L'ECLISSI
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
 
 L
'eclissi totale del sole sarebbe stata visibile nella mattinata di martedì 11 agosto, all'interno di un ristretto corridoio che avrebbe attraversato l'Europa, poco dopo lo scoccare del mezzogiorno. Sarebbe stata l’ultima eclissi in ordine di tempo del XX° secolo.
   Un cono d'ombra lunare avrebbe percorso l'Europa centrale sino al Medio Oriente e l'India, perlomeno questo era quanto avevo appreso leggendo il mensile di scienza Focus. 
   L'entusiasmo di riuscire ad assistere all'evento fu tale che riuscii a coinvolgere Paola, una collega infermiera, a mettersi in viaggio in mia compagnia per ammirare il fenomeno da vicino. Individuammo sulla carta geografica le località d’Europa dove l'eclissi avrebbe oscurato il cielo per un tempo superiore ai due minuti. Infine decidemmo di recarci in Germania là dove la fascia di visibilità del fenomeno sarebbe stata maggiormente estesa.
   Nei giorni che precedettero il viaggio, consapevoli che non avremmo dovuto assistere all'eclissi a occhio nudo, ci procurammo dei vetri affumicati e degli occhiali da sole con lenti sufficientemente scure da utilizzare durante l'osservazione del fenomeno celeste.  
   Alle prime luci dell'alba di lunedì 9 agosto, prendemmo posto sul camper Wolkswagen California, affittato per l'occasione, e lasciammo Parma dirette verso la città di Ausburg. Alle tre del pomeriggio, dopo avere attraversato l'Austria, raggiungemmo Schwangau, in Baviera, rimanendo affascinate dal paesaggio da fiaba che si presentò ai nostri occhi.
   Dalla sommità di uno sperone di roccia il castello di Ludwing dominava la valle sottostante impreziosita da numerosi laghi e da boschi secolari. Ci trattenemmo in uno dei campeggi, sulla riva di un lago, per un paio di giorni, dopodiché riprendemmo il viaggio.
   Augsburg distava solo un centinaio di chilometri da Schwangau. Raggiungemmo la città percorrendo la Romantische Strasse. Verso sera arrestammo il camper nel parcheggio di un supermercato di Wertingen, piccolo paese collinare poco distante da Augsburg.
   Piazzare il camper nell'area di parcheggio di un qualsiasi supermercato è una delle soluzioni che sono solita adottare quando non trovo posto nei campeggi. Lì mi sento rassicurata dalla presenza delle guardie notturne che nel corso della notte, a intervalli regolari, fanno visita ai centri commerciali.
   Il mattino seguente ci svegliammo di buon’ora, ma restammo a poltrire, impigrite nel sacco a pelo, sino alle nove. A quell'ora consumammo una abbondante colazione, dopodiché decidemmo di metterci alla ricerca di un area verde, con ampia vista panoramica, dove assistere all'eclissi.
   In sella alla mountain bike c'inerpicammo per un sentiero sterrato che s'inoltrava nel fitto bosco. Dopo tanto girovagare sbucammo in una ampia radura, circondata da abeti secolari, da cui si godeva una stupenda vista panoramica della città di Augsburg, distante una decina di chilometri dal punto di osservazione.
   Il silenzio del bosco era suggestivo. La totale assenza di rumori veniva interrotta, di tanto in tanto, dal tonfo dei rami secchi che cadevano dagli alberi frantumandosi sul terreno e dal fruscio dei rami mossi dal vento. Il cielo, che nelle prime ore della mattina pareva orientato al sereno, iniziò a oscurarsi. Nubi nere, cariche di pioggia, incominciarono a scorrere sopra le nostre teste oscurando a sprazzi il sole.

   Oltre a essere compagne di lavoro Paola e io eravamo intime amiche, ma ci sentivamo entrambe libere d'inseguire la compagnia di una qualsiasi donna oppure uomo, nel caso ci fosse capitata l'occasione per scopare. Migliore compagna di viaggio non avrei potuto scegliere.
   Se lo scopo del nostro viaggio era quello di assistere all'eclissi, la comparsa delle nubi minacciarono d'offuscare il fenomeno celeste impedendoci di osservarlo.
   Seduta sul prato incominciai a scrutare con il binocolo il paesaggio circostante la distesa erbosa che avevamo scelto come punto di osservazione dell'eclissi.
   La città di Augsburg, vista dalla collina, sembrava più piccola rispetto a quando l'avevamo attraversata con il camper la sera precedente.
   Scrutando i prati sottostanti individuai, distate un centinaio di metri dalla nostra postazione, un accampamento di tende. Un grosso cerchio disegnato sul terreno, del diametro di una decina di metri, delimitato da grossi massi, occupava il centro della tendopoli. Doveva trattarsi di gruppi di persone accorse ad assistere all'evento astronomico, pensai. E lo dissi a Paola che sembrò non preoccuparsi per la vicinanza del gruppo di tende.
   Da una tasca dello zainetto afferrai uno dei vetri affumicati che c'eravamo portate appresso e lo avvicinai agli occhi. poi guardai verso il sole. I contorni della superficie del pianeta mi apparvero perfettamente tondi, segno che il fenomeno non era ancora iniziato. Tolsi da un'altra tasca dello zainetto un libro di Raymond Carver che mi ero portata appresso e iniziai a leggere uno dei brevi racconti. 
   Tutt'a un tratto il sole fece di nuovo capolino fra le nubi sommergendo i nostri corpi di calore. Ci spogliammo degli abiti che avevamo addosso e restammo con solo il reggiseno e le mutandine animate dalla voglia di abbronzarci.
   Una musica dalle stravaganti modulazioni interruppe la quiete del bosco. Una nenia riproduceva i suoni tipici della natura. Riconobbi il rumore dell'acqua di un ruscello, quello del vento, e della legna che arde. Presi il binocolo e lo puntai nella direzione dell'accampamento di tende poco distanti da noi. Da lì provenivano quei suoni. Scrutai a lungo l'area del campo e le zone limitrofe senza distinguere alcuna presenza umana.

   L'eclissi ebbe inizio verso le 10.00. Ne seguimmo l'evoluzione attraverso i vetri affumicati. All'improvviso, confusi dal rumore del vento, una quindicina di persone ci furono addosso. Non riuscimmo a opporre la benché minima resistenza, l'unica cosa che ci permisero di fare fu di urlare, dopodiché c'imbavagliarono. Sollevate di peso da terra fummo portate, a spalla, per un sentiero scosceso che scendeva lungo la collina.
   I nostri aggressori indossavano una tonaca nera lunga fino ai piedi. Un cappuccio appuntito verso l'alto gli copriva il capo. Sul petto portavano dipinto un cerchio di colore rosso con all'interno una stella a cinque punte rovesciata. Quello strano simbolo mi pareva d’averlo già visto, ma non riuscivo a ricordare dove e in quale occasione. In passato avevo visitato parecchie cattedrali durante i miei soggiorni in Francia, forse il simbolo l'avevo visto nel sotterraneo di una vecchia chiesa a Rennes le Chateau. Questo pensai.
   Non poteva trattarsi di una carnevalata. Per un attimo considerai persino la possibilità che qualcuno dei nostri amici ci avesse seguito dall'Italia per giocarci un brutto scherzo.
   Il gruppo di persone percorse in fila indiana il sentiero fintanto che sbucammo in una radura. 
   Alcune tende da campeggio erano sparpagliate nel prato. Doveva trattarsi dell'accampamento che avevo intravisto dal punto di osservazione dove Paola e io c'eravamo fermate.
   Ci ritrovammo sdraiate al centro del cerchio di pietre e sassi senza capirne la ragione. Alcuni degli incappucciati si diedero da fare a divaricarci le gambe e le braccia, poi le fissarono con dei lacci a dei picchetti conficcati nel terreno.
   Nell'aria prese a echeggiare una strana musica, la stessa che avevo udito in precedenza mentre, coricata sul prato, osservavo l'eclissi. Le note provenivano da due grosse casse acustiche collegate a un amplificatore sistemato su di un tavolo. Uno degli adepti alla setta, che intuii essere una donna stante le forme femminili, seppure celate sotto la tunica, mi venne vicino.
   Nella mano impugnava una grossa cesoia. Con la lama recise l'elastico dello slip che indossavo, poi eseguì la medesima operazione sul reggiseno lasciandomi completamente nuda. A Paola fu praticato il medesimo trattamento.
   Il gruppo di persone che ci teneva prigioniere doveva appartenere a una setta satanica, ipotizzai in quegli attimi di terrore. Forse avevano bisogno d'immolare delle vittime sacrificali e dare sfogo a dei probabili riti orgiastici.
   Delle gocce di pioggia incominciarono a cadere dal cielo. Uno degli incappucciati si mise dinanzi ai miei piedi e sembrò guardarmi con malcelato interesse. Dal suo atteggiamento traspariva abbastanza evidente che trovava piacevole la vista della mia fica.
   La musica assunse un ritmo sincopato, anzi ossessivo. I nostri rapitori si liberarono delle tuniche nere e restando nudi mantenendo il solo cappuccio sul capo. La maggioranza degli adepti alla setta erano persone giovani. Le donne avevano seni sodi con i capezzoli perlopiù rosa. I peli del pube, quasi tutti biondi, erano privi di striature grigiastre tipiche delle persone di una certa età. Solo poche donne conservavano dei segni di smagliatura nelle gambe e sui glutei. Gli uomini, a giudicare dalla consistenza della sacca dello scroto non erano in età avanzata.
   I nostri rapitori seguitarono a mantenere il cappuccio sul capo. Il fatto che non si mostrassero a viso scoperto mi diede da pensare che fosse un buon segno, infatti stava a significare che era loro intenzione lasciarci libere e questo mi rassicurò.
   Uomini e donne si presero per mano e innalzarono le braccia verso il cielo, poi iniziarono a danzarci tutt’intorno al ritmo della musica. D'improvviso la danza s'interruppe. Tutti si precipitarono verso una tenda, la più grande dell'accampamento. Da lì uscì una donna con una grossa pentola stretta nelle mani.
   Maschi e femmine intinsero le dita nel recipiente e si cosparsero il corpo con l'unguento, poi iniziarono a toccarsi con le mani l'un l'altro. Questa specie di toccamenti sembrarono eccitarli. Lo intuii dall'inturgidimento dei cazzi aumentati di volume perché stimolati dalle mani delle donne.
   La voglia di giocare e fare l'amore era bene espressa dalla voracità dei movimenti delle mani che scivolavano nei recessi più nascosti dei corpi con cui entravano a contatto. Lo stato di eccitazione di uomini e donne era piuttosto evidente, ma non riuscivo a capacitarmi cosa li avesse spinti a imprigionarci.
   La donna che poc'anzi avevo visto sorreggere la pentola con l'unguento venne verso di me. Afferrò una zampa di gallina e l'intinse più volte dentro un barattolo che conteneva un liquido denso, di colore rosso. Probabilmente il sangue apparteneva a qualche animale sgozzato, pensai.
   Si servì della zampa come di un pennello per dipingermi sul petto una grossa croce. Terminata l'operazione tolse da un cesto dei petali di rose rosse e li cosparse sul mio corpo nudo.
   Quando si allontanò tirai un sospiro di sollievo. Per qualche istante ebbi paura che potesse ferirmi con una lama, invece si occupò di cospargermi sulla pelle un delicato profumo. Il rituale non fu ripetuto sul corpo di Paola ed ebbi la certezza che la vittima sacrificale sarei stata io. 
   Quando l'eclissi fu prossima a raggiungere la fase finale i rapitori diedero inizio a sfrenati comportamenti orgiastici nel perimetro delimitato dal cerchio di pietre.
   Impaurita incominciai a tremare come una foglia al vento. Non mi era mai accaduto di assistere o partecipare ad amplessi di quel genere. Mi trovai circondata da una infinità di cazzi che penetravano le fiche in una atmosfera boccaccesca. Alcuni uomini si congiunsero fra loro, mentre le donne leccavano fiche e culi.
   D'incanto tutti si separarono. I maschi presero da un contenitore un preservativo e lo infilarono sul cazzo. Rimasi stupita da quella scena dal momento che fino a pochi istanti prima i contatti sessuali erano avvenuti senza alcuna protezione. All'improvviso il sole si oscurò lasciando nel cielo una corona luminosa tutt'intorno al pianeta. 
   La luna aveva coperto per intero il sole. 
   Era l'eclissi. 
   Uomini e donne si presero per mano e ricominciarono a danzare formando un ampio cerchio. I preservativi che alla luce del sole apparivano trasparenti, nel buio divennero fosforescenti e dai diversi colori.
   Sdraiata per terra contemplai i cazzi luminosi che volteggiavano sopra la mia testa, sconcertata dalla straordinaria scena a cui stavo assistendo.
   Lo spettacolo era fantastico. Nel buio non potevo vedere i corpi dei maschi, ma soltanto le appendici dei cazzi luminosi, di diverse dimensioni e colore, che si muovono come farfalle nell'aria in un rito magico e propiziatorio.
   La scena durò il volgere di un paio di minuti, quanto il periodo di buio dell'eclissi. Al ritorno della luce uomini e donne esultarono in segno di giubilo. Terminato il rito vennero tutti nella mia direzione. E le dita delle loro mani affondarono nella mia pelle. Presero a carezzarmi mettendo in atto un rito di seduzione. Lo compresi dalla delicatezza dei modi e dal tipo di carezze.
   Le continue attenzioni che mi riservarono servirono a prepararmi a un successivo e più intenso piacere, perlomeno questo fu ciò che intuii. Non potevo sottrarmi ai loro gesti e alle loro premure. Ma se prima ero terrorizzata, dopo mi trovai succube dei loro riti magici.


   L'eclissi e l'orgia avevano liberato una parte della mia personalità sconosciuta persino a me stessa. Ai loro toccamenti feci corrispondere dei movimenti del mio corpo scoprendomi tutt'altro che insensibile alle loro attenzioni. Un uomo, dopo essersi sfilato il preservativo, infilò le dita nella fessura della mia fica e incominciò a tastarmi nell'intimo. Dopo essersi coricato su di me iniziò a scoparmi. 
   Era dotato di un cazzo duro come il marmo. 
   Si muoveva senza fretta, con sapienza. 
   Una delle sue compagne d'orgia si pose alle sue spalle e, da sotto, prese ad accarezzargli le palle. Altri due uomini si misero in ginocchio ai lati del mio capo e iniziarono a masturbarsi. Le mani di alcune donne mi accarezzarono i capezzoli strofinandoli sino a infastidirmi per il troppo piacere. Alle mie spalle qualcuno mi liberò la bocca dal bavaglio.
   Coricata potevo ascoltare l'ansare del respiro dei miei ospiti mentre si saziavano del mio corpo. Abbandonata la paura iniziale fui prossima a raggiungere il primo di una lunga serie di orgasmi. L'utero mi si contraeva di continuo mentre l'uomo che stava scopandomi era all'apice del piacere.
   Venni per prima. Urlai al cielo il mio appagamento come può farlo soltanto una indemoniata. I due uomini che stavano di lato al mio viso, intenti a masturbarsi, accelerarono i movimenti della mano fino a eiacularmi in bocca. Inghiottii tutto lo sperma leccando i residui sospesi sulla cappella di ciascuno. L'uomo che mi stava scopando iniziò a tremare e mi sborrò nella fica irrigidendosi con tutto il corpo. Di nuovo ebbi un orgasmo vaginale. Le donne che mi stavano d'intorno, probabilmente invidiose per la mia remissività, iniziarono a graffiarmi l'addome stirando le unghie sulla croce di sangue dipinta sul mio corpo.
   Una di loro s'inginocchiò dinanzi alla mia fica e prese il posto dell'uomo che poco prima mi aveva scopata. Sollevò parzialmente il cappuccio che le era servito a mantenere l'anonimato, dopodiché affondò la bocca sul mio clitoride.
   Quella donna ci sapeva fare, eccome! 
   Con le dita allargò le ali della fica e s'intrufolò con la lingua nella mucosa. A quelle sollecitazioni risposi innaffiandole la bocca di piscia, tanta era forte la mia eccitazione. Mi ritrovai a borbottare frasi sconnesse in una lingua a me sconosciuta. Altri due uomini presero il posto dei due che mi avevano sborrato nella bocca. Anche loro iniziarono a masturbarsi stringendo nella mano il cazzo dell'altro.
   La donna accovacciata fra le mie gambe seguitò imperterrita nella sua opera di cortigianeria leccandomi il clitoride. Con un colpo deciso m'infilò due dita nella fica e iniziò a scoparmi in quel modo. Strinse il clitoride fra le labbra e riprese a succhiarlo.
   Stavo per perdere i sensi. Iniziai ad avere strane allucinazioni ed entrai in uno stato di totale confusione mentale. Mentre la donna muoveva le dita nella fica, scopandomi, fremiti di piacere mi percorsero le cosce.
   Quello che ricordo è che mi ritrovai a ingurgitare lo sperma dei due maschi che stavano inginocchiati di fianco al mio viso. Difficile dire quanto tempo durò l'orgia. L'ambiente tutt'intorno prese a rotearmi davanti agli occhi sempre più vorticosamente. Le mie sensazioni si fecero più confuse. La vista mi si annebbiò e persi conoscenza.

   Una pioggia a dirotto mi svegliò dal torpore in cui ero sprofondata. Quando ripresi i sensi gli adepti alla setta avevano levato le tende e se ne erano andati lasciandomi legata sul prato. 
   Soltanto verso sera riuscimmo a liberarci dai lacci che ci tenevano ancorate al terreno. Anche Paola aveva subito il medesimo trattamento riservato a me. Mi riuscì difficile ristabilire un contatto umano con la mia amica. Il suo sguardo era spento e pareva in uno stato catatonico.
   Di comune accordo decidemmo di non denunciare il fatto alla polizia tedesca, la cosa ci avrebbe creato grane a non finire e un tipo di pubblicità che si sarebbe rivoltato contro di noi stesse. Stabilimmo di tacere e di fare ritorno in Italia.
   Restai alla guida del camper per tutta la notte. La mattina seguente raggiungemmo Parma. Accompagnai Paola alla porta di casa e nel farlo capii che non l'avrei rivista per lungo tempo. Ma anch'io ero stanca e stranita, ma non ero depressa come la mia amica.
   A casa m'infilai sotto le lenzuola e mi addormentai di un sonno profondo e privo di sogni. Quando mi svegliai era sera, stavo benissimo e non risentivo in alcun modo della violenza subita. 
   Il mio subconscio non la riteneva, affatto, tale. 
   Che gran troia sono! Pensai, mentre guardavo compiaciuta il mio corpo nudo davanti allo specchio.
   Un segno di questa avventura però mi è rimasto. E' un piccolo tatuaggio sulla spalla che qualche membro della setta mi ha inciso sulla pelle quando ero incosciente.
   Il disegno raffigura una farfallina.

 

 
 

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