MOBBING
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

      Questa notte è lenta a morire. Poche ore di buio dopodiché sorgerà l'alba. Priva di ciabatte ai piedi, con addosso il solo perizoma, sto con i gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone e guardo verso il basso. Non ho nessuno a tenermi compagnia, soltanto il cielo affollato di stelle.
   Voglio togliermi la vita. E' questa la ragione per cui mantengo lo sguardo rivolto sull'asfalto del cortile, sette piani sotto di me, ma ancora non so decidermi a spiccare il grande salto.
   Desidero farla finita, adesso, subito, senza perdere altro tempo, perché non ho più la forza per difendermi dalle persecuzioni messe in atto dalle mie colleghe di lavoro.
   In passato ho già messo in atto altri tentativi di togliermi la vita, ma l'ho sempre fatto con poca convinzione. La prima volta è accaduto quando avevo soltanto dieci anni. A quell'età non sopportavo che mamma dedicasse maggiori attenzioni a mia sorella, nata da pochi mesi, piuttosto che a me, sottraendomi l'affetto di cui avevo bisogno.
   A quell'età avvertivo la necessità di una presenza materna accanto alla mia persona, invece quello che percepivo era soltanto solitudine e abbandono. Per ritorsione decisi di punire mamma e ingoiai una decina di pastiglie di un farmaco: il Betotal.
   Mamma conservava quelle pastiglie nel comodino della stanza da letto e ne faceva un uso saltuario. Per mia fortuna quel tipo di farmaco non era altro che un polivitaminico del complesso B, altrimenti sarei morta se fosse stato uno di quei psicofarmaci di cui fa abuso ora.
   E' stato il colore rosso dell'emulsione di cui erano ricoperte le pastiglie a trarmi in inganno, convincendomi che fossero un potente sonnifero.
   Rassicurata dal medico di famiglia, sugli effetti del farmaco sul mio organismo, mamma si convinse che l'unica ragione per cui avevo inghiottito le compresse era che l'avessi fatto per sbaglio, nemmeno provai a spiegarle le ragioni del mio gesto. L'episodio si risolse con un rimprovero e nulla più. E io seguitai a sentirmi sempre più sola.
   Non ho più pensato al suicidio sino al compimento del diciassettesimo compleanno. Ci riprovai quando il ragazzo con cui facevo coppia fissa da circa un anno mi abbandonò per mettersi insieme a una ragazza lentigginosa, dalle gambe secche come il sedano, che gli aveva fatto assaporare la bontà della figa. Io a stento gli avevo concesso di palparmi le tette.
   In quella occasione decisi di togliermi la vita facendomi investire dalle ruote di un treno, allo stesso modo di Anna Karenina di cui avevo appena letto il romanzo. All'ultimo istante, quando già ero sdraiata sui binari della linea ferroviaria Parma-La Spezia, distante meno di mezzo chilometro dalla mia abitazione, desistetti dal farlo. Ho sempre avuto paura della paura.
   Una volta ottenuta la maturità magistrale decisi di dare significato alla mia vita iscrivendomi alla scuola per infermieri professionali. Ma per raggiungere quell'obiettivo faticai non poco, sfidando le ire dei miei genitori che su di me avevano riposto ben altre ambizioni.
   Una passione, quella d’intraprendere la professione dell'infermiera, che avevo coltivato negli anni dell'adolescenza fino a realizzarla nonostante l'avversione dei miei genitori che tutt'ora la considerano una professione umiliante, poco adatta a una donna come me. Invece aiutare il prossimo mi ha giovato perché ha contribuito a farmi stare bene, specie con me stessa, dando valore alla mia esistenza, perlomeno fino a qualche mese fa, quando ho preso servizio presso gli ambulatori della IIIa Clinica Medica.
   E' un festival di cattiverie e incomprensioni che ho dovuto sopportare nel nuovo posto di lavoro. Dai primi giorni ho avvertito un clima avverso alla mia persona. All'inizio non ci ho fatto troppo caso, scambiando per antipatia l'ostilità di alcune colleghe nei miei confronti. Ma col passare del tempo molte di loro hanno esercitato sulla mia persona una forma di terrorismo psicologico, mettendo in giro maldicenze, battute e attacchi ripetuti, cose che non mi sarei mai aspettata di ricevere da altre donne.
   Questa avversione nei miei confronti ha avuto inizio quando non ho voluto condividere un certo modo di lavorare che andava a discapito dei bisogni dei pazienti. Questa mancata omologazione ha infastidito molte di loro. Sono stata emarginata come un'appestata, ciononostante ho perseverato nel mio atteggiamento adempiendo ai miei doveri infischiandomene di loro.
   Ma a lungo andare ho patito le conseguenze della loro avversione. Ne ho sofferto fino a stare male fintanto che sono caduta in depressione. Per uscire dal vicolo cieco in cui sono andata a cacciarmi l'unica via d'uscita è quella di farla finita, dandomi la morte.
   Togliermi la vita lo considero un atto di sfida al mondo che mi circonda. Voglio vendicarmi dell'indifferenza e della cattiveria che le mie colleghe hanno dimostrato nei miei confronti. Quello che voglio è costringerle a vivere il resto della vita portandosi sullo stomaco il peso insostenibile della colpa e del rimorso di questo mio suicidio.
   Il foglio di carta che ho lasciato sul tavolo della cucina, dove ho descritto le angherie di cui sono stata fatta oggetto, servirà a dare significato alla mia morte. Uccidermi è l'unica soluzione che ho a disposizione per uscire dalle mie sofferenze dal momento che vivere mi è diventato insopportabile. La morte non mi fa paura, anzi questo pensiero mi dà conforto e sollievo.
   L'atteggiamento vessatorio delle mie colleghe di lavoro, e la malvagità delle insinuazioni messe in atto sul modo in cui esprimo la mia sessualità, mi hanno ferito ancor più dell'atteggiamento di un medico del reparto dove prestavo servizio prima di trasferirmi in IIIa Clinica Medica.
   Lo stronzo ha tentato di sedurmi in tutti i modi facendomi segno di molestie sessuali. Alle insistenti avance e agli inviti a uscire insieme a cena avevo sempre dato risposta con un rifiuto, dandogli a intendere che non gradivo la sua compagnia. Un pomeriggio che ero sola nella stanza delle medicazioni, intenta a preparare una fleboclisi, mi si è avvicinato alle spalle e mi ha cinto i fianchi con le braccia. Ho percepito il cazzo premermi contro le natiche e sono rimasta esterrefatta da tanta insolenza. Ho lasciato che mi baciasse sul collo prima di ritrarmi quando mi ha palpato le tette.
   Il sentimento di repulsione che ho avvertito nei suoi confronti è stato pari alla potenza dello schiaffo che gli ho mollato sul viso quando mi sono girata. Lui non si è mosso, ma ha ribattuto al mio gesto restituendomi due schiaffi sulle guance.
   - Una puttana, ecco quello che sei! - mi ha urlato addosso mentre si allontanava dall'ambulatorio.
   Nei giorni successivi, dopo essersi sentito rifiutato, ha fatto di tutto per mettermi in cattiva luce con i pazienti affidati alle mie cure. In più di una occasione mi ha rimproverato e dato dell'incapace in loro presenza, adoperandosi con la caposala perché mi fossero assegnati dei compiti dequalificanti.
   Ho sopportato le sue angherie fintanto che ne ho avuto le forze, dopodiché ho inoltrato la domanda di trasferimento e ho preso servizio in un altro reparto: la IIIa Clinica Medica.
   In questa nuova destinazione ci ho messo tutto l'entusiasmo che avevo in corpo, ma non potevo immaginare che sarei andata incontro a tante difficoltà nell'adempimento del mio lavoro.
   Il comportamento persecutorio messo in atto con tecniche sottili e invisibili dalle mie colleghe ha dell'assurdo. La forma di depressione psichica di cui soffro si manifesta per lo più con frequenti crisi di pianto. In più di una occasione sono stata costretta ad assentarmi dal lavoro per brevi periodi e questo perché sono stata soggetta a soprusi e pratiche tendenti a isolarmi. L'atteggiamento delle mie colleghe è la vera causa della catastrofe emotiva in cui sono precipitata. Ho perso fiducia in me stessa e l'unica cosa che desidero è farla finita.

   Tengo i gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone e guardo verso il basso. Il terrore inconscio che provo mentre contemplo l'instaurarsi di un nulla che mi affascina e allo stesso tempo mi respinge non ha paragoni. Pagherei non so cosa per essere in grado di sapere cogliere qual è il significato di un nulla che è annullamento e forse rinascita nello stesso tempo. Forse fra poco lo saprò
.

 

 
 

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