PROVE DI EVITAMENTO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

              Non sono una donna dal carattere facile. Perlomeno questo è ciò che sostengono molte delle persone che mi gravitano attorno. Infatti, sono complicata e ne sono consapevole. Vivo stabilmente in uno stato di allerta che mi provoca inquietudine e paura. Il medico che mi ha in cura, uno specialista in malattie nervose, sostiene che soffro di una forma ossessiva di evitamento.
    L'evitamento non è una patologia rara, anzi, tutt'altro, infatti, sono molte le persone che cadono nell'oblio di questa malattia a causa dello stress.
    Eppure di questa malattia non sono riuscita a trovare traccia su nessuno dei dizionari di lingua italiana che mi sono presa la briga di consultare. Per sapere l'esatto significato del termine "evitamento" sono andata a sfogliare un manuale di psichiatria.
   Il testo l'ho recuperato nella biblioteca della clinica universitaria dove presto servizio come strumentista di sala operatoria. Senza l'ausilio di questo manuale non sarei mai riuscita a venirne a capo. Ne sono sicura.
   Da adolescente ho convissuto senza troppi problemi con l'ansia, forse perché la reputavo uno stato emotivo capace di tenermi allertata di fronte a eventuali situazioni di pericolo. Un meccanismo di difesa che il mio organismo metteva in atto allorché dovevo prestare maggiore attenzione al mondo circostante, come quando frequentavo l'università e dovevo presentarmi dinanzi alle commissioni per superare gli esami.
   Soltanto di recente, con l'aiuto di uno psicologo, ho compreso che l'ansia che mi affligge, evoluta nel tempo in maniera smisurata, è una reazione emotiva anomala ed è opportuno che me ne liberi al più presto.
   La mia vita è cambiata radicalmente quando lo stato d'ansia di cui soffro si è trasformato in una inquietudine durevole verso tutto ciò che mi sta intorno. Col passare del tempo ho iniziato a provare paura nel compiere anche le cose più semplici. La mia vita è diventata surreale, aggravata di preoccupazioni circa i miei pensieri, i sentimenti, e il modo di comportarmi mio e delle persone che mi stanno intorno.
   Sempre più spesso, in situazioni anche apparentemente non critiche, sono colta da spasmi muscolari, sudorazione profusa, e persino da sensazioni di soffocamento. A volte mi ritrovo bloccata, con il corpo irrigidito, impaurita e in preda allo sgomento, come se stessi preparandomi a essere testimone di una catastrofe imminente.
   Per arginare queste mie paure ho messo in atto una strategia difensiva piuttosto semplice: scappo!
   Scappo ogni volta che vengo a contatto con tutto ciò che mi produce ansia. In questo modo evito tutte le situazioni che possono destabilizzarmi. Ma questo mio atteggiamento di difesa, col passare del tempo, si è trasformato in una abitudine compulsiva.

   Ho cominciato a sfuggire tutte le situazioni, anche le più banali, in cui avrei potuto patire d'ansia. Ma così facendo ho messo a rischio la mia vita di relazione, specie con le persone che mi gravitano d'intorno e con cui vengo quotidianamente a contatto.
   Le difese che ho messo in atto hanno ridotto la sintomatologia psicofisica procuratami dall'ansia, ma hanno dato avvio a un rischioso circolo vizioso e impresso maggiore vigore a quelle emozioni negative che, col passare del tempo, sono divenute sempre più negative. Ho finito per chiudermi in me stessa, prigioniera fra le mura domestiche, perché non sono più in grado di contrastare la paura che mi affligge quando sono fra la gente.
   Nonostante le mie ossessioni seguito a lavorare come strumentista nella sala operatoria della clinica chirurgica dove presto servizio da una decina di anni, ma lì, stranamente, non ho paura di niente, forse perché la morte è mia compagna quotidiana.
   Lo specialista neurologo che mi ha in cura preme perché mantenga un minimo di relazioni sociali con il mondo esterno, specie per ciò che riguarda i rapporti affettivi che potrebbero essermi utili per uscire dallo stato di avvilimento e sfiducia che caratterizza il mio umore, ma non ci riesco.

   Ho paura del contatto fisico cui sarei costretta facendo l'amore con un uomo. Ormai manco di una qualsiasi fantasia erotica e di conseguenza sono certa che non avvertirei alcun piacere sessuale scopando.
   Non faccio sesso da più un anno e nemmeno provo il desiderio di fare l'amore con un uomo. L'evitamento, oltre alla depressione, mi ha causato un grave disturbo della personalità a cui il medico ha attribuito l'appellativo di "anoressia sessuale".
   Al momento, a conferma della sua diagnosi, oltre alla mancanza del desiderio sessuale, sono anche priva di quegli stimoli fisici che sono propri della sessualità femminile. L'ennesima prova del mio malessere l'ho avuta la settimana scorsa, quando, dietro suggerimento dello psicologo, ho preso a noleggio un film pornografico.
   Le immagini della fica glabra di Milly D'Abbraccio e il cazzo superdotato di Rocco Siffredi mi hanno lasciata indifferente, nemmeno mi si è lubrificata la vagina, contrariamente a quanto mi succedeva in passato quando assistevo alla visione di film pornografici.
   Mentre sullo schermo scorrevano le immagini ho provato a masturbarmi, ma ho dovuto desistere dal farlo perché non provavo alcunché di piacevole, anzi, l'unico risultato certo che ho ottenuto, strofinando la mucosa della vagina, è che l'ho irritata perché non era bagnata a sufficienza.
   Allo psicologo ho raccontato della mia refrattarietà di fronte a quelle immagini. Lui non ne è rimasto sorpreso poiché le mie parole non hanno fatto altro che avallare la diagnosi di anoressia sessuale.

* * *

  Soltanto mezz'ora fa avevo voglia di andare a dormire, ma quando Luana, la mia migliore amica, mi ha telefonato, insistendo perché uscissimo insieme, non ho saputo rifiutare l'invito.
   - Ti conduco al De Sade. - mi ha detto al telefono quando già avevo accettato l'invito per uscire con lei. - E' un posto particolare, sono certa che avrai modo di distrarti.

"Non stare in attesa d'incontrare 
l'amore, fallo subito"

   La scritta al neon capeggia all'ingresso del De Sade, un locale underground che ha aperto i battenti di recente in una zona a est della città, in direzione Reggio Emilia. E' qui che Luana mi ha trascinata dopo avermi costretta a uscire dall’eremo di casa.
   Stasera il locale è stipato all'inverosimile. Mi trovo a disagio in questo ambiente, forse perché trovo equivoche le persone che scorgo sedute ai tavoli.
   Mentre attraversiamo il salone, alla ricerca di un posto dove sederci, le gambe mi si fanno molli. Ho i crampi alla pancia e lo stomaco mi sale in gola strozzandomi il respiro. Improvvisamente ho voglia di vomitare, ma riesco a trattenermi.
   Il rumore assordante delle voci si confonde con una musica jazz, di facile ascolto, che esce dalle casse dell'impianto stereo sparse nel locale. Mentre avanzo nella sala, inseguita dai fari delle luci
stroboscopiche che mi girano d'intorno, ho la sensazione di non passare inosservata. Colpa o forse merito del vestito che indosso, penso.
   L'abito nero, a tubo, con tanti lustrini, che Luana mi ha obbligata a indossare, ha un décolleté da mozzafiato. Con le tette in bella mostra sto facendo un certo effetto a chi mi sta attorno, ne sono certa, ma non me ne do pensiero.
   Il cuore seguita a battermi celermente. Ho un grande vuoto nel petto e nel cuore, ma proseguo nel mio cammino. Occupiamo due sgabelli a trampolo davanti al bancone delle consumazioni, in una atmosfera apparentemente irreale.
   Seduta sullo sgabello, gambe accavallate, tette che debordano dalla scollatura, mi guardo intorno con curiosità. Ho l'impressione di trovarmi sulla pedana di un palcoscenico, con la gente in attesa che reciti una parte. Ma qual é la mia parte? Stavolta non voglio svenire per l'emozione come mi è accaduto da bambina, in occasione di una festa di Natale, quando la maestra mise in scena un mini spettacolo di cui ero la protagonista principale. E in effetti, svenendo, la fui per davvero.
   Al cameriere che da dietro il bancone ci si fa incontro per ricevere le ordinazioni Luana chiede di servirle una Guinness scura. Io invece gli chiedo una Perrier.
   - Sono spiacente, ma per quanto riguarda la Perrier devo informarla che ne siamo momentaneamente sprovvisti. Di acqua minerale abbiamo la San Pellegrino, mi auguro che sia comunque di suo gradimento signorina.
   - Allora mi dia una Coca-Cola, ma in lattina, eh!
   - La Coca-Cola credo d'averla. - mi risponde con tono sarcastico.
   Sorseggio le bollicine di Coca-Cola mentre do ascolto alle parole di uno sconosciuto, che nel frattempo ha preso posto sullo sgabello a trampolo lasciato libero da Luana che si è appartata con un tizio a me sconosciuto.
   L'uomo che ha occupato lo sgabello accanto al mio è un tizio di mezza età con la testa rapata a zero. Alle orecchie ha infilato delle grosse spille da balia. Indossa un giubbotto di pelle nera, jeans neri, t-shirt nera, braccialetti di pelle con borchie ai polsi e anfibi ai piedi. Un doppio giro di anelli di una catena cromata gli pende dal collo, tenuta insieme da un lucchetto grande come una sveglia che utilizza per chiudere le estremità della collana.
   Sostiene di conoscermi e la cosa mi sorprende. Per rendere credibili le sue parole snocciola uno dopo l'altro un paio di aneddoti che mi riguardano.
   Mi stupisco nel costatare che gli avvenimenti da lui narrati non sono affatto inventati ma tutti veri. Eppure sarei pronta a scommettere che non l'ho mai visto prima di stasera costui. E allora come fa a sapere tutte queste cose su di me?
   Mi viene il dubbio che il nostro incontro non sia, affatto, casuale ma opera di Luana, però non ne sono certa. Tutt'a un tratto si rivolge al cameriere. Ordina una bottiglia di Moet & Chandon e due calici.

   Lo champagne che il cameriere si premura di versare nei bicchieri ha un colore rosa aragosta. Avvicino il calice alle narici e annuso il profumo del vino di uve francesi mentre fa le bollicine.
   Lo champagne ha un profumo di crosta di pane e di fiori di bosco. Ne assaporo una piccola quantità e mi è gradito il gusto secco del mosto. Svuoto il calice tutto di un fiato nella speranza che mi aiuti a sconfiggere l'ansia che mi porto addosso.
   Mentre il cascamorto seduto al mio fianco non smette di guardarmi a bocca aperta la scollatura delle tette, mi guardo bene dal raccogliere le sue occhiate provocatorie. Mi riempie di nuovo il calice con dell'altro champagne che bevo tutto d'un sorso.
   Fa di tutto per apparire simpatico o forse ha soltanto bisogno di parlare come la maggioranza delle persone che riempiono il locale. Mi sorride e parla. Parla e sorride. Lo ascolto distratta dandogli risposte a monosillabi.
   La nostra conversazione, se così posso definirla, va avanti per merito della sua perseveranza, perché mi distraggo di continuo a osservare le persone che occupano i tavoli.
   Tutt'a un tratto, senza una ragione precisa, si china su di me. Cerca di baciarmi sul collo e poi sulla bocca. Colta di sorpresa non mi ritraggo, ma tengo le labbra bene serrate. Quando le nostre bocche si separano mi guardo intorno e mi accorgo che Luana è scomparsa dal tavolo che occupava con il tizio che le faceva il filo. Mi domando dove diavolo è andata a cacciarsi perché in questo momento vorrei tanto averla qui accanto a me.
   Il mio interlocutore seguita a spiattellarmi addosso una montagna di parole di cui non m'interessa un fico secco. Io al contrario non ho granché da raccontargli. Annoiata fingo di dargli ascolto fino a quando lascia cadere la mano sulla mia e l'accarezza con una certa insistenza.
   Intimorita incomincio ad avere delle palpitazioni e sudo in maniera esagerata. Provo a ritrarre la mano da sopra il ginocchio, dove la tengo appoggiata, ma non riesco a farlo e nemmeno so farmene una ragione.
   Il mio spasimante avvicina le labbra alle mie per darmi un altro bacio. Lo fa mantenendo la bocca aperta e gli occhi chiusi. Non mi levo via, ma ancora una volta mantengo le labbra serrate perché quello che sto provando è solo disgusto.
   Dopo il bacio apre del tutto le palpebre, mi fissa intensamente e nel fondo delle pupille scorgo il volto del mio viso alterato, e ne ho paura.
   Sottosopra per quando mi sta succedendo mi rivolgo al cameriere. Pago due consumazioni, quella della Coca-Cola e la birra di Luana, mentre riservo all'uomo il compito di pagare lo champagne.
   Mi avvio verso l'uscita del locale senza sapere da cosa sto fuggendo. Quando sono nel parcheggio mi metto alla ricerca della vettura della mia amica. Là dove l'abbiamo lasciata prima di mettere piede nel locale non la trovo. Probabilmente Luana si è allontanata con il ganzo che le stava facendo il filo e sarà di ritorno più tardi, penso. Mi allontano dal parcheggio per fare ritorno nel locale e attendere il suo ritorno lì.
   Sotto il palo di un lampione vengo bloccata dal tizio con cui mi sono intrattenuta nel locale a bere champagne. Ignoro le sue carinerie e non do seguito alle sue avance. Lui mi afferra il viso fra le mani e affonda lo sguardo nel mio incutendomi ancora più paura di quanto già ne ho.
   Sbatto le palpebre in maniera involontaria come spesso mi succede quando sono alterata. Cerco di sottrarmi alla sua stretta, ma non ci metto sufficiente impegno e non so farmene una ragione. Restiamo abbracciati col cazzo che mi preme contro l'addome fintanto che l'uomo mi propone di seguirlo a casa sua.
   Gli sorrido sarcastica e mi guardo intorno sgomenta in cerca di un improbabile aiuto. Il cuore che non ha mai smesso di battere celermente adesso sembra uscirmi dal petto.
   Sono in affanno, mi gira la testa, e ho l'impressione che ciò che tutto ciò che mi sta d'intorno mi ruoti addosso. Sto per perdere l'equilibrio e incomincio a vacillare. L'uomo approfitta del mio stato confusionale, mi cinge un braccio intorno alla vita, e mi trascina verso la sua vettura.
   Mi sistema sul sedile anteriore dell'automobile e si accomoda al posto di guida. Ci allontaniamo dall'area di parcheggio del De Sade e prendiamo la direzione del centro della città.
   Nonostante l'ora tarda le strade sono occupate da un grande numero di autovetture. Le luci dei fari ci vengono incontro e mi abbagliano di continuo infastidendomi non poco. Dopo una decina di minuti l'automobile arresta la corsa dinanzi al cancello di una villa a due piani alla periferia nord della città.
   Davanti al portone d'ingresso della villa l'uomo toglie dalle tasche il mazzo delle chiavi e le infila una dopo l'altra nella toppa della serratura fintanto che trova quella che apre la porta. 
   Mentre l'uscio si spalanca ho una specie di presagio, come se dal mio ingresso in questa casa dipendesse tutta la mia vita.
   Mi coglie una strizza al ventre e una dannata voglia di cagare. Per buona sorte riesco a cacciare indietro lo stimolo.
   A dispetto delle luci accese la casa dà l'impressione di essere vuota. Raggiungiamo la base di una scala a chiocciola che conduce al piano superiore della villa. Quando sono davanti alla scala mi sento cingere il petto da un paio di braccia. Arresto il passo terrorizzata. L'uomo mi avvicina le labbra a un orecchio e mi sussurra delle parole di cui, sgomenta, non capisco nemmeno il significato, poi mi sollecita a entrare nella stanza che ho di fronte.
   - Entra e spogliati! - mi urla addosso.
   Sconcertata dal modo con cui mi ha dato l'ordine mi giro verso di lui, niente affatto propensa a dare seguito alla sua richiesta. Dal ghigno del suo sguardo arguisco che non ha apprezzato il mio atto di ribellione.
   Mi afferra per un polso, dà un calcio alla porta della camera che si spalanca davanti ai miei occhi, poi mi trascina dentro. Quando siamo nella stanza chiude la porta alle nostre spalle e mi scaraventa per terra.
   - Spogliati! - mi ordina perentorio.
   Mi trascino sul parquet e raggiungo il bordo del letto. Mi fermo dinanzi a una delle abat-jour che dà luce alla camera e incomincio a spogliarmi. Abbasso la cerniera dell'abito e lascio che scivoli sul pavimento. Rimango con addosso il reggiseno e il tanga mentre il mio aguzzino inizia a girarmi d'intorno ed esamina il mio corpo.
   Irritato dà un calcio a una sedia e la spinge nella mia direzione. Mi ordina di  liberarmi della biancheria intima che ho addosso. Ammutolita gli ubbidisco e resto nuda.
   Dopo che ho preso posto sulla sedia l'uomo si pone di fronte a me. Si libera del giubbotto di pelle, toglie le catene cromate che porta al collo, e con quelle si premura di immobilizzarmi i polsi dietro la schiena.
   Lascio che m'incateni impaziente di conoscere cos'altro mi riserverà questa che considero soltanto una messinscena. Nemmeno mi mostro riottosa quando incomincia a sussurrarmi all'orecchio la parola "troia". La ripete una infinità di volte. All'inizio sussurrandola soltanto, poi urlandomela addosso fino a nausearmi.
   Resto muta, senza spiaccicare una qualsiasi parola fintanto che termina d'incatenarmi, poi scoppio a ridere pazza di gioia perché finalmente ho la fica in liquefazione per l'eccitazione che ha saputo provocarmi, cosa che non mi succedeva da tempo memorabile.
   Ridere mi ha provocato una nuova strizza al ventre e mi riprende la voglia di cagare. Riesco a trattenere lo stimolo, stringendo per bene le chiappe. Eseguo dei lunghi respiri, ma non so per quanto tempo saprò resistere prima che l'intestino liberi tutto ciò che di molle contiene.

   Il mio compagno di giochi si è spostato alle mie spalle. Sta per spogliarsi, ne sono certa. Lo percepisco dal fruscio degli indumenti che avverto cadere uno dopo l'altro sul parquet.
   Tutt'a un tratto mi trovo a pensare che prima di uscire dalla mia abitazione non mi sono premurata di depilarmi le ascelle e nemmeno di profumarmi i peli del pube, tutt'attorno alla fica, e la cosa non mi fa piacere.
   Non giro il capo per guardare cosa sta succedendo alle mie spalle, ma quando il mio compagno si colloca davanti a me, con addosso un intimo da donna leopardato, le calze autoreggenti e una parrucca bionda, ne resto sconcertata.
   - Apri le cosce! - mi ordina con tono di voce autoritario.
   Travestito da donna mi fa orrore. Mi sento indifesa ed esito prima di accondiscendere alla richiesta.
   - Divarica le gambe! Allargale, dai! - mi urla addosso scalciandomi l'interno delle caviglie con la punta di un piede.
   Mantiene gli occhi fissi su di me e scruta il solco fra le cosce. D'istinto mi viene di coprirmi la fica con le mani, ma le ho incatenate dietro la schiena e sono impossibilitata a farlo.
   Il mio corpo è percorso da una scarica di brividi. Non è paura quella che provo, ma è un piacere strano... molto strano. Spingo le natiche in avanti, fino a raggiungere il bordo della sedia, dopodiché divarico le cosce mostrandogli quanto di più prezioso custodiscono.
   - Brava. - dice dopo che si è piazzato in ginocchio davanti a me.
   Mi allarga le labbra della vagina con le dita e resta a guardarla rapito dal colorito rosa della vagina.
   - Uhm... ce l'hai bagna fradicia! Che troia sei!
   Non gli do risposta, d'altronde sono stupita anch'io di trovarmi addosso questo stato di eccitazione.
   Ritrae le dita e le pieghe delle labbra si congiungono sull'apertura della vagina. L'uomo china il capo e rovescia le guancia fra le mie cosce, dopodiché inizia a leccare l'umore che mi cola copioso dalla fica.
   Fuori di sé per l'eccitazione deposita le mani sulle tette. Le palpa. Le stringe forte. Mentre seguita a succhiarmi il clitoride. Ho i capezzoli duri, grossi e turgidi, e mi fanno male. Con una progressione lenta e spietata, li scapezzola con le dita. E' un dolore terribile quello che mi provoca, ma che mi fa impazzire di piacere.
   Sono certa che sta godendo dei miei tremori e dei sussulti del mio corpo. Vorrei che non finisse mai di scoparmi in questo modo. Ansimo e gli urlo addosso tutto il mio piacere mentre l'ingombro che ho all'addome e la conseguente voglia di cagare si fa ancora più impellente.
   Non si cura del mio stato, seguita a succhiarmi il clitoride, strizzandomi tette e capezzoli, fintanto che le contrazioni della vagina si fanno più ritmiche e sono prossima all'estasi del piacere.
   Esplodo in un orgasmo come non ricordo d'avere mai avuto così intenso. Non so quante volte vengo in breve successione perché ho la sensazione di perdere la ragione a causa dello sconquasso ormonale che mi sta scompigliando.
   - Basta... basta... - lo supplico. - Mi stai facendo male. - urlo mentre tremo tutta. Lui seguita a succhiarmi il clitoride e non arresta la sua azione.
   Ho voglia di succhiarglielo, il cazzo, di assaporarne il gusto, l'odore, e glielo dico. Si alza in piedi e avvicina il cazzo alla mia bocca, poi lo ritrae lasciandomi a bocca aperta.
   Mi sfiora ripetutamente la bocca con la cappella. Scopro che mi piace un sacco leccargliela nel modo che vuole lui. Le evaporazioni che emana la sottile pelle rosa della cappella mi vanno sparate al cervello e hanno su di me gli stessi effetti di una sniffata di coca.
   - Voglio che godi dei miei sapori quando ti verrò in bocca. Sono certo che ti piacerà. - mi urla addosso mentre proseguo a spompinarlo.
   Tutt'a un tratto mi prende la paura che possa sborrarmi in bocca. Non voglio che accada, non l'ho mai fatto con nessun altro uomo, perlomeno fino a oggi, e ne ho paura.
   Scivolo via con le labbra e mi rifiuto di proseguire a spompinarlo. Lui insiste nel sospingermi la cappella verso la bocca, ma ogni volta scosto il capo da un lato. Sorpreso dal gesto di ribellione mi affibbia un paio di ceffoni sul volto che mi fanno cadere per terra.
    Mi ritrovo nuda, con il muso appiccicato al pavimento, le mani incatenate dietro alla schiena, indifesa, e sua prigioniera.
   Mi prende per i capelli e mi trascina sino al bordo del letto. Mi obbliga a mettermi carponi sul pavimento, col petto accostato al materasso, il muso affondato nel lenzuolo, e il culo inarcato verso l'alto.
   - Troia! - mi urla addosso più volte.
   Si inginocchia dietro di me e mi scosta le gambe divaricandole per bene. Avverto la lingua che si posa sul buco del culo e lo lecca. Mi è abbastanza chiaro quello che vuole fare, ma preferisco prenderlo nel culo piuttosto che farmi sborrare in bocca.
   Ostinato seguita a leccarmi l'ano provocandomi una sensazione di rilassamento muscolare allo sfintere. E' uno stato di benessere generale quello in cui vengo a trovarmi. Ho un gran dolore all'addome e sono prossima a cagare.
   L'emissione di feci liquide che mi escono dal buco del culo gli schizzano diritte sul viso. Una scarica diarroica ancora più potente segue la precedente.
   Mi sarei aspettata qualsiasi atto di perversione dal mio occasionale compagno, ma non che fosse coprofilo.
   L'osservo mentre si nutre dei miei escrementi sparsi sul volto e sul parquet e ne sono schifata.
   Mi libero delle catene che mi tengono legate le mani, dopodiché raccolgo un lenzuolo dal letto e mi do una sommaria ripulita.
   Quando ho finito di pulirmi giro lo sguardo nella direzione dell'uomo. Noto che sta passandosi la lingua sulle labbra, lorde di cacca, come se stesse nutrendosi di una rara prelibatezza.
   - Quando avremo occasione d'incontrarci, se mai accadrà, ti regalerò un panino con della merda. Contento? - dico schifata.
   Raccatto i miei abiti ed esco dalla stanza lasciandolo solo a godersi il sapore della cacca. 

   La strada che conduce verso il centro della città è sgombra di autovetture. Mi ci vorrà più di un'ora per raggiungere a piedi la mia abitazione, ma ho tante cose per la testa a cui pensare dopo quanto mi è capitato stasera.
   Alla prossima seduta terapeutica con lo psicologo gli chiederò se ho fatto bene a fuggire dalla situazione in cui mi sono venuta a trovare stasera. Sono pronta a fare qualsiasi cosa per sconfiggere l'evitamento. Beh, proprio tutto no, perché farmi sborrare in bocca mi fa proprio schifo. 

 

 

 
 

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