Le
poltroncine della sala d'aspetto sono occupate da
uomini e donne in procinto di essere
convocati nell’ambulatorio. I volti appaiono tesi,
preoccupati, marcati dalla sofferenza.
Mi affaccio sulla porta dell'ambulatorio
e comunico il nome del paziente che dovrà
accedere nella stanza.
- Si accomodi il signor
Lucchini.
Dal fondo della sala, in
prossimità di una finestra che si
affaccia sul parco, si fa largo un
giovanotto. Mantiene il palmo di una
mano accostato all'addome, probabilmente
a contatto di una ferita, penso, e viene
nella mia direzione.
- Si accomodi, prego. - gli
dico.
Lascio che mi preceda e
chiudo la porta alle nostre spalle.
- Lei si chiama?
- Giuseppe Lucchini.
Dal cumulo di cartelle
cliniche accatastate sulla scrivania
tiro fuori la sua e inizio a sfogliarla.
- Nato il...
- 14.12.1982.
Verifico i dati anagrafici
comunicatemi con quelli riportati sulla
cartella clinica coincidano, dopodiché leggo con
attenzione le note sull'intervento
chirurgico a cui è stato sottoposto e
apprendo che si tratta di una
appendicectomia.
- Come sta? Tutto bene?
- Speravo di stare meglio,
invece la ferita seguita a dolermi.
- Febbre ne ha avuta?
- Qualche linea, verso
sera.
- Non stia a lamentarsi. In
fin dei conti si tratta di un banale
operazione chirurgica di
appendicectomia. Un ragazzo robusto come
lei dovrebbe superare facilmente gli
esiti dell'intervento senza troppi
problemi.
- Sì, però...
- Tolga camicia e
pantaloni, poi si accomodi sul lettino,
fra poco il medico sarà qui da lei.
Il giovane mi dà retta e
si libera della camicia e dei pantaloni.
Si corica supino sul lettino e resta in
attesa che gli tolga il bendaggio dalla
ferita. Dal carrello delle medicazioni
prendo un paio di guanti in lattice e
l'indosso, poi mi avvicino al giovane.
- Tutto bene?
- Sì, per ora sì.
- Sollevi la canottiera e
scopra l'addome.
La ferita chirurgica,
coperta dalla garza della medicazione,
appare chiazzata di siero.
- Le spiace se le do del
tu?
- No, anzi, mi fa piacere.
Qui sembra tutto così impersonale.
- Non sei originario di
Parma, vero?
- No, i miei genitori sono
nativi di un piccolo paese in provincia
di Foggia. Io però sono nato a Parma.
Lo guardo in viso e sono
piacevolmente colpita dal colorito bruno
della pelle, tipico degli uomini del
sud. Senza troppi preamboli lo invito ad
abbassare gli slip. Lui solleva il
bacino e fa scendere le mutande sotto i testicoli.
Osservo con curiosità il cazzo. Le
dimensioni sono proporzionate al fisico
del giovane. Il glande non è
scappellato e appare coperto da una
pelle sottile che ne abbraccia la forma
conferendogli un aspetto seducente,
perlomeno ai miei occhi.
- Adesso tolgo la
medicazione, ma non ti farò male, lo
prometto.
Senza troppi convenevoli
strappo la garza che ricopre la ferita.
Lui reagisce con un sussulto.
- Ti ho fatto male?
- No. E’ solo suggestione
la mia.
- A proposito, cosa fai
nella vita? Studi?
- Frequento il Liceo Verdi.
Fra un mese dovrò sostenere l'esame di
maturità.
Ha superato la soggezione
iniziale e parla liberamente. Mentre
procedo a medicare la ferita gli osservo
con curiosità i lineamenti del viso. Le
labbra, leggermente in rilievo, mettono
in bella evidenza la dentatura bianca e
bene allineata. Gli occhi, di un marrone
scuro, sono sovrastati da sopracciglia
nere e spesse dello stesso colore dei
capelli ricci. Sulle guance e sul mento
sono palesi le tracce di una barba ben
rasata che gli conferisce un aspetto
maturo, più della sua giovane età.
- Come va? Tutto bene?
La voce del chirurgo, che
nel frattempo ha fatto la sua comparsa
nella stanza, viene a interrompere il
nostro colloquio. Il medico si avvicina
al lettino. Scruta l'addome e preme le
dita attorno la cicatrice. Una goccia
di siero fuoriesce dalla ferita.
- La ferita è a posto, c'è
rimasto solo un po' di siero, ma è
abbastanza normale nei casi come questo.
Le prescrivo un breve ciclo di
antibiotici. Adesso le preparo la
ricetta, poi dovrà fare ritorno al
nostro ambulatorio fra una settimana per
un controllo. Va bene?
Il chirurgo getta i guanti
in lattice nel cesto dei rifiuti
medicali e, dopo avere compilato la
ricetta, abbandona la stanza per recarsi
nell'ambulatorio attiguo.
- Rapido e coinciso. -
asserisce Giuseppe, dopo che il medico
è uscito dalla stanza.
- Non ti preoccupare. I
pazienti da visitare sono tanti e il
personale medico è carente, così i
chirurghi si arrabattano da un
ambulatorio all'altro. L'importante è
che assumi gli antibiotici che ti ha
prescritto. Mi raccomando, eh!
Effettuata la medicazione
lo invito a sollevare lo slip verso
l'addome. Il nastro elastico s'infila
alla radice dei testicoli e spinge il
cazzo verso l'alto. Istintivamente
afferro lo scroto nella mano e con
l'altra sollevo lo slip che risale
l'ostacolo e si posiziona sull'addome.
Il gesto mi mette in imbarazzo. Vorrei
apparire disinvolta ma non mi riesce.
Una vampata di calore mi colora le
guance.
- Allora ci rivediamo nei
prossimi giorni. - domanda mentre scende
dal lettino e comincia a rivestirsi.
- Sì, certo. Prendo
l'agenda e ti do l'appuntamento per la
prossima visita.
Apro l'agenda e cerco un
giorno che ha uno spazio libero.
- Ci rivediamo fra sette
giorni. Venerdì alle 10.30. Va bene? Tu
però da lunedì puoi fare ritorno a
scuola.
- Ti saluto e ti dico
grazie di tutto. Quando torno per il
controllo della medicazione spero di
ritrovarti qui. A proposito, qual è il
tuo nome?
- Erika.
- Erika? E' davvero un bel
nome. Complimenti!
*
* *
E' trascorso più di un mese da quando ho
preso servizio al Day Surgery. E' un
complesso organizzativo particolare in cui
viene data la possibilità ai pazienti di
effettuare interventi chirurgici, oppure
procedure diagnostiche o terapeutiche
invasive, in regime di ricovero limitato
alle sole ore del giorno.
La
caposala, dopo un breve periodo di
tirocinio, mi ha inserita a tempo pieno
nei turni di sala operatoria, mentre solo
saltuariamente presto servizio
nell'ambulatorio chirurgico.
Oggi è sabato e voglio
occupare il tempo libero facendo
shopping nei negozi del centro. Una
volta raggiunta Piazza Garibaldi lascio la
bicicletta in una delle rastrelliere che
fanno da cornice al monumento dell'eroe
dei due mondi. Mi incammino verso Via
Cavour soffermandomi a guardare le
vetrine. Dinanzi al negozio della Fatam
fisso lo sguardo sui capi di lingeria
esposti in bella mostra. Sono intenta a
covare con gli occhi un reggiseno
abbastanza sexy quando alle mie spalle
sento pronunciare il mio nome. Mi giro e
scorgo un ragazzo.
- Non ti ricordi più di me?
Imbarazzata lascio
trascorrere alcuni secondi prima di
rispondere.
- Sì, certo che mi ricordo,
abbiamo fatto conoscenza in ospedale,
vero?
- E' successo un mese fa,
durante il controllo di una
medicazione, poi non ti ho più rivista.
- Come stai? Tutto bene?
- Sì, certo, dopo la
convalescenza sono riuscito a preparare
l'esame di maturità senza troppe
complicazioni.
- Ah! E sei stato promosso?
Dico mentre non distoglie nemmeno per un
attimo lo sguardo sulla scollatura della
camicetta.
- E' ancora presto per dirlo,
lunedì dovrò sostenere le prove orali,
solo allora saprò se sono maturo.
Rispetto a quando l'ho
conosciuto sembra più disinvolto e
arrogante. E' vestito in modo casual; un
look adatto alla sua giovane età. Indossa
i jeans e ai piedi calza delle Reebok
nere. La maglietta bianca, aderente il
torace, disegna dei pettorali piuttosto
sviluppati. Il colore della pelle è bruno
per l'abbronzatura.
- Allora ti saluto. - dico.
- Non mi fai gli auguri?
- Sì certo. In bocca al
lupo.
- Crepi!
Mentre entro nel negozio
scorgo l'immagine del ragazzo riflessa sul
vetro della porta d'ingresso. Se ne sta
fermo alle mie spalle e sembra osservare
la figura del mio corpo. Il culo
soprattutto!
* * *
E' domenica pomeriggio. La
giornata è caldissima. Il sole rovente mi
cuoce la pelle. Distesa sul lettino
prendisole sto ad abbronzarmi sul terrazzo
del mio appartamento. Stamani, guardandomi
allo specchio, mi sono stupita nel
costatare la comparsa di numerosi brufoli
sul viso; segno evidente che il mio corpo
reclama qualcosa di maschio da consumare.
Purtroppo non sono sufficienti le dita
delle mie mani per appagare la voglia che
ho di fare sesso.
Lascio cadere sull'addome il
libro che sto leggendo e divarico le
gambe. Fletto le ginocchia, appoggio la
pianta dei piedi sul pavimento, inglobo i
seni nelle mani e li soppeso. Sono
abbondanti, sodi, sicuramente molto
appetibili dagli uomini. E mi viene da
pensare che sarebbe piacevole farmi
succhiare i capezzoli dal ragazzo che ho
incontrato davanti alla Fatam. In cambio
potrei spremergli il cazzo con la bocca.
Non posso fare a meno di
fantasticare a occhi aperti per il resto
del pomeriggio, alternando la lettura del
romanzo alle immagini del giovane che ho
bene impresse nella memoria.
* * *
Anche oggi una moltitudine di
persone affolla la sala d'aspetto
dell'ambulatorio dove presto servizio. Per
tutta la mattinata sono stata impegnata a
eseguire medicazioni e coadiuvare i medici
in piccoli interventi chirurgici. Nelle
prime ore del pomeriggio, dopo che ho
provveduto a eseguire il riordino della
sala di medicazione, mi metto alla ricerca
della cartella clinica di Giuseppe.
Nella pagina iniziale della
cartella clinica, accanto ai dati
anagrafici, è inserito il domicilio e il
numero di telefono. Non mi faccio
scrupolo, afferro la cornetta del telefono
e digito il numero sulla tastiera. Dopo
una breve serie di squilli una voce
maschile risponde all'altro capo.
- Giuseppe?
- Si, sono io. Con chi parlo?
- Ciao! Sono Erika. Ci siamo
incontrati sabato mattina, hai presente?
Volevo sapere com'è andato l'esame.
- Ah, sei tu, l'infermiera.
L'esame è andato bene. Anzi! Ho fatto un
ottima figura, pensa che ho persino
ricevuto i complimenti dei commissari.
- Sono contenta per te.
Allora questa sera vai a festeggiare con
gli amici oppure con la tua ragazza?
Non risponde immediatamente,
lascia trascorrere alcuni secondi poi
riprende a parlare.
- No. Questa sera penso che
rimarrò a casa a guardare la tivù.
- Allora sai cosa faccio?
T'invito io, sempre che non ti vergogni a
uscire con una donna che ha quindici anni
più di te.
- Magari! Dici davvero? Non
è uno scherzo, eh?
- No, dico sul serio. Ti sta
bene se ci vediamo alle nove e mezzo in
Piazza Garibaldi? Al bar Centrale.
- Sì, certo.
- Bene, allora siamo
d'accordo. Ciao! E ancora felicitazioni
per la maturità.
Ripongo la cornetta del
telefono soddisfatta e non posso fare a
meno di guardare i capezzoli che premono,
turgidi, contro il tessuto della
camicetta.
* * *
Giuseppe è seduto davanti a
uno dei tavolini del bar Centrale. Dinanzi
a lui c’è una coppa da gelato vuota.
- Scusa il ritardo, non è
stato facile trovare un posto dove
parcheggiare l'automobile.
- Non importa, nel frattempo
ho consumato un gelato. Posso ordinare
qualcosa per te?
- Sì, una Perrier, grazie!
A un cenno di Giuseppe il
cameriere si avvicina e prende
l'ordinazione.
- Complimenti! Sei molto
elegante.
- Vado sempre vestita in modo
sportivo quando esco la sera.
Invece non è per niente
vero. Ho trascorso l'intero pomeriggio
dinanzi allo specchio a provare camicie e
gonne di ogni tipo, infine la scelta è
caduta su una canotta trasparente e dei
pantaloni di lino, color bronzo, con
grandi tasche. Ai piedi, per rendere tutto
più sexy, calzo un paio di scarpe
eccentriche, con un appuntito tacco a
stiletto. Lui indossa un paio di jeans e
una polo gialla marchiata dal coccodrillo
della Lacoste.
- Beh, non mi racconti come
è andato l'esame?
- Te l'ho detto, è andato
bene, meglio di così non poteva andare.
- Allora festeggiamo! Perché
non andiamo a Salsomaggiore? Lì c'è un
po' di vita, mentre qui in città è un
mortorio. Sei d'accordo?
- Lo farei volentieri,
purtroppo non ho né l'auto né la
patente.
- Che importa, ce l'ho io la
macchina. Dai, andiamo!
Abbandoniamo il tavolo e,
dopo che ha pagato le consumazioni, ci
dirigiamo verso l'auto che ho parcheggiato
a poca distanza dal Teatro Regio.
La mia auto, una Opel Tigra,
è dotata d'impianto di climatizzazione,
ragione per cui effettuiamo il viaggio
verso Salsomaggiore senza scioglierci in
un bagno di sudore. Trascorriamo la serata
allo Slam Club, un locale con piano bar
dove balliamo per il resto della serata.
Alle due di notte mi faccio più audace.
- Che ne dici se concludiamo
la serata a casa mia? Qui c'è troppo
casino, ti offro qualcosa da bere,
ascoltiamo un po' di musica, poi ti
riaccompagno a casa, ti va? La mia
proposta non lo trova impreparato, ma
riesce a biascicare un semplice:
- Sì.
Sulla via del ritorno ci
scambiamo solo poche parole. La musica che
esce dall'autoradio riempie il silenzio
che accompagna il nostro viaggio di
rientro a Parma.
* * *
-
Accomodati sul divano, vado un attimo in
bagno e sono da te. - dico appena abbiamo
superata la soglia di casa.
Le mie intenzioni dovrebbero
essergli chiare. Per tutta la sera l'ho
circuito compiacendolo, anche mentre
ballavamo e mi stringeva a sé
abbrancandomi le natiche.
Quando torno nella stanza,
dopo essermi risistemata i capelli davanti
allo specchio, Giuseppe ha acceso la tivù
e guarda un film.
- Posso offrirti qualcosa da
bere?
- Sì, una Coca-Cola, grazie.
Prendo dal frigorifero due
lattine di Coca-Cola e dalla credenza i
bicchieri. Appoggio tutto sul tavolino
dinanzi al divano.
- Cosa c'è di bello alla tivù?
- Un vecchio film francese,
di quelli che annoiano.
- E tu sei venuto qua per
guardare un film francese?
La mia domanda, così
esplicita da non essere fraintesa, lo
lascia titubante.
- Vieni qua, avvicinati. -
dico.
Timoroso, ma non troppo, si
accosta a me. Infilo la mano fra le sue
cosce e gli accarezzo il pacco.
- Ho voglia di fare l'amore
con te. - gli sussurro a un orecchio.
Lui gira il capo, stringe il
mio viso fra le mani e, con l'irruenza di
chi è giovane, preme le labbra sulle mie.
La sua mano, tutt'altro che incerta,
s'insinua sotto la mia canotta di cotone e
mi accarezza i capezzoli.
- Piano, fai piano. Così mi
fai male.
- Scusa non volevo. - precisa
dopo avere retratto la mano.
Mi alzo in piedi e mi
posiziono davanti a lui. Sollevo la
canotta e mi libero dei pantaloni che
lascio cadere sul pavimento dinanzi al
divano. Resto nuda con solo le mutandine
addosso.
- Vieni qua. - dico.
Giuseppe si alza e si mette
in piedi di fronte a me. Con le dita gli
faccio risalire la Lacoste sopra il capo,
sfilandogliela. Il petto, nonostante la
giovane età, è villoso. Cosa che ho
avuto modo d'intravedere durante la visita
nell'ambulatorio. Sull'addome, in basso a
destra, è ben visibile il segno della
ferita chirurgica ormai cicatrizzata.
Slaccio la cinghia dei pantaloni e glieli
faccio scendere fino a scoprire gli slip.
Le dimensioni del cazzo,
nascosto sotto il tessuto bianco degli
slip, non lasciano dubbi sullo stato di
eccitazione di Giuseppe. Mi inginocchio ai
suoi piedi e mi aggrappo con le mani al
nastro elastico degli slip che faccio
scendere lungo le cosce. Il cazzo,
liberato dall'involucro che lo tenevano
ingabbiato pulsa di continuo. I vasi
sanguigni che sovrastano in più punti la
sua superficie sono ingrossati e disegnano
tanti piccoli condotti.
Afferro il cazzo con le dita
e mi preparo a scappellarlo. Lo faccio
lentamente, scoprendo poco per volta la
cappella dall'esile tessuto che la
protegge. Poso la lingua sui testicoli e
inizio a leccarli, uno dopo l'altro,
riempiendomi la bocca di lunghi peli,
mentre con la mano seguito a lavorargli il
cazzo masturbandolo, lentamente.
La sacca cutanea che avvolge
i testicoli si è fatta compatta.
Introduco una palla fra le labbra e la
succhio. Giuseppe ha un sussulto provocato
dall'eccessiva foga che sto mettendo
nell'azione. Risalgo con la lingua il
cazzo fino a inglobare la cappella nelle
labbra. I movimenti delle sue anche
accompagnano il cazzo in profondità nella mia bocca senza molto riguardo.
Glielo afferro nella mano impedendo che
scivoli troppo in avanti togliendomi il
respiro.
Con la punta della lingua mi
soffermo a leccargli il frenulo. Giuseppe
si ritrae, allarmato. Torno a succhiargli
la cappella. Lui sembra rilassarsi e
godere della pressione che le labbra
esercitano sull'esile superficie. Le mani
che teneva composte ai fianchi mi
afferrano il capo da dietro e accompagnano
i movimenti della bocca. Mi piace
tantissimo succhiare il cazzo agli uomini,
farlo mi fa sentire padrona di chi mi sta
davanti, ma adesso ho voglia d'essere
penetrata al più presto.
- Coricati sul tappeto, dai.
- gli dico.
Giuseppe non se lo fa
ripetere una seconda volta, si mette
supino sul tappeto e resta in attesa che
mi decida a proseguire nella mia azione.
Dall'alto osservo la sua cassa toracica
che si espande seguendo il ritmo del
respiro. Il cazzo sta ai miei piedi,
ritto, turgido, oggetto di desiderio, ma
sarò io a decidere quando e come mi farò
penetrare.
Rimango immobile sopra
Giuseppe e lo guardo dall'alto al basso.
Mi libero delle mutandine e lascio che
gusti lo spettacolo della fica rasata apposta per lui.
Ferma, con le gambe leggermente
divaricate, gli mostro la fenditura delle
grandi labbra rosee, poi inizio a
toccarmi.
Intingo le dita nella bocca e
le detergo di saliva, poi inizio a
strofinare il clitoride. Giuseppe allunga
le mani sulle mie gambe, quasi a volere
raggiungere il prezioso tesoro che
custodisco fra le cosce.
Sono in una condizione di
completo dominio e la sto esercitando su
un ragazzo. Questo accresce la mia
eccitazione e la voglia di essere
penetrata al più presto. Piego le
ginocchia e appoggio le natiche sulle sue
cosce. Sollevo il bacino, afferro il cazzo
e lo infilo nella vagina. Quando mi
penetra un brivido di piacere percorre per
intero il mio corpo ed emetto un gemito di
soddisfazione.
- Sì, scopami! Scopami!
Fammi godere! Fammi godere!
A cavallo del suo corpo,
nella posizione dello smorzacandela, gli
struscio i glutei sulle anche in modo che
il cazzo mi penetri in profondità fino a
sfondarmi l'utero. Gli accarezzo il petto
dilungandomi nel pizzicargli i capezzoli.
Lui mi lascia fare, impacciato. Con nessun
altro uomo mi è capitato di padroneggiare
un rapporto sessuale come sto facendo con
lui, e questo dà più gusto al nostro
rapporto.
- Dillo, dai, che ti piace
fare l'amore con me. - dico, mentre tutta
sudata trascino il cazzo nel profondo
della vagina.
- Dillo, dai, dillooo!
Il suo viso tutt'a un tratto
cambia d'espressione. Abbandona l'aria
timorosa che ha mantenuto nel corso di
tutta la serata. Sfila il cazzo dalla fica
e mi allontana da sé. Con le possenti
braccia mi trascina sul tappeto, mi mette
carponi e si pone dietro di me.
Inginocchiata con il palmo
delle mani appoggiate sul tappeto resto in
attesa che m'infili il cazzo nella vagina.
So bene quanto piaccia agli uomini la
posizione alla pecorina. Mi intinge le
dita nella vagina e le avvicina
all'orifizio anale inumidendolo col
secreto. Preme un dito sullo sfintere e mi
penetra. Sbalordita mi scosto in avanti
lasciandomi cadere su un fianco. Il dito
si sfila. Mi giro verso Giuseppe stizzita.
- Ma che fai? Non voglio!
Un manrovescio mi colpisce in
pieno volto provocandomi la fuoriuscita di
sangue dal naso.
- Ma che ti prende? Sei
impazzito? - grido, mentre cerco di
tamponare il sangue che copioso mi esce
dalle narici.
Sto per alzarmi, ma un pugno,
cui ne fa seguito un altro, mi colpisce
alla tempia. Crollo sul pavimento
intontita. Giuseppe mi solleva l'addome e
mi rimette carponi. Non ho la forza di
reagire. Sento il cazzo premere contro
l’ano e subito dopo mi sento penetrare.
Un dolore acuto mi fa trasalire. Superato
l'ostacolo iniziale il cazzo comincia a
muoversi nel mio intestino a ritmi
regolari. Terrorizzata non so reagire. Ho
paura.
- Dillo che ti piace. Troia!
Quello che sento è solo
dolore. Le lacrime mi scendono copiose
dagli occhi mescolandosi al sangue che mi
esce dalle narici. Giuseppe mantiene le
mani aggrappate ai mie fianchi su cui fa
forza tenendomi ancorata a lui.
Il cazzo, male lubrificato,
si muove a fatica nello sfintere
provocandomi molta sofferenza. Avverto
disgusto, nausea, vomito. Mi auguro
soltanto che il supplizio termini al più
presto.
- Era questo che cercavi, no?
Volevi farti sbattere? E io sono qui per
questo, le conosco bene le troie della tua
età.
Il ritmo della sua azione si
è fatto incalzante. Stringe con veemenza
i miei fianchi e mi attira a sé.
L'eccessivo ansimare precede l'orgasmo.
Serro lo sfintere appena sfila il cazzo e
un bruciore intenso mi prende l'ano, mi
accascio sul pavimento umiliata e piango.
- Dai, non fare la vittima.
Cosa ti aspettavi, l'amore? E' stato
bello, invece, con le mie compagne di
scuola è un gioco che pratichiamo spesso.
A loro piace essere sodomizzate da me.
Il trillo di un telefono
interrompe il suo discorso. Giuseppe si
scosta, prende da una tasca dei pantaloni
il cellulare e risponde alla chiamata.
- Sì, lo so che è tardi.
Mamma questa è la mia serata d'addio alla
scuola, mica vorrai proibirmi di
festeggiare? E dove vuoi che sia? Sono con
gli amici, fra poco sarò a casa non ti
preoccupare. Ciao! Ciao!
- E' giunto il momento di
togliere il disturbo. Non ti chiedo di
accompagnarmi, tanto la strada la conosco.
La notte è fresca e una passeggiata mi
farà bene.
Si riveste senza fretta
incurante della mia presenza. Rattrappita
su me stessa, ancora tremante, resto
adagiata sul tappeto in attesa che si
allontani. Prima di congedarsi spegne la
tivù servendosi del telecomando che
scaglia sul divano.
- Ciao!
La porta dell'appartamento si
chiude dietro di lui, ancora una volta mi
ritrovo sola, confusa e mortificata.
Troia? Forse, ma l'unico mio errore è la
solitudine
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