L'AMICO DI PAPA'
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

      Dietro il vetro della finestra osservavo le gocce di pioggia che dal cielo precipitavano nelle pozzanghere della strada, dando forma a cerchi d'acqua, sino a consumarsi nel nulla. Tutt'a un tratto, dall'altra parte della strada, intravidi la figura di Riccardo, l'amico di papà. Stava facendo capolino dal portone del palazzo dove abita ed era solo come gli succedeva da un po' di tempo. 
   Indossava un trench di colore panna passato di moda. Il bavero, tenuto sollevato sul collo, occultava solo in parte il viso. Quando mise piede sul marciapiede si affrettò ad aprire l'ombrello, dopodiché proseguì a piedi prendendo la direzione di Piazza Giulio Cesare.
   Da quando la moglie lo aveva cornificato per mettersi insieme a un altro uomo viveva da solo nell'appartamento. Ero pazza di lui, ne subivo una forte attrazione ed ero disponibile a fare qualsiasi cosa per lui, se solo me lo avesse chiesto, senza farmi scrupolo della differenza di età che c'era fra noi.
   Non mi diedi pensiero di salutare mamma, misi tracolla la borsa con i libri di scuola e mi precipitai fuori di casa, decisa a raggiungerlo prima che si eclissasse su uno dei convogli della metro, altrimenti avrei reso inutile l'appostamento che conducevo da alcuni giorni.
   Discesi a capofitto le tre rampe di scale che mi separavano dalla strada mantenendomi aggrappata al corrimano per non perdere l'equilibrio durante la corsa verso il basso. Raggiunsi il portone in un baleno e mi ritrovai a correre per strada sotto una insistente pioggerellina.
   L'impermeabile incerato, giallo canarino, che mi ero premurata di indossare prima di uscire da casa, mi proteggeva dalla pioggia. Calcai il cappuccio sul capo tenendolo ben saldo con una mano, mentre con l'altra tenevo stretta la borsa che mi pendeva dalla spalla.
   Quando raggiunsi Piazza Giulio Cesare intravidi la figura di Riccardo nell'attimo in cui stava per scendere i gradini che conducevano alla stazione della metropolitana. Gli arrivai alle spalle mentre era impegnato a vidimare il ticket nella macchinetta obliteratrice, ma non mi feci subito riconoscere. Lasciai che superasse il tornello ad apertura elettromeccanica che impediva l'accesso alla stazione, obliterai anch'io il biglietto, e mi incamminai andando dietro all'amico di papà.
   - Ciao! - dissi dopo averlo affiancato, cercando di mascherare l'affanno provocatomi dalla rincorsa.
   - Carlotta! Cosa diavolo ci fai qui a quest'ora? - disse quando mi riconobbe.
   - Come sarebbe a dire cosa ci faccio qui? Vado a scuola, e che altro!
   - Ma sono le nove e mezza. Non è troppo tardi?
   - Oggi l'insegnante di lettere è assente. Dal preside abbiamo ricevuto il permesso di arrivare in classe alle dieci anziché alle otto. - dissi mentendo spudoratamente come già avevo fatto in precedenza con mamma quando mi aveva chiesto il motivo per cui tardavo ad andare a scuola. Mica potevo confessargli che avevo marinato la scuola coltivando la speranza d'incontrarlo.
   - Ai miei tempi il preside non ci avrebbe mai accordato il permesso! Saremmo andati a scuola alle otto in ogni caso. - disse ridendo.
   - Beh, non sono trascorsi molti anni da allora. - dissi mentre ci avvicinavamo alla scala mobile.
   - Quando ho terminato il liceo tu non eri ancora nata! A proposito quanti anni hai?
   - Quasi diciassette.
   - Ti sei fatta grande. - disse guardandomi con curiosità da capo a piedi.
   Negli ultimi cinque anni c'eravamo parlati rare volte e sempre in presenza dei miei genitori e di sua moglie. Da quando lei lo aveva lasciato stavo appostata, dietro alla finestra della mia camera, per scorgere la sua figura mentre entrava e usciva dal portone di casa. Lui però non si era mai accorto della mia presenza, penso.
   - Eh, sì.
   - Se consideri che con tuo padre siamo stati compagni di classe puoi farti una idea precisa di quanto tempo è trascorso dall'epoca del liceo. Sono vecchio! Ho l'età di tuo padre. Quarantacinque anni! Troppi eh? 
   - Ma dai, tu non sei vecchio. I capelli brizzolati ti rendono affascinante più di un qualsiasi sbarbatello di mia conoscenza. Molte ragazze pagherebbero non so cosa per trascorrere l'intera notte insieme a te, giuro!
   - Ma va là.
   - Dico sul serio. - dissi mentre venivamo trasportati verso il basso dalla scala mobile su cui avevamo messo piede.
   - Tu, piuttosto. Chissà quanti ragazzi ti girano intorno, eh? Lo sai che ti sei fatta molto carina?
   Riccardo era fermo un paio di gradini sopra di me e mi guardava dall'alto al basso in modo curioso mentre la scala mobile ci conduceva verso la banchina dove transitavano i convogli della ferrovia sotterranea.
   Mettendo piede nella metropolitana mi ero premurata di slacciare l'impermeabile e togliere dall'asola i primi bottoni della camicetta. Apposta non avevo indossato il reggiseno confidando nell'eventualità d'incontrare Riccardo e fargli scoprire che non ero più la bambina che un tempo era solito prendere sulle ginocchia.
   Dal modo in cui rivolgeva lo sguardo su di me capii che era abbastanza interessato alle rotondità delle tette che tenevo bene in mostra sotto la tela incerata dell'impermeabile. Me lo fece notare quando il flusso di persone ci spinse dalla scala mobile verso il marciapiede dove avremmo atteso l'arrivo del convoglio ferroviario.
   - Vai sempre vestita in questo modo?
   - Perché?
   - Beh, non ti sembra di esagerare? Hai le tette che ti saltano fuori dalla camicetta! Si vedono persino i capezzoli.
   - E tu non farci caso.
   - Tuo padre non ti dice niente?
   - E cosa dovrebbe dirmi?
   - Lo sai bene.
   - Adesso ti ci metti anche te a farmi le prediche?
   - Potresti essere mia figlia, lo sai.
   - Ed è qui che sbagli, perché non la sono come puoi costatare. - dissi chinando lo sguardo verso l'attaccatura delle tette.
   - Vedo... Vedo. - disse Riccardo.
   La sua voce fu coperta dal frastuono della motrice di un convoglio che arrestò la corsa nella parte terminale della banchina. Il crepitio dei freni delle carrozze precedettero di poco l'apertura delle porte a soffietto che si spalancarono all'unisono. Da ciascuna porta uscì fuori un ammasso informe di persone che si riversarono sulla banchina. Salimmo su uno degli scompartimenti del convoglio, quello più prossimo a noi, mescolandoci al flusso di persone che si accalcavano verso la porta.
   Non trovai posto a sedere. Rimasi in piedi ancorata a una delle aste in metallo fissate al pavimento e al soffitto, al centro dello scompartimento, vicino alla porta di uscita. Riccardo si sistemò alle mie spalle.
   Il convoglio riprese la corsa nel sottosuolo della città producendo vibrazioni che scuotevano le fondamenta delle case. Mi aggrappai all'asta per non cadere, eccitata per lo sfregamento continuo delle cosce contro il supporto di metallo. Anche Riccardo era arrapato, lo percepii dal ritmo del respiro che mi alitava sul collo, ma più di tutto dal palmo della mano che mi aveva appiccicato al culo.
   Avrei potuto scostarmi, spingerla via, ma non lo feci. Mi sentii gratificata dal contatto della sua mano, in fin dei conti era quello che auspicavo quando ero uscita di casa. A Riccardo fu sufficientemente chiara la mia disponibilità perché non si contenne dal farmi soltanto delle carezze. Approfittando dei continui sobbalzi dello scompartimento e della massa di gente che mi stava appiccicata tutt'attorno incominciò a palparmi il culo con maggiore insistenza. Tutt'a un tratto avvertii qualcosa molto di più consistente strusciarmi contro le natiche e non ebbi dubbi sulla natura dell'oggetto.
   Sbalordita per quanto mi stava accadendo mi ritrovai senza fiato, con il respiro che faceva fatica a uscirmi dalla gola per la troppa eccitazione. Ruotai più volte il capo all'indietro, nella direzione di Riccardo, e gli sorrisi come a volerlo rassicurare, complice ed eccitata da quei toccamenti.
   Incoraggiato dalla mia condotta Riccardo cominciò a esplorare il resto del mio corpo in maniera sempre più insolente approfittando dell'aggrovigliamento di persone che affollavano come sardine in scatola lo scompartimento. Infilò le braccia sotto le mie ascelle e si arrischiò a toccarmi tutt'e due le tette palpandole senza ritegno. Seppure imbarazzata lasciai che esplorasse il mio corpo senza ritrarmi, con addosso una dannata paura di essere scoperta dalle persone che ci stava d'intorno.
   Nella confusione provocata dai frequenti sobbalzi della carrozza nessuno sembrò fare caso a ciò che Riccardo stava facendo. Le sue mani seguitarono a esplorare il mio corpo mentre non stavo nella pelle per l'eccitazione. Smisi di girare il capo nella sua direzione e mi lasciai sfuggire dei mugolii di piacere senza riuscire a trattenerli.
   Avevo la fica in liquefazione e il clitoride che mi doleva per la trepidazione, mentre le gambe mi tremavano per il piacere che sapevano darmi le sue carezze. Ero sola con Riccardo in mezzo a un groviglio di gente e non riuscivo a capacitarmi di quello che mi stava succedendo.
   In prossimità della fermata di Via Contini il convoglio cominciò a decelerare. Il rumore prodotto dai freni della carrozza precedette di poco l'apertura della porta a soffietto che si spalancò davanti a noi. Molte persone abbandonarono lo scompartimento, altre salirono, e lo scambio di passeggeri fu rapido. Quando il convoglio riprese la corsa occupavo il medesimo posto, attaccata col pube all'asta metallica, poco distante dalla porta d'uscita. Riccardo stava alle mie spalle indaffarato a strusciare il cazzo contro le mie natiche.
   Il cuore sembrava uscirmi dal petto. Il martellamento sulla cassa toracica provocatomi dal battito cardiaco era possente. Ondeggiamenti e scossoni del convoglio si susseguirono accrescendo il piacere originato dallo sfregamento del cazzo sulle natiche. Cominciai a compiacere Riccardo assecondandolo nei movimenti, ruotando il bacino contro il cazzo, approfittando dei ricorrenti sobbalzi dello scompartimento.
   Avevo smarrito il controllo di me stessa e messo da parte ogni inibizione. Avrei potuto anche raggiungere l'orgasmo se avessi continuato a strusciarmi col culo contro il cazzo di Riccardo. Avevo voglia di venire in quel modo, ma preferii assecondare l'amico di papà in maniera diversa.
   Allontanai una mano dall'asta metallica cui mi tenevo ancorata con il corpo e la condussi dietro la schiena. Armeggiai con le dita attorno la patta dei pantaloni di Riccardo che a quel contatto non si ritrasse. Abbassai la lampo e faticando non poco mi ritrovai con il cazzo che mi oscillava nella mano.
   Avevo la fica satura dei miei umori che avvertivo spandersi lungo le cosce. Riccardo collocò la bocca a contatto della mia nuca e mi sussurrò delle parole all'orecchio, di cui non riuscii a comprendere appieno il significato a causa del rumore provocato dalla carrozza.
   - Toccami... toccami. - insisté a dire in modo sufficientemente chiaro.
   M'interrogai sul da farsi, avrei voluto accontentarlo e masturbalo, ma circondati com'eravamo da una folla di persone lo considerai troppo rischioso. Se ci avessero scoperti cosa sarebbe successo?
Invece di trattenermi dal farlo, non diedi ascolto alla ragione e incominciai a muovere la mano che stringeva il cazzo tutt'attorno.
   Avevo la fronte imperlata di sudore e la fica che stava facendo le capriole. Ero uscita di senno e non lo sapevo. Seguitai a masturbarlo nascondendo la mano sotto il trench senza che nessuna delle persone che ci stavano d'intorno si accorgesse di ciò che stavo facendo. Lo sentii venire in poco tempo e mozzare a fatica il respiro sul mio collo mentre più di uno schizzo di sperma mi riempiva la mano.
   Riccardo, piuttosto impacciato, risistemò il cazzo dentro la patta dei pantaloni sulla cui stoffa strofinai le dita imbrattate di sperma prima di ritrarle.
   Seguitammo a essere complici di quello strano amplesso fintanto che la motrice del convoglio rallentò la corsa in prossimità della stazione di Via Bernini, quella dove ero solita scendere per andare a scuola.
   - Non scendi a questa stazione per andare al liceo?
   - Lo vuoi davvero? - dissi guardandolo fisso negli occhi.
   - No.
   - Scendiamo, dai. - dissi.
   Il convoglio della ferrovia metropolitana arrestò la corsa alla stazione di Via Bernini. Quando la porta a soffietto si spalancò Riccardo mi prese per mano e mi trascinò sulla banchina. Lasciò che il flusso di persone si spostasse verso l'uscita della metropolitana prima di toccarmi. Mentre il convoglio da cui eravamo scesi riprendeva la corsa verso la stazione successiva mi spinse contro il muro e mi fu addosso.
   La sua lingua mi rovistò il palato e il pavimento della bocca. L'umido della sua saliva si mischiò con la mia e incominciò a colarmi sul mento. Quando da lì a poco uscimmo dalla stazione della metropolitana aveva smesso di piovere, le nuvole avevano fatto posto a una striscia di arcobaleno ed era una bellissima giornata.

 

 
 

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