LA VERITA' DELLE COSE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

    La notizia della morte di Stefania era giunta in clinica come un fulmine a cielo sereno. Le indagini condotte dai funzionari della squadra mobile avevano attribuito il decesso a un gioco erotico condotto sino alle estreme conseguenze. Chi conosceva Stefania aveva reputato inverosimile la versione divulgata dall'autorità giudiziaria, reputando che la ragazza fosse rimasta vittima della violenza di un maniaco sessuale, e incapace di mettere in atto il tipo di perversione attribuitole da magistrati e polizia.
   L'ultima persona ad avere interloquito con Stefania, prima del ritrovamento del cadavere, era stata Francesca. La sera del decesso si erano incrociate al cambio turno. Effettuate le consegne si erano salutate senza troppe smancerie. In quei brevi istanti Francesca non poteva certo immaginare che l'avrebbe rivista l'indomani, distesa in una bara, col collo marchiato da una profonda incisione bluastra.
   A distanza di dodici mesi dalla scomparsa di Stefania nessuno in clinica osava parlare della collega, tanto meno del gioco erotico di cui era rimasta vittima, sennonché l'inusuale morte dell'amica aveva colpito la fantasia di Francesca all'oscuro di quella pratica erotica.

* * *

   Le 10.00 di sera erano trascorse da qualche minuto quando Francesca, terminato il turno di lavoro, abbandonò la clinica. Nello spogliatoio si ritrovò in compagnia di altre due infermiere del reparto di cardiologia. Le salutò e si liberò della divisa mentre le due colleghe seguitavano a scambiarsi opinioni sul tipo d'intimo che avevano indosso.
   La più alta delle due indossava un perizoma in pizzo nero, trasparente, con disegnati dei petali di fiori che ne velavano il pube. Una sottile cordicella le scendeva nel fondo schiena, infilandosi nella fessura fra le natiche, mettendo in rilievo un culetto davvero non male. Due laccetti disposti ai fianchi conferivano all'intimo un aspetto sbarazzino. Il reggiseno in pizzo nero, con lo stesso disegno del tanga, le avvolgeva le tette dal cui bordo superiore risaltavano i contorni a semicerchio dei petali ricamati.
   Scorgendo addosso alla ragazza quel particolare tipo di lingeria Francesca si ricordò di quando un anno addietro si era ritrovata, nel medesimo spogliatoio, a cambiarsi d'abito in compagnia di Stefania. In quella occasione si era sorpresa nello scorgere l'amica con indosso un capo di biancheria intima particolarmente piccante, lei che era solita vestire in maniera sobria e castigata.
   Scherzando le aveva domandato chi era l'uomo con cui aveva appuntamento. Stefania le aveva sorriso lasciandole inappagata la curiosità, senza svelare quali fossero le sue reali intenzioni, affermando che aveva indossato quei capi di lingeria per piacere a se stessa. 
   A distanza di parecchi mesi dagli accadimenti che avevano condotto Stefania alla morte, Francesca sapeva per certo qual era il segreto che l'amica si era portato con sé nella tomba.

   La Via Emilia era popolata da un grande numero di autovetture che si muovevano frettolosamente in entrambi i sensi di marcia. Francesca manteneva una mano sul volante e l'altra sul pomello del cambio. Non aveva fretta di fare ritorno a casa, ma aveva solo voglia di vivere la notte, d'incontrare persone e subire i corteggiamenti di uomini e donne. Sulla pelle aveva un intimo che era uno schianto, del tutto simile a quello indossato da Stefania la sera in cui era morta. In quella occasione, incrociandola nello spogliatoio della clinica, le aveva chiesto, in modo scherzoso, chi era l'uomo con cui aveva appuntamento.
   Nel pub dove mise piede per trascorrere il resto della serata c'era una bolgia da inferno. Prima di consacrarsi alla pratica di auto erotismo che aveva pensato di mettere in atto una volta tornata a casa propria, desiderava raggiungere uno stato di eccitazione assoluto.
   Floriana, compagna di molte serate, vedendola arrivare, le fece cenno di accomodarsi al tavolo che occupava con altre persone. Si scambiarono un doppio bacio sulle guance poi l'amica si complimentò con lei.
   - Wow! Sei strafiga stasera.
   Francesca annusò la pelle dell'amica e non ne rimase stupita nel trovarla ancora una volta appetibile.
   - Ti piaccio vestita così? - disse Francesca.
   - Sei meravigliosa. - confermò l'amica.
   Si accomodò al tavolo dove avevano trovato posto degli uomini sposati spocchiosi e con le tasche piene di soldi. Uomini all'apparenza spregiudicati, ma la trasgressione per ognuno di loro era soltanto un mito da ostentare a parole, difficile da mettere in pratica. Francesca detestava ognuno di loro, però si divertiva tutte le volte che stava in loro compagnia a fargli annusare l'odore della figa senza concedergliela. 
   Trascorse il resto della serata sorridendo alle divertenti battute degli uomini, ma in cuor suo era annoiata. Quando a una certa ora della notte, decise di fare ritorno a casa, uno del gruppo di uomini fu lesto a offrirsi d'accompagnarla alla macchina con la speranza di rimorchiarla. Nell'area adibita a parcheggio delle automobili l'uomo le cinse un braccio attorno alla vita. Francesca lo lasciò fare anche quando lui prese a strusciarsi contro una delle tette mentre camminavano.
   Tutt'a un tratto si ritrovò con la schiena calcata contro la portiera di un'automobile, con il cazzo puntato contro l'addome e le mani dell'uomo appiccicate alle natiche per attirarla a sé.
   Francesca percepì lo stato di massima eccitazione del suo accompagnatore. Lasciò che le labbra dell'uomo si accostassero alle sue respingendo il gesto della penetrazione della lingua nella bocca. Riuscì a divincolarsi nel momento in cui le mani dell'uomo le scivolarono sotto la gonna per raggiungere le mutandine. 
   Liberatasi dell'abbraccio che la teneva bloccata contro la portiera dell'automobile fuggì via. Trovò rifugio nella sua Mini Cooper prima di cedere alla tentazione di capitolare in modo definitivo. Era eccitata, con la figa bagnata fradicia e una grande voglia di godere. Ma da sola.
   Abbandonò l'uomo sul terreno del parcheggio, senza curarsi delle suppliche messe in atto per trattenerla. Lo salutò con un sorriso e un cenno della mano, dopodiché si allontanò. Poco dopo era a casa.

   Le note del pianoforte di Susanne Ciani diffondevano nel salotto le note di una musica delicata. In piedi sul divano, con solo le autoreggenti addosso, iniziò a masturbarsi. La luce soffusa di un'abat-jour illuminava l'ambiente. Era un tipo d'eccitamento voluttuoso il suo, diverso da quello che era abituata a avvertire quando faceva l'amore con uomini o donne.
   Era convinta che il piacere maggiore si sarebbe determinato nell'attimo in cui, prossima all'orgasmo, lo stiramento del midollo spinale avrebbe stimolato tutte le terminazioni nervose; soprattutto quelle che determinano l'acme del piacere sessuale. Al mattino, prima di uscire di casa per andare al lavoro, aveva preparato tutto il materiale con meticolosa cura, procurandosi dal ferramenta la grossa corda con cui avrebbe cinto il collo, ma non poteva immaginare che il tutto si sarebbe concluso in maniera infausta come già era accaduto a Stefania prima di lei.

   Quando aprì le palpebre aveva perso la nozione del tempo. Gli oggetti le apparivano sfumati, la testa le girava, ed era terribilmente debole. Avrebbe voluto parlare ma le parole non le uscivano dalle labbra. La lingua era intorpidita e secca. Quasi non la percepiva sua. Un forte dolore al collo le rendeva impossibile ruotare il capo. Riconobbe il locale dai monitor e dalle apparecchiature di rianimazione che la circondavano. Si convinse che doveva trattarsi di una sala di terapia intensiva.
   - Come va? - chiese una voce che intuì esserle famigliare.
   Si sforzò di rispondere ma perse di nuovo conoscenza. Si risvegliò più tardi, stavolta però fu in grado di distinguere l'ambiente che le stava d'intorno e si fece delle domande.
   Da quanto tempo era lì? Che cosa le era successo? L'unica cosa che ricordava era un soffitto che cedeva sotto il peso del proprio corpo ed i calcinacci le cadevano sulla sua testa, insieme alla corda che le cingeva il collo, nient'altro.

 

 
 

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