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LA
DEGENTE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico
adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il
contenuto possa offenderti sei
invitato a uscire.
Le
infermiere si affrettano a riassestare
il letto lasciato libero da una paziente
da poco dimessa dalla clinica. Provvedono
a disinfettare l'armatura metallica del
telaio, capovolgono il materasso,
dopodiché si prodigano nel riordinare
il comodino.
Seduta su una sedia, nel
corridoio della clinica, una anziana
donna è in attesa di occupare il letto.
Osservo il lavoro delle infermiere e non
posso fare a meno di pensare a Elena che
su quel materasso vi ha giaciuto. Dopo
di lei altre donne lo hanno occupato.
Molte hanno preso la strada di casa,
altre quella dell'obitorio.
Ho fatto conoscenza con
Elena durante uno dei miei turni
notturni di guardia medica in clinica.
Stavo dormendo nella mia stanza quando,
poco dopo mezzanotte, una delle
infermiere mi citofonò chiedendo il mio
intervento in reparto.
- Dottore, è arrivato un
ricovero dal Pronto Soccorso.
- Vengo subito.
Mi alzai da letto, infilai
i pantaloni e il camice, dopodiché
abbandonai la stanza adibita a ospitare
il medico di guardia. Nell'ambulatorio
delle urgenze, sdraiata sopra il
lettino, incappai in una donna in stato
semi cosciente.
"Avvelenamento da
barbiturici" trovai scritto sul
foglio di ricovero che l'infermiera si
premurò di consegnarmi. Il referto
stilato dal medico del Pronto Soccorso
includeva l'elenco dei provvedimenti
terapeutici messi in atto dopo il
ricovero. La lavanda gastrica cui era
stata sottoposta aveva risolto l'effetto
dannoso dei farmaci ingeriti, cosicché non mi
rimase che prendere atto delle terapie
effettuate dai medici del P.S. e
mantenere la paziente sotto costante
osservazione.
Mi premurai di rilevare il
battito di un'arteria tastandole il
polso. Il ritmo era bradicardico. Le
pulsazioni al disotto delle cinquanta al
minuto. Fissai la fascia dello
sfigmomanometro attorno al suo braccio,
dopodiché premetti più volte la pompa
dell'aria lasciando che il mercurio
scendesse lentamente lungo la colonnina.
La pressione massima era di 85 mm. La
minima misurava 60 mm.
- Mettiamole una
fisiologica da 500 c.c. poi eseguiamo un
elettrocardiogramma - dissi a una delle
infermiere che mi assistevano.
Il viso della donna era di
un pallido disarmante, ma non tale da
preoccuparmi. Lo studio della semiologia
mi ha insegnato che nei casi di
avvelenamento da barbiturici è normale
che il paziente presenti un colorito
simile a quello della donna che avevo
davanti.
Mostrava d'avere una
trentina d'anni o poco più. Il viso,
privo di trucco, le conferiva un'aria
angelica. I capelli di colore castano
avevano delle striature più chiare.
Indossava una vestaglia da camera che le
lasciava scoperte gambe e piedi. Una
delle infermiere dispose il carrello con
sopra l'elettrocardiografo a lato del
lettino, allontanò i lembi della
vestaglia alla paziente e le tolse il
reggiseno. Le tette, seppure appiattite,
erano perfette nella
loro forma. Le areole dei capezzoli, di
colore nocciola, apparivano estese con
le punte stranamente inturgidite.
L'infermiera dispose gli
elettrodi sulla parete toracica di
sinistra fino ad arrivare al cavo
ascellare. Il pennino
dell'elettrocardiografo prese a
muoversi. Il tracciato era normale, con
nessuna traccia di alterazioni
cardiache.
- Va bene, dai, mettiamola
a letto. Domani mattina fatele i
prelievi di sangue di routine. - dissi
alle infermiere che mi assistevano.
- Controllate piuttosto che
i suoi parenti siano stati avvertiti. Se
nessuno lo ha fatto, informate il posto
di polizia dell'ospedale, ci penseranno
loro a contattarli.
L'indomani mattina, giunto
a fine turno, abbandonai la clinica poco
prima delle 8.00. Feci ritorno in
ospedale soltanto nel tardo pomeriggio.
A quell'ora sono solito esaminare i
referti degli esami ematici e di
radiologia effettuati durante la
mattinata.
Quando capitai nella stanza
che ospitava la paziente che avevo
soccorso durante la notte la trovai
semiseduta sul letto. Mi feci consegnare
dall'infermiera la cartella clinica e
diedi un'occhiata ai referti degli esami
di sangue.
- Come sta signora Ferrari?
Lo sa che stanotte, con quel gesto, ha
corso il rischio di lasciarci la vita?
Pronunciai la frase con
l'indifferenza di chi da troppo tempo è
abituato a convivere con la sofferenza e
il dolore.
- Sto meglio, molto meglio.
Il viso, seppure pallido,
aveva perso il colorito spento della
notte precedente. La pressione arteriosa
e il battito cardiaco avevano ripreso i valori
normali. Semisdraiata sul letto,
indifesa, sconcertata dalla singolare
situazione in cui era venuta a trovarsi,
mi guardò con sospetto.
Diedi un'occhiata alla
cartella clinica. Là dove era indicata
la professione qualcuno, probabilmente
uno dei medici specializzandi, aveva
annotato insegnante.
- Allora lei insegna? -
dissi spezzando l'alone d'imbarazzo che
si era instaurato fra noi.
- Sì, al liceo Manzoni.
Insegno lettere e filosofia.
- Ah! Bene, da ragazzo
avrei voluto frequentare il liceo,
sennonché i miei genitori preferirono
iscrivermi a un istituto per geometri.
Dopo la maturità ho intrapreso gli
studi universitari. E ora eccomi qui a
fare il medico.
Messa a proprio agio dal
mio modo di fare si lasciò sfuggire un
timido sorriso, e in quell'attimo colsi
nei suoi occhi una luce speciale.
- La lascio riposare, ci
vediamo domani mattina. Avrò più tempo
da dedicarle e completeremo la cartella
clinica.
Abbandonai la stanza
seguito a breve distanza dall'infermiera
che per tutto il tempo aveva assistito
al colloquio.
- Domani mattina fatele i
test per l'epatite e quelli per l'Aids.
Gli esami ematici evidenziano un rialzo
delle transaminasi, non vorrei che i
valori celassero qualche infezione di
tipo virale.
Il giorno seguente, come
promesso, mi recai da Elena per redigere
la storia clinica da inserire nella
cartella. Il suo aspetto era decisamente
migliorato. Sul viso notai un lieve
cenno di trucco, indizio evidente di un
ritorno alla normalità.
- Come sta oggi la mia
malata?
- Bene dottore, il momento
critico è passato.
Mi accomodai su di una
sedia accanto al letto e aprii la
cartella clinica.
- Le porrò alcune domande
molto personali. Potrebbero sembrarle
inopportune, ma non posso esimermi dal
fargliele. Innanzi tutto vorrei
chiederle cosa è successo.
Elena abbassò le palpebre
degli occhi e intrecciò le dita delle
mani con forza, poi iniziò a parlare.
- Ho scoperto che il mio
uomo mi tradiva con la migliore delle
mie amiche. E' accaduto domenica scorsa
quando mi sono assentata da casa per
recarmi a Milano per fare visita a mia
madre. Un improvviso sciopero del
personale viaggiante delle ferrovie
dello stato mi
ha costretta a fare ritorno a casa.
Nella stanza da letto ho sorpreso mio
marito che faceva l'amore con Claudia,
una nostra vicina di casa. Noi donne
siamo molto ingenue, anche di fronte
all'evidenza sappiamo giustificare le
peggiori bugie dei nostri uomini, ma
quello che ho visto nella stanza da
letto è stato un brusco risveglio. Ho
reagito in maniera dissennata ingoiando
dei barbiturici decisa a farla finita.
Che altro avrei potuto fare?
Ascoltai le sue parole in
silenzio senza interrompere la sua
confessione. Prestando attenzione al suo
racconto mi trovai a rivivere la mia
storia con Giovanna, del tutto simile
alla sua, con la sola differenza che ero
stato io a sorprendere mia moglie, nuda,
cavalcioni a un uomo che la scopava.
Dopo quella rivelazione
incominciai a provare una certa simpatia
per quella donna. Quasi senza
accorgermene appoggiai una mano sulla
sua e l'accarezzai.
- Non si preoccupi è tutto
finito. - la rassicurai. - Ho conosciuto
persone che di fronte ad avvenimenti
gravi si sono rinchiuse in se stesse
costruendosi tutt'attorno una fortezza
inespugnabile, convinte che nulla
avrebbe avuto più senso, finendo col
passare, senza accorgersene, accanto ad
altre occasioni che avrebbero potuto
cambiargli vita. Non ripeta lo stesso
errore, torni a vivere con la
determinazione di chi ha ancora tanto da
gioire.
Pronunciai quelle parole
con una tale enfasi che, senza
accorgermene, iniziai a stringerle la
mano.
- La ringrazio per le sue
belle parole, sono contenta che sia
stato lei a prendersi cura della mia
persona. Non so come fare per
ringraziarla. - mi interruppe
sorridendo.
Probabilmente accostando la
mano sulla sua mi spinsi ben al di là
delle mie competenze mediche. Ma il modo
con cui si era rivolta a me mi fece
scoprire un lato nascosto della sua
personalità solo all'apparenza sobria.
Andai avanti a redigere la
cartella clinica annotando la storia
delle sue malattie e quelle dei
genitori. Le analisi di funzionalità
epatica e la presenza di eventuali virus
diedero esito negativo. Decisi che
l'avrei dimessa dal reparto dopo qualche
giorno una volta effettuata la visita
con un neuropsichiatra.
Nei giorni seguenti il
nostro rapporto si fece ancora più
amichevole, mi confidò che il marito
era venuto a trovarla in ospedale e che,
di comune accordo, avevano deciso di
separarsi.
L'idea che mi ero fatto di
Elena era quello di una donna intelligente, con
una forte personalità, ma che in un
momento di difficoltà era crollata
correndo il rischio di togliersi la
vita.
- Domani mattina la
dimetto. - dissi appena misi piede nella
sua stanza.
- Stanotte, durante il
turno di guardia, le preparerò la
lettera di dimissioni. Una volta fuori
dall'ospedale dovrà consegnarla al
medico di famiglia, va bene?
Quella sera cenai nella
stanza del medico di guardia anziché
nella cucina del reparto come sono
solito fare. Stavo seduto alla
scrivania, intento a leggere dei
documenti, quando udii bussare alla
porta.
- Posso entrare?
La voce era quella di una
donna. D’acchito pensai si trattasse
di una delle infermiere.
- Avanti! E' aperto.
Sulla soglia apparve Elena.
Indossava una vestaglia in nylon
trasparente che lasciava intravedere la
pelle nuda.
- Sono venuta a salutarla.
Domani non avrò occasione di vederla.
Voglio esprimerle tutta la mia
riconoscenza per quanto ha fatto per me.
Non so come posso fare per sdebitarmi.
- Non si preoccupi, è il
mio lavoro. Sono pagato per questo.
- Non è vero, lei ha fatto
molto più di quanto le competeva.
Mentre pronunciava quelle
parole mi sembrò di scorgere sul suo
volto i medesimi lineamenti della mia
Giovanna. Preso da un raptus e lusingato
dalle sue attenzioni mi alzai dalla
poltroncina, le cinsi la vita, e la
baciai.
- Stiamo entrando in acque
molto agitate. - disse quando mi staccai
dalle sue labbra.
- Lo so. - risposi.
- Sono felice quando posso
stare dove voglio.
- E sei felice ora?
- Sì.
La vestaglia che le copriva
le nudità cadde ai suoi pedi insieme
alla sottoveste. Le forme del suo corpo
erano di una naturale bellezza. Le
accarezzai il viso scostandole i capelli
di lato. Gli occhi iniziarono a brillare
con una certa intensità. Una lacrima le
scese lungo la guancia. La strinsi forte
al petto e le carezzai il capo. Lei, a
sua volta, cinse le mani attorno alla
mia schiena e si aggrappò a me, poi
iniziò a piangere a singhiozzo.
Per la prima volta, dopo i
giorni trascorsi in ospedale, stava
liberandosi del peso che si portava
dentro.
- Scusami. - sussurrò, a
voce bassa, mettendo in risalto
l'angoscia di cui era prigioniera.
- Non ti preoccupare, ci
sono io vicino a te.
Accostati il suo viso fra
le mani e l'accarezzai, poi la baciai
sulle labbra. Il sapore salato delle
gocce di pianto si mescolarono al gusto
mielato della sua bocca. Dopo lo sfogo
di pianto la sentii stringersi addosso
al mio corpo e le nostre labbra si
congiunsero in un bacio passionale.
Penetrai la sua bocca con la lingua
assaporando la morbida parete del
palato. Lei contraccambiò il mio
movimento incrociando la lingua con la
mia, titillandola l'una contro l'altra,
riempiendomi di brividi caldi.
Ho sempre misurato
l'intensità di una passione in rapporto
al piacere che sa trasmettermi un bacio.
Quella sera, forse per colpa della
strana circostanza, rimasi estasiato dal
calore delle sue labbra. Lasciai cadere
una mano sul ventre della mia ospite.
Passando attraverso l'elastico delle
mutandine sfiorai i peli del pube
impastati d'umore. Lei andò a cercare
la cinghia dei miei pantaloni che
rovinarono sul pavimento insieme alle
mutande. Il cazzo, liberato dalla
costrizione degli indumenti rimase
sospeso a mezz'aria. Fu svelta ad
afferrarlo fra le dita. Si scostò
dall'abbraccio e rivolse lo sguardo in
basso al mio cazzo, poi si strinse forte
a me.
Il tocco della mano sul
cazzo aumentò il desiderio di
possederla. Andai a sedermi su di una
seggiola e trascinai Elena sulle mie
ginocchia. Mi ritrovai davanti agli
occhi le tette e calai le labbra sui
capezzoli impastandoli di saliva. Il
tocco della lingua le provocò un certo
turbamento. S'inarcò all'indietro con
la schiena e cominciò a mugolare di
piacere.
Aiutandomi con la mano
seppellii il cazzo nella vagina. Le
abbrancai le natiche e le attirai con
forza verso di me premendo la punta del
cazzo sul fondo della vagina. Elena
accompagnò i miei movimenti toccandosi
le tette, lasciandosi andare a una serie
di mugolii di piacere. Nel momento in
cui raggiunse l'orgasmo gridò:
- Vengo... Vengo!
Venni anch'io, subito dopo,
appena in tempo per estrarre il cazzo
prima che lo sperma si depositasse nel
fondo della fica. Scaricai il seme sul
suo addome dopodiché ci abbracciammo
per alcuni istanti.
Uno squillo del telefono
interruppe l'idilliaco momento. Allungai
la mano verso la scrivania e afferrai la
cornetta del telefono.
- Dottore, è arrivato un
ricovero. - disse una voce femminile.
- Vengo subito. Conduca il
paziente in infermeria.
Ci separammo in tutta
fretta raccogliendo entrambi gli abiti
dal pavimento.
- Mi ha fatto piacere stare
con te. - disse.
- Anche a me.
- Quando sarò dimessa
spero di risentirti, ci conto, eh!
- Sì, certo. - promisi.
- Sarò io a cercarti. Ho
bisogno di tempo, devo mettere ordine
nella mia vita.
Le diedi un ultimo bacio e
mi allontanai.
Trascorsero alcune
settimane senza che Elena si facesse
sentire. Infine presi la decisione di
telefonarle, trasgredendo alla promessa
che le avevo fatto, ma al telefono non
rispose nessuno. Una sera una voce
femminile si fece viva all'altro capo
del filo.
- Ciao, Elena, sono Marco
come stai?
- Non sono Elena, sono la
madre. Elena non c'è più. Elena è
morta.
Elena si era tolta la vita
gettandosi dal balcone della propria
abitazione pochi giorni dopo essere
stata dimessa dall'ospedale.
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