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IL
SIGNORE DELLE RANE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
Dopo
la notte trascorsa in clinica ad
accudire pazienti, perlopiù in fase
terminale, ero priva di
energie. Uscendo dalle mura dell’ospedale non
vedevo l'ora di raggiungere la mia
abitazione,
coricarmi sul letto, e addormentarmi.
L'alba era spuntata da poco
quando bloccai l'auto davanti alla porta
basculante del garage. Stavo salendo
gli scalini che dalle cantine conducono
ai piani superiori del palazzo quando,
d'improvviso, mi trovai di fronte alla
figura di Franco, uno dei condomini.
La nostra amicizia risaliva
nientemeno che ai tempi in cui tutt'e
due eravamo bambini. Suo padre e il mio
condividevano il medesimo hobby per la
pesca e costringevano le nostre famiglie
a trascorrere le domeniche, specie
d'estate, in riva ai fiumi per
soddisfare la loro passione sportiva.
A quel tempo Franco aveva
una passione a dir poco maniacale per le
rane, infatti, mentre suo padre e il mio
pescavano lui trascorreva l’intera
giornata ad catturarle. Ogni domenica
sera sulle tavole delle nostre famiglie
non mancavano mai i piatti di rane
fritte: quelle che lui aveva catturato durante la giornata.
Era abile nel catturare quei piccoli anfibi. Lo faceva
servendosi delle mani, scandagliando gli
anfratti nelle
rive dei fiumi e dei canali.
Quando agguantava una rana la tramortiva
spiaccicandole una botta in testa,
dopodiché si affrettava a collocarla
nel cesto di vimini che reggeva tracolla.
Avevo poco più di dieci
anni quando, in riva al fiume, fui
protagonista di un episodio divertente
congiuntamente a lui.
- Senti che pelle liscia ha
questa rana. - disse porgendomi uno
degli animaletti appena catturato.
Il colore maculato della
rana era tra il verde e il nero. Sfiorai
il dorso dell'animale con le dita, ma al
contatto l'anfibio spiccò un salto e
s'inabissò nell'acqua sottostante.
Franco si mise a ridere burlandosi di me
per la paura che mi aveva colto, poi mi
spruzzò dell'acqua sul viso e riprese a
dare la caccia agli animaletti.
Rimasi a osservarlo mentre
si adoperava con le mani a scandagliare
le acque del fiume nella sua occupazione
preferita. Tutt'a un tratto si avvicinò
con fare sospetto nella mia direzione.
Nelle mani nascondeva qualcosa di
misterioso che mi rovesciò sulla pelle
dell’addome attraverso l'elastico
delle mie mutandine. Gli esseri animati
che mi riversò addosso, ingabbiati dal
tessuto del costume da bagno,
incominciarono a muoversi come impazziti
alla ricerca di una via d'uscita,
infilandosi persino nella fessura della
passerina.
Incominciai a gridare
spaventata attirando l'attenzione di mia
madre che si premurò di accorrere in
mio soccorso. Vedendomi in balia di una
crisi di pianto si informò con Franco
su quanto era successo, allora le
indicai le mutandine e lei si affrettò
ad abbassarle.
La moltitudine di girini
imprigionati sotto l'elastico delle
mutandine si riversò sulla sabbia.
Mamma e le altre persone giunte in mio
soccorso si misero a ridere. Io soltanto
seguitai a piangere.
Il ricordo di quello
stupido scherzo emerse nella mia
mente come spesso mi succedeva quando
incontravo Franco, e la cosa mi mise di
buon umore.
- Buongiorno, è questa
l'ora di fare ritorno a casa?
Franco pronunciò la frase
con ironia, accompagnandola con un ampio
sorriso, consapevole del fatto che stavo
facendo ritorno alla mia abitazione dopo
la nottata di lavoro in ospedale.
Non diedi risposta alle sue
parole. Ero troppo stanca per farlo.
- Ehm... poiché resti muta
ne approfitto per invitarti a cena. Che
ne dici? Potremmo parlare dei vecchi
tempi, scambiare quattro chiacchiere e
ascoltare della buona musica, ti va?
Rimasi sorpresa
dall'invito, infatti, non lo aveva mai
fatto in tanti anni che ci conoscevamo.
Solo di recente si era separato dalla
moglie ed era tornato a occupare
l'appartamento dei genitori deceduti da
poco tempo. Io invece avevo inseguito il
sogno del grande amore senza riuscire a
trovarlo.
- Ma sì, dai, certo che mi
va. - risposi con entusiasmo.
Anch'io ero reduce da una
relazione finita male. Per molto tempo
avevo fatto coppia fissa con un medico,
collega di lavoro, che mi aveva
scaricato per sposare la figlia del
primario. Stavo attraversando un brutto
periodo e avvertivo un dannato bisogno
di una compagnia maschile.
- Ti va se ci vediamo
giovedì sera? - propose. - Sempre che
tu sia libera da impegni. Preparerò una
cenetta coi fiocchi in ricordo dei
vecchi tempi.
- D'accordo, giovedì alle
otto sarò a casa tua.
Raggiunsi l'ascensore
conscia che il giovedì successivo non
sarei andata nell’appartamento di
Franco soltanto a consumare
esclusivamente una rimpatriata fra
vecchi amici, ma qualcosa di più
eccitante mi attendeva.
La sera della cena mi
preparai con molto zelo
all'appuntamento. Mi profumai perfino i
peli della fica. Tinsi di smalto rosso
fuoco le unghie di mani e piedi dello
stesso colore con cui imbellii
le labbra, poi mi soffermai a lungo
davanti allo specchio indecisa nella
scelta dell'intimo che avrei dovuto
infilarmi addosso. Infine indossai un perizoma e un reggiseno di
tulle nero trasparente.
Entrando nell'appartamento
di Franco rimasi stupita dall'odore di
fritto di cui era pregna l'aria e mi
pareva di conoscere. A tavola come primo
piatto mi servì delle fettuccine al ragù.
Per secondo il suo piatto preferito:
rane fritte.
Sorseggiammo del buon vino
e conversammo a lungo rievocando
episodi della nostra infanzia mostrandosi
affabile, educato, e galante, come lo
avevo sempre conosciuto. Dopo cena
prendemmo posto sul divano del salotto e
ci soffermammo ad ascoltare della buona
musica. Casualmente scoprimmo di avere i
medesimi gusti musicali. A lui piacevano
i ritmi della latin music e in
particolare quelli della chitarra di
Carlos Santana, gli stessi che apprezzo
anch'io.
Le note di Black Magic
Woman, Samba PaTi ed Europa ubriacarono
la mia testa congiuntamente alle coppe
di vino che avevo seguitato a ingollare
durante e dopo la cena. Dopo un po' che
ascoltavamo la musica mi ritrovai
sdraiata sul divano, stretta fra le sue
braccia, con le labbra appiccicate alle
sue.
Scambiammo qualche bacio,
dopodiché s'inginocchiò ai miei piedi
e pretese che mi lasciassi spogliare da
lui. Accondiscesi che
mi sfilasse la camicetta e subito dopo
la gonna. Rimasi seduta sul divano con
addosso il solo perizoma e il reggiseno.
Percorse la
superficie delle mie cosce con la lingua
sino
all'incavo del pube arrestandosi al
tessuto del perizoma, senza arrivare a
quanto di più prezioso custodiva.
Sganciai il reggiseno e lasciai che le
tette venissero a contatto con le sue
mani che invece lasciò cadere sul
perizoma sfilandomelo. Mi ritrovai nuda
e solo allora si liberò degli abiti che
aveva addosso.
Il suo era un corpo da
atleta con dei pettorali ben scolpiti.
Nella penombra della stanza, illuminato
da una lampada da tavolo, il cazzo mi
apparve nella sua straordinaria magnificenza. Era turgido e
inarcato verso l'alto, assai diverso da
quello che gli avevo visto penzolare fra
le gambe da bambino.
Mi obbligò ad alzarmi in piedi e solo
allora congiungemmo i nostri corpi in un
tenero abbraccio.
S'impadronì del mio fondo
schiena sistemando le mani sulle
natiche, riempiendomi di brividi caldi,
poi iniziò a carezzarmi le tette
intervallando piccoli morsi ai
capezzoli, tumidi e sensibili a ogni
tocco delle dita. Mi penetrò nella
bocca con la lingua e iniziò a frugare
nella cavità in cerca della mia lingua,
e la trovò. Il suo corpo incominciò a
contrarsi, prese a tremare tutto, poi si
staccò.
Avevo la fica umida a tal
punto che un rivolo d'umore mi scese
lungo le cosce appiccicandosi alle sue
gambe. Franco mi fece inginocchiare sul
tappeto, intenzionato a scoparmi alla
pecorina, pensai, invece si allontanò
dalla stanza. Si presentò poco dopo
stringendo nelle mani un vasetto di
vetro per la conserva della marmellata.
Che cazzo starà
escogitando? Pensai allarmata, ma non mi
scostai dalla posizione che mi aveva
obbligato ad assumere. La sua mano si adagiò
sulla fica e qualcosa di viscido mi
penetrò. Il movimento che si affrettò
a eseguire fu così rapido che non
riuscii a divincolarmi. Le pareti della
vagina incominciarono a contrarsi per la
presenza dei corpi estranei che Franco
aveva depositato nella cavità.
Incredula, ma eccitata, incominciai a ondeggiare
sedotta da uno stano piacere. Mi trovai
tutta sudata mentre quei "così",
imprigionati fra le pareti della vagina,
seguitavano a muoversi nella cavità
senza pause.
- Non ti preoccupare. - mi
sussurrò all'orecchio. - E' una
sorpresa che ho ideato apposta per
te. Sono girini, li ho catturati stamani
al fiume.
Un lungo brivido percorse
il mio corpo da capo a piedi. Non sapevo
se stesse scherzando o dicesse il vero.
Quella che stavo provando era una
sensazione, seppure gradevole, che non mi sarei
mai sognata di sperimentare. Otturò la
fica col palmo della mano evitando in
questo modo che i girini fuoriuscissero
dalla cavità.
I piccoli anfibi sembravano
a loro agio nell'habitat naturale del
fluido di cui era ricca la passera.
Franco m'inumidì l'ano depositandoci
sopra un grumo di saliva su cui fece
aderire la cappella.
Quando mi penetrò ebbi più
di un sussulto di dolore, ma lasciai che
la cappella approdasse nel mio intestino
dilatandolo senza oppormi, digrignando i
denti per il bruciore. Replicò il
medesimo movimento di penetrazione più
volte, dandomi l'impressione di
prediligere il gesto.
I movimenti lenti del cazzo
inondarono di piacere il mio corpo.
Sentivo i deliziosi animaletti muoversi
dentro la vagina e godevo del cazzo che
risaliva l'intestino. Assecondai Franco
dondolando il culo e oscillando i
fianchi con la fica sempre più bagnata.
Posai la mano sopra la sua
che faceva da tappo alla fica, e
cominciai a masturbarmi il clitoride,
accelerando i movimenti fintanto che
sentii Franco gridare.
- Vengo... Vengo...
Dopo qualche istante ebbi
il primo di una lunga serie d’orgasmi così
terribili che le mie urla superarono di
gran lunga il suono della chitarra di
Carlos Santana che per tutto il tempo
dell'amplesso aveva accompagnato le
nostre evoluzioni. Non tirò fuori
l'uccello dal culo, rimase accovacciato
sulla mia schiena sborrando il seme
dentro l'intestino.
Sono trascorsi sei mesi da
quella serata. Franco si è riconciliato
con la moglie ed è tornato a vivere con lei e i due figli. A me è rimasta
la speranza d'incontrare, prima o poi,
un altro uomo con l'hobby della pesca
capace di farmi provare lo stesso piacere di quella sera.
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