L'OSTERIA DELLA MONTA
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

   

             L'Osteria del Gatto Morto è una trattoria d'altri tempi tutt’ora aperta nell'Oltretorrente. Le pareti del locale non hanno visto la tinteggiatura di un imbianchino da tempo memorabile. I tavoli di legno in radica di noce, impiastricciati di grasso calloso, attorno ai quali i clienti si soffermano a desinare, risalgono nientemeno che alla inaugurazione del locale avvenuta nei primi anni del novecento.
  Gildo, taverniere della trattoria, funge da banconiere e serve da bere ai clienti esclusivamente Scorza Amara, un tipo di lambrusco frizzante a bassa gradazione alcolica, dal sapore dolce ma così scuro da macchiare la pelle quando viene a contatto con il mosto. Lo serve sfuso, in ciotole di terracotta, come faceva il padre prima di lui e ancora prima il nonno.
   All'ingresso della trattoria, tracciato con gesso bianco su una lavagna nera d'ardesia, è ben visibile il menù del giorno. Menù che è rimasto identico da decenni a questa parte.

  
Primo piatto: minestrone di verdure. 
  
Secondo piatto: buzéca, oppure coniglio in umido

   Il procedimento per cucinare il coniglio in umido è simile al modo in cui nella trattoria preparano piatti di bocconcini di gatto in umido, infatti è quest'ultima la prelibata pietanza che viene servita ai clienti dell'Osteria del Gatto Morto, consapevoli di ciò, al posto del coniglio.
    E’ Gildo, insieme al figlio Nicola, a occuparsi della cattura dei felini. I due avvicinano gli animali durante delle escursioni notturne, quando per le strade dell'Oltretorrente non c'è un anima viva, servendosi delle crocchette di pesce di cui i gatti sono ghiotti per avvicinarli. 
   Una martellata propinata con una certa violenza sul capo dell'animale li mette K.O. tramortendoli. Una volta a casa provvedono a scuoiarli e frollarne le carni in modo che diventino tenere e acquisiscano maggiore sapore una volta cucinate in umido.
   Oltre a catturare gli animali Gildo si occupa di servire i clienti ai tavoli. Agata, sua moglie, é impegnata nella preparazione dei cibi e delle pulizie del locale, se così può definirsi lo straccio bagnato che saltuariamente fa scorrere sui pavimenti.
 

* * * * 

 
   - Complimént al cuzinèr. - disse Umberto Frambati riferendosi al piatto fumante di bocconcini di gatto in umido che trovava posto sul tavolo davanti a lui, elogiando Gildo che da dietro il bancone lo osservava. - L'è la so morta. - concluse Frambati.
   Mandò giù tutto di un fiato la Scorza Amara che riempiva la ciotola di terracotta, dopodiché tagliò una fetta di pane che si premurò d’intingere nel condimento. Seguitò a cibarsi dei bocconcini di carne con avidità fino a quando il piatto tornò a essere bianco e lucido. 
   Gildo era intento a conversare con Frambati quando la porta d'ingresso dell'osteria si spalancò. Appresso a una folata d'aria gelida Eugenio fece il suo ingresso nel locale.
   - Buona sera a tutti. - disse volgendo lo sguardo nella direzione di Gildo. Successivamente guardò verso Frambati che ricambiò il saluto al pari del proprietario della trattoria, dopodiché andò a occupare un tavolo accanto alla stufa di cotto dove ardevano i ceppi di legna, collocandosi con la schiena contro il muro dove avrebbe potuto osservare chi metteva piede nel locale.
   - Sei venuto per cenare? - gli chiese Gildo.
   - E che altro?
   - Di solito sei mio ospite soltanto a pranzo.
   - E stasera invece anche a cena.
   - Tua moglie ti ha cacciato di casa?
   - No.
   - Allora come mai sei qui?
   - Affari... affari.
   In effetti, Eugenio non aveva messo piede nella trattoria per puro caso, ma aveva un dannato bisogno di parlare con qualcuno che lo stesse ad ascoltare. E non potevano essere né Gildo né Frambati la persona con cui aprirsi e confidare le sue pene, malgrado ciò si rivolse a loro intavolando un discorso qualsiasi.
   - Fino a pochi anni fa, camminando per le strade dell'Oltretorrente, era abbastanza facile imbattersi in una cabina telefonica se c’era necessità di effettuare una telefonata. Adesso è pressoché impossibile trovare una postazione telefonica persino nei bar. Le poche cabine rimaste in città sono introvabili o fuori uso. Oggi pomeriggio avevo urgente bisogno di effettuare una telefonata, ma non sono riuscito a trovare una sola cabina telefonica. L'unica che ho scovato aveva l'apparecchio guasto!
   - Dovresti munirti anche tu di telefono cellulare. - lo interruppe Gildo.
   - E diventare anch'io uno di quei cretini che bisbigliano parole dentro a un microfono mentre passeggiano per la strada?
   - Ho sentito dire che i moderni cellulari hanno persino una fotocamera integrata. Si può spedire qualsiasi tipo d'immagine utilizzando il telefono. Non deve essere difficile farlo. Io però non ne sarei mai capace. - disse Frambati mentre assaporava il secondo piatto di bocconcini di carne di gatto in umido che Gildo si era premurato di servirgli.
   - Preferisco restarne privo. Il cellulare è un giocattolo elettronico, inventato dalle aziende telefoniche, ed è utile soltanto a fare spendere denaro alla gente. E poi chi ha veramente bisogno di rintracciarmi lo può fare telefonandomi a casa o sul posto di lavoro. - disse Eugenio
   - E se si trattasse di una comunicazione urgente? - lo interruppe Gildo
   - Ma va là, portami piuttosto un piatto di "buzéca". E che sia saporita! Come solo tua moglie sa fare, mi raccomando!
   Gildo si allontanò dal bancone e andò dritto in cucina. Fece ritorno poco dopo con un piatto fumante di trippa che depositò sul tavolo davanti a Eugenio.
   - Il parmigiano grattugiato? - disse Eugenio.
  In precedenza sulla tavola che Eugenio occupava Gildo aveva provveduto a collocare un cesto del pane, le posate, una bottiglia di Scorza Amara, e una ciotola di terracotta. Mancava solo la formaggiera per completare l'opera.
   - Ah, sì, provvedo subito.
   Gildo tolse dalla credenza una piccola formaggiera, colma di parmigiano grattugiato, e la depose sulla tovaglia a quadretti rossi e bianchi che imbandiva il tavolo, poi si allontanò. Prima di mettersi a mangiare Eugenio distribuì il formaggio sulla trippa ancora fumante, poi assaggiò la succulenta pietanza bollente.
   - Com'è? - chiese Gildo.
   - Buona, come al solito.
   Gildo si allontanò dal bancone, si avvicinò alla stufa a legna e rianimò il fuoco servendosi dell'attizzatoio. Sulle braci aggiunge un grosso ceppo di legna da ardere e subito dopo un altro. Era intento a rianimare il fuoco quando due giovani prostitute sudamericane, con ai piedi delle zeppe dai tacchi simili a stalattiti, fecero il loro ingresso nel locale.
   Le donne non si presero la briga di salutare né Gildo né gli altri clienti, andarono dritte a occupare un tavolo, sedendosi una di fronte all'altra, poco lontano dal tavolo occupato da Eugenio.
   Frequentare un posto come l'Osteria del Gatto Morto a Eugenio dava piacere. Negli ultimi mesi aveva preso l'abitudine di consumarci il pranzo di mezzogiorno. Se i colleghi della banca dove lavorava lo avessero sorpreso mentre cenava in quel luogo, sporco e frequentato da prostitute, non avrebbero creduto ai loro occhi. Lui invece si sentiva a proprio agio in mezzo a puttane e transessuali perché anche lui si considerava un diverso.
   La sera non era solito cenare all’Osteria del Gatto Morto, ma dopo quanto gli era accaduto nel pomeriggio sul posto di lavoro aveva bisogno di raccontarsi a qualcuno che avesse la pazienza di stare ad ascoltarlo. E Giovanna era la sola persona idonea a quello scopo.

   Qualche minuto dopo le dieci Giovanna fece il suo ingresso nell'osteria. Eugenio, vedendola comparire alla porta d'ingresso, le fece cenno di prendere posto accanto a lui nel tavolo che stava occupando da solo.
   - Ciao, come stai? - disse Eugenio quando Giovanna si avvicinò al tavolo.
   - Bene... bene.
   - Pensavo che saresti venuta molto prima.
   - Ero occupata con un cliente. - gli rispose liberandosi della pelliccia di finto leopardo, mostrando un decolleté da fare invidia a una entraineuse d'alta classe.
   Eugenio si trovò a sbirciare le grosse tette, effetto delle protesi al silicone e di un intervento di chirurgia estetica, e ne rimase incantato.
   - Come stai?
   - Ho avuto qualche malanno, ma ora sono guarita.
   Il cerone applicato al viso le nascondeva la barba rasata di recente, mentre il pomo d'Adamo era occultato da un sottile foulard di seta rosa che portava attorcigliato attorno al collo. Le ciglia finte, gli occhi colore turchino, i capelli fasulli, lunghi e lisci, di colore castano scuro a cadere sulle spalle, e un trucco del viso non troppo pesante la facevano sembrare una donna a tutti gli effetti.
   - Mi fa piacere vederti. - disse Eugenio emozionato per la presenza di Giovanna al suo tavolo.
   - Non so cosa cenare stasera, ma non voglio appesantire troppo lo stomaco. Mi attendono ore di duro lavoro stanotte e non voglio scontentare i clienti con dei rutti mentre sto lì a fargli una pompa.
   - La trippa è buona, te la consiglio.
   - Non ci penso per niente, stasera ho voglia di mangiare un piatto di bocconcini di gatto in umido.
   - Sì... sì... fai bene.
   Eugenio lasciò cadere una mano sulla coscia di Giovanna, seduta accanto a lui, espandendo il torace per l'eccitazione. Subito dopo scacciò fuori l'aria. Era sua intenzione dare un senso alla serata, anche se un senso non lo aveva, perché fra lui e Giovanna c'era soltanto un rapporto di amicizia, perlomeno questo era ciò che gli piaceva credere.
   Gli avvenimenti accadutigli nel pomeriggio avevano sconvolto Eugenio. Nel momento in cui il direttore del personale della banca per cui lavora aveva dato comunicazione ai dipendenti, riuniti in assemblea, di un piano di ristrutturazione che prevedeva una drastica riduzione del personale, si era sentito crollare il mondo addosso.
   - Ehi, cosa ti succede stasera?
   - Niente.
   Gildo depositò sulla tovaglia un piatto di bocconcini di gatto in umido e si allontanò.
   - Buon appetito. - disse Eugenio rivolto a Giovanna.
   - Grazie.
   Giovanna incominciò a cibarsi della carne di gatto senza servirsi delle posate. Afferrò i frammenti di carne con le mani e li avvicinò alla bocca, asportando coi denti la carne fissata attorno alle ossa. Eugenio seguitò a tenerle compagnia mentre lei gustava il cibo, insistendo a lambirle con la mano il ginocchio che gli sembrò vellutato, ma era tutto merito delle autoreggenti che Giovanna indossava. Fece scivolare la mano verso le mutandine dove stava imprigionato il cazzo, ritraendosi quando ormai stava per raggiungere l'ambita meta. Andò avanti a colmarla di carezze sciorinando una notevole quantità di inutili parole sulla propria condizione di lavoro all'interno della banca. Lei rimase ad ascoltarlo inghiottendo uno dopo l'altro i bocconi di carne di gatto.
   - Hai voglia di scopare? - chiese infine Giovanna a Eugenio.
   - Eh?
   - Ti ho chiesto se ti va di scopare.
   Eugenio rimase sorpreso dalla proposta e non seppe cosa risponderle.
   - Si può sapere cosa ti prende stasera? Che cazzo vuoi da me?
   - Io... Io... Niente... Niente.
   - Ma va là. Vuoi succhiarmelo? E' questo che desideri? Oppure vuoi mettermelo nel culo?
   Eugenio si ricompose sulla panca, levò la mano dalla coscia di Giovanna e abbassò il capo per l'imbarazzo.
   - Non ti faccio pagare, per stavolta, consideralo un piacere a un amico, ma deciditi perché fra poco verranno i clienti a farmi visita a casa mia e ho bisogno di guadagnarmi da vivere anche stasera.

   Una volta terminato di cenare saldarono il conto nelle mani di Gildo e uscirono dal locale. Per la strada non c'era anima viva. La temperatura dell'aria era fredda e tirava una leggera brezza di vento. Dopo avere fatto alcuni passi in direzione della casa di Giovanna si fermarono sul marciapiede a metà strada.
   - Hai deciso cosa fare?
   Eugenio non le diede risposta e aspettò che Giovanna riprendesse il cammino. La seguì dappresso anche quando salì le scale male illuminate dell'abitazione in cui si prostituiva. Per tutto il tempo in cui rimase insieme a lei non pensò un solo istante alla moglie e al figlio che l'aspettavano a casa. Strinse nella bocca il cazzo di Giovanna e lo succhiò tenendo le mani aggrappate alle mammelle di silicone. Lei gli accarezzò più volte il capo prendendosi cura dei dolori dell'anima. Dopo mezzora Eugenio fece ritorno a casa.

 

 

 
 

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