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LO
STRILLONE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
Dedè,
mio padre, aveva aderito al PCI all'età
di quattordici anni e al partito
comunista era rimasto iscritto fino al
novembre del 1989 allorché, Achille
Occhetto, sulla scia degli avvenimenti
che avevano portato alla caduta del muro
di Berlino, avviò un processo di
revisione che portò il più grande
partito comunista dell'Europa
Occidentale ad abbandonare il simbolo
della falce e martello per dare vita a
un soggetto politico diverso, eliminando
per sempre ogni riferimento al
comunismo.
Quando Achille Occhetto
mise in atto il processo di messa in
liquidazione del Partito Comunista
Italiano, immutato e immutabile da quasi
un secolo, quel giorno mio padre pianse
e insieme lui versarono tante lacrime i
militanti comunisti che non aderirono
alla svolta del segretario e diedero
vita al Partito di Rifondazione
Comunista.
Per mio padre il PCI
incarnava gli ideali su cui aveva posto
le basi della propria esistenza,
soprattutto per i valori di solidarietà,
giustizia sociale, lotta di Resistenza e
quelli più utopistici della
redistribuzione delle ricchezze.
Mio padre aveva cominciato
già da ragazzo a fare lo strillone de
l'Unità, pardon il diffusore, andando
in giro per il quartiere dell'Oltretorrente
a diffondere, porta a porta, il giornale
del partito comunista alle persone che
come lui si illudevano che un giorno
avrebbero potuto vivere in una società
migliore e giusta.
Mio padre, da giovane, era
un bellissimo uomo. Mamma fece la sua
conoscenza una domenica mattina quando
se lo trovò dinanzi la porta di casa
ostinato nel volerle vendere una copia
de l'Unità. Mamma mi raccontò che a
quel tempo papà possedeva un fisico
tozzo, una carnagione brunastra e dei
capelli neri, ondulati, luccicanti per
la troppa brillantina che era solito
cospargersi sul capo. Quella mattina
quasi gli sbatté l'uscio in faccia
rifiutandosi di acquistare il giornale
comunista. Gli rispose che non sapeva
cosa farsene de l'Unità, che già
comperava la Gazzetta di Parma e non
aveva sufficiente denaro da spendere per
altri giornali.
La domenica successiva mio
padre si presentò di nuovo davanti alla
porta di mamma. Ancora una volta lei si
rifiutò d'acquistare il quotidiano
comunista. La stessa cosa accadde le
domeniche successive e per molte
settimane ancora. Una domenica, stanca
di respingerlo, gli chiese il motivo che
lo induceva a suonare
alla sua porta con tanta ostinazione pur sapendo che lei non
avrebbe mai acquistato il giornale.
- Ma come, non lo ha
capito?
- No. - rispose mamma
irritata da quella risposta.
- Provi a immaginarlo.
Mio padre lasciò la frase
in sospeso, la guardò dritta negli
occhi, e se ne andò via dopo che mamma
gli sbatté la porta in faccia irritata
da tanta sfacciataggine.
Nonostante il rodimento che
le procurava la presenza di mio padre,
mamma rimase affascinata dall'insistenza
con cui ogni giorno di festa lui seguitava
a bussarle alla porta esibendole il
quotidiano comunista.
Una domenica mattina mamma andò
ad aprire la porta con il solo
accappatoio di spugna addosso. Da poco
era uscita dal box della doccia, aveva
la pelle umida e i capelli circondati da
una salvietta. Trovò mio padre fermo
sul pianerottolo, davanti allo zerbino,
che ancora una volta le esibì l'Unità.
Prostrata da tanta insistenza acconsentì
a comprare una copia del giornale.
- Quanto costa? - gli
domandò.
- Il quotidiano seicento
lire. Ma in questo periodo stiamo
attivando una sottoscrizione per
finanziare la campagna elettorale del
partito in occasione delle elezioni
amministrative. Se lei o suo marito
avrete la compiacenza di aderire
all'iniziativa con una offerta in denaro
ci farebbe davvero piacere.
- Non credo che a mio
marito interessi sostenere la campagna
elettorale del partito comunista.
- Lo faccia lei, allora.
- Nemmeno a me interessa
farlo.
- Ma il giornale lo
compera?
- Le ho detto di sì. -
sbuffò mamma.
- Ah, bene.
- Si accomodi, vado a
prendere il denaro e sono subito da lei.
Questa però è l'ultima volta che le
apro la porta, se lo ricordi bene. -
disse allontanandosi dall'uscio.
Mio padre si accomodò
nell'appartamento e chiuse la porta
dietro di sé. Saltò addosso a mamma
appena giunsero in cucina e la violentò
senza incontrare troppe difficoltà
nonostante lei si fosse opposta con
tutte le proprie forze a quella
violenza.
Nove mesi dopo nacqui io.
Sono trascorsi trent'anni
da allora. Durante tutto questo tempo
Dedè e mamma hanno seguitato a essere
amanti pur rimanendo ancorati ai
rispettivi coniugi. Senza saperlo ho
posseduto due padri. Uno è Rolando, il
consorte di mamma, ed è l'uomo che mi
ha cresciuta e educata. L'altro è Dedè,
il mio padre naturale, ma della cui
presenza nella vita di mamma sono venuta
a conoscenza soltanto all'età di
vent'anni.
Ho saputo della loro tresca
un pomeriggio in cui fui testimone di
una strana conversazione telefonica di
mamma. Allora presi a sorvegliarla,
seguendola dappresso ogni volta che
usciva di casa, e scoprii che
s'incontrava con Dedè.
Da piccola lo avevo visto
parecchie suonare volte davanti alla
porta di casa e consegnare a mamma una
copia de l'Unità. Spesso si soffermava
a conversare con lei, poi era scomparso
e non lo avevo più visto per lungo
tempo.
Non feci cenno a mamma
della sua infedeltà, né andai a
riferire la cosa a Rolando, che allora
consideravo essere mio padre, ma
continuai a sorvegliarla andandole
dietro senza che se ne accorgesse.
Ogni lunedì mattina
s'incontrava con Dedè, a volte
succedeva che lo incontrasse anche di
venerdì. Erano tutt'e due degli
abitudinari, Dedè l'aspettava seduto al
volante della sua automobile, una Fiat
Ritmo di colore bianco, che posteggiava
in una traversa di Via Imbriani, poco
distante dalla nostra abitazione. Mamma
saliva sulla macchina e insieme si
allontanavano per fare ritorno dopo un
paio di ore. Non ho mai saputo dove si
recassero a scopare, anche se mi sarebbe
piaciuto saperlo.
D'essere la figlia di Dedè
l'ho appreso soltanto lo scorso anno
quando mamma fu ricoverata in clinica
perché afflitta da un tumore al
pancreas.
Dedè andava a farle visita
di nascosto. Lo faceva di mattina
presto, prima che arrivassi io oppure
Rolando. In più di una occasione mi
capitò d'incrociarlo nei viali
dell'ospedale e ogni volta feci finta di
non conoscerlo.
Mamma mi rivelò che Dedè
è mio padre qualche settimana prima di
morire. Fu shockante sentirmelo dire
dalle sue labbra. Me lo confessò con le
lacrime agli occhi, scaricandomi addosso
un segreto che per trent'anni aveva
custodito tutto per sé.
Mamma seguitò a parlarmi
di Dedè per intere giornate sino a
quando le rimase il fiato per respirare.
Avrebbe potuto portarsela nell'aldilà
quella verità, invece non lo fece, ma
quello che più mi stupì fu apprendere
che Dedè non era al corrente della sua
paternità. E tale il segreto è rimasto
perché è questo che le ho promesso sul
letto di morte.
Ogni tanto mi capita
d'incontrare Dedè in giro per la città.
Di recente l'ho visto mentre
distribuiva volantini di Rifondazione
Comunista davanti ai cancelli della
azienda in cui sono impiegata.
Nonostante il ruolo da dirigente
laureata che occupo nell'amministrazione
dell'azienda per cui lavoro non ho mai
rifiutato un suo volantino. Ogni volta
che i nostri occhi s'incrociano facciamo
finta di non conoscerci, ma non so per
quanto tempo riuscirò a farlo. Vorrei
sapere dalla sua viva voce molte cose di
mia madre e del loro amore, perché
quello che so è ancora troppo poco.
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