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PROVE
DI EVITAMENTO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Non
sono una donna dal carattere facile.
Perlomeno questo è ciò che sostengono
molte delle persone che mi gravitano
attorno. Infatti, sono complicata e ne
sono consapevole. Vivo stabilmente in
uno stato di allerta che mi provoca
inquietudine e paura. Il medico che mi
ha in cura, uno specialista in malattie
nervose, sostiene che soffro di una
forma ossessiva di evitamento.
L'evitamento non è
una patologia rara, anzi, tutt'altro,
infatti, sono molte le persone che
cadono nell'oblio di questa malattia a
causa dello stress.
Eppure di questa
malattia non sono riuscita a trovare
traccia su nessuno dei dizionari di
lingua italiana che mi sono presa la
briga di consultare. Per sapere l'esatto
significato del termine "evitamento"
sono andata a sfogliare un manuale di
psichiatria.
Il testo l'ho recuperato
nella biblioteca della clinica
universitaria dove presto servizio come
strumentista di sala operatoria. Senza
l'ausilio di questo manuale non sarei
mai riuscita a venirne a capo. Ne sono
sicura.
Da adolescente ho
convissuto senza troppi problemi con
l'ansia, forse perché la reputavo uno
stato emotivo capace di tenermi
allertata di fronte a eventuali
situazioni di pericolo. Un meccanismo di
difesa che il mio organismo metteva in
atto allorché dovevo
prestare maggiore attenzione al mondo
circostante, come quando frequentavo
l'università e dovevo presentarmi
dinanzi alle commissioni per superare
gli esami.
Soltanto di recente, con
l'aiuto di uno psicologo, ho compreso
che l'ansia che mi affligge, evoluta nel
tempo in maniera smisurata, è una
reazione emotiva anomala ed è opportuno
che me ne liberi al più presto.
La mia vita è cambiata
radicalmente quando lo stato d'ansia di
cui soffro si è trasformato in una
inquietudine durevole verso tutto ciò
che mi sta intorno. Col passare del
tempo ho iniziato a provare paura nel
compiere anche le cose più semplici. La
mia vita è diventata surreale,
aggravata di preoccupazioni circa i miei
pensieri, i sentimenti, e il modo di
comportarmi mio e delle persone che mi
stanno intorno.
Sempre più spesso, in
situazioni anche apparentemente non
critiche, sono colta da spasmi
muscolari, sudorazione profusa, e
persino da sensazioni di soffocamento. A
volte mi ritrovo bloccata, con il corpo
irrigidito, impaurita e in preda allo
sgomento, come se stessi preparandomi a
essere testimone di una catastrofe
imminente.
Per arginare queste mie
paure ho messo in atto una strategia
difensiva piuttosto semplice: scappo!
Scappo ogni volta che vengo
a contatto con tutto ciò che mi produce
ansia. In questo modo evito tutte le
situazioni che possono destabilizzarmi.
Ma questo mio atteggiamento di difesa,
col passare del tempo, si è trasformato
in una abitudine compulsiva.
Ho cominciato a sfuggire
tutte le situazioni, anche le più
banali, in cui avrei potuto patire
d'ansia. Ma così facendo ho messo a
rischio la mia vita di relazione, specie
con le persone che mi gravitano
d'intorno e con cui vengo quotidianamente
a contatto.
Le difese che ho messo in
atto hanno ridotto la sintomatologia
psicofisica procuratami dall'ansia, ma
hanno dato avvio a un rischioso circolo
vizioso e impresso maggiore vigore a
quelle emozioni negative che, col
passare del tempo, sono divenute sempre
più negative. Ho finito per chiudermi
in me stessa, prigioniera fra le mura
domestiche, perché non sono più in
grado di contrastare la paura che mi
affligge quando sono fra la gente.
Nonostante le mie
ossessioni seguito a lavorare come
strumentista nella sala operatoria della
clinica chirurgica dove presto servizio
da una decina di anni, ma lì,
stranamente, non ho paura di niente,
forse perché la morte è mia compagna
quotidiana.
Lo specialista neurologo
che mi ha in cura preme perché mantenga
un minimo di relazioni sociali con il
mondo esterno, specie per ciò che
riguarda i rapporti affettivi che
potrebbero essermi utili per uscire
dallo stato di avvilimento e sfiducia
che caratterizza il mio umore, ma non ci
riesco.
Ho paura del contatto
fisico cui sarei costretta facendo
l'amore con un uomo. Ormai manco di una
qualsiasi fantasia erotica e di
conseguenza sono certa che non
avvertirei alcun piacere sessuale
scopando.
Non faccio sesso da più un
anno e nemmeno provo il desiderio di
fare l'amore con un uomo. L'evitamento,
oltre alla depressione, mi ha causato un
grave disturbo della personalità a cui
il medico ha attribuito l'appellativo di
"anoressia sessuale".
Al momento, a conferma
della sua diagnosi, oltre alla mancanza
del desiderio sessuale, sono anche priva
di quegli stimoli fisici che sono propri
della sessualità femminile. L'ennesima
prova del mio malessere l'ho avuta la
settimana scorsa, quando, dietro
suggerimento dello psicologo, ho preso a
noleggio un film pornografico.
Le immagini della fica
glabra di Milly D'Abbraccio e il cazzo
superdotato di Rocco Siffredi mi hanno
lasciata indifferente, nemmeno
mi si è lubrificata la vagina,
contrariamente a quanto mi succedeva in
passato quando assistevo alla visione di
film pornografici.
Mentre sullo schermo
scorrevano le immagini ho provato a
masturbarmi, ma ho dovuto desistere dal
farlo perché non provavo alcunché di
piacevole, anzi, l'unico risultato certo
che ho ottenuto, strofinando la mucosa
della vagina, è che l'ho irritata perché
non era bagnata a sufficienza.
Allo psicologo ho
raccontato della mia refrattarietà di
fronte a quelle immagini. Lui non ne è
rimasto sorpreso poiché le mie parole
non hanno fatto altro che avallare la
diagnosi di anoressia sessuale.
*
* *
Soltanto
mezz'ora fa avevo voglia di andare a
dormire, ma quando Luana, la mia
migliore amica, mi ha telefonato,
insistendo perché uscissimo insieme, non ho saputo rifiutare l'invito.
- Ti conduco al De Sade. -
mi ha detto al telefono quando già
avevo accettato l'invito per uscire con
lei. - E' un posto particolare, sono
certa che avrai modo di distrarti.
"Non
stare in attesa d'incontrare
l'amore, fallo subito"
La scritta al neon capeggia all'ingresso
del De Sade, un locale underground che
ha aperto i battenti di recente in una
zona a est della città, in direzione
Reggio Emilia. E' qui che Luana mi ha
trascinata dopo avermi costretta a
uscire dall’eremo di casa.
Stasera il locale è
stipato all'inverosimile. Mi trovo a
disagio in questo ambiente, forse perché
trovo equivoche le persone che scorgo
sedute ai tavoli.
Mentre attraversiamo il
salone, alla ricerca di un posto dove sederci,
le gambe mi si fanno molli. Ho i crampi
alla pancia e lo stomaco mi sale in gola
strozzandomi il respiro. Improvvisamente
ho voglia di vomitare, ma riesco a
trattenermi.
Il rumore assordante delle
voci si confonde con una musica jazz, di
facile ascolto, che esce dalle casse
dell'impianto stereo sparse nel locale.
Mentre avanzo nella sala, inseguita dai
fari delle luci
stroboscopiche
che mi
girano d'intorno, ho la sensazione di
non passare inosservata. Colpa o forse
merito del vestito che indosso,
penso.
L'abito nero, a tubo, con
tanti lustrini, che Luana mi ha obbligata a indossare, ha un décolleté
da mozzafiato. Con le tette in bella
mostra sto facendo un certo effetto a
chi mi sta attorno, ne sono certa, ma
non me ne do pensiero.
Il cuore seguita a battermi
celermente. Ho un grande vuoto nel petto
e nel cuore, ma proseguo nel mio
cammino. Occupiamo due sgabelli a
trampolo davanti al bancone delle
consumazioni, in una atmosfera
apparentemente irreale.
Seduta sullo sgabello,
gambe accavallate, tette che debordano
dalla scollatura, mi guardo intorno con
curiosità. Ho l'impressione di trovarmi
sulla pedana di un palcoscenico, con la
gente in attesa che reciti una parte. Ma
qual é la mia parte? Stavolta non
voglio svenire per l'emozione come mi è
accaduto da bambina, in occasione di una
festa di Natale, quando la maestra mise
in scena un mini spettacolo di cui ero
la protagonista principale. E in
effetti, svenendo, la fui per davvero.
Al cameriere che da dietro
il bancone ci si fa incontro per
ricevere le ordinazioni Luana chiede di
servirle una Guinness scura. Io invece
gli chiedo una Perrier.
- Sono spiacente, ma per
quanto riguarda la Perrier devo
informarla che ne siamo momentaneamente
sprovvisti. Di acqua minerale abbiamo la
San Pellegrino, mi auguro che sia
comunque di suo gradimento signorina.
- Allora mi dia una
Coca-Cola, ma in lattina, eh!
- La Coca-Cola credo
d'averla. - mi risponde con tono
sarcastico.
Sorseggio le bollicine di
Coca-Cola mentre do ascolto alle parole
di uno sconosciuto, che nel frattempo ha
preso posto sullo sgabello a trampolo
lasciato libero da Luana che si è
appartata con un tizio a me sconosciuto.
L'uomo che ha occupato lo
sgabello accanto al mio è un tizio di
mezza età con la testa rapata a zero.
Alle orecchie ha infilato delle grosse
spille da balia. Indossa un giubbotto di
pelle nera, jeans neri, t-shirt nera,
braccialetti di pelle con borchie ai
polsi e anfibi ai piedi. Un doppio
giro di anelli di una catena cromata gli
pende dal collo, tenuta insieme da un
lucchetto grande come una sveglia che
utilizza per chiudere le estremità
della collana.
Sostiene di conoscermi e la
cosa mi sorprende. Per rendere credibili
le sue parole snocciola uno dopo l'altro
un paio di aneddoti che mi riguardano.
Mi stupisco nel costatare
che gli avvenimenti da lui narrati non
sono affatto inventati ma tutti veri.
Eppure sarei pronta a scommettere che
non l'ho mai visto prima di stasera
costui. E allora come fa a sapere tutte
queste cose su di me?
Mi viene il dubbio che il
nostro incontro non sia, affatto,
casuale ma opera di Luana, però non ne
sono certa. Tutt'a un tratto si rivolge
al cameriere. Ordina una bottiglia di
Moet & Chandon e due calici.
Lo champagne che il
cameriere si premura di versare nei
bicchieri ha un colore rosa aragosta.
Avvicino il calice alle narici e annuso
il profumo del vino di uve francesi
mentre fa le bollicine.
Lo champagne ha un profumo
di crosta di pane e di fiori di bosco.
Ne assaporo una piccola quantità e mi
è gradito il gusto secco del mosto.
Svuoto il calice tutto di un fiato nella
speranza che mi aiuti a sconfiggere
l'ansia che mi porto addosso.
Mentre il cascamorto seduto
al mio fianco non smette di guardarmi a
bocca aperta la scollatura delle tette,
mi guardo bene dal raccogliere le sue
occhiate provocatorie. Mi riempie di
nuovo il calice con dell'altro champagne
che bevo tutto d'un sorso.
Fa di tutto per apparire
simpatico o forse ha soltanto bisogno di
parlare come la maggioranza delle
persone che riempiono il locale. Mi
sorride e parla. Parla e sorride. Lo
ascolto distratta dandogli risposte a
monosillabi.
La nostra conversazione, se
così posso definirla, va avanti per
merito della sua perseveranza, perché
mi distraggo di continuo a osservare le
persone che occupano i tavoli.
Tutt'a un tratto, senza una
ragione precisa, si china su di me.
Cerca di baciarmi sul collo e poi sulla
bocca. Colta di sorpresa non mi
ritraggo, ma tengo le labbra bene
serrate. Quando le nostre bocche si
separano mi guardo intorno e mi accorgo
che Luana è scomparsa dal tavolo che
occupava con il tizio che le faceva il
filo. Mi domando dove diavolo è andata
a cacciarsi perché in questo momento
vorrei tanto averla qui accanto a me.
Il mio interlocutore
seguita a spiattellarmi addosso una
montagna di parole di cui non
m'interessa un fico secco. Io al
contrario non ho granché da
raccontargli. Annoiata fingo di dargli
ascolto fino a quando lascia cadere la
mano sulla mia e l'accarezza con una
certa insistenza.
Intimorita incomincio ad
avere delle palpitazioni e sudo in
maniera esagerata. Provo a ritrarre la
mano da sopra il ginocchio, dove la
tengo appoggiata, ma non riesco a farlo
e nemmeno so farmene una ragione.
Il mio spasimante avvicina
le labbra alle mie per darmi un altro
bacio. Lo fa mantenendo la bocca aperta
e gli occhi chiusi. Non mi levo via, ma
ancora una volta mantengo le labbra
serrate perché quello che sto provando
è solo disgusto.
Dopo il bacio apre del
tutto le palpebre, mi fissa intensamente
e nel fondo delle pupille scorgo il
volto del mio viso alterato, e ne ho
paura.
Sottosopra per quando mi
sta succedendo mi rivolgo al cameriere.
Pago due consumazioni, quella della
Coca-Cola e la birra di Luana, mentre
riservo all'uomo il compito di pagare lo
champagne.
Mi avvio verso l'uscita del
locale senza sapere da cosa sto
fuggendo. Quando sono nel parcheggio mi
metto alla ricerca della vettura della
mia amica. Là dove l'abbiamo lasciata
prima di mettere piede nel locale non la
trovo. Probabilmente Luana si è
allontanata con il ganzo che le stava
facendo il filo e sarà di ritorno più
tardi, penso. Mi allontano dal
parcheggio per fare ritorno nel locale e
attendere il suo ritorno lì.
Sotto il palo di un
lampione vengo bloccata dal tizio con cui
mi sono intrattenuta nel locale a bere
champagne. Ignoro le sue carinerie e non
do seguito alle sue avance. Lui mi
afferra il viso fra le mani e affonda lo
sguardo nel mio incutendomi ancora più
paura di quanto già ne ho.
Sbatto le palpebre in
maniera involontaria come spesso mi
succede quando sono alterata. Cerco di
sottrarmi alla sua stretta, ma non ci
metto sufficiente impegno e non so
farmene una ragione. Restiamo
abbracciati col cazzo che mi preme
contro l'addome fintanto che l'uomo mi
propone di seguirlo a casa sua.
Gli sorrido sarcastica e mi
guardo intorno sgomenta in cerca di un
improbabile aiuto. Il cuore che non ha
mai smesso di battere celermente adesso
sembra uscirmi dal petto.
Sono in affanno, mi gira la
testa, e ho l'impressione che ciò che
tutto ciò che mi sta d'intorno mi ruoti
addosso. Sto per perdere l'equilibrio e
incomincio a vacillare. L'uomo
approfitta del mio stato confusionale,
mi cinge un braccio intorno alla vita, e
mi trascina verso la sua vettura.
Mi sistema sul sedile
anteriore dell'automobile e si accomoda
al posto di guida. Ci allontaniamo
dall'area di parcheggio del De Sade e
prendiamo la direzione del centro della
città.
Nonostante l'ora tarda le
strade sono occupate da un grande numero
di autovetture. Le luci dei fari ci
vengono incontro e mi abbagliano di
continuo infastidendomi non poco. Dopo
una decina di minuti l'automobile
arresta la corsa dinanzi al cancello di
una villa a due piani alla periferia
nord della città.
Davanti al portone
d'ingresso della villa l'uomo toglie
dalle tasche il mazzo delle chiavi e le
infila una dopo l'altra nella toppa
della serratura fintanto che trova
quella che apre la porta.
Mentre l'uscio si spalanca
ho una specie di presagio, come se dal
mio ingresso in questa casa dipendesse
tutta la mia vita.
Mi coglie una strizza al
ventre e una dannata voglia di cagare.
Per buona sorte riesco a cacciare
indietro lo stimolo.
A dispetto delle luci
accese la casa dà l'impressione di
essere vuota. Raggiungiamo la base di
una scala a chiocciola che conduce al
piano superiore della villa. Quando sono
davanti alla scala mi sento cingere il
petto da un paio di braccia. Arresto il
passo terrorizzata. L'uomo mi avvicina
le labbra a un orecchio e mi sussurra
delle parole di cui, sgomenta, non
capisco nemmeno il significato, poi mi
sollecita a entrare nella stanza che ho
di fronte.
- Entra e spogliati! - mi
urla addosso.
Sconcertata dal modo con
cui mi ha dato l'ordine mi giro verso di
lui, niente affatto propensa a dare
seguito alla sua richiesta. Dal ghigno
del suo sguardo arguisco che non ha
apprezzato il mio atto di ribellione.
Mi afferra per un polso, dà
un calcio alla porta della camera che si
spalanca davanti ai miei occhi, poi mi
trascina dentro. Quando siamo nella
stanza chiude la porta alle nostre
spalle e mi scaraventa per terra.
- Spogliati! - mi ordina
perentorio.
Mi trascino sul parquet e
raggiungo il bordo del letto. Mi fermo
dinanzi a una delle abat-jour che dà
luce alla camera e incomincio a
spogliarmi. Abbasso la cerniera
dell'abito e lascio che scivoli sul
pavimento. Rimango con addosso il
reggiseno e il tanga mentre il mio
aguzzino inizia a girarmi d'intorno ed
esamina il mio corpo.
Irritato dà un calcio a
una sedia e la spinge nella mia
direzione. Mi ordina di liberarmi della biancheria intima
che ho addosso. Ammutolita gli ubbidisco
e resto nuda.
Dopo che ho preso posto
sulla sedia l'uomo si pone di fronte a
me. Si libera del giubbotto di pelle,
toglie le catene cromate che porta al
collo, e con quelle si premura di
immobilizzarmi i polsi dietro la
schiena.
Lascio che m'incateni
impaziente di conoscere cos'altro mi
riserverà questa che considero soltanto
una messinscena. Nemmeno mi mostro
riottosa quando incomincia a sussurrarmi
all'orecchio la parola
"troia". La ripete una infinità
di volte. All'inizio sussurrandola
soltanto, poi urlandomela addosso fino a
nausearmi.
Resto muta, senza
spiaccicare una qualsiasi parola
fintanto che termina d'incatenarmi, poi
scoppio a ridere pazza di gioia perché
finalmente ho la fica in liquefazione
per l'eccitazione che ha saputo
provocarmi, cosa che non mi succedeva da
tempo memorabile.
Ridere mi ha provocato una
nuova strizza al ventre e mi riprende la
voglia di cagare. Riesco a trattenere lo
stimolo, stringendo per bene le chiappe.
Eseguo dei lunghi respiri, ma non so per
quanto tempo saprò resistere prima che
l'intestino liberi tutto ciò che di
molle contiene.
Il mio compagno di giochi
si è spostato alle mie spalle. Sta per
spogliarsi, ne sono certa. Lo percepisco
dal fruscio degli indumenti che avverto
cadere uno dopo l'altro sul parquet.
Tutt'a un tratto mi trovo a
pensare che prima di uscire dalla mia
abitazione non mi sono premurata di
depilarmi le ascelle e nemmeno di
profumarmi i peli del pube, tutt'attorno alla
fica, e la cosa non mi fa piacere.
Non giro il capo per
guardare cosa sta succedendo alle mie
spalle, ma quando il mio compagno si
colloca davanti a me, con addosso un
intimo da donna leopardato, le calze
autoreggenti e una parrucca bionda, ne
resto sconcertata.
- Apri le cosce! - mi
ordina con tono di voce autoritario.
Travestito da donna mi fa
orrore. Mi sento indifesa ed esito prima
di accondiscendere alla richiesta.
- Divarica le gambe!
Allargale, dai! - mi urla addosso
scalciandomi l'interno delle caviglie
con la punta di un piede.
Mantiene gli occhi fissi su
di me e scruta il solco fra le cosce.
D'istinto mi viene di coprirmi la
fica con le mani, ma le ho incatenate
dietro la schiena e sono impossibilitata
a farlo.
Il mio corpo è percorso da
una scarica di brividi. Non è paura
quella che provo, ma è un piacere
strano... molto strano. Spingo le
natiche in avanti, fino a raggiungere il
bordo della sedia, dopodiché divarico
le cosce mostrandogli quanto di più
prezioso custodiscono.
- Brava. - dice dopo che si
è piazzato in ginocchio davanti a me.
Mi allarga le labbra della
vagina con le dita e resta a guardarla
rapito dal colorito rosa della vagina.
- Uhm... ce l'hai bagna
fradicia! Che troia sei!
Non gli do risposta,
d'altronde sono stupita anch'io di
trovarmi addosso questo stato di
eccitazione.
Ritrae le dita e le pieghe
delle labbra si congiungono
sull'apertura della vagina. L'uomo china
il capo e rovescia le guancia fra le mie
cosce, dopodiché inizia a leccare
l'umore che mi cola copioso dalla fica.
Fuori di sé per
l'eccitazione deposita le mani sulle
tette. Le palpa. Le stringe forte.
Mentre seguita a succhiarmi il
clitoride. Ho i capezzoli duri, grossi e
turgidi, e mi fanno male. Con una
progressione lenta e spietata, li
scapezzola con le dita. E' un dolore
terribile quello che mi provoca, ma che
mi fa impazzire di piacere.
Sono certa che sta godendo
dei miei tremori e dei sussulti del mio
corpo. Vorrei che non finisse mai di
scoparmi in questo modo. Ansimo e gli
urlo addosso tutto il mio piacere mentre
l'ingombro che ho all'addome e la
conseguente voglia di cagare si fa
ancora più impellente.
Non si cura del mio stato,
seguita a succhiarmi il clitoride,
strizzandomi tette e capezzoli, fintanto
che le contrazioni della vagina si fanno
più ritmiche e sono prossima all'estasi
del piacere.
Esplodo in un orgasmo come
non ricordo d'avere mai avuto così
intenso. Non so quante volte vengo in
breve successione perché ho la
sensazione di perdere la ragione a causa
dello sconquasso ormonale che mi sta
scompigliando.
- Basta... basta... - lo
supplico. - Mi stai facendo male. - urlo
mentre tremo tutta. Lui seguita a
succhiarmi il clitoride e non arresta la
sua azione.
Ho voglia di
succhiarglielo, il cazzo, di assaporarne
il gusto, l'odore, e glielo dico. Si
alza in piedi e avvicina il cazzo alla
mia bocca, poi lo ritrae lasciandomi a
bocca aperta.
Mi sfiora ripetutamente la
bocca con la cappella. Scopro che mi
piace un sacco leccargliela nel modo che
vuole lui. Le evaporazioni che emana la
sottile pelle rosa della cappella mi
vanno sparate al cervello e hanno su di
me gli stessi effetti di una sniffata di
coca.
- Voglio che godi dei miei
sapori quando ti verrò in bocca. Sono
certo che ti piacerà. - mi urla addosso
mentre proseguo a spompinarlo.
Tutt'a un tratto mi prende
la paura che possa sborrarmi in bocca.
Non voglio che accada, non l'ho mai
fatto con nessun altro uomo, perlomeno
fino a oggi, e ne ho paura.
Scivolo via con le labbra e
mi rifiuto di proseguire a spompinarlo.
Lui insiste nel sospingermi la cappella
verso la bocca, ma ogni volta scosto il
capo da un lato. Sorpreso dal gesto di
ribellione mi affibbia un paio di
ceffoni sul volto che mi fanno cadere
per terra.
Mi ritrovo nuda, con il muso
appiccicato al pavimento, le mani
incatenate dietro alla schiena,
indifesa, e sua prigioniera.
Mi prende per i capelli e
mi trascina sino al bordo del letto. Mi
obbliga a mettermi carponi sul
pavimento, col petto accostato al
materasso, il muso affondato nel
lenzuolo, e il culo inarcato verso
l'alto.
- Troia! - mi urla addosso
più volte.
Si inginocchia dietro di me
e mi scosta le gambe divaricandole per
bene. Avverto la lingua che si posa sul
buco del culo e lo lecca. Mi è
abbastanza chiaro quello che vuole fare,
ma preferisco prenderlo nel culo
piuttosto che farmi sborrare in bocca.
Ostinato seguita a leccarmi
l'ano provocandomi una sensazione di
rilassamento muscolare allo sfintere. E'
uno stato di benessere generale quello
in cui vengo a trovarmi. Ho un gran
dolore all'addome e sono prossima a cagare.
L'emissione di feci liquide
che mi escono dal buco del culo gli
schizzano diritte sul viso. Una scarica
diarroica ancora più potente segue la
precedente.
Mi sarei aspettata
qualsiasi atto di perversione dal mio
occasionale compagno, ma non che fosse
coprofilo.
L'osservo mentre si nutre
dei miei escrementi sparsi sul volto e
sul parquet e ne sono schifata.
Mi libero delle catene che
mi tengono legate le mani, dopodiché
raccolgo un lenzuolo dal letto e mi do
una sommaria ripulita.
Quando ho finito di pulirmi
giro lo sguardo nella direzione
dell'uomo. Noto che sta passandosi la
lingua sulle labbra, lorde di cacca,
come se stesse nutrendosi di una rara
prelibatezza.
- Quando avremo occasione
d'incontrarci, se mai accadrà, ti
regalerò un panino con della merda.
Contento? - dico schifata.
Raccatto i miei abiti ed
esco dalla stanza lasciandolo solo a
godersi il sapore della cacca.
La strada che conduce verso
il centro della città è sgombra di
autovetture. Mi ci vorrà più di un'ora
per raggiungere a piedi la mia
abitazione, ma ho tante cose per la
testa a cui pensare dopo quanto mi è
capitato stasera.
Alla prossima seduta
terapeutica con lo psicologo gli chiederò
se ho fatto bene a fuggire dalla
situazione in cui mi sono venuta a
trovare stasera. Sono pronta a fare
qualsiasi cosa per sconfiggere l'evitamento.
Beh, proprio tutto no, perché farmi
sborrare in bocca mi fa proprio schifo.
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