APOLLO 11
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

   Il modulo lunare, staccatosi dall'Apollo 11, toccò la superficie della luna, nei pressi del Mare della Tranquillità, il 20 luglio del 1969. Poche ore più tardi l'astronauta Neil Armstrong mise piede sul suolo lunare.
     Assistetti alla telecronaca dell'atterraggio del modulo lunare, stravaccato sul divano, nel salotto dell’abitazione dei miei genitori, trepidando per la vita dell'astronauta americano, esaltandomi alle parole del conduttore televisivo impegnato nel descrivere la straordinaria avventura della conquista della luna.
     Nelle intenzioni degli scienziati l'evento avrebbe dovuto dipanare molti dei misteri che sottintendono l'evoluzione dell'universo, perlomeno queste erano le mie aspettative e anche quelle della maggioranza delle persone, invece a distanza di quarant'anni sto ancora a chiedermi qual è il senso della vita.
     Ma qualcos’altro d'importante arrivò a sconvolgere la mia esistenza durante quei giorni. Da poco avevo compiuto diciassette anni e d'improvviso mi scoprii perdutamente innamorato di una donna. Ma non una qualunque delle mie coetanee, perché la donna per cui persi la testa era sposata e aveva il doppio dei miei anni.
     Niente pareva più interessarmi. Ero un'anima spersa, un tapino, e come molti adolescenti innamorati non volevo destarmi dal torpore in cui ero sprofondato.
 

* * *

     La vettura sulla quale Viviana e io viaggiavamo, una Lancia Fulvia coupè, arrestò la corsa strisciando i pneumatici sul cordolo del marciapiede. Viviana non spense il motore, incominciò a tamburellare nervosamente le dita sul volante in attesa che mi congedassi da lei.
     - Vorrei stare in tua compagnia più spesso. Non mi basta godere dei pochi attimi che sottrai alla famiglia quando ti viene voglia di fare l'amore con me. - dissi.
     - Non posso darti più di quello che già ti do, lo sai bene. Il tempo che ti concedo è più di quanto mi è consentito offrirti.
     - Sto male quando non ti vedo.
     - Ma dai, non fare il bambino. Anch'io vorrei fare l'amore molto più spesso con te. Ma non posso. Lo sai.
     - Belle parole.
     - Sei padrone di non credere a quello che dico, ma è la verità.
     - Ma allora cos'è che ti spinge a fare l'amore con me? Ti spiace spiegarmelo una volta per tutte, eh?
     Viviana avvicinò le labbra alle mie e lasciò cadere un tenero bacio sulla bocca. Si scostò quasi subito, senza darmi il tempo di ricambiare il gesto. Avrei desiderato ficcarle i miei venti centimetri di lingua fra le labbra, rovistarle il palato e ubriacarmi del delicato sapore della sua bocca, invece non mi lasciò il tempo per farlo.
     Un lampione diffondeva una debole luce sul selciato. Una pioggerella sottile bagnava il parabrezza dell'autovettura. Le spazzole del tergicristallo cancellavano le trame imbastite dalle gocce di pioggia sulla superficie del vetro suggellando, con il movimento delle aste, il trascorrere del tempo allo stesso modo delle lancette di un orologio. Viviana appoggiò la mano sulla leva che azionava l'apertura dello sportello, nella parte della vettura dove ero seduto, sottraendosi all'incalzare delle mie domande facendomi capire che dovevo scendere dall'auto e andarmene al più presto.
     - Ciao! - disse prima di riprendere la corsa verso casa. - Ci vediamo domani a scuola.
     - Sì, certo.
     Prima di congedarmi fissai lo sguardo sui lineamenti del suo viso. Ancora una volta rimasi stordito dal sorriso rassicurante e dai lineamenti di una bocca imbellettata con un rossetto rosso fuoco. I capelli neri come la pece, che in nessun'altra occasione avevo intravisto fuori posto, le scendevano lisci sotto il mento attribuendole un aspetto tutt'altro che materno.
     - Ciao.
     Appena misi piede sul marciapiedi la Lancia Fulvia sfrecciò via lasciandomi sul marciapiede, solo con le mie angosce. Viviana sarebbe giunta a casa da lì a poco. Ad attenderla, oltre al marito, c'erano i suoi due figli.
     Anticonformista, femminista convinta come poche altre donne, conduceva una vita fuori dalle regole. I figli, il marito e io, non esistevamo, ci considerava delle appendici, complementi non strettamente necessari, ma utili alla sua sopravvivenza e pareva non crucciarsi delle sofferenze che c'imponeva con la sua condotta.

     Camminavo sotto la pioggia, con addosso l'odore della sua pelle, acquietato solo in parte dal pompino che Viviana aveva portato a termine qualche istante prima. Si era dannata l'anima a succhiarmi la cappella fintanto che le avevo rovesciato in gola lo sperma che con tanto furore mi aveva spremuto dalle palle, dopodiché aveva preteso di riaccompagnarmi in città.
     A diciassette anni mi ero ritrovato a fare l'amore con la supplente della mia professoressa di lettere. Una donna che aveva saputo padroneggiarmi, scopandomi ogniqualvolta ne aveva voglia, senza farsi scrupolo dei miei sentimenti.
     Il giorno che aveva fatto la sua comparsa dietro la cattedra ero stato attratto dalla bellezza delle sue cosce. Dal banco che occupavo, in prima fila, potevo mantenere sotto controllo ogni movimento del suo corpo dalla vita in giù. In effetti era dotata di un bel paio di gambe e faceva di tutto per metterle in mostra. Le accavallava di continuo, senza occuparsi di coprire le cosce col bordo della sottana, lasciando intravedere le mollette e i nastri del reggicalze.
     Sembrava farlo apposta ad assumere pose licenziose, smaniosa di mostrare il tessuto delle mutande che in più di una occasione avevo potuto scorgere, seppure in maniera confusa. In una occasione dubitai persino che le indossasse, ma era solo una illusione ottica la mia.
     Durante le sue ore di lezione mantenevo lo sguardo fisso sotto la cattedra, toccandomi il cazzo mentre le guardavo le cosce. Lei non tardò ad accorgersene, ma non cambiò atteggiamento mostrando le proprie nudità in maniera ancora più sfacciata.

     Il 12 dicembre, quattro mesi dopo l'allunaggio di Armstrong sulla luna, un ordigno di sette chili di tritolo esplose a Milano nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Il bilancio delle vittime fu di 16 morti e 87 feriti. Durante una delle manifestazioni di protesta indette dal Movimento Studentesco, a seguito della strage e alla morte dell'anarchico Pinelli (precipitato da una finestra della questura milanese), mi ritrovai a manifestare per le vie del centro a sostegno dell'operaio Pietro Valpreda, ingiustamente accusato d'essere l'autore della strage.
     Durante la manifestazione mi capitò di sorreggere, insieme a una decina di compagni, uno striscione di protesta che occupava per intero Strada D'Azeglio. In quella occasione intravidi Viviana in corteo stringere nella mano il bastone di una bandiera rossa, issata sulla spalla, e gridare slogan contro la polizia, mantenendo un braccio steso verso il cielo con il pugno chiuso. Lei mi vide e non mancò di salutarmi, sorridendomi garbatamente.
     Un pomeriggio, all'uscita da scuola, una vettura mi affiancò e arrestò la corsa qualche metro davanti a me. Da uno sportello della Lancia Fulvia, uscì il viso di Viviana.
     Con una certa sfacciataggine, senza troppo curarsi della gente che ci stava d'intorno, si rivolse a me. Sì, proprio a me, accidenti!
     - Posso darti un passaggio Lorenzo?
     - Eh?
     - Ti ho chiesto se intendi proseguire a piedi per la tua strada, bagnandoti sotto la pioggia, oppure se preferisci un passaggio sino a casa.
     Rimasi sorpreso dall'invito e non mi riuscì di biascicare una sola parola.
     - Beh, ti decidi o no?
     Rivoltai il cappuccio dell'eskimo, scostai la sciarpa rossa mantenuta premuta sul viso, e presi posto nel sedile accanto a lei.
     - Abiti lontano?
     - No, di là del fiume, in Piazza Santa Croce. - dissi con il batticuore.
     Il fiato mi si era fermato in gola e faticavo a respirare, intimidito da quell'invito così inusuale.
     - Sono di strada. Non avrò bisogno di fare delle deviazioni per accompagnarti a casa.
     Nello spazio di tempo che impiegammo a raggiungere la mia abitazione parlò sempre lei. Rimasi stupito quando, in maniera apparentemente casuale, fece scivolare la mano che stringeva il pomello del cambio sopra la mia coscia. Lì per lì non ci feci caso, ma il ripetersi del gesto mi fece intendere qual era il suo vero intendimento. Ero turbato, ma non sapevo come reagire a quella provocazione. Rimasi saldo sul sedile senza ritrarmi.
     La cosa mi eccitò non poco, gonfiando di passione la mia fantasia e non solo quella. Nei giorni successivi Viviana si fece trovare più volte all'uscita della scuola sollecitandomi a prendere posto sopra la sua automobile. Un giorno presi coraggio e lasciai cadere la mano fra le sue cosce.
     Teneva la pelliccia di visone sbottonata con le cosce bene in vista. Non fu difficile approdare con le dita agli elastici del reggicalze. Non si scompose al mio gesto. Lasciò che l'accarezzassi senza opporsi, anzi, mi prese la mano e condusse le dita al tessuto umido delle mutandine.
     Viviana e io scopavamo sulla sua automobile. Lo facevamo dove capitava, il più delle volte in aperta campagna, oppure nelle carraie fra le gaggie del fiume a poca distanza dalla città. Prima di conoscerla ero vergine, lo confesso. Non avevo mai scopato con nessuna delle compagne di scuola con cui avevo flirtato e praticato soltanto del petting. Appagavo la pulsione erotica che consumava il mio corpo sparandomi un paio di  seghe al giorno. 

    A Viviana piaceva fare del sesso, era insaziabile in questo, perlomeno questa fu l'impressione che ne ricevetti. Da debuttante qual ero mi condusse a scoprire i piaceri del suo corpo. Oh, sì, che ci sapeva fare, eccome se ci sapeva fare! Da principio la delusi perché non riuscivo a trattenermi dal venire precocemente. Lei sembrava non prendersela troppo per le mie eiaculazioni anticipate, infatti, pareva trovarci gusto nel farmi sborrare più volte nello spazio di poco tempo cibandosi del prezioso sperma che custodivo nella sacca delle palle. Poi mi lasciai guidare dai suoi consigli e, prima di ogni appuntamento, iniziai a spararmi due o tre seghe in breve successione, evitando in questo modo di raggiungere l'orgasmo troppo precocemente quando scopavo con lei, soddisfacendo le sue voglie.
     Avevo l'impressione che toccasse il cielo con un dito ogni volta che si metteva cavalcioni nella posizione a smorzacandela sopra di me. Mi piaceva possederla mentre era seduta sulle mie cosce. In quella posizione mi era permesso di osservare le smorfie del viso e carezzarle le tette.
     Mi deliziavo nello stringerle i capezzoli, pizzicarli, morderli fino a farla urlare di piacere mentre conduceva il ritmo della scopata.
     Le piaceva che la scopassi nel culo. La prima volta che me lo chiese mi trovai in imbarazzo. Non mi era mai frullato per la testa che si potesse mettere in atto questo tipo di sodomia. Prima di cominciare a fare l’amore con lei avevo fatto conoscenza della figa soltanto sfogliando le pagine patinate di qualche rivista pornografica, ma in quegli anni non erano contemplate le foto di sodomie sulle riviste porno. Nemmeno mi apparteneva questo genere di fantasia.
     Esaudii il suo desiderio e la inculai scoprendo uno straordinario piacere in quella pratica sessuale. Penetrarla, facendo scivolare il cazzo in un buco così stretto, mi diede un immenso piacere.
     L'amavo per quello che era, e lei era tutto per me, tutto!


     Preso commiato da Viviana, ma forse dovrei dire scaricato sul marciapiede, incominciai a camminare senza una meta precisa sul lungofiume. L'eskimo, inzuppato d'acqua, era un tutt'uno con la mia pelle.
     Le luci colorate della ruota panoramica del Luna Park richiamarono la mia attenzione. Attraversai il ponte che conduceva al parco dei divertimenti e mi ritrovai confuso fra la folla di persone che occupavano le varie attrazioni.
     La giostra con i seggiolini volanti dove ero solito farmi lanciare da qualche amico per catturare il fiocco in palio, e vincere un giro gratis, era ferma per colpa della pioggia che cadeva con una certa insistenza.
     Spostandomi da uno stand all'altro giunsi dinanzi al baraccone che ospitava il Labirinto di Cristallo. Mi misi a osservare le persone che si muovevano a fatica nel dedalo di specchi. Incominciai a ridere contagiato dalle capocciate che in molti rovesciavano contro i tramezzi di cristallo per la fretta di uscire prima degli altri compagni di gioco dal labirinto.
     - Senza il filo di Arianna non è facile districarsi fra specchi e pareti trasparenti. - disse una voce alle mie spalle.
     Mi girai di lato e scoprii il volto di Elisabetta Torre. La ragazza frequentava l'ultimo anno di liceo in una sezione diversa dalla mia. All'annuale festa dell'istituto, tenutasi al Dancing Marisol, si era classificata al posto d'onore nell'elezione di "Miss Liceo".
     Bella come poche altre compagne di scuola possedeva un fisico statuario. Prima di quella sera non mi aveva mai degnato d'attenzione, preferendo alla mia compagnia quella di altri coetanei.
     - Cosa ci fai qui? Hai una faccia da funerale!
     - Niente. Vado in giro. E tu, sei sola?
     - Sto insieme a un gruppo di amiche.
     - Niente maschi d'intorno?
     - No, sono libera.
     - Ah.
     - E tu sei solo?
     - Forse, anzi, sì.
     - Ti sta bene la barba che ti sei lasciato crescere sul mento. Ti rende più maschio, lo sai?
     - Dici?
     - Senti, perché non mi tieni compagnia sul Treno Fantasma. Ho un paio di biglietti omaggio e non mi va d'andarci da sola. Mi farebbe piacere se ci venissi con me.
     La stessa proposta, fatta alcuni mesi addietro, mi avrebbe fatto fare dei salti di gioia, invece a fatica mi lasciai convincere ad accettare l'invito.
     Presi posto accanto a Elisabetta su una vettura del Treno Fantasma e rimasi in attesa che il veicolo si muovesse sui binari della cremagliera, pronto a superare trabocchetti, scivoli e apparizioni mozzafiato. Perlomeno questo era quanto garantiva la locandina affissa nella postazione di partenza delle carrozze.
     Nel momento in cui la vettura cominciò a muoversi Elisabetta si strinse forte a me lasciandomi di stucco per la sorpresa. Mi ritrovai con un braccio attorno al collo e le tette che mi premevano contro il torace.
     La barriera di compensato su cui erano raffigurati demoni e vampiri, la stessa che dava accesso alla Galleria degli Orrori, si chiuse alle nostre spalle. Proseguimmo la corsa nel buio più completo. Una musica assordante, unite a delle urla, che nelle intenzioni del gestore del baraccone dovevano incutere paura, accompagnarono l'avanzata del veicolo nel tunnel. Nel momento in cui un branco di pipistrelli, posticci, ci venne addosso Elisabetta si strinse forte a me. Non ricordo chi dei due cercò per primo le labbra dell'altro. Quello che ho impresso nella memoria è che serrai le palpebre e chiusi gli occhi, lo stesso fece lei. Non staccammo più le labbra e continuammo a baciarci fino allo sfinimento.
     Elisabetta Torre, seconda classificata al concorso di "Miss Liceo", si trattenne fra le mie braccia anche quando il veicolo arrestò la corsa. Nel momento in cui scesi dalla vettura, dopo un giro completo nella Galleria degli Orrori, le gambe mi tremavano e la testa mi girava tutt'intorno per la mancanza di ossigeno. L'unica cosa che m'importava era di scopare Elisabetta. Ero certo che ci sarei riuscito. Per la prima volta nella mia vita presi coscienza che non c'è niente di assoluto, neanche l'amore per una donna.

* * * 

   Cosa resterà degli anni settanta? Non lo so. Anni difficili, violenti, tormentati, ma ricchi di passioni. C'eravamo messi in testa un idea pericolosa: cambiare il mondo.
     Reputavamo che si potesse essere felici solo se lo erano anche gli altri. Forse c'eravamo sbagliati, forse.
     Armstrong e Aldrin camminarono due ore sulla superficie della luna, raccolsero 21 Kg. di campioni del suolo, scattarono un numero incredibile di fotografie e issarono la bandiera statunitense sulla superficie lunare.
     Lasciarono il suolo del satellite terrestre utilizzando lo stadio superiore del Lem, sfruttando quello inferiore come rampa di lancio. Il modulo di risalita fu abbandonato dopo l'aggancio con il modulo di comando dove i due astronauti si trasferirono. Il volo di ritorno dell'Apollo 11 non presentò inconvenienti, la navicella ammarò il 24 luglio nell'oceano Pacifico.

     Mi sono chiesto più di una volta in che modo gli astronauti dell'Apollo 11 espletassero i bisogni fisiologici durante la missione lunare, impediti com'erano dalla mancanza di gravità e dalla presenza della tuta spaziale. Chissà che puzza avranno avuto addosso. Forse era a causa del fetore che li circondava che tenevano sempre addosso il casco spaziale? Mah! Chissà!

 

 

 
 

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