NON AMMAZZARE

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

     Mario, questo il nome che Sante aveva assunto da partigiano, fu catturato da una formazione di miliziani fascisti in prossimità del ponte di barche di Viadana. Era il 23 aprile del 1945, soltanto due giorni dopo sarebbe stata proclamata la fine dell'occupazione nazista e della guerra. Colto di sorpresa, mentre percorreva a piedi il sentiero che sovrastava l'argine del Po, il comandante partigiano fu immobilizzato e costretto alla resa.
   I fascisti, balzategli addosso numerosi, non gli avevano lasciato il tempo di sparare un solo colpo del mitra che portava tracolla. Una volta catturato lo avevano trasferito nella dipendenza delle camicie nere del paese di Mezzano. Sottoposto a indicibili torture venne barbaramente trucidato, ma non rivelò il luogo dove erano accampati i partigiani del suo gruppo. 
   Il cadavere, scarnificato e mutilato in più parti, venne trovato da alcuni contadini, riverso in un fosso di campagna, la mattina seguente. 
   I compagni della 31.ma Brigata Garibaldi, avvertiti dagli abitanti del paese, si precipitarono sul luogo del rinvenimento del cadavere e trasportarono il comandante nell'aula consigliare del Municipio dove allestirono la camera ardente. Nel frattempo la formazione di miliziani fascisti, responsabili dello scempio, aveva abbandonato il territorio della Bassa Parmense per trovare rifugio sulla sponda lombarda del grande fiume senza lasciare nessuna traccia di sé.
   Mario era vissuto in un'epoca in cui le condizioni dei lavoratori delle campagne erano durissime, specie per la mano d'opera bracciantile. Uomini e donne erano costretti a lavorare nelle campagne dall'alba al tramonto ricevendo dagli agrari dei salari da fame. Intere famiglie vivevano nelle corti, in totale promiscuità, fra stenti e miseria negli esigui spazi che i padroni delle aziende agricole mettevano loro a disposizione.
   Mario aveva sposato Eles qualche anno prima dello scoppio della guerra. Entrambi avevano lavorato come braccianti nella medesima azienda agricola che li ospitava. La loro storia d'amore era sbocciata una sera d'estate fra i covoni di paglia e le spighe dorate del grano da mietere.
   Approfittavano del poco tempo libero che il padrone della corte lasciava alle famiglie ospiti della azienda agricola, prima della serrata serale, per fare l'amore nei prati attorno alla casa di campagna.
   Il loro era un mondo piccolo dove ogni ospite della corte, circa un centinaio di contadini, lavorava a esclusivo beneficio del padrone, ma vivere da sfruttato non rendeva felice Mario e lo stesso valeva per tutti i componenti delle famiglie che vivevano la stessa sua situazione.
   Assistendo a un comizio aveva conosciuto dei giovani socialisti e con loro aveva stretto una profonda amicizia. Quando scendeva la notte aveva preso l'abitudine di allontanarsi dalla corte. Di nascosto si recava nei casolari sparsi nelle campagne a propagandare l'idea socialista e la giustizia sociale.
   Arrestato in più di una occasione mentre incollava sui muri delle case manifesti sovversivi che incitavano all'uguaglianza e alla giustizia sociale, perseguitato e braccato dalle squadre fasciste, si era dato alla clandestinità per sfuggire alle loro grinfie, ma tornava spesso da Eles con cui nel frattempo si era unito in matrimonio e messo al mondo due figli maschi: Enrico e Pietro.
   Mario aveva imparato a detestare i padroni già da bambino, soprattutto perché ricchi e borghesi disprezzavano i contadini per la puzza del sudore. Dopo l'8 settembre era fuggito in montagna e aveva aderito al movimento della Resistenza. La mattina del 22 Aprile 1945, in vista dell'imminente insurrezione, aveva lasciato il rifugio nell'alta Val di Taro e, insieme ai compagni d'armi, era sceso a valle. 
   Ubbidendo alle disposizioni del CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna) avrebbe dovuto schierarsi insieme ad altri ribelli a difesa del ponte di barche di Viadana, sul fiume Po. Il compito assegnatogli consisteva nell'evitare che le truppe tedesche lo facessero saltare per aria durante la ritirata verso nord rallentando l'arrivo delle truppe alleate.
   Al comando del nucleo di partigiani combattenti della sua banda aveva lasciato il rifugio di montagna nella prima mattina. La giornata era uggiosa e fredda, scendendo a valle avevano camminato a gruppi sparsi. Due uomini si erano messi in avanscoperta, mentre il grosso del gruppo li aveva seguiti a breve distanza, altri tre partigiani si erano schierati in retroguardia.
   Avevano percorso i sentieri che costeggiano il fiume Taro sotto una pioggia battente, evitando di marciare sulle strade carrozzabili e le mulattiere. Una volta lasciatesi alle spalle boschi di castagno e faggeti avevano raggiunto i pioppeti del Po soltanto verso sera.
   Sul capo indossava un cappello a falde larghe per ripararsi dalla pioggia, mentre alla cintola reggeva due pistole: una a tamburo e l'altra automatica, entrambe col colpo in canna. Il tabarro che nei lunghi mesi trascorsi in montagna lo aveva protetto dal freddo e dal gelo, e un tempo era stato di suo padre, lo aveva tenuto al riparo dalla pioggia durante la lunga marcia di avvicinamento al fiume. 
   In prossimità del paese di Mezzano si era separato dai compagni. Li avrebbe raggiunti soltanto l'indomani, dopo avere trascorso la notte in compagnia di Eles e avere accarezzato i figli che non vedeva da un anno.
   - Vacci piano, eh. Hai già due figli da mantenere, mica vorrai aumentare il numero dei membri della famiglia. Cosa gli darai da mangiare dopo? - Gli avevano urlato i compagni d'armi mentre si allontanava per raggiungere la propria abitazione. 
   La sua casa si trovava all'interno di un terreno golenale, appena sotto l'argine maestro del Po. Quando l'aveva raggiunta era notte. La pioggia e la nebbia gli avevano fatto sembrare ancora più fatiscenti quei luoghi, ma l'odore delle muffe e il rumore sordo dell'acqua che scorreva nel fiume lo aveva riempito di gioia. 
   Eles si era messa a piangere di gioia quando l'aveva visto arrivare. Lo aveva stretto a sé aggrappandosi a lui con tutte le forze. Subito dopo Mario aveva fatto visita alla camera dei bambini. Li aveva accarezzati a lungo entrambi senza svegliarli, illuminandoli con il lume di una candela, contemplandoli mentre dormivano.
   Le braci ardevano nel caminetto quando lui e la moglie si erano messi a sedere accanto al fuoco. Dinanzi alla fiamma si erano scambiati quelle parole che da troppo tempo erano rimaste prigioniere nei loro cuori. Ne avevano parecchie di cose da dirsi, ma sapevano che il giorno della Liberazione dal nemico tedesco era ormai prossimo, poi avrebbero avuto tutto il tempo per parlare e confidarsi le tribolazioni della vita. 
   Mettendo piede nella stanza da letto si accorse che nulla era cambiato dall'ultima volta che era stato lì. Il letto di ferro battuto lasciatogli in eredità dai genitori di Eles era al suo posto. Anche il soffice materasso di piume d'oca era il medesimo. 
   Per la prima volta dopo molto tempo avrebbe riposato le membra su un soffice giaciglio. Spogliatosi di ogni abito, come non faceva da lungo tempo, si era infilato sotto le coperte, prima però aveva provveduto ad appoggiare le rivoltelle che era solito portare alla cintola sul comodino per averle a portata di mano in caso di necessità.
   Eles aveva indossato una camicia da notte, la più bella che possedeva. Era di cotone e lunga fino ai piedi, capace di nasconderle le forme rotonde del giovane corpo. Una lunga treccia di capelli, di colore castano scuro, le scendeva lungo il collo conferendole l'aspetto di donna matura, invece teneva solo ventisei anni. 
   Quella notte aveva accolto il suo uomo dentro di sé con l'amore di chi, da troppo tempo, era tormentata per la sua lontananza, e come una moderna Penelope aveva pianto di gioia.
   Nel buio avevano fatto l'amore fino all'alba recuperando solo in parte il tempo perduto. La mattina, alle prime luci, Mario aveva lasciato la propria abitazione per raggiungere i compagni d'arme. 
   Lasciando Eles le aveva fatto dono di un ultimo bacio e lo stesso aveva fatto con i due figli che dormivano nei loro letti. A piedi si era incamminato lungo il sentiero sull'argine maestro diretto al ponte di barche dove l'aspettavano i compagni, ma durante il tragitto una squadra di miliziani fascisti, avvertiti della sua presenza da qualche spiata, lo avevano catturato e ucciso. 
   Al funerale del comandante partigiano erano presenti tutti gli abitanti del paese. Molte persone informate dell'eccidio giunsero dai comuni limitrofi per rendergli omaggio, perfino dalla lontana Parma arrivarono parecchi compagni e amici. Sulla lapide della tomba che tutt'ora ne accoglie le spoglie c'è una iscrizione: 
 

 

Comandante Partigiano Mario 1921-1945 
"Ha offerto la sua esistenza alla causa di tutti gli uomini liberi"

 

 

 
 

------------------------------------

 
 

Racconti
1 - 100

Racconti
101 - 200

Racconti
201 - 300

Racconti
301 - 400

Racconti
401 - 500

Racconti
501 - 600

Racconti 601-700


.E' vietato l'utilizzo dei testi ospitati in questo sito in altro contesto senza autorizzazione dell'autore
I racconti sono di proprietà di Farfallina e protetti dal diritto d'autore.
L'usurpazione della paternità dei testi costituisce plagio ed è perseguibile a norma di legge.