LA FELICITA' STA
 NELL'IGNORANZA DELLE COSE

di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
  
A
gnese non aveva l’abitudine di allontanarsi dalla propria abitazione, perlomeno non per lungo tempo. Limitava gli spostamenti effettuando brevi passeggiate nel parco, inoltre ogni mattina raggiungeva il discount, distante un solo isolato, per fare la spesa, mentre il pomeriggio lo impegnava lavorando d'uncinetto, comodamente seduta sul divano, davanti al televisore. La domenica saliva sull'autobus, smaniosa di recarsi a pranzo da uno dei tre figli, trattenendosi tutto il pomeriggio ad accudire i nipoti mentre i genitori, liberi da impegni, uscivano di casa per andare a distrarsi.
   Dopo che era rimasta vedova raramente le era accaduto di allontanarsi per più giorni dalle mura domestiche. Tutta l'esistenza l'aveva trascorsa a fianco del marito, accudendo i figli, e provvedendo alle faccende domestiche. L'ultima volta che si era allontanata dal paese era accaduto, anni addietro, in occasione di una gita turistica a San Marino organizzata dalla parrocchia. C'era andata in compagnia di un gruppo di anziani, gli stessi con cui era solita trascorrere le serate del sabato giocando a tombola al circolo Anspi della parrocchia del Buon Pastore.
   Durante la gita aveva presenziato a una dimostrazione di pentole e tegami da cucina la cui azienda produttrice aveva provveduto a sponsorizzare il viaggio in pullman. Gli agenti venditori, approfittando del suo candore, l'avevano circuita convincendola ad acquistare un'intera batteria di pentole e tegami. Recipienti che giacevano inutilizzati nella credenza della cucina dove li aveva riposti fra i mugugni del marito.
   Dopo quella sfortunata circostanza non aveva più voluto saperne di partecipare a nessun'altra gita, e nemmeno si era interessata alle offerte d'acquisto che comparivano quotidianamente sulle reti commerciali delle emittenti televisive.
   Agnese era una donna d'indubbia fede religiosa e del suo credo ne aveva fatto una ragione di vita. Il suo più grande desiderio era di recarsi, prima o poi, in pellegrinaggio a Lourdes, ma non era mai riuscita a realizzare il sogno che le stava tanto a cuore. Nella stanza da letto, sopra il comodino, accanto alla foto del defunto marito, racchiusa dentro una cornice di madreperla, trovava posto una statuetta di plastica raffigurante la Madonna di Lourdes.
   Il prezioso cimelio, colmo d'acqua benedetta, era una fedele riproduzione della statua originale collocata nella grotta di Lourdes. Era lì che la misteriosa Signora era apparsa a Bernadette. La statuetta le era stata portata in dono dalla vedova Martini quando, a suo tempo, si era recata in pellegrinaggio nella cittadina francese. Da allora erano trascorsi dieci anni. La boccetta di plastica trasparente, piena del prezioso liquido, giaceva come una reliquia sul comodino. Agnese aveva avuto la tentazione di bere la preziosa bevanda in più di una occasione, desistendo dal farlo ogni volta all'ultimo istante, convinta che il liquido fosse una sostanza soprannaturale da non sprecare. Non lo aveva consumato nemmeno in occasione della malattia che aveva colpito Gino, suo marito, quando un tumore alla vescica se l'era portato via in pochi mesi lasciandola da sola dentro casa.
   Agnese venerava la statuetta di plastica carezzandola ogni sera, prima di coricarsi a letto, riempiendola di baci. In crisi mistica si convinse che non avrebbe mai bevuto l'acqua contenuta nella statuetta.
   La primavera scorsa, alla rispettabile età di ottant’anni, Agnese si era di nuovo invaghita di un uomo. Alta poco più di un metro e cinquanta, seni cadenti, pube privo di peli e una dentiera nuova di zecca, ormai in età da ricovero in qualche casa di riposo, aveva sentito impellente il bisogno d'amare e condurre il resto della vita in modo sereno accanto a un uomo.
   Nella sua esistenza era stata posseduta e amata da un solo uomo: Gino, suo marito, cui aveva dedicato tutta se stessa. Congiungersi anima e corpo con un altro uomo era diventato il suo pensiero fisso. Il nuovo parroco, un prete non più giovane ma ancora piacente, chiamato dal Vescovo a svolgere l'attività pastorale nella parrocchia del Buon Pastore era diventato l'obiettivo su cui riversare le proprie aspettative amorose.
   Tutte le mattine, all'alba, in compagnia di una decina di donne anziane come lei, assisteva alla celebrazione della Santa Messa officiata dal prelato con cui aveva preso l'abitudine di confessarsi almeno due volte alla settimana. In una di queste occasioni, al riparo della grata, gli aveva confessato la sua pena d'amore.
   Il parroco, sorpreso dalla dichiarazione d’amore della donna, conscio della demenza senile che l'affliggeva, l'aveva rincuorata sostenendo che i pensieri impuri che la tormentavano erano generati dal Demonio. L'aveva persino ammonita dicendole che fare l'amore alla sua età era cosa peccaminosa, solo la preghiera avrebbe potuto liberarla da questa insana voglia.
   Quella stessa sera, a letto, in un momento di lucidità, Agnese aveva guardato il ritratto del marito sistemato sul comodino per trarne conforto. La statuetta della Madonna stava lì, col suo contenuto purificatore. Si convinse che era giunto il momento di bere l'acqua racchiusa nella boccetta.
   Furono sufficienti poche sorsate per svuotarla, dopodiché Agnese si addormentò. Durante la notte fu colta da lancinanti dolori all'addome. Solo all'alba decise di comporre sulla tastiera del telefono il numero del 118. Il medico che la visitò ne dispose l'immediato ricovero in ospedale. Qualche giorno più tardi l'anziana donna cessò di vivere per le complicanze di una salmonellosi provocatale dall'acqua custodita nella statuetta di plastica.

 

 
 

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