco a essere lucida, dovrei darmi
degli obiettivi. A volte non m'importa
un cazzo di quello che farò in futuro,
ma quando mi capita di pensare alla vita
in modo negativo è solo per
scaramanzia, perché sto male appena
sbaglio qualcosa. Sono una che si
tormenta alla minima distrazione e
subito mi sento in colpa.
- Beh, allora cos'è che
non va?
- Non lo so, sono qui e
vivo, e mi considero una ragazza
fortunata a confronto di tante altre,
eppure come puoi costatare non mi manca
il coraggio di lamentarmi.
- E allora?
- Non so cosa mi sta
succedendo, perché se è vero che per
alcuni giorni della settimana mi sento
felice, bella, innamorata, subito dopo
mi ritrovo ansiosa, depressa e
ingrassata di qualche chilo.
- Non si direbbe
guardandoti.
- Sono otto chili sopra il
mio peso forma, dovrei pesare 48 chili
mentre adesso ne sono 56.
- Ti assicuro che c'hai un
corpo fantastico invece.
- Sono molto golosa, e mi
capita di esserlo quando sono
particolarmente stressata.
- E oggi come sei?
- Oggi? Boh!
Dopo che il cameriere mi ha
servito il trancio di pizza mi sono
persa a rispondere alle domande dello
sconosciuto seduto al mio fianco. Ho
bevuto soltanto qualche sorso di birra e
nient'altro. Sto per avvicinare la pizza
alla bocca, ma vengo interrotta da un
gesto dell'uomo che mi afferra un polso
e mi fa cenno di seguirlo.
Senza opporre resistenza mi
lascio condurre per mano lungo il
corridoio incapace di una qualsiasi
reazione. Lungo il percorso incrociamo
uno dei vigilantes addetti alla
sicurezza interna dell'ipermercato.
Potrei urlare, chiedergli aiuto, ma non
lo faccio, invece mi lascio condurre
verso una destinazione a me del tutto
ignota dall'uomo dalla pelle nera che mi
trascina con sé senza degnarmi di una
parola.
La porta dei servizi
igienici si spalanca davanti ai miei
occhi spinta con forza da un calcio del
mio compagno. Seguo l'uomo dentro il
locale eccitata dalla strana situazione
in cui mi sono venuta a trovare. Ho il
fiato grosso, il cuore che pulsa in
maniera incontrollata e la figa in tiro.
Non so quali siano le sue intenzioni, ma
qualcosa incomincio a intuirla.
Superiamo la fila di
orinatoi incastonati a una delle pareti
e vuoti di persone. Vengo sospinta
dentro uno dei gabinetti e non faccio
niente per oppormi. Mi ritrovo con le
spalle accostate a una parete del cesso
alla turca. L'uomo è lesto a chiudere
la porta col chiavistello alle nostre
spalle, poi si gira verso di me. Lo
guardo dritto negli occhi mentre accosta
le mani sulle tette.
Sono colta da una serie di
brividi che mi trapassano lo scheletro
da capo a piedi. Lui deve accorgersene
perché dal suo viso traspare un ghigno
malizioso che ne mette in risalto le
gengive e una doppia fila di denti
bianchi come l'avorio. Sollevo il capo
di lato e lui ne approfitta per baciarmi
sul collo, poi trascina le labbra dietro
la nuca e mi morde la pelle mentre con
le mani insiste a carezzarmi le tette
che sento scoppiarmi tanto sono gonfie.
Ho i capezzoli turgidi e sono eccitata
da morire.
Non ho mai fatto sesso con
un uomo dalla pelle nera, è la prima
volta che mi succede, anche se è una
fantasia che mi porto appresso da quando
ero adolescente. La prima cosa che ho
colto quando mi ha abbracciata è la
puzza della pelle, davvero disgustosa,
ma non ci faccio caso, anzi trovo
l'odore generato dal sudore persino
eccitante.
Avverto il calore della sua
mano che s'insinua fra le mie cosce e in
maniera indecente mi accarezza le
mutande. Incomincio ad ansimare
scioccata dalla strana situazione in cui
mi sono cacciata, stupita dalla voglia
di scopare che mi è venuta addosso.
Mi lascio baciare sul
collo, ma evito che le sue labbra si
posino sulle mie. Scanso di lato il viso
ogniqualvolta prova a farlo, soltanto
quando abbassa la lampo dei pantaloni ed
estrae il cazzo, depositandomelo nella
mano, non faccio più caso alle sue
labbra turbata dalle dimensioni del
pezzo di carne che stringo fra le dita.
Incomincio a masturbarlo
per niente a disagio dalla situazione in
cui, mio malgrado, mi sono venuta a
trovare. Lui mi ha infilato le dita
nella fessura della passera bagna
fradicia e sciorina dei movimenti lenti
e penetranti. Mugolo di piacere e non me
ne vergogno, anzi mi delizio nel
renderlo partecipe delle sensazioni che
sto provando.
Seguitiamo a toccarci
fintanto che accosta tutt'e due le mani
sul mio capo e lo spinge verso il basso
obbligandomi a inginocchiarmi ai suoi
piedi.
Il perché mi è subito
chiaro. Mi ritrovo con la cappella che
pulsa davanti alla bocca. Ha un colorito
roseo, ed è uguale in tutto e per tutto
alle altre cappelle che ho succhiato.
Senza pensarci troppo, aiutandomi con la
mano, la introduco fra le labbra e
incomincio a succhiarla con la saliva
che mi abbonda nella bocca.
L'uomo asseconda gli
spostamenti del mio capo con il
movimento del bacino. Entriamo in
simbiosi e i nostri movimenti diventano
un tutt'uno. Se all'inizio il cazzo
aveva il sapore di piscio adesso ha
l'odore caratteristico della scopata ed
è identico a quello di tutti gli altri
odori dei cazzi che ho succhiato prima
d'oggi.
Seguito a succhiare con la
vagina che cola umore in quantità
esagerata fra le cosce. Devo avere le
mutande fradice e la cosa non mi
dispiace perché sarà uno dei ricordi
che conserverò di questa avventura. Ma
più di tutto desidero che mi
seppellisca il cazzo fra le cosce, e poi
non voglio che venga nella mia bocca.
Libero il cazzo dalle
labbra e mi alzo in piedi. Senza che me
lo chieda trascino gli slip sul
pavimento, facendoli passare sotto le
caviglie, dopo essermi premurata di
liberare le scarpe. Sono lesta a
circondargli le braccia attorno il
collo. Attorciglio le gambe ai suoi
fianchi e unisco i calcagni dietro la
schiena. Lui è rapido ad accorgersi
delle mie intenzioni, mi serra le mani
intorno alle natiche e mi tiene
sollevata da terra senza troppo sforzo.
In questa postura, con la schiena
appoggiata a una parete del cesso,
lascio che accompagni con la mano il
cazzo fra le mie cosce e lo seppellisca
nella passera.
Manteniamo il capo
accostato ciascuno a quello dell'altro e
diamo ascolto ai suoni che escono dalle
nostre labbra mentre scopiamo come
animali. Annuso la sua pelle intrisa di
nuovi odori intanto che le appendici dei
nostri corpi si cercano. Mi piace
scopare in questa postura, seppure un
po' scomoda, ma che permette al cazzo di
raggiungere il fondo dell'utero e oltre.
Sono madida di sudore e non
sto più nella pelle per l'eccitazione.
Desidero arrivare al più presto
all'orgasmo, anche se mi capitata
raramente di raggiungerlo, perlomeno con
gli uomini, mentre quando mi masturbo da
sola mi succede sempre.
Scopiamo da una decina di
minuti e sono prossima a venire. Ho la
figa in liquefazione e gli spasmi della
mucosa si fanno più insistenti. Lui
deve essersene accorto perché ha
aumentato il ritmo della scopata.
Il mio corpo incomincia a
tremare e dalle labbra mi escono dei
gemiti di piacere che non so trattenere,
come mio solito.
- Sì... Sì... Godo! Godo!
- urlo a gran voce mentre sto per
venire.
L'uomo non smette di
scoparmi. Mi accascio col viso sulla sua
spalla e tremo tutta mentre seguito a
urlargli addosso tutto il mio piacere.
Stavolta sono io a decidere
di succhiarglielo, il cazzo. Mi
inginocchio e lo infilo nella bocca. Con
il movimento della mano seguito a
masturbarlo mentre succhio la cappella
fintanto che viene. Faccio appena in
tempo a liberare il cazzo dalla bocca
prima che un fiotto di sperma, seguito
da parecchi altri, mi colpisca in viso
insudiciandomi. Ed è tutto quello che
mi resta di lui.
Il carrello della spesa è
parcheggiato dinanzi l'Oliver Bar, là
dove l'ho lasciato. Ormai lo avevo dato
per perso, invece è ancora pieno della
merce che ho prelevato all'ipermercato.
Nessuno ha rubato alcunché nonostante
la mia prolungata assenza. Sul bancone
del bar non c'è traccia del trancio di
pizza e della birra che non ho
consumato. Mi avvio verso l'uscita
dell'ipermercato soddisfatta dopo quanto
mi è successo, certa che un’altra
avventura come quella di cui sono stata
protagonista non mi accadrà mai più.
Ma non dispero che possa di nuovo
accadere perché anch'io come il resto
delle persone che hanno messo piede al
supermercato ho bisogno di sognare.
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