MANIPOLAZIONI INDECENTI
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

          Una rapida corsa in automobile dalla Malpensa al casello autostradale di Parma, il tempo di deporre il carico di valigie, catapultarmi sotto la doccia, e sono pronta a prendere servizio in clinica.
   Sono trascorse soltanto tre ore da quando sono scesa dal Boeing 777, di ritorno dai Caraibi, e già avverto nostalgia per le spiagge tropicali. 
   L'ambiente in cui lavoro è un luogo segnato dalla sofferenza e dal dolore, eppure c'è chi sostiene che una professione come la mia, quella d'infermiera, è ricca di gratificazioni. Non è vero, infatti, da poche settimane ho compiuto venticinque anni e spero di cambiare al più presto genere di lavoro.

   Le strade della città a quest'ora della sera sono poco trafficate. Impiego una decina di minuti per raggiungere l'ingresso dell'ospedale. Parcheggio l'autovettura nell'area riservata ai dipendenti e proseguo a piedi sino alla clinica in cui presto servizio. Quando entro nello spogliatoio manca una decina di minuti alle dieci. Mi spoglio e resto con le sole mutandine e null'altro sotto la divisa. Il reggiseno non lo porto mai, ho tette piccole e sode con i capezzoli che puntano decisamente all'insù.
   Aggiusto il velo che mi copre il capo e finisco d'assestarmi la divisa prima di raggiungere il reparto, per ultimo do un'occhiata alla mia immagine riflessa nel piccolo specchio appiccicato a una parete dello spogliatoio. La cavità che separa le tette non è abbastanza manifesta. Faccio uscire un paio di bottoni dalle asole della camicetta per scoprire le rotondità che fioriscono dalla scollatura. Pochi minuti prima delle dieci salgo in reparto.
   Le mie colleghe di lavoro sono raggruppate nella guardiola in attesa del mio arrivo.
   - Ciao, a tutte! Novità? - dico appena mi affaccio sulla porta della guardiola.
   - Mamma mia, come sei abbronzata! - esclama Nadia. - sembri Naomi Campbell.
   - La vacanza ti ha fatto proprio bene. - la interrompe Eleonora.
   Mi chiedono se ai Caraibi ho trovato bel tempo, se mi sono divertita, ma soprattutto se ho trovato qualcuno con cui fare del sesso. Non desidero farle partecipi delle mie avventure, glisso la domanda e cambio argomento di conversazione.
   - Parlatemi del reparto piuttosto. - dico, mentre con le dita scorro le pagine del quaderno delle consegne. - Tutto tranquillo? Oppure ci sono novità?
   - Nessuna novità, la notte dovrebbe trascorrere tranquilla. Beh, ora ti saluto me ne vado a casa. - sbotta Nadia, che si è avvicina alla porta della guardiola e sta per togliersi il velo dal capo.
   - Ah, dimenticavo. Nella stanza dei carcerati c'è ricoverato un detenuto. Niente di grave, ha due polsi rotti ma li ha ingessati. Domani mattina dovrà eseguire un esame di laboratorio, trovi le spiegazioni nel quaderno dei prelievi.
   Nadia si lascia sfuggire un sorriso sibillino di cui non riesco ad afferrare appieno il significato. Ambedue mi salutano agitando la mano, dopodiché spariscono alla mia vista e prendono la direzione dell'uscita del reparto. Resto sola nella guardiola e mi accendo una sigaretta. 
   Quando ho terminato di fumare decido di fare visita a tutte le camere per accertarmi che i degenti affidati alle mie cure riposino tranquillamente.
   Due guardie carcerarie piantonano l'ingresso alla camera di degenza che ospita il detenuto. Mi avvicino ai militari, seduti sulle sedie ai lati della porta, impegnati a conversare fra loro, e gli pongo una domanda.
   - Che reato ha commesso il detenuto? - chiedo con finta noncuranza.
   Il più giovane dei due agenti è il più lesto a rispondermi.
   - Non si preoccupi, non ha niente da temere, è un povero diavolo. - m'informa. - Ha subito una aggressione da due albanesi e ha avuto la sventura di difendersi con una sbarra metallica. Purtroppo ha colpito al capo uno di loro e gli ha rotto la testa, uccidendolo, poi è fuggito, ma è caduto da un muro alto poco più di tre metri e si è fratturato entrambi i polsi.
   Quando entro nella camera che dà ospitalità al detenuto la luce sopra la spalliera del letto è accesa. Un uomo di circa trent'anni, di carnagione scura e corporatura robusta, occupa il letto.
   - Buonasera, tutto bene? - dico cercando in tutti i modi di metterlo a suo agio, elargendogli un sorriso.
   - Si, grazie, nessun problema. - mi fa lui.
   Mostra di non avere voglia di conversare. Gli auguro la buonanotte ed esco dalla stanza lasciandolo solo con i suoi pensieri.

   Raggiungo la guardiola e incomincio a preparare il materiale necessario per i prelievi di sangue che andrò a effettuare l'indomani mattina. Un lavoro noioso che sono solita eseguire a inizio turno di lavoro in modo da trascorrere il resto della nottata in maniera tranquilla.
   Scorro l'elenco degli esami e inizio a incollare le etichette su ciascuna delle provette che utilizzerò per i prelievi. Ho un sussulto quando apprendo il tipo d'esame a cui dovrò sottoporre il paziente del letto numero 15, quello occupato dal detenuto. La richiesta del medico è sufficientemente chiara. 
 



ESEGUIRE AL SIG. GIANCARLO FERRARI PRELIEVO
PER SPERMIOGRAMMA E SPERMIOCOLTURA.

 


   
L'esame, di per sé, è piuttosto semplice. Il paziente, dopo essersi masturbato, deve depositare lo sperma dentro una boccetta sterile, ma nel mio caso il paziente ha tutt'e due le mani ingessate. E allora come posso fare?
   Di norma questa operazione viene eseguita dai pazienti stessi, in casi eccezionali da un famigliare, oppure dalla moglie se è sposato. Ma in questo caso mica posso chiedere a una delle guardie carcerarie di sparargli una sega!
   Tolgo dal carrello la cartella clinica del detenuto. Leggo l'anamnesi eseguita dallo specialista che lo ha in cura, poi consulto i dati degli esami ematochimici e delle urine che risultano tutti nella norma a eccezione di alcune tracce di sangue nelle urine, forse è questo il motivo per cui deve eseguire l'esame.
   Devo trovare una soluzione al mio problema. Come diavolo posso fare? Mica posso presentarmi davanti a lui, all'alba, e dirgli:
   - Stia comodo sul letto che adesso le sparo una sega.
   Sta a vedere che per poco più di 1500 euro di stipendio al mese sarò costretta a masturbare 'sto tizio. Il bello è che non posso nemmeno rifiutarmi di farlo, accidenti!
   Intanto occorre che reperisca tutto il materiale necessario per compiere 'sta benedetta sega. Per prima cosa del sapone liquido detergente che mi sarà utile nell'eseguire il lavaggio del pene, soprattutto per la pulizia del glande, poi delle garze sterili per asciugargli il pene prima di masturbarlo e una salvietta per pulirlo subito dopo o no?
   Avrò bisogno anche di un paio di guanti in lattice piuttosto resistenti. L'indosserò al momento opportuno, prima di masturbarlo. Forse dovrei procurarmene due paia, uno lo terrò di riserva per prudenza, non si sa mai.
   Il barattolo sterile di plastica lo terrò nell'arcella, a portata di mano, per farvi defluire lo sperma, evitando d'insozzare il copriletto.
   Nel quaderno delle consegne trovo scritto che il paziente è già stato avvertito dell'esecuzione dell'esame. E' un vero peccato che a parità di diritti la sottoscritta non sia stata messa al corrente dalle colleghe. Ora capisco il perché di quel saluto sibillino da parte di Eleonora e Nadia al momento del loro commiato.

   La notte in ospedale è lunga a morire. Il pensiero della prestazione che andrò a compiere mi accompagna fino all'alba. Nel momento in cui la luce del giorno fa capolino dalle finestre della clinica sono pronta a eseguire l'esame.
   Quando raggiungo la stanza del detenuto trovo le guardie carcerarie semiaddormentate sulle sedie, in attesa del cambio turno. 
   Sono emozionata, mi tremano le gambe. 
   Il cuore mi batte a ritmo accelerato.
   Chiedo agli agenti di non entrare nella camera durante l'esecuzione del prelievo che andrò a compiere, senza specificare in cosa consiste.
   Accendo la luce della stanza e mi avvicino al letto del detenuto. L'uomo sta girato sul fianco e dorme. Gli scrollo una spalla con il palmo della mano per svegliarlo.
   - Signor Ferrari! Si svegli. E' mattina. Dobbiamo eseguire l'esame che il medico le ha prescritto.
   L'uomo ruota il corpo e le spalle e si pone supino sul letto, con l'addome rivolto verso l'alto.
   - Sono pronto. Mi dica come devo pormi. Questa posa è comoda per lei?
   Lo guardo attentamente in viso. I caratteri sembrano quelli di una persona distinta e abbastanza curata. All'apparenza è sereno. Gli occhi, di colore marrone scuro, sono semicoperti da una frangia di capelli che gli corre lungo la fronte.
   - Non si preoccupi, lasci fare tutto a me. Scopra le coperte e abbassi pigiama e mutande fino ai piedi.
   Un sorriso compare sulle sue labbra.
   - Se potessi fare questa operazione sarei anche capace di effettuare l'esame da solo. - sospira. - Con le mani ingessate non sono in grado di poterlo fare.
   - Va bene, ci penso io.
   Afferro l'elastico del pigiama e quello delle mutande e li abbasso tutt'e due contemporaneamente. Ciò che vedo ha dell'inverosimile. L'oggetto di carne che fino a pochi istanti prima stava nascosto sotto il tessuto del pigiama mi intimorisce. Non riesco a nascondere la sorpresa per le dimensioni del pene: 18 - 20 centimetri nella posizione di riposo.
   - Ora procederò alla pulizia del pene. Lei stia rilassato! Farò in un attimo. - dico con fare professionale.
   Infilo i guanti in lattice e cospargo delle gocce di una soluzione di clorexidina su di una garza, dopodiché procedo a lavare il pene. Prima di mettere mano all'oneroso compito per cui sono male pagata dispongo alcuni teli di stoffa attorno l'area da pulire. Friziono la parte prossimale del membro, accanto alla radice, con molta delicatezza. Mi sposto con le dita sullo scroto e noto che ha un colorito molto più scuro del pene. Un piccolo neo fa mostra di sé sul testicolo di destra. Cospargo di sapone la zona attorno l'ano e avvolgo di schiuma i testicoli.
   Un fremito percorre le gambe dell'uomo, avvisaglia della sua impazienza. Afferro il pene nella mano mentre con l'altra lavo il glande servendomi di una garza. Il delicato movimento della mano fa aumentare a dismisura le dimensioni del pene. I corpi cavernosi, riempiti di sangue, pulsano in maniera insistente. Sono in grado di percepire il martellare delle arterie nel palmo della mano.
   Porto a termine questa fase del mio lavoro e asporto il sapone che ho depositato sul pene. Per farlo mi servo di alcune garze imbevute d'acqua tiepida, dopodiché do inizio alla parte più delicata del mio compito.
   - Ora signor Ferrari la masturberò. Quando avrà la percezione che sta per eiaculare mi avverta per tempo, mi premurerò di avvicinare il contenitore sterile al pene, dopodiché farò defluire lo sperma. Va bene?
   - Sì... sì... certo. - annuisce.
   Il mio respiro, già affannoso, si fa ingombrante. Ho le tette gonfie e le punte dei capezzoli sembrano trapassarmi la camicetta. Mi posiziono di fianco al letto, con le spalle girate al paziente, in modo che possa vedere il mio viso solo parzialmente e non debba sentirmi imbarazzata dal suo sguardo. Afferro il pene e inizio a masturbarlo. I movimenti della mia mano sono lenti, ma decisi.
   La saliva mi si accumula nella bocca e inizio a deglutirla, ma ho anche le cosce umide del fluido che mi esce copioso dalla vagina in calore. Non riesco a dominare l'eccitazione che mi porto addosso. Accelero il movimento della mano mentre vorrei disfarmi dei guanti, gettarli dalla finestra, afferrare con le dita nude il pene, succhiarlo e ingoiarlo fino alla radice. 
   Per facilitare l'eiaculazione spremo con l'altra mano i testicoli, mentre il pene ha raggiunto il massimo vigore e la cappella è viola per l'eccitazione. Presa come sono da questi pensieri sono riportata alla realtà dalle parole del detenuto.
   - Vengo... vengo. - grida con forza l'uomo.
   Faccio appena in tempo ad afferrare il barattolo, con la mano con cui stringo i testicoli, quando il detenuto è scosso da fremiti di piacere e inizia a eiaculare.
   Il liquido seminale, denso e filamentoso, esce copioso dall'orifizio uretrale e si deposita nel contenitore di plastica. Avrei voglia d'ingoiare tutto quel ben di dio e a stento riesco a dominarmi.
   Asciugo il pene con una garza, dopodiché conduco al loro posto pantaloni e mutande del paziente. Copro l'addome col lenzuolo e rimiro il barattolo colmo di sperma depositato sull'arcella di metallo che mi sono portata appresso. Il barattolo contiene all'incirca 5-6 cm/cubi di sperma. Tolgo i guanti di lattice e mi giro verso il carcerato.
   - Ciao! - sussurro.
   Esco dalla stanza e torno in guardiola. 
   Vivo costantemente circondata dalla sofferenza e dal dolore ma non riesco a farci l'abitudine. Ecco perché ho tanto bisogno d'amore.

 

 

 
 

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