SENSI
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
1) OLFATTO 

   Lorenzo mise piede nella clinica dove lavorava alle otto e un minuto. A quell'ora del mattino la corsia era in negligente disordine. Nell'aria si respirava un odore stomachevole. Chiunque, avesse soggiornato anche per breve tempo nelle stanze di degenza, avrebbe riconosciuto quella puzza fra mille altri miasmi perché era l'odore che precede la morte.
   Mentre percorreva il corridoio al primo piano della clinica due infermiere uscirono da una stanza di degenza. La più anziana delle due fece ritorno sui propri passi, si avvicinò all'unica finestra della stanza, e la spalancò.
   Lorenzo si perse a osservare i volti delle persone che occupavano i due letti presenti della stanza, ma spostò subito lo sguardo per non incrociare i loro occhi. Proseguì nel suo cammino intenzionato a raggiungere l'ambulatorio dove prestava servizio. Evitò anche lo sguardo di alcuni parenti dei ricoverati accampati come zingari appena fuori dalle camere di degenza. Proseguì nella direzione della stanza che ospitava le infermiere. Dal contenitore della posta raccolse i tabulati con la lista dei pazienti che avrebbe dovuto visitare quella mattina. Salutò alcune infermiere e procedette verso l'ambulatorio di radiologia.


2) VISTA

   La prima paziente della giornata mise piede nell'ambulatorio alle 8.30. Lorenzo la invitò a togliersi gli abiti di dosso e iniziò a compilare la cartella clinica. Le misurò peso e altezza, dopodiché la fece stendere supina sul tavolo radiologico.
   La paziente indossava un body di pizzo nero. Il tessuto trasparente lasciava intravedere in modo sufficientemente chiaro l'areola dei capezzoli. Il monte di Venere, leggermente in rilievo, era bene delineato dalla forma a cuneo dei peli. Nella zona inguinale, a lato del tessuto del body, erano manifeste le radici dei peli rasati di recente. Il colore bruno della pelle, ottenuto con l'esposizione a lampade di raggi infrarossi, conferiva al corpo della donna un aspetto accattivante.
   Il profumo di cui era saturo il corpo era una essenza che Lorenzo conosceva bene, l'avrebbe distinta fra decine di altre perché era identica a quella di cui faceva uso la sua ex compagna.
   Si soffermò a osservare con curiosità la paziente. Il viso era fresco nonostante i quarant'anni che la donna aveva dichiarato d'avere quando le aveva compilato la cartella clinica. I capelli neri, tagliati a caschetto, sicuramente tinti, le donavano un aspetto malizioso. La fronte corrugata e le increspature a zampa di gallina attorno gli occhi ne tradivano l'età, ma l'aspetto era quello di una donna piacente.
   Le sorrise, rassicurandola, dopodiché le spiegò in cosa consisteva l'esame. Subito dopo andò a sedersi dinanzi allo schermo del computer, digitò sulla tastiera una serie di comandi, tutti indispensabili per avviare i movimenti dello scanner, e la invitò a restare immobile sul tavolo radiologico dove aveva preso posto.
   L'esame si trascinò per pochi minuti: il tempo necessario al braccio meccanico per eseguire più di una scansione sull'addome della paziente. Terminato l'esame la donna si rivestì, salutò Lorenzo, e abbandonò l'ambulatorio. Immediatamente dopo fece il suo ingresso nella sala di diagnostica un'altra paziente.
   - Buongiorno dottore. Sono qui per il solito controllo annuale.
   - Come sta signora Ferrari?
   - Male, molto male. Ho dolore alle ossa. Non c'è niente che possa guarirmi?
   - Quello di cui avrebbe bisogno è di qualche anno in meno, ma non posso toglierglieli.
   Lorenzo pronunciò la frase sorridendo stemperando l'inquietudine della donna.
   - Eh eh eh... Questo lo so bene anch'io.
   - Si accomodi sul lettino, così posso sincerarmi dello stato delle sue ossa.
   La donna si liberò della gonna. Slacciò la camicetta e si coricò sul lettino radiologico. Assuefatta a quel tipo d'indagine si mise supina sul tavolo diagnostico e rimase in attesa che Lorenzo la sistemasse. Per niente intimorita dal silenzio del medico seguitò a parlare confidandogli una lunga serie di problemi. Lorenzo la lasciò parlare annuendo di tanto in tanto col capo.
   Anche stavolta, come nei precedenti controlli, la donna non indossava le mutandine. I collant le coprivano le gambe e l'addome fino all'ombelico. Il reticolo trasparente di fili di nylon, colore nocciola, mettevano in risalto la fitta barriera di peli arricciati che le coprivano il pube.
   Nei primi anni di esercizio della professione medica Lorenzo si era chiesto numerose volte la ragione per cui molte donne, in occasioni delle visite, adottavano quell'inusuale modo di vestirsi, ma col trascorrere del tempo si era abituato ai diversi contegni delle pazienti, anche ai più strani.
.
   Prima di dare inizio alle scansioni dello scanner, si preoccupò di farle abdurre la coscia sinistra allontanandola dall'altra gamba. Con una stringa biadesiva legò gli alluci del piede a un cuneo, in modo da tenerlo ruotato di 25°. In questo modo avrebbe potuto esaminare il collo del femore nella postura più idonea all'esame. Il movimento servì a farle schiudere le grandi labbra che si separarono mettendo in dovuto risalto il colorito roseo della carne. La donna, sulla quarantina d'anni, lasciò che Lorenzo la sistemasse sul tavolo senza chiedergli altre spiegazioni.
   - Lì, è lì, dottore che ho dolore. - disse indicando con la mano l'inguine, vicino al collo del femore. - E' lì che mi fa male. Specialmente nelle giornate umide come oggi.
   - La colpa è del clima umido della pianura padana. E' questa l'origine dei suoi dolori. Anch'io soffro di una periartrite a una spalla.
   - Ma no, non ci credo. Lei è ancora giovane e carino. Sicuramente non avrà problemi di questo genere.
   - Ora stia ferma! E senza parlare per alcuni minuti! Iniziamo l'esame. 
   Lo scanner eseguì la scansione sul femore fermandosi a fine corsa all'altezza della cresta iliaca del corpo della donna.
   - Fatto! Abbiamo terminato l'esame.
   Liberò il piede dal laccio che lo teneva immobile, poi si girò verso la donna. Solo allora si accorse che il tessuto dei collant, vicino alle grandi labbra, era leggermente chiazzato d'umido. Imbarazzato si allontanò dalla paziente e andò al computer per analizzare i dati acquisiti durante l'esame.
   - Tutto bene? - disse la donna.
   - Sì, non ci sono segni di decalcificazione.
   - Allora, dottore, ci rivediamo il prossimo anno.
   - Sì, direi proprio di sì.
   Lorenzo strinse la mano della donna e l'accompagnò alla porta d'uscita della diagnostica.
   Il resto della mattina trascorse in modo del tutto simile ai giorni precedenti. Eseguì una decina di visite, poi verso mezzogiorno entrò nell'ambulatorio una donna sulla quarantina d'anni. Il suo aspetto trasandato e dimesso la faceva sembrare più avanti in età dei suoi anni.
   - Qual è il suo nome?
   - Rosetta Ferrari.
   - Nata il...
   - Due giugno del millenovecentosessantadue.
   - Sposata?
   - Sì.
   - Ha figli?
   - Cinque, il più piccolo ha tre anni.
   - E' in menopausa?
   - Non ancora.
   - Svolge qualche lavoro oppure è casalinga?
   - Sono operaia. Lavoro in fabbrica.
   - Si spogli e prenda posto sul tavolo radiologico.
   Le domande che Lorenzo poneva alle pazienti seguivano lo schema imposto dalla cartella clinica. Anche stavolta, come era accaduto con le altre pazienti, le rivolse una serie di domande sull'assunzione di calcio e latticini.
   La donna, dall'aspetto dimesso, pareva avvilita e prostrata nel fisico. Rispondeva alle domande a bassa voce, quasi si vergognasse. Gli abiti di poco prezzo che aveva addosso la dicevano lunga sulla modesta condizione sociale. Si coricò sul lettino con addosso la sottoveste. Quando Lorenzo le fu vicino, notò alcune chiazze d'unto sul tessuto acrilico del sottabito. La scoperta di quelle macchie lo mise a disagio. Succedeva ogni volta che si trovava di fronte a situazioni d'apparente povertà. Le sollevò la sottoveste scoprendo le bianche mutande di cotone. Ai lati dell'indumento fuoriusciva una massa di peli scuri, incolti. Le sorrise e iniziò la scansione dell'esame. 


3) UDITO 

   Dopo l'intensa giornata di lavoro Lorenzo si appisolò sul divano dinanzi allo schermo della tivù. Si svegliò poco prima della mezzanotte. Sul monoscopio scorrevano le immagini di una partita di pallone. Si liberò degli abiti e s'infilò sotto le lenzuola.
   Il condominio a quell'ora della notte aveva perso la propria identità. Il silenzio era assoluto. Non c'era segno dello strepitio provocato dalle porte che durante il giorno i condomini sbattevano senza riguardo, né si udiva il fragore dell'ascensore che saliva e scendeva in continuazione da un piano all'altro.
   Il chiasso dei bambini, abituati a rincorrersi per le scale, col sopraggiungere dell'oscurità si era placato. La quiete dominava sovrana negli appartamenti. Era il momento in cui Lorenzo poteva dedicarsi al suo passatempo preferito: la lettura di un libro.
   Accese l'abat-jour e si mise a leggere un libro là dove aveva interrotto la lettura la sera precedente.
   Un rumore, molto simile a un lamento, lo distolse dalla lettura. Il suono proveniva dall'appartamento attiguo, ripose gli occhiali sulla coperta del letto e accostò l'orecchio alla parete. Il lamento, amplificato dal padiglione auricolare che Lorenzo appoggiò al muro, si fece più intenso. Il timbro della voce era di Elena, la sua vicina di casa, con cui tempo addietro aveva avuto una storia.
   - Sì, dai, fammi godere! Fammi godere!
   La frase urlata più volte nell'arco di pochi secondi gli giunse all'orecchio come un colpo a tradimento.
   - Godo! Cazzo, come mi fai godere!
   Con Elena aveva intrattenuto una relazione portata avanti solo alcuni mesi. Si erano lasciati dopo che aveva scoperto che si faceva scopare anche da un altro uomo. Il tradimento lo aveva profondamente ferito, ma col tempo erano tornati a intrattenere cordiali rapporti di buon vicinato. Ma ogni volta che Elena si portava a casa qualcuno lui era costretto a sottostare al concerto di suoni che proveniva dalla parete, ma quella sera la cosa lo turbò più del solito.
   - Godo... Godo... Godooo... - prese a urlare la donna a più riprese.


4) TATTO 

   A Lorenzo l'uccello pulsava ingombrante negli slip. Con la mano toccò la cappella, poi lasciò che le dita scorressero sull'esile pelle. I lamenti che provenivano dalla parete accanto si fecero più intensi e lo divenne anche il movimento della mano. 


5) GUSTO 

   Si liberò degli slip, intinse le dita nella bocca e le inumidì di saliva. La mano, facilitata dalla presenza del liquido, iniziò a scorrere più facilmente sul cazzo. Un flutto di sperma gli inondò le dita. Avvertì i muscoli del bacino contrarsi mentre il seme fuoriusciva inarrestabile dal meato uretrale. Restò immobile per alcuni istanti per godere a pieno di quegli attimi. Portò la mano intrisa di sperma alle labbra e assaggiò il prezioso frutto dal sapore mielato.
   - Godo... Godo... Godooo... - seguitò a urlare Elena oltre la parete.
   L'intensificarsi dei mugoli della donna furono l'avvisaglia dell'imminente orgasmo. Seccato da quello che considerava un tormentone raccolse il libro, afferrò una coperta, si alzò dal letto, e andò a rifugiarsi sul divano del salotto.
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   Le prime luci dell'alba lo sorpresero avvinghiato alla coperta con le ossa indolenzite. Si alzò dal divano e andò in bagno. Dopo una frugale colazione, consumata con caffè d'orzo e praline al cacao, indossò una camicia linda di bucato, pantaloni e giacca, e uscì da casa.

   Era fermo davanti alla porta dell'ascensore, in attesa che la cabina mobile giungesse al piano, quando la porta dell'appartamento abitato da Elena si aprì e ne uscì una ragazza. Era giovanissima, mostrava a malapena vent'anni. Aveva il viso stanco e l'espressione degli occhi erano assonnati. La ragazza lo raggiunse alla porta dell'ascensore.
   - Buongiorno! - disse la ragazza rivolgendosi a Lorenzo.
   - Buongiorno. - rispose, contraccambiando il saluto.
   Poco dopo la cabina dell'ascensore giunse al piano. Lorenzo aprì la porta e fece segno alla ragazza di accomodarsi. Durante la discesa non scambiarono parola. Quando giunsero in strada presero direzio
ni diverse.

 

 
 

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