Quando
il ragazzo con cui ero seduta in
una delle ultime fila del cinema Astoria
mi accarezzò le tette, mi scoprii priva
di qualsiasi difesa. Avevo quattordici
anni e mi credevo già matura mentre ero
soltanto una acerba ragazzina. Tutt'a un
tratto mi ritrovai con i capezzoli
turgidi, il respiro in affanno e la fica
bagnata fradicia. Un insieme di
sensazioni del tutto sconosciute per una
adolescente innocente come ero io a
quell'età. Mi divincolai dall'abbraccio
e scappai dal cinema rincorsa dal
ragazzo.
Se quella prima esperienza si
concluse in malo modo, dopo ne ebbi altre con ragazzi più agguerriti. A
ogni incontro mi sentivo smarrita di
fronte alla loro aggressività.
Ritrovarmi addosso le mani di chi,
abusando della mia ingenuità, ne
approfittava per palparmi ogni parte del
corpo mi metteva a disagio. Mi sentivo
umiliata nel dovermi sottomettere alle
loro voglie, ma nello stesso tempo mi
accendevo di calore per il piacere che
avvertivo nell'essere toccata dalle loro
mani.
Da ragazza, contrariamente
a quanto succede ora, non avevo
l’abitudine di carezzarmi le tette, né
tanto meno leccarmi i capezzoli. Di rado
praticavo l'autoerotismo. Quando
succedeva lo facevo
sotto la doccia mentre spargevo il
sapone sulla pelle e accarezzavo le
parti più intime del mio corpo.
Rimasi sconcertata nel
constatare quanto piacere sapevo
procurami spremendo i capezzoli e
introducendo le dita nella vagina, ma
evitavo di farlo troppo spesso anche se
masturbarmi mi dava molto piacere.
Esercitare pratiche autoerotiche mi
lasciava addosso una sensazione di
sporcizia. Colpa dell'educazione
cattolica che avevo ricevuto dai miei
genitori, poiché la religione reputava
la masturbazione al pari di un atto
contrario alla natura umana. Però mi
piaceva toccarmi!
A differenza delle mie
coetanee a diciotto anni ero ancora
vergine, sebbene non disdegnassi
masturbarmi. Nemmeno ero consapevole del
bene prezioso che custodivo fra le cosce
e soprattutto nel fondoschiena. Occorse
parecchio tempo prima che riuscissi a
sconfiggere le paure che mi portavo
addosso. Non era avversione per gli
uomini quella che mi tratteneva
dall'avere rapporti completi con l'altro
sesso, bensì il timore di rendere
manifesta l'indole perversa che
albergava dentro di me.
Quando un uomo condusse a
forza la mia mano sopra il suo cazzo
rimasi sorpresa dalla consistenza di
quel rotolo di carne. Scostai le dita
spaventata perché non immaginavo che
potesse raggiungere simili dimensioni.
Mi riusciva difficile concepire che un
gingillo di tale dimensioni potesse
infilarsi nella mia vagina senza
produrmi dolore.
Superato l'iniziale
sconcerto mi diedi da fare masturbando i
miei occasionali spasimanti. Mi piaceva
fare delle seghe, ne sparavo una dopo
l'altra, fintanto che il cazzo si
afflosciava inerme ed era quanto di più
eccitante potesse accadermi nel periodo
della mia adolescenza.
Ai ragazzi permettevo di
baciarmi e carezzarmi le tette ma a
nessuno acconsentivo di toccarmi la fica,
tanto meno di scoparmi. Mi piaceva fare
delle seghe, questo sì, ma rifiutavo di
succhiarglielo. Avvertivo repulsione al
solo pensiero di doverlo fare. Andavo
invece da sballo nel dare ascolto ai
tremori dei corpi dei maschi quando
eiaculavano imbrattandomi le dita di
sperma. A tutti davo l'impressione
d'essere disinibita, aperta a qualsiasi
esperienza, ma non la ero per niente.
Quando ho perduto la
verginità, cedendo alle insistenze di
Lorenzo, colui che in seguito è
diventato mio marito, la mia vita è
cambiata in modo radicale. Avevo
vent'anni e rispetto alle mie coetanee
mi consideravo una ritardata sessuale.
E' stato lui a iniziarmi a
un certo tipo di masturbazione
obbligandomi a praticarla in maniera
regolare. Gli piaceva guardarmi mentre
umettavo le dita di saliva e carezzavo
la fica articolando parole che lui
stesso mi suggeriva.
Mostrarmi con le gambe
spalancate, affaccendata a masturbarmi,
lo eccitava da stare male. A Lorenzo
piaceva mostrasi nudo, con il cazzo in
erezione e lo sguardo rivolto alla mia
fica, indecentemente esposta, senza
chiedere in cambio null'altro che
assistere ai miei piaceri solitari.
La sua non era soltanto una
provocazione. Un disegno gli frullava la
testa e lo ha perseguito con rigore.
Quello a cui mirava era di farmi
crescere sessualmente. L'ho capito molto tempo dopo e adesso
gliene sono grata.
Dopo molte resistenze
accettai che mi leccasse la fica.
All'inizio provai vergogna. La fessura
era la stessa da cui facevo la pipì e
ciclicamente m'insudiciavo di mestruo.
Mi riusciva difficile pensare che
qualcuno potesse anche leccarla. Mi
rassegnai a lasciarmi sfiorare i
genitali dalla sua lingua, pur sapendo
che subito dopo l'avrebbe usata per
baciarmi. Trovavo degradante ciò che
faceva, specie quando cominciò a
leccarmi il buco del culo.
Succhiava e leccava culo e
fica in maniera scomposta, senza
concedersi un attimo di pausa per
respirare, consumandosi nella frenesia
di godere e farmi godere.
Superata l'iniziale
ritrosia cominciai ad apprezzare il modo
in cui si prendeva cura dei miei
genitali. A ogni orgasmo la testa
sembrava scoppiarmi. Tremavo in tutto il
corpo e urlavo… urlavo, sempre più
forte. Incurante
delle mie urla Lorenzo si dannava
l'anima nel succhiarmi il clitoride fino a
farmi stare male. A nulla serviva che lo
implorassi di smettere. Non voleva
saperne di sospendere l'azione della sua
bocca. Premeva le labbra ancora più
forte attorno al bocciolo erettile che
sporgeva dalla fica infischiandosene
delle mie suppliche.
Spompinarmi in quel modo
rude lo faceva godere più di una
qualsiasi scopata, almeno così pensavo.
Col trascorrere dei mesi mi ritrovai
asservita alle sue fantasie erotiche. Il
mio corpo si trasformò in uno strumento
esclusivo su cui scaricare il piacere
sessuale. Ero succube di Lorenzo e
incapace di ribellarmi. Il cazzo
scorrazzava in ogni anfratto del mio
corpo. La bocca si nutriva di ogni
liquido e sostanza che producevo.
Essere scopata in bocca
diventò, col trascorrere del tempo, uno
dei piaceri più graditi che mio marito
sapeva offrirmi. M'insegnò a tenere le
labbra socchiuse durante questa pratica.
Esercitare una leggera pressione attorno
al cazzo, che a fatica scorreva dentro e
fuori alla bocca, lo faceva godere di più
e col tempo imparai a trarre godimento
dal sapore di piscio e dello smegma di
cui era impregnata la cappella.
Riempirmi la gola di sperma era la
ricompensa che ricevevo per l'impegno
che ponevo nel succhiarglielo, il cazzo.
Lorenzo con la sua pazienza
riuscì a fare emergere un lato oscuro
del mio carattere che nemmeno conoscevo.
Soddisfare ogni suo bisogno divenne per
me imperativo. Seguitai a farlo fintanto
che un giorno mi propose di appagare
oltre ai suoi bisogni, anche quelli di
altri partner, e io accettai.
*
* *
Il Blu Nuit è una ex balera ubicata
nel comune di Busseto poco distante dall'argine
del Po. Io e Lorenzo vi
facciamo visita il sabato sera quando a
una certa ora il locale si riempie di coppie in
cerca di forti emozioni.
Un pavimento sistemato ad acquario
occupa la pedana al centro del privé
dove uomini e donne vi salgono sopra per
ballare e per mettere in atto spettacoli
che hanno per tema lo scambio di coppie.
Carponi, sulla spessa copertura di
vetro, completamente nuda, sto immobile,
col culo bene in mostra, in attesa che
uno qualsiasi degli uomini seduti ai
tavoli decida di gettarsi su di me.
Ciascuno dei miei capezzoli regge una
molletta messa lì da Lorenzo per
infliggermi sofferenza fisica e
altrettanto piacere. Una moltitudine di
pesci esotici, dalle squame colorate, si
muove fra le piante acquatiche e le
rocce, in un ambiente vagamente esotico
ricreato artificialmente nell'acquario,
che fa da pavimento sotto di me.
Sono numerose le persone
sedute ai tavoli intorno alla pedana. Ne
colgo i sospiri, i gemiti, le parole
sommesse e la cosa mi eccita. Lo show di
cui sarò una dei protagonisti avrà
inizio fra non molto, e io sono pronta a
godere di quanto la serata saprà
offrirmi.
Il colpo di frusta giunge
sulla mia schiena violento e
inaspettato. La corda mi schiocca sulla
pelle spezzando il brusio di voci che
gravita intorno a me. Inarco il dorso
della schiena e scrollo il bacino. Dalla
bocca mi esce un vibrato lamento. Giro
il capo nella direzione del mio
fustigatore e digrigno i denti come una
pantera ferita.
L'uomo, per nulla
intimorito dal mio sguardo, mi allenta
un secondo colpo di frusta. La grossa
catena metallica, congiunta al collare
di cuoio, con incastonate delle pietre
preziose che Lorenzo mi ha sistemato
attorno al collo, mi tiene ancorata alla
pedana.
Anche stavolta non sono
riuscita a scostarmi. Sono asservita al
suo potere e alle sue pretese, vittima
sacrificale e felice d'esserlo. L'uomo
si sposta sulla pedana fintanto che me
lo ritrovo di fronte. Il capo è
protetto da un cappuccio nero. La sua
altezza è inferiore alla media. Mostra
una corporatura massiccia frutto di un
possente lavoro di pesi eseguito in
palestra. Le maniche della camicia,
arrotolate sopra ai gomiti, lasciano
vedere le braccia compatte su cui
distinguo dei tatuaggi raffiguranti
corpi di donna congiunti fra loro con
disegni di lacci e catene. Una fascia
sottile di pelle di coccodrillo, usata
come cinghia, gli sostiene i pantaloni
ampi e consumati. Nella mano tiene
stretto un bastone alla cui estremità
è fissata una corda intrecciata che
sbatte con energia nell'aria e fa
scoccare rumorosamente.
Il pavimento ad acquario
delimita l'area entro la quale posso
muovermi. L'unico elemento d'arredo della scena è
un consumato divano di pelle nera.
Non sono imprigionata
dentro una gabbia metallica come accade
a certi felini pericolosi che si
esibiscono al circo, ma l'uomo che mi
sta davanti si comporta da autentico
domatore e la bestia che deve rendere
mansueta sono io.
Stasera il locale è
stipato di persone all'inverosimile.
Dalla mia postazione non riesco a vedere
i volti dei clienti seduti ai tavoli
intorno a me. Mi muovo gattoni sul
pavimento per raggiungere il divano.
L'uomo afferra la catena che ho
attaccata al collo e mi trascina al
centro della pedana. Un calcio sul
fianco mi fa cadere. Un altro
colpo, assestato con maggiore veemenza,
mi persuade a rimanere supina sul
pavimento dell'acquario. Divarico le
cosce più che posso e metto in mostra
la fessura della fica, determinata ad
appagare le voglie dell'occasionale
partner che ho di fronte.
Stasera, prima di
presentarmi al Blu Nuit, ho provveduto a
radermi con cura i peli intorno alla
fica affinché appaia lucida e bagnata
alla gente che mi sta d'intorno in
momenti come questo.
Considero il mio corpo come
un bottino da saccheggiare. Ma il bene
prezioso che custodisco fra le cosce, la
vagina, continua a essere un privilegio
esclusivo di mio marito. Il culo invece,
d'accordo con Lorenzo, lo metto a
disposizione di uno qualsiasi dei
convenuti che abbia voglia di
sodomizzarmi.
E' consuetudine del locale,
ogni sabato sera, dare la possibilità
ai clienti di esibirsi sulla pedana. Una
coppia viene scelta a caso fra quelle
disposte a esibirsi e stasera è toccato
alla sottoscritta e a Lorenzo. Fare sesso sulla
pedana, ammirati da uno stuolo di
persone, è una droga di cui né io
né lui sappiamo fare a meno. Scopare in
pubblico, mentre qualcuno mi sodomizza,
è quanto di più eccitante può
capitarmi.
D'improvviso Lorenzo fa
capolino sulla pedana. Allontana con un
braccio il domatore. Gli strappa dalla
mano lo scudiscio e glielo sbatte sul
volto. Smette di picchiarlo soltanto
quando vede l'uomo accucciarsi. Solo
allora si libera dei vestiti e mi
trascina sul divano.
Il suo sguardo sfiora la
mia pelle. Sono eccitata e non vedo
l'ora di essere scopata. Non c'è
bisogno di mettere in atto alcun preliminare. Ho la fica
umida e il cazzo di Lorenzo tradisce la
necessaria vitalità.
Mi libera dal collare e
dalla catena che m'impedisce di muovermi
liberamente. Si mette seduto sul divano
e gli sono sopra. Colloco il bacino
sulle sue cosce e resto immobile col
busto eretto davanti a lui. A un suo
cenno sollevo i fianchi e infilo il
cazzo nella fica. Sono consapevole
d'avere su di me gli occhi delle persone
sedute ai tavoli. Lorenzo e io ci
eccitiamo allo stesso modo quando siamo
spettatori e guardiamo le altre coppie
esibirsi sulla pedana, ma ancora di più
quando ne siamo protagonisti.
Ho le tette gonfie e
l'estremità dei capezzoli sporgenti.
Lorenzo posa le mani sui miei fianchi.
Accompagno i movimenti del bacino con i
suoi gesti. Da quella posizione il cazzo
raggiunge il massimo della profondità
nella fica sfiorando con la cappella il
fondo. Incomincio a ruotare le natiche
compiaciuta dal complesso di ingredienti
che concorrono a rendere esaltanti
questi momenti.
Le mani di Lorenzo mi
attanagliano le tette. Levo le mollette
da bucato che tengo salde ai capezzoli e
lui li accarezza. Scivolo da una
condizione di dolore a una di più
gradevole sollievo e benessere.
Cavalcare il suo cazzo è un piacere
unico.
Piego ad arco la schiena e
scivolo con il corpo sul torace di
Lorenzo arcuando il culo verso l'alto.
Le dita di una mano mi
sfiorarono il buco del culo. Dalla mia
posizione non riesco a vedere chi ho
dietro, ma so bene chi è costui e cosa
sta accingendosi a fare.
Il cazzo mi penetra il culo, attraversa l'anello dell'ano,
e risale nell'intestino. L'uomo che sta
alle mie spalle compie l'atto con molta
delicatezza, contrariamente alle sue
rozze apparenze.
Dentro il mio corpo si
muovono due cazzi separati fra loro da
una sottile membrana di pelle. La
sofferenza fisica è bilanciata dal
piacere che provo nell'essere scopata
nel contempo da due uomini. Gli
spostamenti dei cazzi sono incerti ma
efficaci. Lorenzo e il nostro ospite
impiegano un po' di tempo ad armonizzare
i movimenti. Infine giungono ad
accordarsi fondendosi come gemelli
dentro di me.
I movimenti dei cazzi sono
lenti, tondi, sfumati. Spostamenti
inconsulti li avrebbero fatti uscire
dalle cavità in cui a fatica sono
alloggiati. Urlo di piacere quando
raggiungo un primo orgasmo. I miei
ospiti, incoraggiati dal modo in cui
l'ho manifestato, non cessano di
scoparmi. Gli orgasmi si susseguono uno
dopo l'altro fintanto che il misterioso
ospite, piazzato alle mie spalle, si
stacca dal mio culo e schizza lo sperma
sulla mia schiena, perlomeno questa è
la mia percezione.
Lorenzo resta solo a
scoparmi. Accelera i movimenti
dannandosi l'anima senza riuscire a
darmi lo stesso piacere che ho provato
qualche istante prima quando c'era anche
l'altro a scoparmi. Rialzo il busto e
poso le braccia sul petto di mio marito.
Gli strizzo i capezzoli e abbozzo a
muovere le anche stringendo le pareti
della vagina attorno alla cappella che
continua a entrare e uscire dentro di
me.
Nel momento in cui Lorenzo
incomincia a tremare smetto di muovere
il culo e mi stacco dal suo corpo.
Afferro il cazzo nella mano e infilo la
cappella nella bocca spandendo lo sperma
nella gola.
Il flusso di liquido
lattiginoso è continuo e sembra non
debba mai terminare. Deglutisco gran
parte del fluido prima di leccare le
residue tracce di sperma sulla cappella.
Lorenzo si rialza e si mette seduto
accanto a me. Lo bacio e abbandoniamo la
pedana ricca di pesci dai molteplici
colori. Uno sciame di applausi
accompagna la nostra uscita di scena.
*
* *
Sono trascorsi parecchi mesi dall'ultima
volta che mi sono resa protagonista di
una esibizione sulla pedana del Blu Nuit.
Io e Lorenzo non abbiamo mai cessato di
coinvolgere altre coppie nei nostri
giochi amorosi. Durante uno di questi
incontri ho conosciuto Tania, una slava
dagli occhi di ghiaccio, e mi sono
pazzamente innamorata di lei. Siamo diventate
amanti e c'incontriamo di nascosto dai
nostri rispettivi mariti. L'amore
saffico è diventato l'unica ragione
della mia vita. Sono una gran puttana,
ma voi lo avevate già capito. Vero?
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