LOVE HOTEL
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

        Sonia l'ho conosciuta all'Homos Cafè, un american bar poco distante da Piazza Garibaldi, frequentato perlopiù da gay e lesbiche. Quando ho messo piede nel locale se ne stava seduta su una sedia a trampolo, manteneva il gomito appoggiato sul bancone per la distribuzione delle bevande e nella mano stringeva un calice colmo di una mistura d'alcol dai colori vivaci.
   Ostentava una bellezza esotica in virtù della abbronzatura dorata della pelle. Manteneva le cosce accavallate, sapientemente scoperte, con il tessuto arricciato della minigonna che le giungeva sino all'inguine. Un fiore azzurro, nell'attaccatura delle tette, dava lustro all'ampio décolleté che mi ha confuso non poco.
   Ho preso posto su una sedia a trampolo, inaspettatamente libera, accanto a quella occupata da lei, dopodiché, in maniera impertinente, ho dato una occhiata alla sua figura di donna. Sono partito dagli alluci dei piedi, sporgenti dalle strisce di cuoio dei sandali, e sono risalito lungo tutto il corpo sino a raggiungere le ciglia finte che sbatteva di continuo per attirare la mia attenzione. Al cameriere che mi si è fatto incontro per incassare una ordinazione ho chiesto di servirmi un Barracuda, dopodiché ho trascorso il resto della serata a bere e conversare con lei.
   Alle due di notte, poco prima che il gestore dell'Homos Cafè decidesse di abbassare le saracinesche e cacciarci dal locale, le ho proposto di proseguire la serata a casa mia. Ha rifiutato l'avance e, sorprendendomi non poco, ha voluto che l'accompagnassi in hotel.
   L'albergo da lei indicato, un immobile di tre piani, a due passi da Piazza Garibaldi, era al buio. La luce dell'insegna, sistemata longitudinalmente sulla facciata, era spenta. Un tenue chiarore proveniva dal vetro smerigliato della porta d'ingresso ed era l'unico segno di vita che perveniva dall'interno.
   Sonia ha premuto il pulsante che azionava il campanello, incastonato su una parete all'ingresso dell'hotel, e siamo rimasti in attesa che qualcuno si facesse vivo. Dopo una pausa di tempo, senza principio né fine, una luce si è accesa. Sulla porta è comparsa la figura di un uomo da viso sfatto dal sonno, con due grosse borse scure sotto gli occhi. 
   - Abbiamo bisogno di una camera. - gli si è fatta incontro Sonia.
   - Mi spiace, ma non c'è posto, l'hotel è al completo. - è stata la risposta dell'uomo.
   - Ma... - ho fatto soltanto in tempo a dire.
   - Lascia stare, ci penso io. - mi ha ridotto al silenzio Sonia. 
   Dalla borsetta che portava tracolla ha tolto dal portafoglio un biglietto da cinquanta euro e glielo ha offerto.
   - Questi sono per il suo disturbo. - ha detto stupendomi non poco.
   L'uomo, un tipo basso, calvo, dalle sopracciglia spesse e debordanti, con gli occhi dondolanti come quelli di una lucertola, mi è parso titubante. Ha afferrato la banconota e se l'è ficcata nella tasca dei pantaloni, dopodiché ci ha fatto segno di passare oltre la porta girevole che consentiva l'accesso al foyer.
   - Al primo piano si è liberata la camera 27. Il letto è ancora in disordine. La stanza non verrà riassettata prima di domani mattina. Vi sta bene lo stesso?
   - Non c'è problema. - ha risposto Sonia, senza chiedermi un parere. - Mi dia la chiave.
   L'uomo ha allungato la mano verso la bacheca dove erano appesi dei portachiavi e le ha consegnato quello della stanza numero 27.
   - Dovete consegnarmi un documento d'identità. Sono tenuto a registrare la vostra presenza nell'hotel. E' sufficiente un solo documento per tutt'e due.
   Sonia si è girata verso di me e mi ha invitato a consegnargli la carta d'identità.
   - Bene... bene. - sono state le parole pronunciate dall'uomo mentre esaminava con meticolosità la fototessera appiccicata sul documento.   - Se volete vi accompagno alla camera, ma sono certo che saprete arrangiarvi da soli, vero? Quando siete al primo piano prendete il corridoio alla vostra destra. La camera e la seconda a sinistra. Va bene?
   - Sì, certo, ci arrangiamo da soli. - ha risposto Sonia mostrandogli il grosso portachiavi.

   La camera era piccola, il letto sfatto, con le lenzuola gettata qua e là sul pavimento. Nel bagno ho rinvenuto, nel cestino sotto il lavandino, due preservativi annodati, pieni di sperma e dei fazzoletti di carta usati. Mi è riuscito difficile pensare di spogliarmi in quelle condizioni e fare l'amore con lei. Non avevo più voglia di niente e nemmeno avvertivo il coraggio di andarmene. Sonia, invece, si è liberata in tutta fretta degli abiti ed è rimasta con indosso un tanga impalpabile e il reggiseno.
   Mentre si spogliava sono stato per tutto il tempo immobile davanti a lei. Quando si è tolta il reggiseno, ed è rimasta con solo il tanga addosso, mi ha guardato dritta negli occhi ed è rimasta immobile come se fosse in attesa di un mio cenno.
   Nuda, senza abiti addosso, Sonia era ancora più affascinante. Il corpo, armonioso nelle sue deliziose forme, era un bijou. Mostrava fianchi stretti, bacino largo, gambe lunghe e affusolate. Le tette minute, a forma di calice, si caratterizzavano per l'aspetto sporgente dei capezzoli rosa. I capelli lunghi e lisci, di un colore simile al granoturco, le cadevano sulle spalle e insieme a tutto il resto le conferivano un aspetto impudico e irreale al tempo stesso.
   - Non vieni a letto? - ha detto indicandomi il materasso alle sue spalle. - Dai, spogliati anche tu.
   Ha fatto scendere il minuscolo tanga lungo le cosce, senza fretta, e lo ha sfilato dalle caviglie, dopodiché mi ha mostrato il culo, liscio come la buccia di una mela, e si è coricata sotto il lenzuolo.
   - Dai, vieni qua. - ha detto stendendo una mano nella mia direzione. - Svestiti e vieni a letto, che aspetti?
   Da principio mi sono limitato a stringerle le dita, ma lei si è messa in ginocchio sul letto e ha steso il viso nella mia direzione per baciarmi. L'ho stretta a me senza fondere le labbra con le sue. Lei si è messa in piedi sul letto e ha cominciato a spogliarmi, divertendosi nel togliermi gli abiti di dosso fino a denudarmi completamente. La cosa ha riacceso il desiderio di scoparla sopito nel momento in cui avevo messo piede nella camera.
   Ho rovesciato Sonia sul letto, le ho allargato le cosce, e mi sono gettato a capo fitto sul suo corpo. Ho cominciato a scoparla mentre lei fissava il soffitto mugolando di piacere o dolore, non lo so.
   Abbiamo fatto sesso per circa un ora, dopodiché, madidi di sudore, ci siamo presi una pausa sebbene tutt'e due avevamo ancora voglia uno dell'altra.
   Tutt'a un tratto Sonia si è messa seduta sul letto e ha tolto dalla borsetta un pacchetto di Marlboro. Mi ha chiesto se avevo voglia di fumare. Al mio diniego ha levato dal pacchetto una sola sigaretta e l'ha accesa. Siamo rimasti coricati, appiccicati l'uno all'altra, a guardare il soffitto mentre una sottile striscia di fumo saliva dalla sigaretta verso l'alto.
   D'improvviso ha riempito i polmoni di nicotina e ha liberato dalle labbra degli anelli di fumo, dopodiché ha lasciato cadere la sigaretta nel portacenere e l'ha spenta. Subito dopo mi ha circondato un braccio attorno alla schiena e mi sono ritrovato col capo sepolto nel suo petto.
   - Chi sei? Cosa fai nella vita? - le ho chiesto.
   - Davvero t'interessa sapere così tante cose di me?
   - Sì, certo.
   - Cosa t'interessa sapere di preciso?
   - Tutto.
   - Adesso ti stupirai nell'apprendere che fino a stamani nemmeno sapevo chi sono e cosa voglio dalla vita, poi ho scoperto Kirghisia e ora tutto mi è più chiaro.
   - Kirghisia?
   - E' un paese straordinario, ne sono venuta a conoscenza leggendo un libro.
   - E' un paese russo?
   - Non lo so, può darsi.
   - Posso sapere il titolo del libro?
   - Sì, certo, è "Lettere dalla Kirghisia".
   - Cos'è una guida turistica?
   - Non proprio, ma lo puoi considerare anche una guida, una guida di vita, soprattutto, e per certi versi il libro la è. Kirghisia è un paese dove ogni essere umano è felice, strano eh? Succede perché lì ogni persona gode di ogni attenzione e rispetto. E' una comunità in cui il modo di agire dei singoli mette al centro il benessere di tutta l'altra gente.
   - E' un libro di favole?
   - Perché dici questo.
   - Cos'altro potrebbe essere, altrimenti?
   - Kirghisia è un paese straordinario. Lì le persone non lavorano più di 3 ore al giorno. Le restanti 21 ore sono dedicate al riposo, al nutrimento, all'esprimere l'estro, all'amore, alla vita, ai figli e allo stare insieme ai propri simili.
   - L'idea mi affascina molto. - le ho detto mentre una mano mi è scivolata fra le sue cosce e ho cominciato a giocherellare con le dita sulla fessura della fica e il clitoride.
   - Ho letto il libro tutto d'un fiato oggi pomeriggio. E' scritto a caratteri larghi, molto più del normale, e non si fa fatica a leggerlo, anzi sembra stampato apposto per invitare alla lettura. Il libro si compone di numerose lettere scritte dall'autore che racconta come è venuto a conoscenza di Kirghisia. Leggendolo ho riflettuto a lungo sulla qualità della vita che sto conducendo e mi è stato subito chiaro il modo assurdo in cui ho condotto la mia esistenza fino a oggi.
   - Perché? 
   - Nei miei 32 anni di vita mi sono abituata a non vivere, ora lo so, strano a dirsi, eh. E l'ho fatto senza accorgermene, ecco cosa mi è successo.
   - Non capisco.
   - Ci hanno condotti a credere che nella vita è necessario lavorare, lavorare, solo lavorare per essere felici.
   - Beh, lavorare è importante, altrimenti come potremmo soddisfare tutti i bisogni a cui ci siamo abituati. Nessuno rinuncerebbe tanto facilmente alle comodità di possedere l'automobile, fare le ferie, guardare la tivù satellitare, e fare shopping.
   - Merda! Ma non ti sei accorto che questo svaccarci, lavorando notte e giorno, serve solo a guadagnare denaro? La vita vissuta in questo modo provoca in tutti noi solo ansia per il futuro, depressione e stress. Merda! Ci stanno rapinando del tempo necessario per vivere facendoci credere che lavorare per consumare conta più di qualsiasi altra cosa della vita. Tutto questo non è normale, non credi?
   - E' una utopia la tua. - ho risposto lusingandola con delle carezze sul clitoride, ammorbidendolo con l'umore di cui era madida la vagina. 
   - Ho bisogno di credere che la società in cui viviamo dovrebbe essere a misura d'uomo, e ognuno deve essere libero di decidere il proprio destino senza sbattersi in cose che non sono indispensabili per vivere. Ho voglia di esprimere tutta la mia creatività ricominciando a dipingere, cosa che ho messo da parte per fare dell'altro, desidero ricominciare a leggere libri, andare in giro per la città, stare insieme alla gente che mi sta d'intorno, e smetterla di guardare le vetrine delle botteghe. Da troppo tempo non sono più abituata a esistere e prestare attenzione a me stessa. Tu che lavoro fai? Scusa se te lo domando.
   - Tecnico di radiologia.
   - E' un mestiere che ti piace?
   - Sì, credo di sì, purtroppo sono spesso reperibile di notte e vengo chiamato in clinica per delle urgenze, però sono ben pagato, eh!
   - E non sei stanco di tutto ciò?
   - Stanco? Altroché! Pensa che sono costretto a tenere il cellulare acceso giorno e notte quando sono di reperibilità. Non vedo l'ora che arrivi il sabato e la domenica per avere un po' di tempo libero da dedicare a me stesso.
   - E la domenica cosa fai? 
   - Beh, quando arriva la domenica... - resto interdetto e non so cosa risponderle. Tolgo la mano accostata sulla fica e la stendo su uno dei capezzoli. - Se devo essere sincero nei giorni di festa non so mai cosa fare. Il più delle volte mi annoio. Strano, eh? Ma sono convinto che succeda un po' a tutti, vero?
   - E non ti sei chiesto come sia potuto accadere?
   - No, sono troppo stanco per farlo. Forse è questa una delle ragioni per cui ogni sera trovo rifugio in qualche bar alla ricerca di compagnia. La fica, sì, la fica, ecco qual è lo stimolo che mi fa andare avanti nella vita.
   - Io invece sento il bisogno di progettare una nuova vita. Leggere questo libro mi ha ridato speranza, mi ha fatto credere che è possibile vivere in una società diversa da quello attuale.
   - E' questa la ragione che ti ha spinta a fare l'amore con me? - le ho chiesto mentre accarezzavo l'estremità del capezzolo con le dita.
   - Nel libro c'è scritto che a Kirghisia gli uomini e le donne che hanno il desiderio di fare l'amore collocano un piccolo fiore azzurro al centro del petto.
   - Identico a quello che custodivi fra le tette quando mi sono seduto accanto a te all'Homos Cafè?
   - Sì, ed è molto simile a quello che anche tu mostravi sull'asola della giacca quando hai messo piede nel locale. Ma chi te lo ha messo lì, eh?
   - E' stato un extracomunitario dalla pelle nera che ho incontrato in Piazza Garibaldi. Ha insistito perché mettessi il fiore sulla giacca e non ho saputo liberarmi della sua presenza fintanto che l'ho ripagato con due euro.
   - A Kinghisia chi ha desiderio di fare l'amore lo segnala agli altri con un fiore azzurro sul petto in modo da rendere più favorevole il corteggiamento, ma te l'ho già detto, vero?
   - Vuoi dire che sei venuta a letto con me quando hai visto il fiore azzurro che avevo sulla giacca?
   - No, per niente.
   - E allora perché?
   - Stai zitto. Zitto.
   Sonia ha abbassato il capo fra le mie cosce e con la bocca si è impadronita del mio cazzo che da un po' era diventato duro. Abbiamo seguitato a fare l'amore per tutta la notte sino allo sfinimento. Quando verso mezzogiorno mi sono svegliato Sonia non c'era più accanto a me. Sul comodino, dalla parte del letto che aveva occupato durante la notte, c'era un fiore azzurro.

 


Il libro citato nel racconto è:

LETTERE DALLA KIRGHISIA. (due anni dopo)
RIZZOLI
è l'editore
SILVANO AGOSTI
l'autore 

 

 
 

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