GIOCHI DI LINGUA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

        Andavo a zonzo per le strade del centro, distratto nel guardare la roba esposta nelle vetrine dei negozi, quando ho incrociato Ilaria. D'improvviso mi ha preso una fitta al cuore. Quello che ho provato è stata un grande nostalgia, soprattutto per la sua fica. Lei non si è accorta della mia presenza. Era in compagnia di un uomo affascinante e mi ha colto una gran voglia di assaggiare anche lui, magari proponendole di scopare tutt'e tre insieme.

   In compagnia di Ilaria ho consumato le stagioni più belle della mia infanzia. Uno stradello di campagna separava i casolari delle nostre famiglie. Ho bene impresso nella memoria quando ci rincorrevamo nei campi di girasole o facevamo il bagno nei canali per l'irrigazione dei campi.
   D'inverno la nebbia confondeva il paesaggio intorno alle nostre case, ma anche la testa delle persone rintanate fra le mura domestiche in attesa che giungesse la primavera. 
   Quando in estate la scuola chiudeva i battenti, lasciando posto alle sospirate vacanze, io e Ilaria trascorrevamo le giornate sulle rive sabbiose del Po, distanti poche centinaia di metri dalle nostre abitazioni, illudendoci d'essere in vacanza sulle spiagge della Romagna.
   Le prime esperienze di sesso le ho fatte con Ilaria. I maschi, abituali nostri compagni di giochi, reclamavano che abbassassimo le mutandine in loro presenza, cosa che ci rifiutavamo di fare nonostante le minacce. Loro però non perdevano occasione per calarsi le brache e mostrarci il pisello. Lo menavano di continuo, emulando il modo di fare degli uomini fotografati sulle pagine patinate di qualche rivista pornografica che si premuravano di mostrarci per confonderci le idee.
   A quell'età uno dei nostri passatempo preferiti era il gioco della bottiglia. Solo in quelle occasioni permettevamo ai maschi di baciarci, anche se non trovavo piacevole ritrovarmi la lingua di ciascuno di loro infilata nella bocca. Specie quella di Giorgio che, dopo avere visto alla tivù un film sui vampiri, ingeriva di continuo spicchi d'aglio spandendo attorno a sé una puzza tremenda.
   I primi veri baci, a differenza delle mie coetanee, non li ho scambiati con un ragazzo, ma con Ilaria. E' accaduto durante le esercitazioni che mettevamo in pratica, con lo scopo di imparare a baciare, che mi sono innamorata di lei.
   - Ecco devi fare così. - diceva penetrandomi con la lingua nella bocca. - L'ho visto fare da mia sorella quando è in compagnia del moroso. E' importante che solletichi la mia lingua quando la incroci. Hai capito? Dai riproviamo.
   Abbiamo seguitato per lungo tempo ad allenarci scambiandoci baci bollenti. Mi piaceva farlo con Ilaria perché solo con lei provavo un certo prurito alla fica, cosa che non succedeva quando baciavo i maschi.

   Papà e mamma coltivavano un fondo agricolo con un contratto di mezzadria. Il contratto prevedeva la divisione degli utili tra proprietario del fondo e colono. Ci rimasi male quando, dopo tanti anni che occupavamo il medesimo podere, fummo costretti a trasferirci in un fondo agricolo distante una decina di chilometri dalla casa dove ero nata e cresciuta. Da poco avevo compiuto dodici anni e fui obbligata, mio malgrado, ad allontanarmi da Ilaria.
   Mi separai dalla mia migliore amica nel momento in cui stavo per diventare donna. Infatti, l'evento coincise con la comparsa delle prime mestruazioni. Il distacco fu shockante. Piansi per intere giornate pensando che non l'avrei più rivista, invece il destino, molti anni dopo, ha voluto farci di nuovo incontrare.
   A distanza di quindici anni da quel forzato abbandono un paio di anni fa mi è capitato di rivederla. L’incontro ha avuto luogo in un posto di sofferenza come l'ospedale dove svolgo la professione d'infermiera.
   Un dolore lancinante al fianco sinistro aveva costretto Ilaria a recarsi al Pronto Soccorso. - Colica al rene sinistro. - Fu quello che trovai scritto sul referto stilato dal medico che l'aveva visitata al P.S. Trattenuta per tutta la notte in osservazione nell'astanteria della Medicina d'Urgenza, la mattina seguente fu trasferita nel reparto di urologia dove tuttora presto servizio.
   Arrivò in reparto accompagnata dalla madre. Mi resi subito conto che era lei nonostante fossero trascorsi quindici anni da quando c'eravamo perse di vista.
   Il chirurgo che la sottopose a ecografia all'addome impiegò poco tempo a eseguire lo studio dei reni e degli ureteri. Rimasi accanto a lei per tutto il tempo dell'esame ecografico mantenendo una mano stretta alla sua per darle conforto.
   - C'è un piccolo calcolo nell'uretere di sinistra. - disse il medico dopo averle esplorato l'addome. - A monte si è formata una modesta idronefrosi. Bacinetto e calici del rene appaiono dilatati.
   - E' grave dottore? - disse Ilaria.
   - No. C'è da sperare che il calcolo scenda al più presto nella vescica e non produca infezioni.
   - Esiste una cura per facilitarne la discesa?
   - Bere acqua in abbondanza faciliterà la diuresi e l'eventuale movimento del calcolo verso il basso. Altrimenti interverremo in endoscopia per estrarlo.
   - Posso stare tranquilla?
   - Domani effettueremo un'altra ecografia di controllo poi decideremo sul da farsi.
   Dopo la visita accompagnai Ilaria alla stanza di degenza. La feci accomodare sul letto e rimasi a lungo in sua compagnia, rassicurandola, poi tornai a sbrigare il lavoro che avevo trascurato per dedicarmi a lei. Rivederla a distanza di 15 anni suscitò in me una piacevole sensazione di comunanza, anche se avrei preferito incontrarla in circostanze diverse da quella. In verità non avevo mai fatto nulla per rintracciarla, ma nemmeno lei mi aveva cercata.
   Ilaria aveva mantenuto intatta la primitiva bellezza. I capelli rossi, le lentiggini, il viso dolce e la pelle chiara la facevano assomigliare a una donna del nord dell'Europa. 
   I capelli avevano perso l'intenso colore rosso, infatti, si erano leggermente imbruniti perdendo di lucentezza. Me l'ero immaginata così quando, in alcune occasioni, mi ero persa a pensare a lei.
   Il giorno seguente, dietro disposizione del medico, le praticai un cateterismo vescicale. L'ecografia di controllo confermò la presenza del calcolo, ma prima di procedere all'estrazione si era reso necessario provvedere a una disinfezione della vescica.

   Ilaria stava coricata sul lettino ginecologico della sala di medicazione con le cosce divaricate. Manteneva le ginocchia appoggiate sopra gli alza gambe con la fica impudicamente esposta alla mia vista. 
   Mi tornarono alla mente certe immagini della nostra infanzia. Il cortile dei giochi, la legnaia, i compagni di scuola, la scoperta del sesso. Da lei avevo imparato a toccarmi per gioco la fica. In più di un'occasione l'avevo imitata esplorandomi con le dita la cavità fra le cosce senza capire il perché di quei gesti. 
   Mi ritrovai a disagio nel doverle praticare il cateterismo vescicale, che faceva parte del mio lavoro e non avrei potuto esimermi dal farlo.
   - Non ti farò del male. - dissi per rassicurarla.
   Allontanai con le dita i lembi delle labbra nascoste da sottili riccioli dorati. Rimasi sorpreso nel constatare la bellezza della sporgenza del clitoride che pareva sviluppato più del normale. Lo sfiorai con le dita quando avvicinai la punta della sonda al meato uretrale. Spinsi il catetere, un Fonley, dentro il condotto con molta delicatezza e la cosa mi eccitò. Raramente mi succedeva con le donne che sono solita cateterizzare. Nel momento in cui la punta del catetere raggiunse la vescica l'urina si riversò nella bacinella d'acciaio che avevo provveduto a disporre fra le cosce d'Ilaria. 
   L'urina non aveva un colore limpido, ma era abbastanza torbida per la presenza di pigmenti di sangue. Segno evidente che il calcolo, muovendosi lungo le pareti dell'uretere, aveva provocato delle microemorragie. Eseguii alcuni lavaggi della vescica con un liquido disinfettante, dopodiché non esitai a estrarre il catetere. 
   - Ti ho fatto male? 
   - No, sei stata molto brava. Sono stata fortunata ad averti trovata qui.
   - Eh, sì. - dissi lasciandomi sfuggire un sorriso di soddisfazione.
   - Ti piace fare l'infermiera?
   - Dà senso alla mia vita.
   - Hai il fidanzato? - chiese.
   - No, e tu?
   - Sì, fra non molto ci sposeremo.
   Rimasi delusa dalla sua risposta. Avrei sperato dicesse di no. L'aiutai a scendere dal lettino e l'accompagnai nella camera di degenza. Il giorno seguente il chirurgo la sottopose a indagine fibroendoscopica. Con un po' di fatica riuscì a trascinare il calcolo lungo l'uretere facendolo scivolare nella vescica e poi all'esterno.

   Ilaria rimase ricoverata in clinica per un'altra notte. Il giorno dopo l'intervento fu dimessa. La rividi la settimana seguente quando fece ritorno in clinica per eseguire un'ecografia di controllo.
   - Ciao, come stai? - chiesi.
   - Bene... bene.
   - Non hai più avuto disturbi?
   - Bevo tanta acqua e faccio la pipì allo stesso modo di una fontana. - disse sorridendo.
   - Meno male. E poi mi ha fatto piacere rivederti dopo tanto tempo.
   - E se una di queste sere andassimo a cena insieme, ti farebbe piacere? - disse sorprendendomi non poco. - Io e te da sole, senza maschi attorno, eh?
   - Oh, Sì, certo, senza maschi. - confermai.
   - Ti va bene venerdì sera? E' troppo presto?
   - Uhm... Va bene. Sì, dai.
   - A proposito, abiti in città? - chiese.
   - Sì, e tu?
   - Anch'io.
   - Hai già in mente un locale dove potremmo andare a cena?
   - Ne conosco uno dove preparano cose graziose della cucina francese. E' in Oltretorrente. Ti va?
   - Oh, sì, sono nelle tue mani. - soggiunsi e avrei voluto che fosse davvero così.
  
   I tavoli del ristorante dove andammo a cena erano popolati da giovani coppie. Le luci velate del locale contribuivano a conferire all'ambiente un tono soft particolarmente adatto alla conversazione.
   - Carino questo posto, mi piace.
   - Te l'avevo detto che ti sarebbe piaciuto.
   - Ci vieni spesso? - chiesi. 
   - Solo in particolari occasioni.
   Non mi sembrava vero di trovarmi lì con lei. Rinverdire i ricordi della nostra infanzia non era il solo motivo per cui avevo accettato l’invito a cena. Mi sentivo attratta dal suo corpo candido come il latte e soprattutto dalla sporgenza carnosa che custodiva sotto le mutandine.
   - Ti piace insegnare? - dissi dopo che mi ebbe confidato di fare l'insegnante. 
   - E' un lavoro come un altro, serve a mantenermi economicamente.
   - Non sembri troppo entusiasta.
   - Insegnare ai ragazzi delle medie è stressante. Mi piacerebbe insegnare al liceo.
   - Perché?
   - Lasciamo stare, è troppo complicato da spiegare, ma parlami di te piuttosto.
   - Di me?
   - Sì, di te.
   Avrei potuto raccontarle tante cose, molte delle quali l'avrebbero fatta arrossire, invece mi limitai a raccontarle delle bugie. Volevo fare colpo sulla sua persona, apparirle normale, ma ci riuscii soltanto in parte. Anche lei fece di tutto per apparirmi simpatica. Non tardai a capire cosa volesse da me: scoparmi. Esattamente la stessa cosa che desideravo io.
   - Perché non hai il fidanzato? - chiese rompendo gli indugi.
   - Sono in attesa della persona giusta. - risposi in modo ambiguo.
   La risposta sembrò rinfrancarla. Per tutta la sera seguitò a lusingarmi con dei complimenti. Io invece mi annullai per farla sentire importante. Terminata la cena decidemmo, di comune accordo, di raggiungere a piedi Piazza Garibaldi e sederci intorno a uno dei tavoli del Caffè Orientale.

   Fuori dal ristorante la serata era fresca, continuammo a ridere e scherzare raccontandoci aneddoti della nostra infanzia alcuni dei quali nemmeno li rammentavo.
   - Ricordi quando ti ho insegnato a baciare? Mamma mia quante volte abbiamo seguitato a farlo. Ricordi?
   Certo che lo rammentavo, il sapore della sua bocca era il ricordo migliore che serbavo di lei.
   - E ora hai imparato a baciare? - chiese facendosi seria.
   Avevamo quasi raggiunto il Ponte di Mezzo quando mi fece quella domanda. Arrestai il passo davanti al chiosco dell'edicola posta all'imbocco del ponte e mi rivolsi a lei.
   - Vuoi mettermi alla prova?
   - Sì. - rispose carezzandomi la guancia. - Vieni... - soggiunse.
   Mi prese per mano e mi condusse dietro il chiosco dell'edicola, lontano da sguardi indiscreti. Mi trovai con la schiena appoggiata a una delle serrande del chiosco. Ilaria mi fu addosso. Il suo corpo aderì al mio. Lasciò cadere le labbra sulla mia bocca e mi baciò.
   In quell'atto ci trovai tanta passione. Contraccambiai il gesto con la morbidezza della mia bocca. Nessuno avrebbe potuto vederci, nascoste com'eravamo dal muretto che faceva da argine al letto del torrente da un lato e al chiosco della rivendita di giornali dall'altro. Seguitammo a baciarci a lungo, eseguendo deboli movimenti delle labbra accrescendo il nostro desiderio, poi mi penetrò con la lingua. Lasciai che superasse l'arco dei denti dilungandosi a solleticare con la punta la mia lingua. Tenevo le cosce bagnate da prima che mi baciasse. Ilaria, tutt'altro che smarrita, posò le mani sui miei seni e cominciò a carezzarli.
   Avevo il cuore in gola per l'eccitazione. La situazione in cui mi ero venuta a trovare era stimolante. Lasciai cadere una mano sopra le sue cosce e risalii con le dita fino a raggiungere il bordo delle mutandine, poi le sollevai la gonna. 
   Unica barriera alla sua passera era il perizoma che evitai infilando le dita da sopra il pube, attraversando l'elastico, solleticandole labbra e clitoride. Seguitammo a toccarci a lungo. Ilaria ci sapeva fare. Era brava nel fare scorrere le dita sulla stoffa della mia camicetta strofinandomi i capezzoli senza desistere dal giocare con la lingua nella mia bocca.
   Eccitata com'ero mi prese una dannata voglia di impadronirmi del suo clitoride infilandolo fra le labbra. Mi scostai dal suo abbraccio e trascinai Ilaria contro la serranda del chiosco. M'inginocchiai ai suoi piedi e condussi a forza il perizoma fino a terra, poi glielo sfilai. Di proposito allargò le gambe. Fui lesta a infilare l'estremità del naso fra la fessura della vagina e inglobare il clitoride nella bocca. Il corpo erettile era fuori misura, perlomeno questa fu l'impressione che ne ricevetti quando cominciai a succhiarlo. Ilaria appoggiò le mani sul mio capo e lo attirò a sé.
   A quell'ora della notte soltanto pochi passanti transitavano sui marciapiedi diretti verso il ponte. Sentivo il rumore dei passi che si avvicinavano alla nostra postazione per allontanarsi subito dopo. Incuranti dall'essere scoperte seguitammo ad amarci.
   Andai avanti a leccarle il clitoride sino allo sfinimento. Lei raggiunse l'orgasmo più volte mentre le gambe le tremavano di continuo. A fatica riuscì a stare in piedi. Esausta si accucciò per terra e mi attirò a sé.
   - Andiamo... via di qua. - disse. 
   La seguii a casa e rimasi nel suo letto fino all'alba.

   Dopo quella sera riprendemmo a frequentarci. Purtroppo io non le bastavo, infatti, mi dedicava soltanto qualche ritaglio del suo prezioso tempo; troppo poco per tenermi legata a sé. Quando la costrinsi a scegliere fra me e il fidanzato preferì lui.
   Dalle sue labbra ho imparato nuovi giochi di lingua, in questo mi è stata grande maestra, non a caso è laureata in questa materia, ma ancora oggi mi è rimasta addosso tanta voglia di lei

 

 
 

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