Una
fitta coltre di nebbia gravitava sulla
città e rendeva impalpabili persone e
cose. Il freddo era pungente, difficile
da sopportare. Mentre camminavo sul
marciapiede del Ponte di Mezzo,
intenzionato a raggiungere l'Oltretorrente,
una folata di vento gelido mi procurò
una violenta scarica di brividi in tutto
il corpo. Sollevai il bavero del trench
per proteggermi dal freddo pungente,
anche se ormai ero prossimo alla
destinazione.
Da lì a poco avrei
incontro la donna con cui avevo
appuntamento e non stavo nella pelle per
l'eccitazione. Nemmeno sapevo rendermi
conto di quello che mi stava accadendo
perché nella testa avevo una gran
confusione. Appuntamenti galanti non ne
avevo più avuti da quando ero fidanzato
con la donna che in seguito sarebbe
diventata mia moglie. Da allora erano
trascorsi parecchi anni, trenta per la
precisione.
Piazzale Santa Croce, il
posto dove avevamo convenuto
d’incontrarci, distava dieci minuti di
strada dal Ponte di Mezzo. Uscendo di
casa mi ero lasciato alle spalle tutti i
miei problemi, soprattutto quelli che mi
procuravano i miei due figli, di
ventidue e ventiquattro anni, e quelli
di un rapporto ormai logoro con mia
moglie.
Quando raggiunsi lo spiazzo
antistante la chiesa di Santa Croce mi
guardai d'intorno, ma della donna con
cui avevo appuntamento non c'era
traccia. A tenermi compagnia c’era
soltanto la nebbia. Trovai riparo
all'angolo con Via D’Azeglio e la
chiesa, in prossimità della fermata dei
bus, poi rimasi in attesa.
Gettai lo sguardo al
quadrante dell'orologio. Ero in anticipo
di una manciata di minuti rispetto
all'ora convenuta.
L'eccitazione che mi
portavo addosso fece posto a una forte
inquietudine. Guardai di nuovo le
lancette dell'orologio ed ebbi
l'impressione che il tempo si fosse
fermato.
Mi sentivo strano,
decisamente strano. Non mi pareva vero,
alla mia età, di avere un appuntamento
galante con una donna. Ma non una
qualsiasi, perché di anni ne aveva poco
più di venti: l'età dei miei figli.
Eravamo entrati in
relazione in modo del tutto casuale,
frequentando la Biblioteca Civica di
Vicolo S. Maria, condividendo in più di
una occasione lo stesso tavolo insieme
ad altri studenti. Lei a studiare testi
di università, io a leggere libri di
narrativa.
Ci conoscevamo da circa tre
anni, eppure durante tutto questo tempo
avevamo scambiato solo qualche sorriso
di circostanza e fugaci saluti
pronunciati sottovoce, stando seduti una
di fronte all'altro, mentre fuori dalla
biblioteca non avevamo avuto occasione
di entrare in relazione.
Un sabato mattina, poco
prima di mezzogiorno, quando omai stavo
per abbandonare la stanza della
biblioteca, quella che ospita i testi di
letteratura parmigiana dove eravamo
soliti accomodarci, scrissi poche parole
sopra un biglietto. Mi premurai di
sospingerlo fino davanti ai suoi occhi,
dopodiché rimasi in attesa di una
risposta.
"Ho voglia di
scambiare qualche chiacchiera con te.
Ti andrebbe di vederci
lontano da qui?".
Dopo avere letto il testo si premurò di
scrivere qualcosa sul retro del
biglietto che le avevo fatto pervenire e
lo spinse verso di me. Quando l'aprii
c'era scritto:
"Sabato
mattina alle 10.00
dinanzi
alla chiesa di S. Croce".
Alzando gli occhi incrociai
il suo sguardo. Annuii col capo in segno
di assenso. Abbandonai la stanza della
biblioteca compiaciuto per avere
ottenuto un appuntamento da una ragazza
che di anni mostrava d'averne
trenta meno dei miei.
*
* *
La densa coltre di nebbia che ingrigiva
il cielo sembrò diradarsi col
trascorrere del tempo. Un debole fascio
di luce si fece largo nella caligine e
illuminò per un breve istante il
sagrato della chiesa dove ero in attesa.
Tutt'a un tratto, come per magia, prese
forma una figura femminile a una decina
di metri da me.
La ragazza con cui avevo
appuntamento era vestita in modo alquanto sbarazzino. Un
Woolrich Boulder nero, sbottonato sul
davanti, con il cappuccio piegato sulle
spalle, scaldava il suo corpo insaccato
dentro un paio di jeans e un maglione
pesante a girocollo, bianco latte, che
serviva a nasconderle il seno alto.
Le andai incontro e le
sorrisi. Lei pareva esibire una
contentezza che mi offuscò gli occhi e
ne rimasi contagiato. Ci salutammo
scambiandoci un doppio bacio sulle
guance, ma anche qualche parola che
sapeva di circostanza, dopodiché
c'incamminammo verso l'altro lato della
piazza nella direzione del Parco Ducale.
La nebbia tornò a farsi
fitta mentre percorrevamo il viale
alberato che dall'ingresso del parco
conduce allo specchio d'acqua dell'ampia
peschiera. Il parco, contrariamente alle
giornate di sole, era spoglio di gente.
Camminammo affiancati una all'altro sul
sentiero sterrato intorno alla peschiera
conversando amabilmente. Infine ci
perdemmo a guardare un gruppo di
anatroccoli che, in fila indiana,
procedevano spediti a pelo d'acqua
dietro la genitrice.
Mentre la mia compagna
osservava con curiosità i movimenti
degli anatroccoli mi persi a guardarla
in viso. Accanto a lei mi scoprii un
uomo tranquillo, cosa che con mia moglie
non mi succedeva da tempo memorabile.
Le passai un braccio
attorno alla vita e l'attirai a me. Lei
non si scansò e rimase ferma. Sorrise e
un brivido di piacere mi attraversò il
corpo. Mi sforzai di non darglielo a
vedere per non sembrarle troppo
vulnerabile. Incrociai i suoi occhi ed
ebbi l'impressione di trovarmi dinanzi a
una donna irreale.
Esitai prima di darle un
bacio anche se ero consapevole che lei
lo desiderava. Lasciai cadere le labbra
sulle sue e la baciai corrisposto.
Seguitammo a scambiarci baci come due
innamorati nascosti alla vista della
gente dalla fitta nebbia.
Non sapevo quale
atteggiamento avrei dovuto assumere. Di
sicuro non potevamo restare a
baciarci come due piccioncini nei pressi
di un palo che sorreggeva uno dei
numerosi lampioni che circondavano la
peschiera. Nemmeno sapevo decidermi a
chiederle di seguirmi nell'appartamento
dei miei genitori. Dall'inizio del mese
si erano trasferiti sulla riviera ligure
e ci sarebbero rimasti tutto l'inverno
a godersi il sole del mare. Quando mi
decisi a spiaccicarle la proposta trovai
la mia compagna subito consenziente.
Sottratti alla vista della
gente dalla nebbia ci allontanammo dalla
peschiera e dalle anatre per dirigerci
verso l'abitazione dei miei genitori
distante pochi isolati.
Prima di recarmi
all'appuntamento avrei dovuto premunirmi
mettendo in funzione l'impianto di
riscaldamento dell'abitazione, perlomeno
avremmo trovato un ambiente riscaldato
ad accoglierci, invece non l'avevo fatto
e me ne rammaricai.
La temperatura dell'aria
della stanza da letto, come tutte le
altre stanze, era fredda, ma la cosa non
sembrò dispiacere alla mia compagna.
Senza che glielo chiedessi iniziò a
spogliarsi degli indumenti che aveva
sulla pelle. In breve tempo rimase con
il solo reggiseno e il tanga addosso. Si
avvicinò al bordo del letto d'ottone, e
si mise seduta sul materasso con i piedi
penzoloni a sfiorare il parquet.
Le rughe che troneggiano
sul mio viso, e le grinze della pelle
che come cicatrici mi attraversavano il
petto e l'addome, mi fecero sentire un
uomo ridicolo di fronte a lei così
giovane e perfetta.
I suoi occhi puntarono
dritti contro di me e mi misero in
imbarazzo. Mi spogliai ed ebbi un attimo
d'incertezza prima di levarmi le
mutante. Lei invece si liberò del
reggiseno e fece scivolare il tanga
lungo le cosce, poi lo fece cadere sul
parquet mostrandomi i peli scuri del
pube.
Scivolò sotto il lenzuolo
e si accucciò su se stessa nascondendo
le forme del corpo alla mia vista. Levai
le mutande e con l'uccello in erezione,
imbarazzato per le palle cadenti, andai
a coricarmi fra le lenzuola. I nostri
corpi vennero a contatto e mi prese una
irresistibile voglia di stringerla a me.
Il suo corpo era caldo e
morbido come avevo sperato che fosse.
Restammo abbracciati tutt'e due sul
fianco, guancia contro guancia,
prestando orecchio al respiro
dell'altro.
Lasciai scivolare le dita
fra le sue cosce e raggiunsi quanto di
più prezioso custodivano. Lei fece lo
stesso e mi carpì l'uccello nella mano.
Aveva la vagina umida, diversamente da mia
moglie che da quando aveva raggiunto la
menopausa l'aveva sempre asciutta.
L'accarezzai e inumidii l'estremità
delle dita intingendole nel suo umore.
Mi sorpresi nel costatare
l'effetto che stavo facendo su di lei.
Seguitai a carezzarla e insistetti a
lambirle il clitoride che avvertii
essere gonfio come una nocciolina
americana. Lei ansimò di piacere e
questo suo atteggiamento sembrò dare
risposta ai ripetuti tocchi delle mie
dita. La cosa mi lusingò e mi diede
piacere.
Seguitammo a toccarci
fintanto che le imposi, con la forza
delle braccia, di allargare le cosce e
le fui sopra. Non la penetrai subito, ma
seguitai a fare scorrere le dita sulla
pelle per fare conoscenza di ogni parte
del giovane corpo. Non scambiammo una
sola parola, d'altronde non avrei saputo
cosa dirle. Avevo soltanto voglia di
scoparla e la stessa cosa desiderava
fare lei.
Mi sorpresi nel costatare
della mia ritrovata virilità, specie
dopo che avevo letto da qualche parte
che astenersi troppo a lungo dallo
scopare provoca un rallentamento della
circolazione sanguigna nel pene e anche
una rapida perdita della sua forza.
In vista dell'appuntamento
mi era venuta l'idea di procurarmi
qualche stimolate: il Viagra per la
precisione. Avevo paura di non essere
sufficientemente eccitato se mi fosse
capitato di scopare con lei, invece il
mio uccello era duro come la pietra,
proprio come quando avevo sedici anni.
Toccarle le tette fu come
mettere la mano sopra un frutto
prelibato. Non erano grosse, anzi,
tutt'altro, ma i capezzoli erano
sporgenti oltre misura e la cosa mi
eccitò parecchio. Mia moglie invece
conserva tutt'ora delle tette grosse e
cadenti, nemmeno buone per fare una
spagnola se me ne venisse voglia, ma lei
a queste cose non ci pensa più,
impegnata com'è a soddisfare i bisogni
dei figli.
Mi persi a succhiarle i
capezzoli e da lì non avrei più voluto
staccare le labbra.
- Scopami. - mi sussurrò
all'orecchio mentre affondavo il viso
nella sua ascella per inebriarmi
dell'odore del sudore di cui era pregna.
La sua richiesta mi fece
venire voglia di seppellirglielo fra le
cosce, il cazzo. Indietreggiai col culo
e mi curvai sopra di lei per meglio
penetrarla. Affondai la cappella nella
fica e incominciai a scoparla. Trovammo
subito il ritmo giusto e rimasi sorpreso
da questo nostro affiatamento.
Imperlati di sudore
seguitammo a scopare come scimmie
fintanto che fui prossimo a venire.
Volle che le riempisse la bocca di
sperma e l'accontentai levando l'uccello
dalle sue cosce. Lei si chinò su di me
e trascinò la cappella fra le labbra
mentre lo sperma usciva dall'uretra e le
riempì la bocca. Venni con le natiche
che si congiunsero e tremai tutto, poi
mi accasciai accanto a lei esausto col
respiro in affanno e il cuore che
sembrava uscirmi dal petto.
Mezzogiorno era passato da
un ora quando uscimmo dall'appartamento
dei miei genitori. La nebbia si era
diradata e il sole caldo illuminava il
nostro cammino. Avevamo fatto l'amore
per un paio di ore e io ne avevo ancora
voglia. Mentre camminavamo pensai alla
scusa che avrei dovuto raccontare a mia
moglie per giustificare il ritardo a
tavola.
Dovevo tornare a casa al più
presto, solo questo m'importava, anche
se nella mente avevo impresso una sola
parola: desiderio, e il piacere di
soddisfarlo.
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