Fiocchi
di neve imbiancavano dal primo
pomeriggio le strade e i tetti
delle case. Lassù in mansarda, seduta
davanti alla scrivania, Barbara
osservava il cielo attraverso i vetri
dell’abbaino affascinata dal
perpetuarsi dell'insolito fenomeno
meteorologico. Fragili cristalli di
ghiaccio, sospinti da improvvise folate
di vento, s'infrangevano contro il vetro
della piccola finestra sciogliendosi per
effetto del
calore che proveniva dalla stanza.
Tutt'a un tratto le
tornarono in mente le immagini di
quando, bambina, era solita costruire pupazzi di neve e
lanciare palle di ghiaccio contro i
compagni di giochi. Mentre il ricordo si
dissolveva fissò lo sguardo sull'orologio
situato sullo
schermo del computer, in basso a destra.
Era maledettamente in
ritardo. Alla redazione di Mirka, il
settimanale per sole donne di cui era
titolare di una rubrica, avrebbe dovuto
fare arrivare il commento a tre lettere
inviatele dalle lettrici e non lo aveva
ancora fatto.
In compagnia dei figli e
del marito aveva cenato, dopodiché si era
rifugiata nella mansarda per dedicarsi
alla stesura del pezzo da spedire alla
redazione del settimanale, ma ancora non aveva scritto una sola
riga.
La soffitta era il luogo
della casa che prediligeva. Lì era
solita trovare rifugio quando aveva
bisogno di concentrarsi nel lavoro e non
voleva essere disturbata da chi le
gravitava attorno. L'ambiente non era il più
caldo della casa, ma in compenso il più
tranquillo.
Era salita in soffitta con
addosso il solo pigiama di flanella e ai
piedi un paio di babbucce di lana,
colore turchino, che avevano il pregio
di tenerle i piedi caldi oltre a essere
un simpatico ricordo di una figura
materna a lei cara.
Strofinò gli alluci uno
contro l'altro per stemperare
l'inquietudine che aveva addosso quando
il trillo del cellulare la distolse dai
suoi pensieri.
- Pronto.
- Barbara! Qui in redazione
stiamo aspettando il tuo articolo.
Accidenti! Stavolta sei maledettamente
in ritardo. Avresti dovuto consegnarcelo
già ieri. Possibile che fra i nostri
redattori sei sempre l'ultima a spedire
la tua pagina? Stavolta non possiamo
aspettare oltre, c'è di mezzo il
Natale. Il giornale andrà in stampa
domani mattina con o senza la tua rubrica.
La voce all'altro capo del
telefono apparteneva a Giorgia, una
delle capo redattrici del magazine con
cui Barbara aveva un contratto di
collaborazione. La rubrica che il
direttore responsabile della rivista le
aveva affidato, e che con poca fantasia
aveva battezzato "Posta del
cuore", trattava problemi della
sfera sessuale e affettiva delle donne.
Giorgia era una donna
spigliata e moderna. A lei facevano capo
i redattori delle rubriche più
disparate che trovavano spazio nelle
ultime pagine della rivista.
- Oddio! Hai ragione, il
tempo è volato via. Ti assicuro che ho
tutto pronto, il tempo di apportare
alcune modifiche alla stesura di un
commento, poi ti spedisco l'articolo per
posta elettronica. In meno di mezz'ora
avrai il pezzo sulla tua scrivania.
D'accordo?
- Ci conto!
- Certo, lo sai che di me
ti puoi fidare.
- Sì... sì, lo so.
Buonanotte.
- Anche a te, ciao!
Barbara depose il cellulare
sul tavolo, aggiustò le chiappe sulla
poltroncina e si trovò a riflettere,
ancora una volta, sul tipo di
suggerimento da fornire a una lettrice
che le aveva chiesto un parere tramite
lettera.
La luce soffusa
dell'abat-jour conferiva all'ambiente
un'atmosfera particolarmente calda. Il
fascio luminoso saliva verso l'alto e
dava rilevanza al soffitto di travi in
legno di rovere. La stanza era spoglia
di qualsiasi arredo, unica eccezione la
scrivania e un tappeto persiano che
proteggeva, solo parzialmente, il
parquet di legno.
La lettera che le stava
davanti era stata scritta a mano. Il tratto di
penna era sicuro, chiaro, elegante. I
caratteri dell'alfabeto apparivano
leggermente appuntiti e per niente
arzigogolati. L'autrice della missiva
dava l'impressione di possedere una
certa dimestichezza con la scrittura,
perlomeno questa era l'impressione che
Barbara ne aveva tratto leggendo la
lettera. Prese il foglio fra le dita e
si mise a leggere la lettera per
l'ennesima volta.
Cara
Barbara,
Ho
42 anni, un
lavoro part-time,
e un marito
distratto dal troppo
lavoro e da cui sono
sposata da una ventina
d'anni. Il nostro è
stato un matrimonio
d'amore, ci siamo
conosciuti sui banchi di
scuola e non ci siamo più
lasciati. Col trascorrere
del tempo il
nostro rapporto
è andato
via via scemando sempre più.
Abbiamo perso
d'entusiasmo e complicità.
Facciamo l'amore di
rado, come si
trattasse di un dovere e
niente più. In tutti
questi anni ho cercato
d'essere una buona
moglie, dedicandomi con
grande impegno alla
cura della casa e alla
famiglia, ma dentro di
me sentivo crescere
una grande
insoddisfazione, avvertivo
il bisogno
di nuove emozioni,
di desiderare e di
essere desiderata. E' in
questo stato d'animo che
tre anni fa ho
conosciuto un uomo molto
più giovane di me.
Fino allora non
avevo mai avuto,
né voluto
intraprendere, nessuna
storia
extraconiugale,
nonostante le occasioni
non mi fossero mancate.
Ha iniziato a corteggiarmi
in maniera brillante,
gentile e carina,
riempiendomi di
attenzioni, facendomi
sentire una donna appetibile e
giovane.
Abbiamo degli incontri
sporadici,
furtivi, ma
appassionati. Il nostro
rapporto non
è di solo sesso,
ci concediamo amore per
le nostre esigenze,
perché ci fa
bene stare abbandonati,
ciascuno, nel
corpo dell'altro.
Quello che
ci lega è un'attrazione
e un'armonia
fisica che
non accenna a diminuire.
Ogni volta sono travolta dai
suoi baci e dalle sue
carezze, ma sono
perfettamente conscia
che la notevole
differenza d'età che ci
separa (15 anni) sarà
causa, in un prossimo
futuro, della fine
del nostro rapporto.
Ultimamente i
sensi di
colpa che ho
verso mio
marito si
sono fatti più
pressanti e sto
male. Voglio bene
anche a lui
e non voglio farlo
soffrire, ma sono
sempre più
coinvolta in
questa storia
che forse dovrei
chiudere, ma perché
dovrei precludermi
tanta gioia?
Verona,
01.12.2001
Giusy
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Barbara ripose
il foglio sulla scrivania e si mise a
riflettere sui contenuti della lettera.
Durante la settimana lo aveva fatto parecchie volte, ma senza costrutto.
L'esperienza raccontata dalla lettrice
era del tutto simile a quella che lei
stessa stava conducendo con il proprio
giovane amante. Stessi problemi, stesse
paure, uguali sensi di colpa.
Anche lei, come l'autrice
della lettera, stava vivendo
un'esperienza piena di contraddizioni.
Ma c'era una sottile differenza fra le due
storie, perché al contrario della
lettrice era stata lei a
prendere l'iniziativa proponendo a un
uomo un incontro di sesso. Era accaduto
l'estate di un anno prima, quasi per
gioco, a causa della vita troppo
tranquilla e serena che stava
conducendo.
In vent'anni di matrimonio,
vissuti in assoluta fedeltà, era il
primo tradimento che portava a termine.
Abbagliata dallo schermo del
monitor si chiese com'era potuto
accadere. Socchiuse gli occhi e
ripercorse con la mente gli eventi che avevano
caratterizzato l'inizio della relazione
con Matteo, il suo giovane amante. Forte
della sua esperienza personale avrebbe
voluto dare una risposta ai dubbi della
lettrice.
Ogni trimestre era solita
sottoporre ad analisi i dirigenti di una
grossa azienda alimentare della propria
città. Incontri concordati con la
direzione aziendale per valutare lo
stato psicofisico dei propri
collaboratori. Lì aveva conosciuto
Matteo, un tipo vivace, spiritoso, pieno
d'inventiva e fantasia, doti che gli
avevano consentito di mettersi in luce
nell'azienda alimentare fino a occupare
un posto di rilievo, ed erano servite a
renderlo interessante anche agli occhi
di Barbara.
Il giorno in cui, con una
certa sfrontatezza, aveva proposto a
Matteo di fare sesso con lei, stavano
conducendo una seduta di psicoterapia.
Lui aveva accettato la proposta senza tentennare, mascherando la sorprese che
invece doveva averlo colto nell'attimo in cui,
senza mezzi termini, Barbara gli aveva
esplicitato l'irriverente proposta.
Le immagini del primo
appuntamento con Matteo le passarono
nella mente in maniera confusa,
accavallandosi l'una sull'altra, poi le
apparvero più chiare ed ebbe
l'impressione di rivivere quei momenti.
Era stato Matteo a
scegliere il luogo dell'incontro.
I
Boschi di Carrega erano un luogo
appartato, poco frequentato e lontano da
occhi indiscreti. Il Parco Regionale
distava una decina di chilometri dalla
città. Entrambi lo avevano raggiunto
alla guida della rispettive automobile
per destare meno nell'occhio. Quando era
giunta sul posto, con qualche minuto di
ritardo sull'ora concordata, nell'area
di parcheggio era presente una sola
autovettura.
Matteo era seduto davanti
al volante del Bmw ad aspettarla. Da
poco aveva terminato di piovere. Il
terreno era occupato da parecchie pozzanghere.
Dopo avere parcheggiato l'auto accanto a
quella di Matteo aveva posto i piedi
fuori dalla vettura con una certa
cautela. Questo particolare lo ricordava
bene perché aveva rischiato
d'insudiciarsi le scarpe sul terreno
imbrattato di foglie. Si era girata
verso Matteo che nel frattempo era
uscito dall'autovettura e le
stava di fronte. Lui l'aveva stretta fra
le braccia e attirata a sé.
Le loro labbra si erano
incrociate e non avevano avuto bisogno
di scambiarsi delle parole. Il bacio era
stato tenero e appassionato. Erano
rimasti appiccicati una all'altro, in
piedi, con le labbra incollate per un
tempo che ricordava essere
interminabile.
- Ciao, come stai? Tutto
bene?
Erano state le parole che
Matteo aveva pronunciato quando si era
staccato da lei. Ricordava quel
particolare perché si era rivelata sufficiente quella frase a
toglierle l'imbarazzo causatole
dalla notevole differenza d'età. Da
poco lei aveva compiuto quarantuno anni
mentre lui ne aveva quattordici di meno.
Tenendosi per mano si erano
incamminati lungo lo stretto sentiero
che dal parcheggio conduce al cuore del
Parco. Era novembre e cumuli di foglie
nascondevano il selciato rendendolo
sdrucciolevole e pericoloso. Il contatto
con la mano di Matteo aveva contribuito
a darle sicurezza. Avevano impiegato più
di un quarto d'ora a percorrere il
sentiero asfaltato che conduce al
laghetto dove erano diretti.
Le scarpe che calzava ai
piedi si erano mostrate poco adatte a
quel tipo di passeggiata, così quando
si era trattato di superare un breve
tratto sterrato, piuttosto fangoso, lui
l'aveva sollevata da terra e, tenendola
fra le braccia, l'aveva trasportata per
alcune decine di metri fino al punto in
cui il sentiero era più agevole,
dopodiché l'aveva fatta scendere a
terra e ripreso fiato.
Un piccolo capanno in
muratura, semi abbandonato, utilizzato
dai pescasportivi durante il periodo
estivo, si era presentato ai loro occhi
quando erano sbucati nell'ampia
insenatura che accoglieva il laghetto.
Non era mai stata in quel luogo e si era
stupita nel
costatare quanto fosse particolare
l'habitat di piante d'alto fusto e
arbusti d'ogni tipo che caratterizzavano
quella parte di bosco.
La pioggia, che fino a quel
momento li aveva risparmiati durante la
passeggiata aveva ripreso a cadere sotto
forma di acquerugiola. Avevano trovato
riparo sotto la tettoia del capanno. Era
lì che i pescasportivi erano soliti
sostare e bere qualche bicchiere di vino
seduti sulle panche che sporgevano dalla
parete della casa.
Quel giorno, e questo lo
ricordava bene, sotto la pelliccia di
visone indossava un abito nero di
tessuto semi elastico, perfettamente
aderente al corpo, ed era tutto ciò che
portava con sé. Nonostante la
temperatura rigida, non aveva freddo,
forse perché incantata da ciò che le
stava d'intorno. Le era parso quasi
impossibile che a soli dieci chilometri
dalla città esistesse un posto
incantevole come quello.
Erano rimasti a lungo
seduti sulla panca a osservare il
paesaggio attorno a loro. Abbracciati
una all'altro si erano scambiati baci e
carezze come due innamorati mentre il
silenzio incombeva nel bosco
tutt'intorno.
Il rumore di qualche ramo
secco caduto dalle piante e quello di
foglie smosse dal passaggio di qualche
animale, aveva interrotto più volte la
tranquillità di quei momenti. A poche
decine di metri dal punto in cui lei e
Matteo avevano preso posto sulla panca,
un branco di caprioli aveva fatto
capolino a ridosso della riva del
laghetto per abbeverarsi. Erano rimasti a osservarli, in silenzio,
evitando di fare il benché minimo
rumore. Dopo essersi abbeverati gli
animali avevano fatto ritorno nel fitto
bosco. Subito dopo, anche lei e Matteo
si erano alzati dalla panca.
La porta del capanno era
aperta. Matteo non aveva avuto bisogno
di trascinarla dentro. Aveva ripreso a
baciarla con rinnovata passione
spingendole la schiena contro lo stipite
della porta.
Lei era andata lì per
scopare ed era pronta ad assecondarlo in
tutto. Non si era meravigliata quando
una mano di Matteo le aveva sollevato la
gonna per toccarla fra le cosce. Quel
giorno indossava solo un paio di
autoreggenti e nemmeno indossava le
mutandine.
Aveva la fica bagnata fin
da quando si erano scambiati il primo
bacio nel parcheggio. Quando Matteo le
aveva infilato le dita fra le labbra
della fica, umida com'era, aveva avuto
sentore di quanto lei desiderasse essere
scopata. Infatti, non vedeva l'ora di
stringere il cazzo fra le dita. Senza
troppo pensarci gli aveva slacciato la
cintura dei pantaloni e glielo aveva
stretto nella mano. Era la prima volta
in vent'anni di matrimonio che teneva
fra le dita un cazzo diverso da quello
del marito e la cosa le era sembrata
alquanto strana.
Si erano trovati con la
mano a contatto del sesso dell'altro.
Avevano preso a masturbarsi a vicenda,
in piedi, poi lui si era liberato del
cappotto e lo aveva steso sul pavimento
del capanno. Le aveva imposto di
mettersi carponi, poi dopo averle
sollevato la gonna l'aveva montata da
dietro come una cagna.
Da quella scopata era
trascorso un anno. La storia con Matteo
andava ancora avanti, lui però si era
rivelato una persona molto diversa
dall'uomo che aveva conosciuto
all'inizio della loro storia. Ormai era
consapevole che l'unico motivo per cui
Matteo stava con lei era perché sapeva
dargli tutto ciò che la moglie gli
negava, soprattutto il culo, perché a
lui piaceva sodomizzarla.
Si sentiva uno straccio,
tradita nell'intimo e delusa, forse
perché si era illusa che fra loro ci
fosse vero amore. Le dita iniziarono a
comporre sulla tastiera le parole di
risposta alla lettera della lettrice.
Non impiegò troppo tempo a scriverla.
Poco dopo lo scritto era pronto per
essere spedito per posta elettronica,
insieme con altre due risposte che
avrebbero composto la pagina della sua
rubrica settimanale. Prima però diede
un'ultima scorsa alla lettera.
Cara amica,
Penso
che tante donne,
oppresse come lei dalla
noiosa routine
coniugale, sognino di
vivere una storia come
la sua.
Il tradimento, come lei
lo ha vissuto, è come
una medicina, un estremo
rimedio ai mali del
cuore. Mi perdoni se
affermo che i suoi
tormenti derivano in
minima parte dal tradire
suo marito, ma anche dal
fatto che il suo amante
è molto più giovane di
lei. Se in qualche modo
ha intenzione di
chiudere questo rapporto
è soprattutto perché
teme che possa finire,
non per volontà sua, ma
per la possibilità,
incombente, che sia lui
a porre termine alla
storia.
Anche i grandi amori
alla fine muoiono.
Cerchi di vivere il
rapporto col suo giovane
amante alla giornata,
senza porsi tanti
problemi, prendendo ciò
che c'è di bello e di
buono nella vita.
Auguri.
Barbara
Parma 17.12.2001
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L'orologio a pendolo batté le 10.00. Al
piano di sotto il marito e i due figli
erano impegnati a guardare la tivù.
Prima di salire in mansarda Barbara si
era raccomandata di non essere
disturbata come succedeva ogni volta che
trovava rifugio nell'alcova. Stava per
spegnere il computer quando il trillo
del cellulare venne a sovrapporsi alla
sua azione. Il numero apparso sul
display era quello di Matteo.
- Pronto.
- Ciao, ci vediamo domani?
Barbara lasciò trascorrere
alcuni secondi prima di rispondere,
anche se ormai non avvertiva più la
necessità di prendere tempo.
- Non penso che ci
rivedremo di nuovo. E' finita Matteo...
è finita.
All'altro capo del telefono
ci fu solo un lungo silenzio. Barbara
lasciò trascorrere alcuni secondi poi
interruppe la comunicazione e spense il
cellulare. Più volte si era domandata
che sensazione avrebbe avuto nel
momento in cui il legame con Matteo si
sarebbe interrotto: ora lo sapeva.
Discese la scala a
chiocciola e si ritrovò in salotto. Suo
marito era seduto sul sofà, accanto ai
due figli. Insieme guardavano un film di
avventure, almeno così le parve di
capire mentre si avvicinava a loro.
- Avete bisogno di
qualcosa?
Il primo a rispondere fu
Carlo, il più piccolo dei due figli.
Aveva nove anni, l'altra, Simona, ne
aveva undici e stava con la testa
appoggiata al braccio del papà.
- Mamma non rompere, stiamo
guardando un film!
- E' la seconda parte di
"Ritorno al futuro". Siediti
qui insieme a noi" gli fece eco
Simona.
Barbara prese posto accanto
a loro e s'immerse nella visione del
film. L'albero di Natale occupava un
angolo del salotto, le luci multicolori
sì accendevano a intermittenza e
illuminavano i pacchi dono che giacevano
per terra, erano lì da qualche giorno,
pronti ad essere aperti dai suoi
cuccioli nella notte di Natale.
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