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SPIRITUALI AMORI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Camminare
è una delle attività aerobiche fra le
più salutari per mantenere in buono
stato cuore e polmoni.
Svolgo questo tipo di esercizio fisico
quasi tutte le mattine prima di recarmi al
lavoro. E’ una pratica corretta che
serve a mantenermi in forma, ma più di
tutto mi è utile per ridurre ai minimi
termini lo stress che accumulo sul posto
di lavoro.
Mentre cammino, mantenendo
le cuffie del lettore Mp3 appiccicate
alle orecchie, ascolto musica e scaccio
i pensieri negativi che sempre più
spesso fanno capolino nella mia mente,
così non faccio nemmeno caso al
fracasso delle marmitte delle
motociclette e quello dei tubi di
scappamento delle automobili, preso come
sono nell'ascoltare della musica.
Non amo fare jogging,
difatti, alla corsa preferisco il
semplice camminare. Di solito pratico
questa attività aerobica spostandomi a
piedi fra le querce e i castagni
secolari del Parco Ducale, poco distante
dalla mia abitazione. Mi piace camminare
nelle prime ore del mattino quando nel
parco non c’è ressa di persone, tutto
è calmo, e la natura sembra
interloquire con la mia persona.
In natura esistono tanti
tipi di silenzi, ma quello che colgo
intorno alla mia persona durante queste
passeggiate mattutine, camminando per i sentieri sterrati, è ineguagliabile.
Quello che percepisco è un silenzio
inquieto che mi seduce e sa incantarmi
ogni volta che cammino nel parco. E'
durante una delle frequenti
passeggiate mattutine che, tre anni fa,
ho conosciuto Erika.
Stavo percorrendo uno
dei sentieri sterrati quando, in
prossimità della monumentale Fontana
del Trianon, dalle forme barocche,
situata sull’isolotto al centro della
peschiera, m’imbattei nella figura di
una donna. Mentre si avvicinava mi persi
a guardare il continuo sobbalzare delle
tette con curiosità. Mostrava d'avere
la mia stessa età, trent'anni o poco più.
Indossava scarpe da running, bianche con
strisce laterali rosa, vestiva una maglietta superaderente che le fasciava
il corpo e ne metteva in risalto le
forme discretamente giunoniche.
Capelli biondi raccolti a
coda di cavallo, carnagione chiara,
occhi azzurri, bocca angelica, ostentava
uno sguardo dolcissimo. Le sorrisi
mentre, passandole dinanzi, contraccambiò il
mio saluto con un cenno
del capo senza pronunciare una sola
parola. Girai il capo di novanta
gradi perdendomi a osservarle il
didietro che ondeggiava con noncuranza,
sbattendolo da un fianco all'altro,
mentre proseguivo nel mio cammino nella
direzione opposta.
Tutt'a un tratto, da una
tasca dei pantaloni, le uscì fuori un cellulare. L'apparecchio cadde
sul terreno erboso senza che lei se ne
accorgesse. Tornai sui miei passi,
raccolsi l’apparecchio, dopodiché
allungai il passo e mi impegnai a
raggiungere la donna per
restituirglielo.
- Mi scusi se la disturbo.
- dissi dopo averla affiancata. -
Presumo, anzi sono certo che questo
cellulare le appartiene. - mi premurai
di dirle mostrando nel palmo della mano
l’apparecchio. - Le è caduto da una
tasca e l'ho raccolto da terra.
Infilò la mano nella tasca
dove presumeva fosse presente il
telefonino e solo allora, accortasi che
la tasca era vuota, si convinse che
l’apparecchio era il suo.
- Accidenti! E' proprio il
mio cellulare, non so come ho fatto a perderlo.
- Può capitare a chiunque
di smarrire qualche oggetto quando si
indossano indumenti particolarmente
aderenti come i pantaloncini che
indossa lei. Comunque tenga... - dissi
porgendole l'apparecchio.
Prese il cellulare, digitò
una serie di lettere sulla tastiera,
guardò lo schermo, e subito dopo si
rivolse a me.
- Non so come ringraziarla.
Non immagina quanto mi sarebbe costato
perdere i numeri telefonici memorizzati
nell'agenda.
Sbatté un paio di volte le
ciglia, dispensandomi un largo sorriso,
soddisfatta per avere recuperato
l'apparecchio.
- Beh, magari un modo ci
sarebbe. Se le va... potrei tenerle
compagnia mentre passeggia per il parco,
sempre che la cosa non le arrechi troppo
disturbo. Non mi piace camminare da
solo, preferisco farlo in compagnia. -
mentii.
- Oh sì, certo, perché
no?
C'incamminammo lungo il
sentiero sterrato, contaminato dalla
neve, che circondava la peschiera e
proseguimmo, affiancati uno all'altra,
nel senso di marcia da lei scelto in
precedenza.
Il suo passo era meno celere
rispetto alle mie abitudini, cosicché
trovammo anche il tempo per conversare
ed era ciò che più desideravo fare dopo il
fortuito incontro.
- Viene spesso al parco a
camminare? Io ci vengo tutte le mattine
prima di recarmi al lavoro. Ma non ci
siamo mai incontrati, vero? - dissi
cercando di fare cadere la barriera
messa a protezione da chi probabilmente la
importunava.
- Uhm... di solito non
frequento il parco a quest'ora. Ci vengo
verso sera quando sono libera dagli impegni
di lavoro.
- Sono rare le donne che
camminano nel parco alle sei della
mattina. Non ha paura a camminare da
sola?
- Paura? Di chi? Oppure di cosa?
- Beh, è risaputo che il
parco è frequentato, soprattutto
durante la
notte, da immigrati clandestini che
dormono nei prati e spacciano droga. Non
se n'è mai accorta? Eppure basta
guardarsi intorno.
- Non ci ho mai fatto caso.
- C'è una ragione precisa
per cui ha scelto di cambiare orario?
- Ma davvero le interessa
saperlo? - rispose dandomi l'impressione
di non gradire la domanda.
- Se vuole posso rivelarle
la ragione per cui prediligo
camminare nel parco a quest'ora. - dissi
lasciando in sospeso la domanda. - La
verità è che mi piace camminare nel
silenzio e godere della bellezza di
questo parco ricco di piante secolari,
mentre al pomeriggio c'è un gran
casino, altri motivi non ne ho. Ah, be',
sì, c'é che d’estate, a quest'ora,
fa abbastanza fresco e non si suda
troppo.
- Ho iniziato soltanto ieri
a camminare nel parco di mattina presto,
ma spero di poterlo fare anche nel tardo
pomeriggio.
- Perché? Deve perdere
peso?
- Pensa che sia obesa?
- No, anzi, trovo il suo
corpo armoniosamente perfetto.
- La ragione che mi ha
spinto a raddoppiare il numero delle
passeggiate è che mi sto allenando per
effettuare una lunga marcia.
- Una di quelle gare
podistiche che ogni domenica si svolgono
in molti paesi della provincia?
- Ma cosa a capito? Il mio
è un impegno più serio. - rispose
accigliata. - Mi sto preparando per
compiere una marcia a tappe perché è
mia intenzione raggiungere a piedi
Santiago de Compostela. E per riuscirci
ho bisogno di molto allenamento prima di
catapultarmi in questa impresa,
altrimenti non riuscirei a portarla a
compimento, non crede?
- Un pellegrinaggio? -
dissi manifestando un certo stupore.
- Sì. Lo considera così
strano?
- Beh... non è da
tutti cimentarsi in una marcia di questo
tipo, anche se, per quanto ne so,
esistono diversi punti di partenza da
città francesi e spagnole, con distanze
chilometriche da percorrere che variano
da un percorso all'altro, anche se tutti
gli itinerari, suppongo, hanno come
unico obiettivo quello di condurre i
pellegrini alla medesima meta: Santiago!
- Portare a termine una
marcia sino a Santiago de Compostela non
è soltanto un vagabondaggio solitario
come molte persone sono portate a
credere. Il pellegrinaggio è
soprattutto una assunzione di
responsabilità, diciamo che è una
chiamata. Mi sono fatta capire?
D'acchito mi venne
spontaneo pensare a lei come a una
ipocrita bacchettona. Eppure non ne
aveva l'aspetto, ma sentirla pronunciare
la parola "chiamata" mi
sconcertò parecchio.
- Non ci siamo ancora
presentati. - dissi ansioso di entrare
in maggiore confidenza. - Il mio nome è
Lorenzo. Il tuo? - proseguii nel
discorso cessando di darle lei come
avevo fatto sino allora passando a un
amichevole tu.
- Il mio è Erika.
- Uhm... che bel nome!
- In effetti, me lo dicono
molti uomini. - disse scoraggiandomi non
poco.
- Sono indiscreto se provo
a chiederti come ti è venuta l'idea di
effettuare il pellegrinaggio?
- Affatto! Le ragioni che
mi spingono a farlo sono molteplici, ma
al fondo di questa scelta c'è la voglia
di rigenerarmi. Magari quello che
inseguo è soltanto un mito, un'utopia,
ma è bello pensare che quello che cerco
possa avverarsi. Il mio lavoro mi porta
a essere testimone di molte brutture.
Sono stanca della vita che conduco, non
mi piace più, ho bisogno di ritrovare
me stessa, perché credo ci sia un modo
migliore di vivere rispetto alla vita
che sto conducendo.
- Posso sapere qual è il
tuo lavoro, se non sono troppo
indiscreto?
- Sono infermiera
professionale.
- Ah! Sei infermiera?
- Lavoro nel blocco dei
comparti operatori di chirurgia generale
del nostro ospedale. Sono strumentista e
coadiuvo i chirurghi durante gli
interventi di sala operatoria.
- Un lavoro davvero
impegnativo. - dissi stupito dalla sua
rivelazione.
- Che spesso mi tiene
impegnata dal mattino sino a sera.
- E' questa la ragione che
ti ha spinto a camminare nel parco
questa mattina prima di andare al
lavoro?
- A quest'ora sono libera da impegni e posso camminare
senza patemi, mentre il pomeriggio,
terminato il turno di lavoro, mi capita
spesso di rimanere in ospedale per fare
fronte a qualche urgenza di tipo
chirurgico. Mica posso fregarmene e
abbandonare la sala operatoria per fare
ritorno a casa.
Conversando portammo a
compimento un intero percorso intorno al
perimetro del laghetto, dopodiché ci
spostammo su un sentiero sterrato che
conduce verso l'ingresso situato a nord del
parco.
- Quello che mi auguro è
che il pellegrinaggio possa servirmi per
dare un taglio netto con il passato.
Quello che avverto è il bisogno di evadere dalla quotidianità,
liberarmi dall'ansia e dallo stress che
ho accumulato in questi anni di lavoro
di sala operatoria.
- Partire per staccarsi da
tutto e da tutti, è questo che intendi?
- Beh, sarebbe un po'
troppo semplicistico se fosse così.
Spero soltanto di tornare da questo
viaggio cambiata. Voglio lasciarmi alle
spalle la mia attuale identità per rinascere in una donna nuova,
rigenerata, magari grazie all'accumulo
di fatica della marcia perché, secondo
chi ha portato a termine il viaggio, è
una esperienza sfibrante fisicamente.
- Hai avuto contatti con
persone che hanno portato a termine la
marcia?
- Sì e mi ha fatto piacere
ascoltare dalla viva voce di chi ha già
compiuto il viaggio le diverse opinioni.
Tutti sono stati concordi nel dirmi che
non è determinante il tipo di percorso
che si sceglie e quanti giorni si
impiegano per raggiungere il santuario.
Molto dipende dal tempo che ciascuno ha
a disposizione. Penso che camminerò per
non più di due settimane, perché è
questo il periodo di ferie che la
caposala del comparto operatorio mi ha
concesso. Neppure è importante il ritmo
della camminata perché, da quanto mi è
stato detto, dipende molto dal carattere
della persona e dalle aspettative che
ciascuno ha.
- E una volta giunta alla
meta cosa farai?
- Beh, una volta a
Finisterre, meta ultima del
pellegrinaggio, brucerò gli abiti che
ho indossato durante il pellegrinaggio e
andrò a immergermi, completamente nuda,
nell'oceano per un bagno purificatore.
Tutt'a un tratto mi balenò
nella mente l'immagine di lei nuda,
prossima a tuffarsi nelle acque
dell'Oceano Atlantico, e fu una gran
bella sensazione quella che provai.
- Chissà quanti guardoni
si nasconderanno in prossimità della
spiaggia a osservare le donne nude che
si purificano immergendosi nell'acqua di
mare.
- Mah... - rimbrottò
stizzita.
- Sto scherzando! Dai, non
prendere troppo sul serio le mie parole.
- Chi come me si prepara a
compiere questo viaggio, che mi
prefiguro debba essere avventuroso, lo
fa soprattutto per accrescere la propria
devozione verso Dio. Non credi?
- Non lo so, sono ateo.
- Ah.
- Lo trovi strano?
- No, però mi spiace per
te.
- Comunque mi sembra
sciocco accostarsi a un luogo sacro
camminando per decine, anzi centinaia di
chilometri, soffrendo fisicamente sino
allo sfinimento, procurandosi vesciche e
piaghe ai piedi, per raggiungere una
meta. Mi spieghi perché ritieni sia
opportuno farlo?
- Ci si accosta al
santuario purificati dalle sofferenze.
E' questa la ragione per cui si compie
una marcia dal sapore antico, che invece
molti ritengono ormai superata. Cazzo!
Non lo hai ancora capito?
- Mi sto domandando, al di
là del volere testimoniare la propria
fede, che colpe può avere una donna
come te da espiare.
- E chi ti assicura che io
abbia delle colpe da espiare? Si cammina
anche per chiedere una grazia, specie
quando si ha una persona cara ammalata,
oppure se si è afflitti da una grave
malattia. Te lo ripeto per l'ennesima
volta: la fatica purifica, ma per quanto
riguarda le ragioni che spingono le
persone a intraprendere il viaggio è
impossibile trovare una risposta che sia
comune a tutti, ognuno te ne darà una
diversa. Hai capito?
- E la tua qual è?
- Allora sei di coccio!
Davvero non lo hai capito?
- No.
- Quando mi è balenata
l'idea d’intraprendere il viaggio ho
avuto modo di parlare con molti
pellegrini. Infatti, ero curiosa di
conoscere quali fossero le motivazioni
che li avevano spinti a intraprendere il
cammino.
- Ebbene?
- Ognuno ha espresso
risposte generiche. Nessuno ha saputo
darmi risposte certe. Ma soprattutto
sono stati davvero pochi quelli che
hanno accennato a motivazioni
esclusivamente religiose.
- E la maggioranza cosa ti
ha risposto?
- Le argomentazioni sono
state perlopiù spirituali. Ma quello
che mi ha maggiormente colpito è stato
il piacere che ognuno ha manifestato nel
riuscire, durante il percorso della
marcia, a stare solo con se stesso, e
ritrovarsi nella condizione di poter
riflettere intensamente, ma anche di
misurarsi in un progetto dispendioso sul
piano fisico e mentale.
- In poche parole ogni
persona che si appresta a compiere
questo tipo di cammino ha motivazioni
diverse e lo fa come meglio crede, anche
nei tempi di percorrenza, nella scelta
del percorso tenendo conto del tempo che
ha a disposizione, delle energie che ha
da spendere e soprattutto dal livello di
sofferenza che è pronto a tollerare.
- Sì, è proprio così. In
definitiva l'importanza del cammino non
è rappresentato dalla meta che si
raggiunge ma è nel cammino stesso.
Negli ultimi anni il flusso di
pellegrini verso Santiago de Compostela
è aumentato in modo inarrestabile,
qualcosa vorrà pur dire, no? Mi sono
spiegata?
- Sì.
*
* * *
Tre
mesi dopo il nostro primo incontro mi
ritrovai, di prima
mattina, per l'ennesima volta a
camminare, fianco a fianco, con Erika su uno dei sentieri sterrati
del Parco Ducale. Il giorno seguente
sarebbe partita per la Spagna,
determinata a raggiungere la città di
Santander, sulla costa atlantica, e da lì
proseguire il viaggio a piedi sino a
Santiago di Compostela.
La giornata primaverile,
umida e uggiosa, si caratterizzava per
un leggero strato di nebbia che marcava
il territorio del parco. Camminavamo da
una buona mezzora quando, prossimi al
laghetto dove c'eravamo conosciuti,
incominciarono a cadere le prime gocce
di pioggia. Per niente allarmati
proseguimmo a camminare fintanto che la
precipitazione si fece più insistente.
- Ripariamoci sotto quella
pianta. - disse Erika indicandomi una
enorme quercia secolare dai rami
sporgenti come tentacoli.
Abbandonammo il sentiero,
parzialmente illuminato dalle luci dei
lampioni che barbagliavano nella nebbia,
stranamente accesi a quell'ora, e
trovammo riparo sotto l'albero.
Puntellammo la schiena
contro la spessa corteccia della quercia
e restammo in attesa, augurandoci che la
pioggia diminuisse d'intensità,
determinati a riprendere il cammino.
La fitta trama di foglie
sporgenti dai rami ci fece da tettoia
alle gocce di pioggia, ma non dal
freddo. Tutt'a un tratto mi ritrovai
Erika appiccicata al torace come se
fosse sua intenzione cogliere un poco di
calore. In tanti mesi di conoscenza era
la prima volta che i nostri corpi
venivano a contatto così stretto. Sino
allora non avevo cercato in alcun modo
di sedurla, quelle che le avevo rivolto
erano amichevoli attenzioni,
null’altro, consapevole che era
felicemente impegnata con un medico
sposato, perlomeno questo era ciò
che mi aveva raccontato in più di una
occasione, facendomi desistere dal farle
delle avance per non correre il rischio
di mandare a pezzi un'amicizia cui
tenevo tantissimo.
Istintivamente, eccitato
dalla strana situazione in cui mi ero
venuto a trovare, le cinsi un braccio
intorno alle spalle e l'attirai a me. Il
suo corpo, nonostante la giornata
uggiosa, mandava vampate di calore
africano. Non fece nessuna resistenza,
calcò il petto contro il mio e sollevò
il mento. Quello che accadde subito dopo
fu del tutto naturale. I nostri sguardi
si incrociarono riverberando l'immagine
del nostro viso negli occhi dell'altro.
Avvicinammo le labbra e ci scambiammo un
tenero bacio.
Erika aveva la bocca
piacevolmente umida. Le infilai la
lingua fra le labbra e la penetrai più
volte. Lei contraccambiò il gesto
attraversandomi le labbra con la propria
lingua. Risucchiai l'impudico pezzo di
carne aspirandolo con molta forza
facendole mancare per qualche istante il
respiro. Le avrei carpito anche l'anima
se me lo avesse permesso, tanta era
l'eccitazione che mi portavo addosso e
che per troppo tempo avevo tenuta
repressa.
Seguitammo a baciarci
fintanto che mi azzardai a fare scivolare le mani sulle tette e
cominciai a palparle. Gemette subito di
piacere dopo quel primo contatto, e
prosegui a gemere con maggiore intensità
quando cominciai a strofinarle i
capezzoli. Seguitai a baciarla e
carezzarle le tette incoraggiato dalla
sua arrendevolezza, abbagliato dalla
possibilità di scoparla in quella
strana circostanza, nonostante la fitta
pioggia, correndo il rischio di farci
sorprendere da qualche visitatore.
Sorprendendomi non poco fu
lei a togliermi dall'imbarazzo calcando
la mano fra le mie cosce. Cominciò a
strofinare le dita e soprattutto il
palmo della mano contro la protuberanza
del pacco, al riparo dal tessuto delle
brache, senz'altro eccitata
dall’impronta del cazzo diventato
turgido al calore dei suoi baci.
Avvicinai la mano fra le
sue cosce che subito si premurò di
allargare. Seguitammo a baciarci
crogiolandoci nella grande quantità di
saliva che riempiva le nostre bocche,
mentre la punta delle lingue titillavano
una contro l'altra attorcigliandosi in
un selvatico amplesso.
Nemmeno la pioggia, fattasi più
intensa sopra le nostre teste,
nonostante la protezione concessaci dai
rami ricchi di foglie della quercia,
arrestò il desiderio di conoscere a
fondo il corpo dell'altro.
Con gli ormoni in subbuglio
seguitammo a barattarci le lingue
infilandole nella bocca dell'altro,
svincolati da ogni freno inibitore,
persuasi che nessuno avrebbe potuto
arrestare la passione che ci stava
divorando. Ancora una volta fu lei a
mostrarsi la più intraprendente.
Attraversò con la mano la cintura
elastica dei miei pantaloni e con una
certa determinazione mi afferrò il
cazzo, dopodiché prese a menarmelo.
Lasciai che mi masturbasse
mantenendo ben salda una mano sulle
tette e l'altra infilata fra le sue
cosce protette dal tessuto della tuta.
Non scambiammo una sola
parola durante tutto questo tempo: in
effetti non ne avevamo bisogno tanto era
chiaro a entrambi quello che
desideravamo portare a compimento. Presi
a modello la sua spavalderia e anch'io
le ficcai la mano sotto l'elastico della
tuta dei pantaloni. Oltrepassai con le
dita il tessuto degli slip e arrivai a
contatto della vagina.
L'aveva calva e fradicia di
umore e la cosa non mi sorprese.
Incominciai a carezzarle le grandi e
piccole labbra provocandole degli
intensi fremiti di piacere.
Trovarmi in un parco
pubblico, all'alba di una mattina
uggiosa, lontano da sguardi indiscreti,
mi spronò a essere ancora più
avventato. Puntellai la schiena di Erika
contro la corteccia della quercia, dove
sino allora avevamo trovato riparo, le
abbassai pantaloni e slip, dopodiché la
sollevai di peso abbrancandole le
natiche con il palmo delle mani.
Lei si affrettò a
stringermi le braccia intorno al collo e
d'istinto mi circondò le gambe intorno
ai fianchi sino a congiungere i calcagni
attorno alla schiena. Da quella posizione
mi riuscì abbastanza facile penetrarla.
La cappella scivolò nella fessura della
vagina facilitata dalla presenza di un
abbondante umore che le colava copioso
fra le cosce.
Puntellata con la schiena
contro il fusto della quercia prese a
dondolare il culo avanti e indietro.
Furono delle montate di piacere quelle
che ci colsero entrambi. Stare a
guardare le smorfie di appagamento che
si disegnavano sul suo volto, mentre mi
cavalcava in quel modo selvaggio, mi
eccitò da morire. Per nessuna ragione
al mondo avrei voluto raggiungere
l'orgasmo tanto presto, ma avrei fatto
di tutto per prolungare all'infinito
quei momenti di eccitante passione.
Seguitammo a scopare senza
curarci della fatica che ci procurava
quella scomoda posizione, bagnati
fradici da capo a piedi dall’intensa
pioggia che seguitava a cadere sulle
nostre teste, senza che nessuno dei due
si preoccupasse di guardarsi intorno per
accertarsi della presenza di qualche
ficcanaso.
Quando fu prossima a venire
il suo corpo prese a scuotersi. Le
contrazioni dell'utero si susseguirono
in modo rapido mentre l'orgasmo le montò
nel cervello sino a esploderle fra le
cosce riempiendomi di gioia. Biascicò
delle parole confuse, poi si mise a
urlare di piacere. Tremò tutta e mi
strinse forte a sé. Rimase ferma col
culo, che sino a qualche istante prima
aveva dondolato a lungo, e si mise a
strusciare ripetutamente il viso contro
il mio.
Le nostre bocche si
cercarono ancora una volta. Non so dove
trovò la forza per liberarsi del mio
abbraccio per mettersi in ginocchio
davanti a me.
Prima di prendermi in bocca
la cappella, dopo essersi premurata di
calarmi del tutto i pantaloni, strinse
il cazzo nel palmo della mano e guardò
in alto, verso il mio viso, come a
dirmi: "Osserva bene cosa faccio
adesso per te".
Un sottile velo acquoso
ricopriva la superficie della cappella,
dandole un aspetto particolarmente
lucente, quando Erika l'accostò alle
labbra e assorbì per intero il cazzo
nella bocca. Subito dopo averlo
inglobato lo sfilò e si mise a leccarmi
la cappella. Sembrò prenderci gusto
perché incominciò a succhiarmi il
cazzo con lo stesso ritmo con cui
poc'anzi mi aveva scopato, ma stavolta
lo fece andando avanti e indietro con la
bocca anziché muovendo il culo.
Con nessuna altra donna
avevo provato un simile stato di
eccitazione. Ero fuori di testa e avrei
voluto prolungare all'infinito quello
stato di esaltazione emotiva, facendomi
succhiare il cazzo sino allo sfinimento
mio e suo per il troppo piacere che
stava procurandomi.
Eiaculai nella sua
bocca nonostante avessi fatto di tutto
per ritrarmi, ma lei non mi consentì di
farlo smaniosa com’era di impadronirsi
dello sperma.
Mi sarebbe piaciuto
contraccambiare il gesto e mettermi a
succhiarle il clitoride, dopo averlo
scappucciato dal suo involucro di carne.
Appena Erika si rialzò le ficcai una
mano fra le cosce e incominciai a
carezzarle il clitoride. Lo feci
dolcemente, senza smettere un solo
istante di baciarla sulla bocca,
sennonché, tutt'a un tratto, dal
sentiero sterrato che avevamo
abbandonato per cercare rifugio sotto la
secolare quercia, ci arrivò nitido
l'abbaiare di un cane. Girammo lo
sguardo nella direzione da cui proveniva
il latrare dell'animale e scoprimmo, a
una ventina di metri dal nostro rifugio,
un cane lupo di grossa taglia tenuto al
guinzaglio dal suo padrone. L'uomo stava
venendo nella nostra direzione riparato
dalla pioggia da un grosso ombrello che
stringeva nella mano. In tutta fretta ci
riassestammo, tirando su pantaloni e
mutande, e ci allontanammo dalla
quercia. Prendemmo la direzione
dell'uscita del parco sotto una pioggia
insistente e una volta arrivati lì ci
salutammo scambiandoci un ultimo bacio.
Dopodomani ricorre
l'anniversario del nostro primo
incontro. Ormai sono trascorsi tre anni
dalla mattina in cui, sotto una fitta
pioggia, ho fatto l'amore con Erika nel
Parco Ducale. Salutandoci ci demmo
appuntamento presso la sua abitazione
per trascorrere la serata insieme, ma
invece di cenare riprendemmo a fare
l'amore e seguitammo a farlo tutta la
notte sino all'alba, arrendendoci allo
sfinimento.
La mattina seguente Erika
non partì per la Spagna come era stato
nelle sue intenzioni. Nemmeno lo fece il
giorno successivo e quello dopo ancora,
perché trascorremmo notti intere a fare
l'amore, mai sazi uno dell'altra.
Coerentemente con se
stessa, dopo quanto le era capitato nel
parco e nelle notti successive, si rese
conto che non c’era più alcuna
ragione per mettersi in viaggio per raggiungere la città di Santander,
sulla costa atlantica, e proseguire a
piedi sino a Santiago de Compostela.
Sotto quella quercia,
stretta al mio corpo, prese coscienza
che la vita ha un senso solo se è
vissuta pienamente, giorno dopo giorno,
perché il tempo non esiste ma c'è
soltanto un unico presente senza fine
che vuole vivere accanto a me.
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