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CICLOAMATORI
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
La
voce modulata di Eros Ramazzotti si
libera dall'altoparlante della
radiosveglia. A fatica
dischiudo una palpebra, volgo lo sguardo
nella direzione dell'orologio digitale
appoggiato sul comodino, e abbozzo una
smorfia. I led luminosi segnano
esattamente le sei e tre minuti. Scendo
giù dal letto, infilo le
pantofole, e mi reco in bagno.
Ancora una volta sono maledettamente in
ritardo. Mi sistemo sulla tavolozza del
water e libero la vescica dalla pipì
che la ingombra. Passo sul bidè e
procedo a una rapida abluzione dei
genitali, dopodiché mi avvicino al
lavandino e mi risciacquo il viso.
Niente trucco agli occhi né alle labbra,
oggi.
Indosso la salopette e
subito dopo vesto la maglietta da ciclista.
Mentre il forno a microonde scalda
la tazza colma di caffè d'orzo che
ho provveduto a sistemare sul piatto
girevole, mii riempio lo stomaco con
un sandwich di marmellata di prugne e ci
bevo dietro una tazza colma di caffè
d'orzo. Alle 6.20 sono in sella alla
bicicletta da corsa. Alle 6.35 ho
raggiunto la sede del Circolo dei
Dipendenti dell'Ospedale, nell'area
sportiva ubicata dietro il Palasport,
là dove ho appuntamento con i
miei compagni di squadra per
prendere parte
al consueto cicloraduno domenicale.
Il serpentone di una
ventina di cicloamatori,
disposti in fila
indiana, si mette in movimento subito
dopo il mio arrivo lasciandomi poco
tempo per scambiare qualche saluto con i
compagni di squadra. Mi accodo al
gruppo, in una delle ultime posizioni,
al riparo dal vento, e seguito a
pedalare.
L'itinerario fissato dagli
organizzatori del cicloraduno domenicale
prevede l'ascesa al Passo del Cerreto.
Il ritorno in città è previsto verso mezzogiorno. Non sono
spaventata dalle difficoltà
dell'itinerario anche se il percorso è in salita. Ormai c'ho fatto il
callo ai percorsi di montagna, anche se
quello di oggi è particolarmente
impegnativo e potrebbe mettermi in
difficoltà.
Pratico lo sport della
bicicletta da un paio di anni e sulla
mia pelle ho imparato a dosare le forze
per non oltrepassare i miei limiti.
Nelle salite mantengo costante il ritmo
della pedalata, senza affaticarmi, decisa
a raggiungere la meta che mi sono
prefissata evitando
di mettere il piede a
terra.
Quando la strada si fa più
ripida la comitiva di cicloamatori si
sgretola poco per volta,
chilometro dopo chilometro, e prendono forma
dei piccoli gruppi. Alcuni compagni di
ascesa giungono in mio soccorso alternandosi
a spingermi, da dietro, con le mani appiccicate
sulle mie natiche.
I più anziani del gruppo
sono i primi ad arrendersi dinnanzi alle
asperità della salita. Sotto il sole
cocente seguito a pedalare verso il
Passo del Cerreto insieme a Carlo, un amico
medico che è solito scortarmi durante i
cicloraduni. E' un tipo riservato, anche
troppo timido, soprattutto con noi
donne.
Raggiungiamo Castelnovo né
Monti verso le 10.00. Gli organizzatori
del cicloraduno hanno collocato un punto
di ristoro all'ingresso del paese. Mi
rifornisco di bevande, frutta e cereali,
dopodiché riprendo la corsa nutrendomi
di carboidrati mentre pedalo.
Con l'approssimarsi del
valico appenninico una leggera brezza
proveniente dal mare ostacola la nostra
arrampicata. Alle 11.00 Carlo e io
raggiungiamo il Passo del Cerreto.
Al valico il cielo è
plumbeo e sul selciato incominciano a cadere le prime
gocce di pioggia. Nel volgere di pochi
minuti la perturbazione si trasforma in
un diluvio. Tuoni e fulmini accompagnano
gli scrosci di pioggia insieme a intense
folate di vento. Con Carlo ci lanciamo
lungo la discesa che conduce a Reggio
Emilia, decisi a fare ritorno in città
al più presto, mentre altri nostri
compagni trovano rifugio nello chalet
ubicato ai bordi del lago.
Il bitume della strada,
reso viscido dalla pioggia, risulta
molto
pericoloso. In due occasioni rischiamo
di scivolare sull'asfalto e sfracellarci
in uno dei tanti dirupi che costeggiano
la strada statale.
- Carlo! Carlo! - grido
affiancandomi a lui. - Appena scorgi un
casolare o un qualsiasi riparo fermati.
I freni della mia bicicletta non
rispondono più.
- Va bene, faremo come
vuoi. - strilla accompagnando la
risposta con un cenno di assenso del
capo.
La pioggia che cade
insistente riempie d'acqua
i canali di scolo ai lati della strada
trascinando pietrisco e sabbia sul
selciato. Continuiamo nella discesa
sprezzanti del pericolo cui
andiamo incontro.
- Là... là... - grida
Carlo. - Subito dopo la curva c'è un
rustico con una barchessa, fermiamoci lì.
-
Nel tentativo di bloccare
le ruote tengo premute le aste dei
freni, ma la bicicletta seguita a
scivolare in avanti senza fermarsi. Una
volta con i piedi a terra ci mettiamo a
correre verso la barchessa spingendo la
bicicletta con le mani.
- Prima di riprendere la
discesa, dobbiamo attendere che la
pioggia diminuisca d'intensità. - dice
Carlo mentre rimuove il casco dal capo.
Lo imito e anch'io mi
libero dei guanti sfregando le mani una
sull'altra alla ricerca di un po' di
calore.
La pioggia prosegue a
cadere con maggiore intensità. La
temperatura dell'aria è scemata e fa
freddo. Inizio a essere soggetta a
tremori in tutto il corpo.
- Siamo stati fortunati a
scovare questa barchessa. Le balle di
paglia sono un buon riparo anche dal
vento.
- Sì, hai ragione. – mi
dà risposta Carlo.
- Spero che non ti
scandalizzerai se mi tolgo maglietta
e salopette. Con gli abiti bagnati
corro il rischio di prendermi un
accidente. Sai cosa faccio? Mi stendo
sotto la paglia. Dai, gira il capo da
un'altra parte mentre mi svesto. Non
guardarmi, eh!
Levo di dosso pantaloni e
maglietta inzuppati d'acqua e resto
completamente nuda, dopodiché mi corico
sulla paglia e mi copro con dei
fuscelli, assai preziosi nel trasmettermi un
po' di tepore.
- Dai, spogliati anche tu.
Mica avrai vergogna di me, eh! Vuoi
congelarti? Dai, coricati qui accanto a
me. - lo sollecito.
- Ti ringrazio, ma
preferisco aspettare che finisca di
piovere. E' soltanto una nube
passeggera, vedrai che presto tornerà
il sereno.
Lo sguardo di Carlo si
perde lontano, nella direzione del mare,
oltre le montagne, nella speranza che la
pioggia cessi al più presto.
Da più di un'ora sono al
riparo sotto la coperta di fieno. Carlo
se ne sta seduto sopra una balla di
paglia e trema per il freddo.
- Adesso devi toglierti gli
abiti bagnati! - lo aggredisco. - Non
vorrai prenderti una polmonite!
Con riluttanza toglie la
maglietta e resta con addosso la
salopette.
- Beh, mica ti farai
compatire? Hai paura a mostrarti nudo a
una donna? Togli anche i pantaloncini,
dai!
Abbandono il letto di fieno
e gli corro incontro completamente
nuda. Gli afferro le
spalline della salopette e cerco di
sfilargliele intraprendendo una impari
lotta.
I nostri corpi si
arrotolano nella paglia con intenti
diversi. Sollecitata dai miei slanci la
salopette si lacera sul davanti. Un
lungo taglio divide il tessuto in due
parti fino al pube e mette in evidenza i
genitali di Carlo, se così si possono
definire.
L'uccello di Carlo più che
somigliare a un volatile, sembra una
lumaca, tanto è piccolo e retratto:
assomiglia a quello di un putto.
Dopo la scoperta mi sento
imbarazzata. Mi avvicino a Carlo e gli
accarezzo il capo e deposito un tenero bacio sulle sue
labbra. Ci ritroviamo abbracciati nel
fienile mentre la pioggia continua a
scendere tutt'attorno e sulla tettoia
della barchessa.
Carlo sta in piedi di
fronte a me con la schiena appoggiato al
muro di balle di paglia. Afferro nella
mano il delicato frutto che tiene
custodito fra le cosce e con il sapiente
lavoro delle dita metto allo scoperto la
parte rosea della cappella.
Inginocchiata ai suoi piedi
inizio a succhiargli l'uccello.
L'oggetto di piacere è così corto e
sottile che non so come fare a tenerlo
stretto nella mano. Le dimensioni in
piena tumescenza sono paragonabili a
quelle del mio dito mignolo. Lo stringo,
se così posso dire, con pollice e
indice e comincio a masturbarlo
inumidendolo con la saliva.
Ho difficoltà nello
scappellarlo completamente. Il frenulo
appare completamente attaccato
all'uretra, come quello di un bambino.
L'emozione di questa scoperta mi eccita
ancora di più. Sto masturbando il
pisello di un ragazzino ospite nel corpo
di un adulto. Non posso che benedire la
pioggia che me lo ha fatto scoprire. Ho
l'impressione di tenere fra le labbra un
pezzo di carne pregiato e forse unico,
probabilmente nessun'altra donna prima
di me ha avuto modo né di vederlo né
di gustarlo.
Avrei voglia di chiedere a
Carlo se ha mai avuto rapporti sessuali con
altre donne, ma lascio cadere questo
proposito. Sono eccitata, maledettamente
eccitata, ma non voglio aumentare il
ritmo con cui sto succhiando questo
gioiellino che mi ha offerto la natura.
Con la mano libera inizio a toccarmi il
clitoride e godere della strana
situazione in cui sono venuta a
trovarmi.
Non capisco se il tremore
che sta manifestando il corpo di Carlo
è dovuto al piacere che sta provando o
al freddo che c'è nell'aria. Affondo la
bocca sul pisello e ingoio anche le
palle. Subito dopo riprendo a succhiare
soltanto l'uccellino ripetendo il
medesimo movimento più volte.
L'atto mi provoca una
sensazione di piacere sconosciuta. Il
cazzo lumaca, dalle dimensioni
infantili, mi fa tornare indietro con la
memoria a quando ero adolescente. Più
lo succhio e più rivivo i dolci ricordi
dell'infanzia, i primi pompini, le prime
seghe fatte ai miei coetanei di gioco.
Lo spruzzo di sperma che mi arriva in
bocca è pari alle dimensioni del suo
uccellino. Ma il piacere che ho saputo
trasmettergli è del tutto simile a
quello di un uomo che ha un cazzo
normale. Lo percepisco dal tremore delle
gambe del mio compagno e dall'urlo che
gli esce dalla bocca nel momento
dell'eiaculazione.
Sto per spremere le ultime
gocce di sperma quando Carlo si svincola
dal mio abbraccio. Indossa la maglietta
bagnata, afferra la bicicletta, e senza
nemmeno salutarmi si lancia nella
discesa che da Busana conduce a
Cervarezza.
Dopo la sua partenza resto
coricata sul letto di paglia e mi
addormento. Mi sveglio quando è tardo
pomeriggio. Il sole si è fatto largo
fra le nubi e non piove più. Afferro la
salopette e l'indosso insieme alla
mitica maglietta del Dopolavoro
Dipendenti Sanità, dopodiché salgo
sulla bicicletta e prendo la strada per
Parma.
.
E' trascorso più di un
mese da quando Carlo e io abbiamo
percorso la strada del Cerreto. Da
allora non ho più avuto occasione
d'incontrarlo. Seguito a partecipare ai
cicloraduni traendo da questa pratica
sportiva grande beneficio a glutei e
cosce. Il mio lavoro da infermiera
prosegue uguale, giorno dopo giorno.
Vivo circondata dalla sofferenza e dal
dolore, ma sono nata Farfallina e
continuerò ad andare là dove mi porta
il cuore.
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