PASSPARTOUT
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
   
   
Il movimento della porta girevole anticipò di poco l'ingresso di Moana nella hall dell'hotel. Seduto dietro il bancone della reception mi soffermai a guardarla. Era il primo cliente che metteva piede nell'albergo da quando avevo preso servizio. Anche l'ultimo della giornata, pensai, stante l'ora tarda.
   Svolgevo l'incarico di portiere di notte all'Hotel Puccini da circa sei mesi e da poco avevo superato il periodo di prova. L'albergo, un tre stelle, è ubicato in pieno centro storico, in prossimità della cattedrale. Sessanta camere, distribuite su quattro piani, occupate nei fine settimana da comitive di turisti e nei giorni feriali da uomini d'affari.
   Moana indossava una pelliccia di visone lunga sino alle caviglie ed era bellissima. Un uomo dall'apparente età di cinquant'anni, il doppio degli anni della ragazza, insaccato in un trench colore panna, l'accompagnava tirandosi appresso una ingombrante valigia. Girai lo sguardo sull'orologio che tenevo al polso e osservai l'ora. Le lancette indicavano mezzanotte e un minuto. Alzai il capo nella direzione della ragazza nel momento in cui raggiunse il bancone della reception e si rivolse a me.
   - Ciao! - disse con fare spocchioso, assestando i gomiti sulla sponda di marmo del bancone. - Probabilmente è con te che ho parlato al telefono una decina di minuti fa a proposito di una camera, vero?
   - Sì, certo.
   - Allora posso avere la chiave della stanza?
   - La camera a sua disposizione è la numero 22.
   - Si trova al primo piano, vero?
   - Sì, certo. - dissi porgendole la carta magnetica che apriva la serratura della camera e da qualche mese aveva sostituito l'uso della chiave.
   - Occorre che lasci un documento?
   - E' indispensabile. - confermai. - Non vorrei trovarmi nei guai nel caso ci fosse un controllo della polizia.
   - Ti lascio la carta d'identità. - disse porgendomi il documento che si premurò di prelevare dalla borsetta, ricca di lustrini, portata tracollo.
   - Va bene, okay! - dissi dopo avere preso in consegna la carta d'identità. - Le riconsegnerò il documento quando lascerà la camera.
   - Ci vediamo più tardi. - disse, staccando i gomiti dal bancone, prima di volgermi le spalle.
   Seguitai a guardarla mentre attraversava la hall diretta verso la scalinata che conduce ai piani superiori dell'hotel. L'uomo che l'accompagnava, defilato per tutto il tempo della conversazione che avevo intrattenuto con la ragazza, la seguì dappresso trascinando l'ingombrante valigia.
   Non era la prima volta che Moana metteva piede nell'albergo. C'era capitata altre volte e sempre con uomini diversi. S'intratteneva nella camera per un paio d'ore, dopodiché si allontanava lasciandomi dieci euro di mancia. Non era una puttana, ne ero certo, ma non sapevo di preciso cosa fosse.
   Il nome Moana non era posticcio. Compariva sulla carta d'identità insieme al cognome Alberti. Bionda naturale, capelli mossi, labbra sporgenti, dipinte in ogni occasione con un lucidalabbra rosso scarlatto, assomigliava come una goccia d'acqua a Moana Pozzi eroina delle mie frequenti polluzioni notturne.
   Ero certo che nell'intimità della camera praticassero qualche strana perversione, ma non riuscivo a immaginare quale fosse e la cosa mi eccitava non poco. In nessun'altra occasione l'avevo vista salire le scale dell'albergo in compagnia di uomini giovani, erano sempre persone anziane quelle con cui si accompagnava. Una sola volta mi era capitato di scorgerla salire le scale insieme a una donna, peraltro molto carina, che si portava appresso una grossa sacca.
   Una volta annotati nella memoria elettronica del computer i dati anagrafici relativi al documento d'identità di Moana tornai a fissare lo sguardo sullo schermo del televisore a 14 pollici sistemato sulla scrivania, dietro il bancone della reception, unica mia compagnia durante le interminabili ore di servizio notturno.
   Erano passate da poco le 2.00 quando intravidi la figura dell'uomo con cui Moana si era appartata scendere le scale. Era solo e nella mano stringeva la grossa valigia con cui l'avevo visto entrare nell'albergo. Il bavero del trench era sollevato come fosse sua intenzione nascondere il viso. Attraversò la hall senza degnarmi di un saluto, dopodiché si eclissò nel tornello della porta a vetri faticando non poco a uscirne fuori per l'ingombrante valigia che gli era d'intralcio nei movimenti.
   Occupato com'ero nel seguire le immagini del film thriller che stavo seguendo alla tivù mi disinteressai dell'uomo e di Moana, soltanto quando il film giunse a conclusione mi ricordai di non averla notata scendere dalla camera e me ne meravigliai.
   L'orologio segnava le 3.00. Era trascorsa un'ora da quando l'uomo con la valigia aveva lasciato l'hotel.
   Tutt'a un tratto mi sorse il dubbio che qualcosa di molto grave fosse accaduto alla ragazza e volevo sincerarmi che stesse bene, dopotutto era nelle mie prerogative di portiere di notte, ma avrei dovuto farlo in modo discreto altrimenti sarei incorso in qualche guaio.
   Lasciai trascorrere un po' di tempo prima di prendere una qualsiasi decisione, infine scelsi di citofonarle accampando una scusa qualsiasi per giustificare l'intrusione.
   Alle 3.30 sollevai la cornetta del telefono e digitati sulla tastiera il numero che corrispondeva alla camera 22.
   L'apparecchio seguitò a trillare a lungo, ma nessuno diede risposta all'altro capo del filo. Ricomposi il numero e anche stavolta non ottenni alcun risultato. Levai da uno dei cassetti della scrivania una delle card che fungeva da passpartout alle porte delle camere dell'albergo, lasciai la reception incustodita, attraversai la hall, e mi premurai di bloccare la porta girevole che dava accesso all'hotel, dopodiché salii la rampa di scale che conduceva ai piani superiori.
   Davanti alla porta della camera 22 arrestai il passo. Prima di bussare accostai l'orecchio al legno della porta e rimasi in ascolto. Nessun rumore proveniva dalla stanza. Allarmato iniziai a battere il dorso della mano sull'uscio senza ricevere nessuna risposta. Allora decisi di fare ricorso al passpartout che per precauzione mi ero portato appresso.
   Infilai la carta elettronica nell'apposita fessura e la porta si aprì.
   - Permesso? - dissi prima di spingermi dentro.
   Sospinsi la porta in avanti ed entrai nella stanza. La luce di una abat-jour, sistemata su uno dei comodini ai lati del letto matrimoniale, dava luce alla camera. Moana stava coricata sul letto, nuda, senza veli addosso. Alcune grosse corde annodate attorno alle caviglie e ai polsi le mantenevano gambe e braccia divaricate. Il viso era in parte nascosto da strisce di nastro adesivo che facevano da coperchio alla bocca e non le consentivano di parlare. Dell'altro nastro adesivo era sistemato sugli occhi e le impediva di vedere. Il corpo era marchiato da lividi e solcato da strisce sanguinolenti specie sull'addome e le tette. La fessura della figa era nascosta da una fitta macchia di peli che giudicai inusuale per una ragazza giovane come lei.
   Sconcertato dalla scena mi avvicinai al letto senza fare troppo caso alla nudità della ragazza. Moana sembrò accorgersi della presenza di una persona nella stanza e incominciò a dimenare lo scheletro, forse per attirare la mia attenzione oppure per paura di ciò che sarebbe potuto accaderle, pensai.
   Iniziai a toglierle le strisce di nastro adesivo che le impedivano di vedere. Quando le scoprii gli occhi e mi vide non sembrò sorpresa della mia presenza. Girò il capo di lato, forse per la vergogna, pensai.
   - Non si preoccupi. Sono il portiere dell'albergo. - dissi per rassicurarla.
   La liberai dalle strisce di nastro adesivo che le tenevano imprigionata la bocca impedendole di parlare. Solo allora biascicò alcune parole.
   - Non è niente... niente. - disse sorprendendomi non poco.
   - Sta bene?
   - Sì.
   - Vuole che chiami un medico, un'ambulanza, la polizia?
   - Perché? - disse meravigliata.
   - Beh, per quello che le è successo.
   - Ma cosa hai capito?
   - Come sarebbe a dire? - dissi dopo essermi sollevato dal letto. 
   Il corpo bianco come l'alabastro di Moana, seppure deturpato da venature sanguinolenti, appariva come me l'ero immaginato. Seducente come pochi altri.
   - Beh, che aspetti a liberarmi?
   - Non vuole spiegarmi cosa le è successo?
   - E perché mai? - disse nel modo spocchioso che l'aveva sempre contraddistinta.
   - Non crede che...
   - Su, dai liberami. - disse dimenando braccia e gambe.
   Indifesa e molto vulnerabile non aveva perso la boria che la caratterizzava. Non ero a conoscenza di quanto era accaduto nella camera fra lei è l'uomo che avevo visto andarsene dall'albergo. Quello di cui ero certo era che mi era venuta una gran voglia di seppellirle l'uccello fra le cosce.
   - Liberarti? E perché mai? - dissi dandole del tu.
   - Non vuoi farlo?
   - Dipende da te.
   - Da me? - disse non troppo sorpresa.
   - Sì, da te. - confermai.
   - Non fare lo stronzo toglimi subito i lacci.
   - Altrimenti?
   - Mi metto a urlare!
   - Nessuno ti sentirà. Le camere a questo piano sono tutte libere.
   - E allora cosa vuoi fare?
   - Quello che desideri.
   - E che ne sai di ciò che mi piace?
   - Lo so... lo so. 
   Cominciai a muovermi intorno al letto scrutando il corpo di Moana voglioso di conoscerlo a fondo.
   Al pari di un iceberg in cui la parte sommersa è la più prevalente, Moana custodiva fra le cosce la parte migliore del suo giovane corpo. Le labbra della vagina, dischiuse, mostravano il colorito roseo della fessura dove ambivo seppellirle l'uccello.
   - Beh?
   - Cosa?
   - Liberami.
   - No.
   - Perché? - disse sempre più inquieta.
   - Ho voglia di scoparti.
   - Fattela passare.
   - Non posso, da troppo tempo me la porto addosso. Dovresti essertene accorta, no?
   - Stai attento che urlo, eh!
   - Provaci. - dissi
   Moana incominciò a urlare, ma fui lesto a tapparle la bocca con il palmo della mano. Mentre ruotava la testa per divincolarsi presi da sopra il comodino il rotolo di nastro adesivo che avevo intravisto appoggiato sul ripiano e le stesi un paio di strisce sulla bocca. Completato il fissaggio delle strisce gommate mi scostai e ripresi a girare d'intorno al letto inseguito dallo sguardo di Moana.
   Osservai l'orologio al polso: segnava le 3.45. Era trascorso solo un quarto d'ora da quando avevo abbandonato il bancone della reception per recarmi nella camera che ospitava Moana. Tenevo l'uccello duro e desideravo scoparla.
   Abbassai la lampo dei pantaloni e le mostrai il cazzo in piena erezione. Moana non sembrò sorpresa da quel gesto, nemmeno quando mi spostai a fianco del letto e incominciai a carezzarla. Lasciai scorrere le dita sulla pelle nuda con la delicatezza di una piuma. Mi soffermai a lambirle le tette fintanto che i capezzoli si fecero turgidi e tradirono una forte eccitazione al pari della mia cappella che non aveva smesso di pulsare e puntava dritta verso l'alto.
   Quando salii sul letto e m'inginocchiai fra le gambe divaricate di Moana non si ribellò. Chinai le guance fra le sue cosce e affondai la bocca nella vagina, poi cominciai a leccarla.
   Trafitta dalla lingua cominciò a scomporsi e sussultare di piacere. Strinsi fra le labbra il bocciolo del clitoride e cominciai a succhiarlo, poi a spompinarlo fintanto che incominciò a tremare e raggiunse il primo di numerosi orgasmi.
   Lasciò che mi spingessi con l'uccello nella fessura della vagina senza opporsi, anzi, accompagnò con un movimento del bacino la penetrazione. Visto da sopra il suo viso non tradiva nessuna emozione. Ma eccitata la era, più di quanto potessi immaginare. Incominciai a muovere l'uccello avanti e indietro facilitato dall'umore presente in quantità esagerata nella cavità. Non impiegai molto tempo a venire, le sborrai sull'addome mentre le contrazioni dell'utero sembravano volere trattenere l'uccello impedendomi d'uscire dalla cavità.
   Tirai a lucido l'uccello pulendolo con un lembo del lenzuolo, poi scesi dal letto. Indossai mutande e pantaloni sotto lo sguardo vigile di Moana che per tutto il tempo non mi staccò gli occhi di dosso. Slacciai una delle corde che la mantenevano legata al letto e uscii dalla camera.
   Quando raggiunsi la hall dell'albergo erano le 4.30. Mi avvicinai alla porta girevole, levai la spranga che la teneva bloccata, poi tornai a occupare la sedia dietro al bancone della reception. Diedi uno sguardo alle pagine del giornale, vecchio di ventiquattrore, e rimasi in attesa che scendesse Moana.
   Tutt'a un tratto vidi affacciarsi al tornello della porta d'ingresso dell'hotel l'uomo che avevo visto in compagnia della ragazza.
   Impaurito da quella strana presenza mi levai in piedi. Lui non sembrò fare caso alla mia figura. Nemmeno si preoccupò di giustificare la sua venuta. Stavolta non aveva con sé la grossa valigia con cui l'avevo intravisto allontanarsi in precedenza. Salì le scale che conducevano ai piani superiori senza chiedermi alcunché e io mi guardai bene dall'impedirglielo. Riaccesi la tivù e la sintonizzai su una delle emittenti che durante la notte mandano in onda strip-tease. Non diedi ascolto agli inviti delle spogliarelliste che suggerivano di digitare un numero di telefono, dal costo esorbitante, per conversare con una di loro e spararsi nel contempo una sega.
   Scorgere il buco del culo e la figa di una seducente pornostar, sistemata alla pecorina sopra un divano, mi fece ritornare l'uccello duro. Stavo osservando l'asta del microfono che la ragazza faceva scivolare con insistenza fra le natiche, quando il rumore di tacchi proveniente dalla scalinata, quella che conduceva ai piani superiori dell'hotel, distolse la mia attenzione dallo schermo del televisore.
   Moana raggiunse la mia postazione scortata dall'uomo che poc'anzi avevo intravisto salire l'ampia scala. Depositò la carta magnetica che apriva la camera sul bancone e rimase in attesa. Tolsi da un cassetto della scrivania la sua carta d'identità e gliela consegnai.
   - Quanto le devo per la stanza? - disse l'uomo.
   - Sono centocinquanta euro. Paga in contanti? Bancomat? Carta di credito?
   L'uomo tolse da sotto il trench il portafoglio e mi consegnò due banconote da cento euro. Stavo per consegnargli i cinquanta euro di resto, ma si affettò a respingerli sorprendendomi non poco.
   - Tenga pure il resto. - disse. - E grazie di tutto.
   Moana lo seguì dappresso senza spiaccicare una sola parola. Quando superarono il tornello della porta d'uscita le prime luci dell'alba illuminavano la strada. Un'altra notte di lavoro giungeva a termine.

 

 

 
 

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