Una
impenetrabile cappa di nebbia gravitava
sulla città incartandola di un colore cenerino. Mi
liberai della trapunta di piumino,
appoggiai i piedi sul parquet, e trovai rifugio
nella stanza da bagno. Una volta indossati
pantaloncini e maglietta da cicloturista
collocai telaio e ruote della
mountain bike nel bagagliaio della Golf,
dopodiché, ancora assonnata, presi la
direzione della Bassa.
Il paese di Sissa era una
delle sedi di partenza della Porcolonga,
manifestazione cicloturistica a cui mi
ero iscritta e coinvolgeva diversi
comuni della Bassa Parmense. Era lì che
insieme a un gruppo di venticinque
persone, di cui non conoscevo l'identità,
ero diretta.
Il programma della
manifestazione, ampiamente pubblicizzato
sulle pagine di riviste di turismo e
gourmet, prevedeva la formazione di nove
gruppi di cicloturisti, composti
ciascuno da 25-30 persone. Le diverse
comitive, compreso il gruppo di cui
facevo parte, avrebbero attraversato il
territorio della Bassa Parmense partendo
ciascuno da uno dei paesi associati alla
Strada del Culatello.
I percorsi della Porcolonga,
nove in tutto, estesi per una quarantina
di chilometri, prevedevano soste golose
in aziende agricole, salumifici e
trattorie della Strada del Culatello. La
manifestazione avrebbe consentito ai
partecipanti di gustare pietanze,
salumi, dolci e vini tipici prodotti nel
territorio della Bassa. Tra i diversi
itinerari avevo scelto il percorso che
dal paese di Sissa mi avrebbe guidato a
Polesine Parmense. Lì mi sarei
imbarcata con i miei compagni di viaggio
su una delle imbarcazioni che ci avrebbe
condotti al molo di Torricella dove
avremmo concluso la giornata.
Da un paio di settimane non godevo di un turno di riposo dal
lavoro che svolgo in ospedale. Ero stanca,
affaticata e con tanta rabbia in corpo.
Ciononostante avevo una dannata voglia
di mescolarmi fra la gente per distrarmi
dai compiti d'infermiera. A questo
pensavo mentre percorrevo la strada che
da Parma conduce a Sissa ostacolata da
un muro di nebbia.
Al punto di ritrovo,
fissato dagli organizzatori della
manifestazione nella piazza antistante
la Rocca dei Terzi, mi trovai da sola.
Ad aspettarmi non trovai nessuno del
gruppo di persone iscritte al percorso
giallo. Tutt'a un tratto un uomo e una
donna sbucarono in sella alle loro bici
da una via laterale della piazza e si
avvicinarono al punto dove ero in
attesa.
- Anche tu sei qui per la
Porcolonga? - chiese l'uomo.
- A quanto pare siamo solo
noi tre. Manca persino la guida. -
dissi.
- Magari la manifestazione
è stata rinviata ad altra data. Con
questa nebbia non mi stupirei se lo
avessero fatto. - m'interruppe la
ragazza che accompagnava l'uomo.
- Hai ragione. - asserii. -
Certo che potevano avvisarci, cazzo! Sarei rimasta a letto sino a
mezzogiorno. All'atto dell'iscrizione
hanno voluto che gli comunicassi il numero
del cellulare, assicurandomi che sarebbe
servito per inviarci delle
comunicazioni, invece.
- Magari lo hanno fatto.
- Di telefonate non ne ho
ricevute. - dissi.
- Forse hanno inviato un
SMS. Hai verificato nella segreteria
telefonica se c'è registrato un
messaggio? - disse l'uomo.
- No, e voi?
- Beh, ti sembrerà strano,
ma tutt'e due non possediamo il
cellulare.
- Avrete pure comunicato il
vostro numero di telefono, o no?
- Sì, ma ieri sera siamo
tornati a casa tardi, dopo la
mezzanotte: Sarebbe stato difficile per
chiunque raggiungerci telefonicamente. -
disse la ragazza
- Aspettate, vado a
prelevare il mio cellulare. L'ho
lasciato dentro l'automobile. - dissi.
Mi ripresentai poco dopo
stringendo nella mano il cellulare. Il
display mostrava un messaggio speditomi
dagli organizzatori della Porcolonga. La
manifestazione era stata sospesa a causa
della nebbia e avrebbe avuto luogo la
domenica successiva, tempo permettendo.
- Eh, sì, è stata
sospesa. - dissi informando i miei due
compagni di viaggio. - Adesso che
facciamo?
- Merda! Veniamo da Genova
e abbiamo percorso più di duecento
chilometri per arrivare qua. A questo
punto potremmo raggiungere Zibello e
Polesine percorrendo la Ciclopista del
Po senza l'ausilio di una guida. Che ne
dici? - disse l'uomo volgendo lo sguardo
nella mia direzione.
- Si, certo, si può fare,
penso di sì - dissi.
- Forse dovremmo
presentarci, non credi? - disse la
ragazza. - Il mio nome è Ombretta, lui
è Evaristo. E tu?
- Io sono Erika.
- Allora che hai deciso?
Vieni con noi? - chiese Evaristo.
- Se vi fa piacere. Ma non
vorrei esservi d'impiccio.
- Una Porcolonga è bella
se viene fatta in compagnia, non credi?
- strizzò l'occhio Ombretta.
Torricella, punto d'imbarco
sul Po, distava una manciata di
chilometri da Sissa. Ci arrivammo in un
battibaleno pedalando nella nebbia,
disponendoci in fila indiana, senza mai
forzare l'andatura, dandoci il cambio a
tirare la fila in testa al gruppo.
Quando raggiungemmo l'argine del fiume
un cartello segnaletico ci indicò qual
era il percorso che avremmo dovuto
seguire.
La ciclopista del Po
costeggiava nel tratto iniziale una
golena satura di pioppi, collocati uno
accanto all'altro secondo una
disposizione geometrica di rette
parallele incrociate. Alla nostra
sinistra, rispetto la direzione che
avremmo dovuto seguire, si estendeva la
campagna della Bassa con le zolle di
terra rivoltate e mascherate da una
fitta nebbia.
Prima dell'abitato di
Gramignazzo c'imbattemmo in un gruppo di
piccoli laghi affollati da pescasportivi.
Un cartello collocato all'incrocio con
uno stradello che conduceva a delle
casupole sospese su delle palafitte
mostrava la scritta: Laghi Verdi. Un
altro cartello mostrava l'iscrizione
"Pescegatto fritto" e il
disegno di un coltello e forchetta
disposti a X.
- Carino questo posto, eh?
- disse Evaristo accostandosi con la
bicicletta alla mia.
- Sì, davvero, peccato che
non cucinino pietanze con carne di
maiale. - dissi.
- Ne sei sicura?
- No, ma in un posto del
genere, dove si alleva pescegatto,
difficilmente cucineranno carne, non
credi?
Ombretta pedalava a una
decina di metri davanti a noi quando,
tutt'a un tratto, arrestò la corsa e
scese dalla mountain bike. Io e Evaristo
cessammo di pedalare e ci fermammo al
margine della strada, poco lontano dal
punto in cui la ragazza era ferma.
- Scusate, ma ho il bisogno
urgente di fare pipì.
Per niente intimorita dalla
mia presenza abbassò i pantaloncini e
chinò il sedere sul prato. Un getto di
piscia le uscì dalle cosce e si confuse
sul terreno lasciando sull'erba una
traccia di vapore fumante.
Sorpresa dal singolare
contegno della mia compagna di viaggio,
scostai il capo da un lato per
l'imbarazzo. Evaristo sembrò non fare
troppo caso al gesto di Ombretta, anzi
la sollecitò a spicciarsi e riprendere
la corsa. Poco dopo eravamo di nuovo in
viaggio tutt'e tre.
La sospensione nell'aria di
microscopiche goccioline, formatesi per
la condensazione di vapore acqueo,
inumidivano i nostri volti producendo
sul mio corpo un effetto davvero strano.
Nonostante l'andatura blanda Ombretta
cominciò a staccarsi dandomi
l'impressione di volermi lasciare da
sola con Evaristo, perlomeno questo fu
ciò che pensai.
Ogni volta che Ombretta
scompariva alla nostra vista, avvolta in
qualche banco di nebbia che compariva
d'improvviso, mettendo a repentaglio il
proseguo della nostra pedalata lungo
l'argine, Evaristo e io rallentavamo la
corsa per aspettarla.
In corrispondenza del paese
di Gramignazzo oltrepassammo il ponte
sul fiume Taro. Per qualche centinaio di
metri percorremmo la strada provinciale
che conduce a Roccabianca. Aiutati dalla
segnaletica stradale c'immettemmo ancora
una volta sull'argine del Po e
riprendemmo a pedalare sulla ciclopista.
Tutt'a un tratto Evaristo
arrestò la corsa e scese dalla
bicicletta. Abbassò i pantaloncini e
tirò fuori il cazzo. Il getto fumante
di piscia che gli uscì dalla cappella
giunse a più di un metro di distanza
lasciandomi esterrefatta come in
precedenza era accaduto quando avevo
scorto Ombretta mettersi a pisciare nell'erba.
Nonostante le dimensioni
del gingillo, davvero notevoli a
dispetto del freddo pungente, non diedi
a vedere alcun segno d'imbarazzo. Se
pensava d'impressionarmi mostrandomi il
cazzo si sbagliava di grosso. Stringerli
nelle mani, lavarli e cateterizzarli, è
uno dei compiti che svolgo
quotidianamente in ospedale. Ma non
c'era nessuna ragione plausibile che
potesse giustificare un simile
atteggiamento da parte sua. Forse era
colpa della giornata uggiosa e della
nebbia, pensai. Una certa agitazione
ormonale a dire il vero me la sentivo
addosso anch'io e non sapevo spiegarmene
la ragione. Sì, la nebbia, forse era
davvero colpa della nebbia.
Dopo un'ora di viaggio
arrivammo a Zibello. Superato un grande
frantoio per l'estrazione e la
lavorazione della ghiaia ci ritrovammo a
Polesine Parmense. Numerosi barconi per
l'escavazione della sabbia erano
ormeggiati alle banchine. Un cartello
indicava il punto di attracco per le
barche della Ciclopista del Po.
Seguendo le indicazioni
avremmo dovuto trovare con facilita
l'imbarcazione che ci avrebbe riportati
a Torricella di Sissa. Ma contrariamente
alle nostre aspettative, il molo era
deserto. Non c'era nessuna traccia di
persone né di barche.
- Cosa facciamo? - dissi ai
miei compagni di viaggio trattenutisi
con le biciclette nello stradello
sterrato sull'argine del fiume.
- Aspettiamo! Prima o poi
si farà vivo qualcuno, no? Erika tu
rimani qui. Io e Ombretta andiamo a
cercare qualcuno che sia in grado di
darci delle indicazioni.
- Sì, certo, se arriva il
battello verrò a chiamarvi.
Trascorse mezz'ora. Una
barca di pescatori sbucò d'improvviso
da un banco di nebbia a una decina di
metri dall'ormeggio dove ero in attesa
del battello che ci avrebbe dovuto
condurre a Torricella.
- Ehi, scusate! - gridai. -
Sapete dirmi se è sospeso il servizio
di traghetto?
Uno dei pescatori si prese
la briga d'informarmi che il servizio
veniva sospeso ogni volta che le
condizioni atmosferiche rendevano
rischiosa la navigazione nelle acque del
fiume. Ringraziai il pescatore e risalii
la riva, poi mi misi alla ricerca dei
miei compagni di viaggio.
Sottratti alla vista da un fitto banco di nebbia
Evaristo e Ombretta stavano scopando. La
ragazza appoggiava l'addome su uno dei
tavoli dell'area di ristoro prospiciente
la banchina dell'ormeggio. Evaristo la
scopava da dietro come fa un cavalla da monta.
Ombretta teneva le mani
stese in avanti e abbrancava con le dita
il bordo del tavolo sopra la testa. Il
viso era appoggiato di traverso sul
piano del tavolo e le labbra spandevano
smorfie di piacere mentre gemeva. Rimasi
a guardarli, nascosta alla loro vista
dalla nebbia e da una siepe di
sempreverdi, incuriosita dalla scena che
stava consumandosi davanti ai miei
occhi.
Vederli fare all'amore in
quel modo fu molto eccitante. Non mi
persi un solo istante della scopata.
Evaristo affondava il cazzo nella figa
come fosse un siluro di carne. Sistemato
alle spalle di Ombretta manteneva le
braccia stese sui fianchi della
compagna, abbrancandola con le mani,
muovendo il bacino mentre conduceva il
cazzo dentro e fuori la fessura di
carne.
Stare a guardare il cazzo
di Evaristo scomparire nella figa di
Ombretta e vederlo ricomparire subito
dopo tutto intero era molto eccitante.
Lasciai cadere la mano sotto il bordo
della salopette e con le dita raggiunsi
il bocciolo del clitoride. Incominciai a
sfregarlo mettendo in movimento i
polpastrelli, sincronizzando il moto
delle dita con quello del bacino di
Evaristo che con il siluro di carne
penetrava le cosce della ragazza.
Eccitata mi lasciai cadere
con le ginocchia per terra. Puntellai la
schiena contro il tronco di un pioppo,
allargai le cosce e andai avanti a
masturbarmi. Avrei preferito spingere
qualcosa di più solido nella vagina, ma
non avevo niente a portata di mano,
nemmeno un fottutissimo strolghino.
Infilai un dito nella
vagina e subito dopo un altro ancora. Seguitati
a masturbarmi fintanto che raggiunsi
l'orgasmo, un godibilissimo orgasmo.
Rimasi distesa sul prato per qualche
istante prima di fare ritorno al molo
d'imbarco. Evaristo e Ombretta stavano
ancora scopando quando mi allontanai dal
parco.
Trascorse un po' di tempo
prima che mi raggiungessero nell'area
dell'imbarcadero.
- Abbiamo girato a piedi
qui attorno, ma non abbiamo incontrato
nessuno. Allora siamo tornati a
cercarti. - si giustificò Ombretta.
- Io sono rimasta per tutto
il tempo qui ad aspettarvi. - mentii.
- E' mezzogiorno. Cosa
pensate di fare? - chiese Evaristo.
- Non lo so. - disse
Ombretta.
- Potremmo tornare in bici
sino a Zibello e pranzare in qualche
trattoria. La figlia del proprietario
del Leon D'Oro è una mia cara amica, ci
farà stare bene. - dissi.
- Questa pedalata mi ha
messo addosso un certo appetito. - disse
Evaristo. - Va bene, dai, andiamo a
pranzo.
All'ora di pranzo avevamo
messo i piedi sotto un tavolo della
trattoria della mia amica. Come
antipasto ci fece gustare alcune fette
di un gustosissimo Culatello di Zibello,
poi dei stuzzicanti antipasti a base di
carne ad "gosèn". Molto
saporiti i tortelli verdi a base di
formaggi e carne che divorai facendo il
bis. Una scritta, riportata sulla carta
dei menù, sosteneva:
"Il
maiale è come la musica di Verdi,
non c'è niente da buttare via..."
Gustammo dei secondi piatti a base di
carne di maiale bagnati con aceto
balsamico saziandoci fino a ingozzarci.
Come vino ci venne servito del Fortana
del Taro, un vino locale molto buono.
A fine pranzo i gestori
della trattoria consegnarono a ciascuno
una lattina di alluminio, ermeticamente
chiusa, del tutto simile a quelle
destinate a contenere le bibite. Su
ciascuna c'era impressa una immagine e
una scritta. Sulla mia, accanto alla
figura di una forma di grana di
Parmigiano Reggiano, appariva la
scritta:
"Questo
contenitore conserva per intero
il profumo e i sapori della Strada
del Culatello".
Sulla lattina di Evaristo c'era stampata
l'immagine di un prosciutto, mentre su
quella di Ombretta un culatello.
Stante gli effetti
afrodisiaci che la nebbia aveva avuto
durante la giornata su tutti e tre,
avrei preferito portarmi a casa una
lattina contenente il profumo di
microscopiche particelle di nebbia...
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