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POMPE
FUNEBRI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
I l
corpo di Francesco, privo di vita, fu
rinvenuto da una addetta alle pulizie
nella camera d'albergo in cui l'uomo era
ospite da un paio di giorni. Giaceva
supino sul letto, a prima vista addormentato, col capo per traverso e
gli occhi sbarrati.
Il nulla osta per la
tumulazione della salma giunse ai
famigliari soltanto a conclusione
dell'autopsia, avvenuta un paio di
giorni dopo il ritrovamento del
cadavere, dopo che il medico
anatomo-patologo aveva attribuito la
causa del decesso a una embolia
cerebrale.
I necrofori dell'agenzia
funebre cui la vedova si era rivolta per
il trasporto della salma, da Rimini a
Parma, avevano provveduto a vestire il
corpo con gli abiti recuperati nella
stanza d'albergo dove Francesco era
ospite al momento del decesso.
La salma giunse nella
camera mortuaria già chiusa nella cassa
di legno. Le sottili lamine di
zinco che foderavano l'interno della
bara erano state saldate con il piombo e
il coperchio avvitato al legno
sottostante.
Una folla di parenti e
amici erano assiepati tutt'intorno alla
bara per porgere l'ultimo saluto alla
salma. La giovane vedova, vestita a
lutto, sedeva a fianco della bara con il
velo in tulle, dello stesso colore
dell'abito, che celava solo in parte i
lunghi capelli biondi raccolti dietro il
capo. Un paio di occhiali avvolgenti,
dalle grandi lenti scure, sottraevano
gli occhi gonfi di lacrime allo sguardo della gente.
Quando nella camera ardente
giunse il cappellano per officiare
l'orazione funebre la donna si alzò in
piedi e la cerimonia ebbe inizio.
Tutt’a un tratto il
trillo insistente di un telefono
cellulare interruppe l'orazione funebre
del religioso. I convenuti si guardarono
in viso per scoprire chi fosse il
possessore del telefonino che emetteva
quell'inopportuna vibrazione.
D'improvviso il suono cessò.
Il cappellano, spazientito per
l'interruzione, riprese l'omelia funebre
dal punto in cui l'aveva interrotta.
Trascorsero pochi minuti e la suoneria
di un cellulare, dal rumore identico al
trillo che aveva interrotto in
precedenza la cerimonia funebre, portò
nuovo scompiglio fra le persone
assiepate intorno alla bara.
Fra lo stupore generale la
vedova sporse il capo in avanti e
avvicinò l'orecchio al coperchio della
bara. Spaventata sollevò il capo dal
feretro e guardò una a una le persone
che le erano d'intorno prima di
manifestare la propria sorpresa.
- Viene da qui! - disse
indicando il legno del feretro. - Il
suono proviene da dentro bara, ne sono
certa. Credetemi!
Parenti e amici accolsero
l'affermazione con scetticismo. Ai più
pareva impossibile che il suono
provenisse dal feretro. Soltanto quando
il trillo riprese a farsi sentire alcuni
dei convenuti accostarono l'orecchio al
coperchio di legno della bara, e tutti
furono concordi nel sostenere che il
suono proveniva da lì.
- Voglio che la bara sia
aperta, adesso, subito! - Urlò la
moglie del defunto, rivolgendosi ai due
necrofori in attesa di trasferire la
salma sul carro funebre per condurre la
bara al cimitero.
Il più anziano dei due
necrofori la informò che non erano in
grado di soddisfare la sua richiesta.
Per aprire la bara occorreva il
benestare di un medico dell'Istituto di
Anatomia Patologica. Soltanto in quel
caso avrebbero tolto il coperchio della
cassa.
- E allora sollecitiamola
questa autorizzazione, accidenti! -
disse la vedova nel momento in cui il
cellulare riprese a trillare dentro la
bara.
Dopo una decina di minuti,
mentre una folla di curiosi era andata
ammassandosi all'uscita della camera
mortuaria, uno dei medici legali
dell'Istituto di Anatomia Patologica si
presentò nella stanza dell'obitorio
dove era in corso la cerimonia
funebre. Preso atto di quanto stava
accadendo diede l'autorizzazione ad
aprire il coperchio della cassa.
Ottenuto il consenso dal
medico legale i necrofori si diedero da
fare per rimuovere le viti che
bloccavano il coperchio di legno al
resto del feretro. Puntarono la fiamma
del saldatore sopra il sottile strato di
piombo che congiungeva la calotta di
metallo al bordo della bara e la
dissaldarono.
Quando la lamina fu
scoperchiata e apparve il volto cereo
del cadavere di Francesco le persone
intorno al feretro ne rimasero deluse. I
necrofori si spostarono a lato della
bara e rimasero in attesa di riporre
ancora una volta la calotta metallica e
il coperchio di legno sulla bara.
D'improvviso il cellulare
riprese a trillare. La vedova, fra lo
stupore generale, cominciò a tastare il
corpo del defunto alla ricerca
dell'infernale aggeggio elettronico.
Quando lo trovò il suo volto sembrò
trovare sollievo. Lo sfilò da una tasca
della giacca del cadavere in cui era
custodito e lo avvicinò all'orecchio.
Emozionata, con la voce
strozzata in gola, sollevò il coperchio
del cellulare prima di rispondere.
- Pronto. - disse con voce
roca, del tutto somigliante a quella di
un uomo.
- Francesco? - chiese
conferma interlocutore.
- Eh.
La donna si mise ad
ascoltare le parole che uscivano dal
minuscolo apparecchio telefonico con
malcelato interesse. Dopo pochi istanti
il viso le si fece cereo, pari a quello
del marito steso nella bara. Fra la
sorpresa generale si accasciò al suolo,
priva di sensi, sorretta dai parenti che
si premurarono di evitarle gravi danni
nella caduta. La cerimonia funebre si
sciolse e la salma fu trasportata al
cimitero Monumentale della Villetta dove
fu tumulata.
Quando verso sera la donna
si ritrovò dentro le mura di casa
non poté fare a meno di pensare alla
voce maschile che aveva udito al
cellulare. L'angoscia che l'aveva
accompagnata per tutta la giornata le
impediva di prendere sonno. Era conscia
che il peggio doveva ancora arrivare, ma
voleva fuggire dalla verità che
incombeva come un macigno su di lei.
Le parole che aveva udito
pronunciare da uno sconosciuto al
cellulare del marito, mentre assisteva
alla cerimonia funebre, erano un peso
intollerabile. Chi stava dall'altra
parte della linea telefonica era
convinto di parlare con Francesco e
questo l'aveva indotto a non farsi
scrupolo nel modo di esprimersi.
Nel buio della stanza da
letto ripassò uno a uno i fotogrammi
dei quattro anni di matrimonio vissuti
con Francesco. Rammentò i momenti
d'intimità, i baci, le carezze, le
scopate, e i tanti progetti portati
avanti di comune accordo.
Seguitò ad agitarsi sotto
le lenzuola sino alle due di notte senza
riuscire a prendere sonno. Tutt'a un
tratto scese dal letto e andò dritta
nello studio del marito. Era in quella
stanza, adibita ad ambulatorio, che
Francesco visitava i pazienti quando non
era impegnato in ospedale. Premette
l'interruttore della lampada posta sopra
la scrivania poi si mise a sedere sulla
poltrona di pelle.
La stanza era come
Francesco l'aveva lasciata prima di
partire per Rimini. Raramente le
succedeva di mettere piede in quel
locale. Del riordino dell'ambulatorio se
ne occupava la donna di servizio, la
stessa che si prendeva cura delle
pulizie dell'appartamento. Esaminò le
carte sistemate sulla scrivania, ma non
trovò nulla d’interessante. Solo
scartoffie senza alcuna importanza.
Cercò di aprire il primo
dei tre cassetti impilati uno sull'altro
nella parte destra della scrivania, ma
non riuscì ad aprirlo. Era chiuso a
chiave come lo erano i due cassetti
sottostanti.
D'improvviso si sorprese a
pensare che non era al corrente dove
Francesco conservasse le chiavi di quei
cassetti. Cercò di ricordare che fine
avesse fatto il mazzo di chiavi che il
marito si portava sempre appresso. Rammentò
di averlo riportato a casa
insieme al cappotto e alla valigia
rinvenuta nella stanza d'albero dove
Francesco era deceduto.
Al contrario del telefonino
le chiavi non erano state tumulate nella
bara, di questo ne era certa. Andò a
recuperarle nella ciotola di terracotta,
sistemata sulla cassapanca all'ingresso
dell'appartamento, dove lei e Francesco
avevano l'abitudine di depositare le
chiavi quando facevano rientro a casa.
Inserì una dopo l'altra le
chiavi del mazzo nelle tre serrature, ma
con nessuna fu in grado di aprire i
cassetti. Accecata dall'ira corse nel
ripostiglio dove il marito custodiva gli
arnesi da lavoro decisa a recuperare un
qualsiasi attrezzo adatto allo scasso.
Non impiegò troppo tempo a scardinare
la prima delle serrature.
Il cassetto era colmo di
cartelle cliniche di pazienti. Anche il
secondo cassetto era pieno di schede e
fascicoli. Ma quando scardinò la
serratura dell'ultimo cassetto, quello
più vicino al pavimento, rimase
sgomenta. Le fotografie che fece
scorrere da una mano all'altra
ritraevano Francesco in compagnia di
bambini e adolescenti. Gli atteggiamenti
del marito non lasciavano dubbi sulla
sua perversa personalità. Francesco era
un pedofilo.
Le foto erano una prova
inconfutabile del temperamento corrotto
del compagno. Eppure anche di fronte a
quelle immagini le sembrò impossibile
che fosse tutto vero e non frutto della
sua immaginazione. Dopotutto Francesco
si era sempre mostrato un marito
affettuoso e premuroso con lei.
Le fotografie sembravano
piuttosto recenti. Le più vecchie erano
delle Polaroid, abbastanza sbiadite, che
lo ritraevano nudo in compagnia di
bambini asiatici mentre compiva atti di
sadismo durante delle orge ed erano le
più stomachevoli.
Diede una visione sommaria
al resto delle immagini e si mise a
piangere inorridita. Rovistando nel
cassetto trovò un paio di videocassette
e non tardò a immaginare il contenuto
dei filmati.
Quando spense il televisore
del salotto, dove si era intrattenuta a
guardare le immagini registrate che
ritraevano Francesco in giochi erotici
condotti insieme a dei bambini, si era
fatto giorno.
Abbandonò il divano dove
era rimasta seduta per gran parte della
notte e si avvicinò al balcone. Respirò
a pieni polmoni l'aria fresca della
mattina. In lontananza, sul viale della
circonvallazione, scorse un cartellone
pubblicitario con appiccicato un
manifesto che ritraeva un gruppo di
bambini impegnati a correre in un prato
trascinando aquiloni dai colori
variopinti. In quell'istante ripensò
alla voce di ragazzo che aveva udito al
cellulare durante il funerale. Cinquanta
euro era la tariffa per le sue
prestazioni.
Lacrime di rabbia le
rigarono le guance. La sua vita non
sarebbe più stata come prima, e quella
era la sua unica certezza.
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