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FOTORACCONTO
(photography)
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Un
acquazzone estivo di rara intensità
aveva scaricato sulla città una pioggia
torrenziale. Terminato il turno di
lavoro avevo lasciato la clinica
congiuntamente a Lilly poco dopo le 22.00. A
quell'ora aveva già smesso di piovere e
alle spalle mi ero lasciata ansie e
preoccupazioni proprie della professione
d'infermiera.
Trovare da parcheggiare
l'auto nelle vicinanze di Piazza
Garibaldi si rivelò una impresa
piuttosto ardua. Dopo tanto girovagare
trovammo uno spiazzo dove infilare
l'auto in prossimità del Teatro Regio,
dopodiché c'incamminammo verso la
piazza.
Ai piedi calzavo un paio di
sandali con strisce di cuoio nere,
allacciate intorno alla caviglia. Un
tipo di calzatura comodo per camminare,
ma poco adatto per proteggermi dagli
spruzzi d'acqua che sollevavo
ogniqualvolta mettevo i piedi in una
delle pozzanghere che occupavano i
marciapiedi.
Attraversammo Piazza della
Steccata, deserta di persone a
quell'ora, guardate a vista dalla statua
del Parmigianino che faceva da
sentinella ai negozi affacciati nella
piccola piazza.
- Ci sarà gente in giro
stasera? - disse Lilly mentre
attraversavamo lo stretto vicolo che da
Piazza della Steccata conduce a Piazza
Garibaldi.
- E perché no? Mica
saranno tutti rinchiusi fra le mura
domestiche a guardare alla tivù la
partita di calcio che l'Italia gioca
contro la Germania. E poi a quest'ora la
partita sarà già terminata, non credi?
Le vetrine di un negozio
che esponevano articoli di pelle firmati
Alexander Nicolette attirarono la nostra
attenzione. Fissammo lo sguardo sulle
scarpe in esposizione e rimanemmo
disorientate dai prezzi proibitivi,
perlomeno per le nostre tasche da
infermiere. Tutt'e due avevamo scarse
probabilità di acquistare uno qualsiasi
degli oggetti esposti nella vetrina,
ciononostante ci dilungammo a guardarli.
Girato l'angolo ci ritrovammo affacciate
in Piazza Garibaldi.
Le lancette dell'orologio
del Palazzo del Governatore segnavano le
22.30. A nostra disposizione avevamo il
resto della serata per divertirci.
I tavolini dinanzi alle tre
caffetterie che si affacciavano nella
piazza erano stipati di gente. Non c'era
un solo tavolo libero. Vagabondammo per
la piazza confidando che prima o poi un
tavolo si sarebbe liberato, attente a
incrociare lo sguardo di qualche
conoscente per sedergli
accanto.
- A quanto pare questa non è
la sera giusta, eh! - sentenziò Lilly. - Che ne
pensi se entriamo direttamente al Caffè
Orientale e ci prendiamo un sorbetto?
- Sì, dai, mica possiamo
passeggiare tutta la sera intorno alla
statua di Garibaldi in attesa che si
liberi un posto a sedere. Va bene, dai,
andiamo.
C'infilammo in uno dei
corridoi che tenevano separate le fila
dei tavolini intenzionate a raggiungere
l'ingresso al Caffè Orientale, quando
una voce femminile attirò l'attenzione
della mia amica.
- Lilly... Lilly...
Ci girammo tutt'e due nella
direzione da cui proveniva la voce. Una
donna si alzò dal posto che occupava
attorno a un tavolo. E per farsi
riconoscere prese a sbracciarsi in segno
di saluto.
- Ciao. - ribatté Lilly,
alzando il braccio.
La sua amica indossava un
abito bianco, di maglia a rete piuttosto
larga, che lasciava intravedere la pelle
nuda. Mi trovai imbarazzata nel
costatare che non indossava il reggiseno né
le mutandine.
La gente seduta ai tavoli si soffermò a
guardarla, malignando sul tipo di
abbigliamento, scambiando giudizi
malevoli sottovoce, perlomeno questa fu
l'impressione che ne ricevetti.
- Dai vieni qui, al mio
tavolo c'è posto. - disse, indicando il
tavolo vuoto di persone davanti a lei.
- Non sono sola, con me ho
un'amica. - rispose Lilly
- C'è posto per entrambe,
sono sola anch'io. Venite!
Circondata da una
moltitudine di persone avvertii su di me
i loro occhi e ne fui imbarazzata.
Infine, facendoci largo fra la gente,
raggiungemmo il tavolo.
- Ciao Betty, ti presento
Erika. E' una mia collega di lavoro. -
spiegò all'amica.
La donna si sporse verso di
me. Ci scambiammo un paio convenevoli
baci sulle guance restando in piedi.
- Accomodatevi. -
soggiunse, indicando le sedie libere
attorno il tavolo.
- Non vorremmo disturbare,
magari aspetti qualcuno. - precisai.
- Ma no, dai, sedetevi.
Lilly e io ci accomodammo
al tavolo, compiaciute nell'avere
trovato un posto a sedere.
Vista da vicino Betty era
uno schianto di donna. Possedeva un
corpo affascinante e un modo
d'esprimersi raffinato.
- Allora ragazze che ci
fate qua?
- Siamo appena uscite dal
posto di lavoro e vorremmo gustare una granita
prima d'andare a nanna.
- Chiamo il cameriere
allora, vi va?
- Sì certo, risposi io.
Ci ritrovammo a consumare
tutte e tre una granita al limone. Betty
e Lilly incominciarono a conversare fra
loro scambiandosi pettegolezzi sulle
amicizie che avevano in comune. Io
invece non potei fare a meno di staccare
lo sguardo dalla mia nuova amica. Le
tette non molto voluminose, ma ben
modellate, protendevano dall'intreccio
forato del vestito. L'estremità dei
capezzoli, apparentemente turgidi,
sembravano volere trapassare la maglia
che li conteneva. Mi persi a guardare i
movimenti delle labbra carnose che
socchiudeva di continuo nell'aspirare il
liquido ghiacciato con la cannuccia,
come se volesse adescare qualcuno.
Avrei voluto assaporare la
sua bocca mischiando le labbra alle sue
in un tenero bacio. Magari accarezzarle
la pelle di porcellana che bene si
accompagnava ai capelli castano chiaro,
lunghi fino sulle spalle, che le
conferivano un aspetto signorile.
Restammo a conversare a
lungo, fintanto che nei bicchieri rimase
una sola lacrima d'acqua e limone.
- Betty di mestiere fa la
fotografa di moda. - m'informò Lilly.
- Ah, bene. - dissi. -
Chissà quante persone dello spettacolo
conoscerai allora.
- Non molte, preferisco
lavorare facendo ricorso a modelle
sconosciute. Sì, insomma, con donne che
non sono delle professioniste. Le trovo
più spontanee e seducenti.
- Anch'io ho posato per
lei. - soggiunse Lilly.
- Ti piacerebbe posare per
me? - disse volgendo lo sguardo nella
mia direzione.
- Chi? Io?
- Sì, proprio tu.
La proposta mi mise in
imbarazzo. Tergiversai nel darle
risposta e riportai il discorso sugli
abiti e la moda femminile.
A mezzanotte abbandonammo
la piazza. Quando Betty si alzò dalla
sedia, mostrando per intero le sue nudità,
mi vergognai d'essere in sua compagnia.
Lei proseguì per Strada della
Repubblica, Lilly e io riprendemmo la
direzione del Teatro Regio dove avevo
lasciato l'automobile.
- Veste in maniera così
eccentrica tutte le sere? - dissi appena
rimasi sola con Lilly.
- Sì, apparentemente è
strana, ma non è come sembra.
- Su di noi avvertivo gli
occhi della gente che avevamo d'intorno.
Che vergogna, chissà che opinione si
saranno fatti di me.
- Ma no, dai, qui in piazza
la conoscono tutti ormai. E' cosa
risaputa che non indossa le mutandine e
fa di tutto per mettere in mostra le
nudità del corpo.
- E' sposata?
- Lo è stata.
- Ah.
Continuammo a parlare di
Betty durante tutto il tragitto che ci
separava dall'autovettura. Ero curiosa
di sapere quanto più possibile delle
sue abitudini di vita, ma da Lilly non
appresi più di quanto mi aveva già
rivelato. Dopo averla accompagnata al
parcheggio dell'ospedale, dove aveva
sistemato la sua Fiat Punto, proseguii
il viaggio verso casa.
Stavo per mettere piede nel
box della doccia intenzionata a
rinfrescarmi, prima di rifugiarmi sotto
le lenzuola, quando il cellulare cominciò
a trillare. Levai dalla borsetta
l'apparecchio, ma prima di rispondere
verificai il numero telefonico che
appariva sul display. Non apparteneva a
nessuna delle persone della rubrica.
Esitai prima di rispondere.
- Pronto. - dissi,
timorosa.
- Ciao! Sono io, Betty.
- Betty? Ma come hai avuto
il mio numero.
- Ho telefonato a Lilly. Me
lo ha dato lei.
- Ah!
- Volevo augurati la
buonanotte, e dirti che mi ha fatto
piacere conoscerti.
- Ha fatto piacere anche a
me.
- Ciao, e sogni d'oro.
- Ciao.
La settimana seguente Betty
tornò a farsi viva. A più riprese
m'invitò a posare nel suo studio
fotografico. Il modo e l'insistenza con
cui portò avanti le sue avance mi mise
a disagio. Infine dopo tanto insistere
mi arresi e accettai l'invito.
La villa dove aveva la
dimora Betty era in Via Solferino, nei
pressi della fortezza pentagonale della
Cittadella. Una vasta area verde e degli
alberi ad alto fusto circondavano la
palazzina in stile liberty.
- Mi fa piacere averti
ospite qui.
- disse venendomi incontro sulla soglia
di casa.
- Sono curiosa di vederti
al lavoro. - risposi, ma non era vero.
Ero lì per lei, mentre delle foto non
m'importava granché.
- Seguimi, andiamo nello
studio, non vedo l'ora d'iniziare a
lavorare su di te.
Il locale destinato a
studio fotografico consisteva
principalmente in un salone molto ampio.
Fondali di varie dimensioni e diversi
colori erano sospesi al soffitto. Un
divano rosso porpora si trovava a
ridosso di una parete circondato da
cavalletti su cui poggiavano dei faretti
ad alette e degli spot.
- Non sono mai stata in uno
studio fotografico. Di solito se ho
bisogno di una foto vado al fotobox.
- C'è sempre una prima
volta per tutto, non credi.
Il modo con cui aveva
pronunciato quella frase era pieno di
allusioni, a conferma di quello che
sarebbe accaduto da lì a poco. Accese
le luci dei faretti e d'incanto il
divano si trovò al centro di più fasci
luminosi.
- Che faccio? Mi siedo sul
divano? - dissi.
- Se vuoi.
Quando era venuta ad
accogliermi sulla porta di casa
indossava un sari indiano e la cosa mi
aveva stupito. Era una donna diversa da
quella fiera e insolente che avevo
conosciuto al tavolo di Piazza
Garibaldi. Andai a sedermi sul divano
aspettando un suo cenno per prendere le
pose che desiderava assumessi.
Betty cominciò a girarmi
d'intorno stringendo nella mano una
fotocamera reflex, saggiando diverse
inquadrature, poi m'indicò un armadio.
- Dovresti indossare una di
quelle vesti. - disse indicando
l'appendiabiti. Mi avvicinai al mobile e
afferrai uno dei vestiti.
- Va bene questo? - dissi
indicando un abito di seta con
fiorellini.
- Si, penso sia adatto a
te.
Sciolsi i capelli e mi
liberai di jeans e maglietta. Restai con
indosso il reggiseno e le mutandine.
Stavo per indossare l'abito di seta, ma
Betty me lo impedì.
- Togli tutto, anche
l'intimo. Quest'abito va indossato senza
null'altro addosso.
- Dici?
- Sì.
Sganciai il fermaglio del
reggiseno e lasciai cadere le spalline
in avanti liberando le tette
dall'involucro che le conteneva. Infine
abbassai le mutandine fino sotto le
caviglie.
- Hai un bellissimo corpo.
- Lo so. - assentii.
Betty allungò una mano
sulla sommità di una tetta. Prese a
sfiorare il capezzolo fino a farmelo
inturgidire. Un fremito attraversò il
mio corpo. Subito dopo si liberò del
sari e me la ritrovai nuda fra le
braccia.
Cominciò a carezzarmi le
ondulazioni dei capelli, mi strinse
nelle mani il viso e avvicinò la bocca
alla mia. Cedetti alle sue lusinghe e
contraccambiai le movenze della lingua
che trovò un facile varco fra le mie
labbra. Avevo i seni gonfi e il cuore
pareva uscirmi dal petto per
l'eccitazione. Betty posò le dita fra
le pieghe delle mie cosce tastandomi la
passera. Mi aggrappai ai suoi seni e le
strinsi quei capezzoli che tanto avevo
desiderato toccare dalla prima sera che
l'avevo conosciuta.
Erano turgidi e compatti
fra le mie dita. Prese a carezzarmi la
passera sfregando con le dita le labbra
umide.
- Vieni. - disse.
Mi prese la mano e mi
trascinò sopra un morbido giaciglio.
Dietro un suo comando una rapida sequela
di faretti illuminarono il centro della
scena. Betty si gettò su di me. Mi
trovai prigioniera delle sue braccia,
con la bocca a contatto della sua fica e
cominciai a leccarla. Stendere la lingua
fra le pieghe della passera mandò in
estasi la mia compagna che iniziò a
mugolare di piacere.
Eccitata prese a
toccarsi il clitoride. Allora le
allontanai la mano e inglobai la
sporgenza erettile fra le labbra, poi
cominciai a spompinarla.
Il clitoride era piuttosto
sviluppato. Non mi era mai capitato di
stringere un coso di quelle dimensioni
fra le labbra. Desideravo farla venire e
mi dannai l'anima a succhiarglielo.
Betty gemeva e pareva
insaziabile, posseduta com'era dal
desiderio di godere, ma nonostante
l'impegno profuso non riuscii a condurla
all'orgasmo. Si divincolò e mi rovesciò
la schiena sul giaciglio, poi cominciò
a succhiarmi le tette impastandole di
saliva, finendo per mordermi i
capezzoli. M'infilò due dita nella
vagina e incominciò a scoparmi. Ebbi un
orgasmo e subito dopo un altro ancora,
poi quando riprese a leccarmela
raggiunsi il paradiso.
Indugiammo sul letto per il
resto del pomeriggio senza che eseguisse
una sola fotografia, almeno cosi mi era
parso. Dopo avere trascorso in sua
compagnia quella serata non ebbi altre
occasioni per rivederla e nemmeno lei si
fece più sentire al telefono. Qualche
mese più tardi, all'inizio della
stagione autunnale, Lilly m'invitò a
visitare una mostra fotografica dietro
sollecitazione di Betty.
- Mi fa piacere vedervi
entrambi presenti. - disse accogliendoci
all'ingresso del salone
dell'esposizione. - Accomodatevi al
buffet, fate come se foste a casa
vostra. Vi raggiungo al più presto.
Lasciammo la nostra ospite
di cui guardai meravigliata l'eleganza
dell'abito, sotto cui s'intravedeva la
nudità del corpo, e andammo ad
assaporare qualche pasticcino prima di
visionare le opere esposte.
- Non te l'ho mai detto, ma
Betty è frigida. - mormorò Lilly.
- Ma va, non ci credo. -
risposi.
- Ti dico di sì, credimi.
Secondo te qual è la ragione per cui va
in giro a mostrare le sue nudità? E'
l'unico modo che ha per sentirsi
desiderata. E' incapace d'avere un
orgasmo.
- Questo non vuole dire che
sia frigida.
- Ti dico di sì. Credi a
me.
Dopo avere sorseggiato un
Campari e gustato qualche stuzzico
andammo a visionare le fotografie
esposte alle pareti delle stanze.
Le immagini erano dei
collage di corpi femminili, in diverse
tonalità di bianco e nero, in cui
risultava difficile individuare le
sembianze e i volti delle modelle.
Fotografie ricche di particolari
anatomici e rotondità di corpi
deformati da lenti supergrandangolo
occupavano le pareti. Le immagini erano
stupende. Rimasi stupita dalla bellezza
che sprigionavano i corpi fotografati da
una grande professionista come è lei.
- Davvero belle queste
immagini, non credi.
- Sì, certo.
- Magnifici questi
particolari di nudi.
- Sì.
Mi soffermai a guardare le
natiche di una delle donne ritratte.
Sopra il gluteo di una delle ragazze
c'era tatuata una farfallina e la
lettera E, come l'iniziale del mio nome.
Quella donna ero io.
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