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MARE
D'INVERNO
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
La
locomotiva arrestò la corsa poco
prima dell'ingresso in galleria. Le
carrozze del convoglio
si bloccarono in corrispondenza della pensilina.
Scesi dal treno di corsa, unica
fra i viaggiatori a scendere
nella piccola stazione ferroviaria a
strapiombo sul mare. Il treno riprese la
corsa dopo qualche istante e scomparve
alle mie spalle nella volta scura di una
galleria.
La linea ferroviaria, nel
tratto che attraversa le Cinque Terre,
scorre attraverso una infinità di
tunnel. Il treno su cui avevo preso
posto effettuava fermate in ogni
stazione, anche le più piccole, nel
tratto di costa ligure che da
Riomaggiore conduce a Monterosso.
Mi c’erano volute tre ore
di treno per raggiungere, da Parma, la
località ligure a strapiombo sul mare. Durante
il viaggio mi ero distratta leggendo le
pagine di un romanzo di Simenon, ma
soprattutto divagando con la fantasia,
seppure a
occhi aperti, interrogandomi su ciò che
rappresentavo per Bénédicte.
Accostai la sciarpa al
mento per ripararmi dall'aria gelida
della sera, dopodiché mi incamminai
sulla banchina della pensilina con la
borsa da viaggio che mi pendeva
tracolla. Andai diritta verso il
sottopassaggio che conduceva all'uscita
della stazione ferroviaria, impaziente
di raggiungere l'albergo dove Bénédicte
aveva prenotato una camera. Avvezza alle
nebbie della pianura rimasi
rapita dal profumo di salsedine sospeso
nell’aria. L'odore mi restituì la
serenità perduta durante le
interminabili ore di viaggio.
L'albergo dove ero diretta
distava qualche centinaio di metri dalla
stazione ferroviaria. Non era la prima
volta che ci mettevo piede. Bénédicte
e io ci davamo appuntamento a intervalli
regolari occupando sistematicamente la
camera numero 21, la medesima stanza che
aveva dato ospitalità a mamma e papà
in una notte rivelatasi assai tragica.
La strada che dalla
stazione ferroviaria conduceva al
lungomare era male illuminata. I
lampioni pendenti dai muri delle case,
disposti a distanza di una decina di
metri uno dall'altro, lasciavano ampi
tratti di strada spogli di luce. Ogni
volta che mi trovavo a percorrere i
viottoli che conducevano all'angiporto
mi prendeva una dannata paura. Affrettai
il passo senza mai girarmi indietro,
attenta ai rumori che provenivano alle
mie spalle, procedendo spedita,
impaziente di raggiungere al più presto
la banchina che costeggia il lungomare.
Un vento fresco spirava dal
mare verso terra trascinandosi appresso
enormi cavalloni d'acqua di cui scorgevo
le creste di schiuma bianca. Percorsi un
breve tratto di lungomare in compagnia
di un gran numero di gabbiani sospesi a
mezz'aria, incalzata dal vento, poi
attraversai la strada e mi portai sul
marciapiede opposto alla banchina dove
avevo camminato sino allora.
Da poco il sole era
inabissato nel mare scomparendo
all'orizzonte. In giro per il paese
intravidi soltanto qualche coppia di
pensionati rifugiatisi nella piccola
cittadina di mare per svernare. I negozi che si
affacciavano sul lungomare avevano le
serrande abbassate. Unica eccezione il
bar-tabaccheria e un piccolo market che
metteva in vendita prodotti per la casa.
Avrei pagato non so cosa
per mettere sotto i denti un trancio di
focaccia alla genovese o in subordine
della farinata di ceci, ma l'unica
pizzeria che si affacciava sul lungomare
avrebbe riaperto i battenti soltanto a
tarda primavera.
L'insegna luminosa
dell'hotel dove avrei preso alloggio
era bene visibile in lontananza. Mi
inerpicai per una ripida salita e in
breve tempo raggiunsi l'ingresso
dell'albergo che mi avrebbe dato ospitalità.
Non mi è mai piaciuta la
vita da spiaggia. Al mare ho sempre
preferito la vita più movimentata delle
notti consumate in giro per le capitali
d'Europa, vagabondando da una città
all'altra, in cerca di non so cosa. E'
durante questo mio girovagare che ho
conosciuto Bénédicte. E la camera di
questo albergo, dirimpetto al mare, è
il luogo dei nostri incontri, anche se
non ho mai avuto il coraggio di
confidarle la ragione di questa mia
preferenza.
- Buona sera signorina
Erika, ha fatto buon viaggio?
- Sì, direi di sì,
grazie.
La moglie del signor
Cosimo, un'anziana donna con una leggera
gobba sul naso e il labbro superiore
spesso e piegato all'indentro, mi salutò
dal bancone della reception dove
era solita accogliere la clientela.
Posai la borsa da viaggio sul pavimento
e rimasi in attesa che mi consegnasse la
chiave della camera, persuasa che Bénédicte
non fosse arrivata a destinazione prima
di me.
- E' già in camera la sua
amica. - disse con un tono di voce sarcastico.
- Ah! Bene, bene. Ci
vediamo più tardi allora.
- Sì, certo, la cena vi
sarà servita alle otto in punto, mi
raccomando! Siate puntuali, non tardate
troppo, ci siete solamente voi due
ospiti nell'hotel.
- Non si preoccupi, saremo
puntuali.
*
* *
Bénédicte era distesa sul letto. Le
spalle nude sporgevano da una trapunta
di piume d'oca che avvolgeva il giovane corpo. Teneva il capo
accostato su di un paio di cuscini e
pareva interessata a seguire un
programma alla tivù. La camera, oltre a
un letto matrimoniale, comprendeva un
piccolo armadio e un paio di comodini.
Una candela profumata, sistemata su uno
dei comodini, subiva gli effetti della
fiamma liquefacendosi lentamente,
diffondendo nella camera un delicato
odore di vaniglia.
- Spogliati! - disse Bénédicte
appena misi piede nella camera.
Accostai la porta alle mie
spalle, diedi un giro di chiave alla
serratura impedendo, di fatto, a
chiunque di entrare nella stanza.
Lasciai cadere la borsa da viaggio su di
una sedia e andai a collocarmi davanti
alla tivù, con le spalle rivolte a Bénédicte,
mentre le immagini seguitavano a
comparire sullo schermo.
Mi liberai della sciarpa e
del giubbotto di pelle che lasciai
cadere sulla moquette. Sbottonai la
camicetta e rimasi con reggiseno e jeans
addosso.
Quello che stavo mettendo
in pratica era uno strip-tease piuttosto
maldestro, ne ero conscia, ma farlo mi
divertiva. Mi liberai delle scarpe e
lasciai scivolare i jeans fino ai piedi.
Eseguii il medesimo gesto con le calze
corte e rimasi con addosso il solo
intimo. Misi fine al ridicolo
spogliarello liberandomi del reggiseno
che lasciai cadere sul mobile del
televisore. Subito dopo scarcerai la
passera liberandola dal minuscolo
perizoma che la teneva protetta.
- Hai un bellissimo culo. Ogni
volta che ti osservo le chiappe,
sporgenti più del normale, resto
stupita dalla tua bellezza. Ma lo sai già,
eh?
Mi girai verso Bénédicte
ruotando i piedi di centottanta gradi,
mostrandole per intero il resto dei miei
attributi femminili. Lei, nel frattempo,
aveva provveduto a scostare il bordo
della trapunta da un lato e, con un
gesto del capo, mi fece cenno di
prendere posto accanto a lei.
- Dai, vieni qua. - disse
strisciando il palmo della mano sulla
parte del materasso a me riservata.
M'infilai sotto la trapunta
e cercai un poco di calore
nell'abbraccio di Bénédicte.
Il suo corpo era caldo,
molto più del mio. Mi strinse forte a sé
lasciando che la depredassi del calore
che spandeva la sua pelle. D'improvviso
mi venne da pensare alle persone che ci
avevano precedute in quel letto, chissà
se anche loro erano tristi come lo erano
stati mamma e papà la notte in cui si
erano tolti la vita in quella camera
d'albergo, oppure se erano felici come
lo eravamo Bénédicte e io. Restammo
raggomitolate, carezzandoci l'un
l'altra, sfiorando la pelle con le dita,
accrescendo il desiderio di possederci a
vicenda come succedeva ogni volta che
c'incontravamo.
Adoravo il suo gracile
corpo. Nutrivo un particolare interesse
per le sfumatura bianco latte della sua
pelle, e per le lentiggini rosa che le
colorivano il volto. Ma più di tutto mi
piaceva scoparla ed essere scopata.
Le estremità appuntite dei
suoi capezzoli incalzarono l'areola dei
miei seni strofinandosi l'un l'altro,
eccitandomi oltre ogni limite per il
prolungato contatto. Bénédicte mi
diede dei piccoli morsi alle labbra,
confezionandoli in maniera fuggevole,
proseguendo nella sua azione fintanto
che mi divincolai dall'abbraccio e
trovai la forza di ruotare il capo da un
lato. Fu lesta nel rincorrermi
trascinando le labbra sul mio collo,
appena dietro l'orecchio, mordendomi a
più riprese, producendomi un gradevole
solletico. Solo allora deposi le labbra
sulle sue e la baciai.
Entrambi eravamo armate
dell'identica carica erotica. A più
riprese ci appropriammo di ogni intimo
recesso dell'altra, fino a stare male,
consumandoci nel dare e ricevere baci e
carezze. Tutt'a un tratto Bénédicte si
staccò da me, scese dal letto
trascinando dietro di sé la trapunta
che stirò oltre i miei piedi,
lasciandomi nuda sul letto senza niente
addosso a eccezione della pelliccia di
peli, colore del fuoco, che rivestiva il
mio pube.
L'apparecchio televisivo,
rimasto acceso per tutto il tempo in cui
avevamo fatto sesso, trasmetteva un
programma di quiz. Uno dei tanti che
quotidianamente riempiono i palinsesti
delle emittenti televisive e
rimbecilliscono la gente.
Bénédicte si dispose al
margine del letto. Afferrò la grossa
candela profumata alla vaniglia,
sistemata sul comodino, e la sollevò
una decina di centimetri al disopra del
mio corpo. Lasciò cadere una lacrima di
cera sull'ombelico e un'altra poco più
sopra. Sobbalzai nel letto per il calore
sprigionato dalla cera bollente sulla
pelle. La miscela di paraffina,
profumata alla vaniglia, costituente la
base della cera, si raggrumò a contatto
con la pelle lasciandomi addosso una
sensazione di calore estremo e un forte
stato di eccitazione.
Bénédicte spostò la
candela dall'addome verso il torace,
inclinandola per traverso, permettendo
alla cera d'impiastricciare il mio
corpo. Avrei potuto sottrarmi
all'impasto di paraffina che si
raggrumava sulla pelle semplicemente
spostandomi di lato, oppure allontanando
il braccio di Bénédicte che sorreggeva
la candela. Non feci niente di tutto
questo gioendo del piacere che sapeva
offrirmi questo tipo di sofferenza.
Bénédicte prese di mira
un capezzolo. Lasciò cadere poche gocce
di cera sull'areola provocandomi un
incandescente dolore. Ogni piccola
quantità di cera che si staccava dalla
candela andava a rapprendersi appena
entrava a contatto con la pelle e
assumeva un colore opaco. Mi ritrovai
con entrambe le tette ricoperte di cera
e con la fica che schiumava.
Tenevo gli occhi chiusi,
gemendo di piacere, estasiata dalle
sevizie che Bénédicte mi obbligava a
subire lasciando cadere dell'altra cera
sulle cosce e le gambe, compiaciuta per
l'opera che stava portando a compimento.
- Hai ancora freddo? -
domandò.
- Non più. - dissi con la
pelle umida di sudore.
Bénédicte, dopo avere
risistemato la candela sul comodino,
stese il palmo della mano sulle mie
tette e la cera si staccò dalla pelle
poco per volta, a scaglie, lasciandovi
soltanto le tracce di un lieve
arrossamento che da lì a poco sarebbe
scomparso senza lasciare nessun residuo
delle sevizie cui mi aveva fatto segno.
Al pari di una giumenta,
mai doma e per niente sazia, desideravo
godere ancora del piacere che aveva
saputo farmi dono fino a quel momento.
Avvertivo il bisogno di raggiungere
l'orgasmo e la supplicai di insistere
nel rovesciarmi addosso altre stille di
cera sulle tette.
Bénédicte non se lo
fece ripetere una seconda volta.
Stavolta accompagnò le sevizie
masturbandomi la passera con due dita,
sfregandomi a più riprese il clitoride.
Fui scossa da fremiti di piacere, serrai
le palpebre degli occhi e non solo
quelle, avida dell’appagamento che mi
provocava la presenza delle dita nella
fica.
Piacere e dolore divennero
un tutt'uno. Sudavo e tremavo mentre ero
scopata da Bénédicte. Raggiunto
l'apice del piacere non riuscii a
trattenermi dall'urlare, soddisfatta,
per ciò che sapevano risvegliare in me
i suoi strumenti di seduzione e
raggiunsi l'agognato orgasmo.
Nel box della doccia Bénédicte
si prese cura del mio corpo togliendomi
le tracce di cera che avevo appiccicato
sulla pelle. Avrei voluto scoparla, lì,
subito, ma avevo imparato a non essere
precipitosa. Lasciai che fosse lei a
mondarmi dalle tracce di cera. A
disposizione avevamo tutta la notte e un
giorno intero per fare l'amore, dopodiché
ci saremmo salutate e riviste dopo un
paio di mesi, nel medesimo posto, figli,
marito e fidanzato
permettendo.
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