LEZIONI PRIVATE
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

  
  
- Martina tu sei dotata di notevoli capacità, ma se non t'impegni abbastanza a studiare sarò costretta a non ammetterti al quinto anno.
   - Ce la sto mettendo tutta Prof. Cosa altro potrei fare?
   - Molto di più. Perlomeno potresti cominciare col prendere delle ripetizioni.
   - Mica posso raccontare ai miei genitori che ho bisogno di lezioni private. Mi terrebbero rinchiusa dentro le mura di casa fino al termine dell'anno scolastico.
   - Beh, se ti fa piacere, potresti venire a casa mia almeno due pomeriggi alla settimana. Resterebbe un segreto fra noi due. Che ne pensi?
   - Glielo farò sapere Prof.
   - Martina, ci conto eh!
   Ero imbarazzata, a disagio, ma non sapevo che pesci pigliare per togliermi dalla strana situazione in cui mi ero venuta a cacciare quando, all'uscita da scuola, la professoressa mi aveva preso da parte insistendo perché mi recassi a farle visita alla sua abitazione e non era nemmeno la prima volta che lo faceva. La minaccia di una bocciatura assomigliava più a un ricatto che a un consiglio materno.
   Al liceo ero inserita in una classe mista. I maschi, una decina in tutto, goffi e maldestri, avevano quasi tutti il viso pieno di brufoli. Ragioni sufficienti per giustificare l'interesse che manifestavo verso chi aveva il mio stesso sesso. Mi trovavo meglio standomene in compagnia delle ragazze piuttosto che con i maschi, ma non mi sentivo lesbica, anche se molte delle mie compagne mi additavano come tale.

   L'abitazione della professoressa Franchini si trovava al terzo piano di un antico palazzo in pieno centro cittadino. Raggiunsi l'appartamento approfittando di un ascensore d'altri tempi che, con uno strano cigolio, arrestò la corsa al pianerottolo dove abitava l'insegnante.
    La professoressa era ad attendermi dinanzi alla porta dell'abitazione.
      - Sei in perfetto orario, brava!- disse vedendomi.
     Indossava una vestaglia da camera di seta bianca con disegnati dei piccoli fiorellini. Un tipo di abbigliamento che la faceva sembrare più giovane rispetto ai suoi quarant'anni.
   - Temevo non saresti venuta. - disse quando fui dentro l'appartamento.
   - Sarei arrivata prima, purtroppo mi ha giocato un brutto scherzo il traffico che a quest'ora è caotico in città.
   - Vieni, accomodati, andiamo nel mio studio.
   Lo studio era una grossa stanza con le pareti occupate da scansie di legno pregiato. I mobili custodivano una grande quantità di libri. E mi sentii in soggezione in quel luogo troppo austero per il mio carattere.
   - Ci mettiamo accanto alla scrivania, va bene?
   - Sì, come vuole lei.
   La luce soffusa del paralume di una abat-jour faceva brillare il ripiano della scrivania dietro cui avevamo preso posto, ingentilendo l'ambiente ahimè troppo severo.
   - Da cosa cominciamo?
   - Lo dica lei.
   - Dove ti senti meno preparata?
   - Il Medioevo è un periodo storico che non digerisco bene.
   - Uhm... vediamo, vediamo da dove possiamo iniziare.
   Rimasi a studiare in sua compagnia per circa due ore prestando attenzione alle spiegazioni che mi suggeriva nell'interpretazione degli eventi storici. Verso le sette di sera mi accomiatai.
   - Ti accompagno alla porta.
   - Sì, grazie.
   Mi fermai sull'uscio di casa con l'intenzione di ringraziarla.
   - Beh, allora, la saluto.
   - Ci vediamo fra due giorni, se vuoi...
   - Sì, certo, va bene. Alla stessa ora?
   - Uhm... sì, direi di sì.
   - Grazie di tutto!
   Le porsi la mano in segno di saluto e lei fu sollecita nello stringerla. Presi commiato ricevendo un tenero bacio sulla guancia che ricambiai.

   Seguitai per parecchie settimane a frequentare la sua abitazione, consapevole che le attenzioni che riversava sulla mia persona non erano del tutto disinteressate, ma non me ne davo pensiero. Volevo essere promossa al quinto anno ed ottenere la maturità liceale, questo solo contava per me. Ogni volta che le facevo visita mi preparava una tisana con infusi di tè o di qualsiasi altra erba aromatica. Affabile e garbata sapeva mettermi a mio agio senza reclamare niente in cambio e ciò col passare dei giorni mi stupì. Abbandonai persino l'idea che volesse scoparmi. Un pomeriggio ruppe la sua riservatezza e mi fece un invito.
   - Domani, al Teatro Farnese, Jacques LeGoff tiene una conferenza. E' uno degli studiosi medievalisti più valenti e preparati. Ti andrebbe di assistervi in mia compagnia?
   - Non lo so... e poi non conosco un acca della lingua francese.
   - Non preoccuparti, mettono a disposizione le cuffie con la traduzione simultanea. Cosa ne pensi?
   - D'accordo, ci vediamo là. A che ora?
   - La conferenza inizia alle cinque. Vediamoci qualche minuto prima.
   Uscendo dall'appartamento mi salutò con un bacio sulla guancia, ma stavolta trascinò le labbra sino a sfiorarmi la bocca, baciandomi frugalmente sulle labbra, e la cosa mi piacque. Rimasi un istante ferma sulla porta auspicando che rendesse manifesta l'attrazione che provava per me, seducendomi, ma non lo fece.

   Il Teatro Farnese era colmo di persone sedute in platea. Vi misi piede con qualche minuto di ritardo rispetto all'ora convenuta. Non c'era rimasto un solo posto a sedere, fummo costrette a rimanere in piedi, con la schiena appoggiata su di una parete di legno in fondo alla sala. Le cuffie per la traduzione simultanea erano esaurite. Della narrazione del relatore non riuscii a capire che poche parole.
   - Ti annoi?
   La domanda della professoressa Franchini mi colse di sorpresa. Altrettanto sinceramente le risposi.
   - Sì.
   - Andiamocene allora.
   Mi feci largo fra le persone che occupavano il corridoio e poco dopo ci ritrovammo all’esterno dell'antico teatro sotto le volte del palazzo della Pilotta.
   - E' colpa mia, dovevo mettere in conto che ci sarebbe stata una grande folla di gente. Se fossimo giunte mezzora prima avremmo preso posto a sedere e trovato disponibili le cuffie per la traduzione simultanea.
   - Non importa, che facciamo ora?
   - Beh, potremmo andare a casa mia. Ti va?
   - Eh?
   - Potresti studiare un po' di storia. - mi rassicurò.
   Mi prese sottobraccio e proseguimmo a camminare. Il buio ci sottraeva solo in parte alla vista della gente. Ci ritrovammo a spasso, affiancate, strusciando le tette contro quelle dell'altra e questo mi eccitava. Attraversammo Ponte Verdi illuminato dai lampioni e ci trovammo dinanzi all'ingresso del Parco Ducale.
   - Ti spiace se attraversiamo il parco? La strada per raggiungere la mia abitazione è senz'altro più breve rispetto a quella del centro città.
   - Va bene, andiamo pure.
   I lampioni posti a una certa distanza uno dall'altro illuminavano il selciato lasciando ampie zone in penombra. Il parco a quell'ora della sera era vuoto e misterioso.
   - Non vengo mai al parco quando è buio, m'incute paura. - dissi.
   - Anche ora? In mia compagnia?
   - No, non è questo che intendevo dire, anzi sto bene con lei. - dissi.
   Questa risposta sembrò rassicurarla perché subito dopo lasciammo il viale principale e c'inoltrammo per un sentiero dirette al centro del parco, lontano dal nostro itinerario.
   - Dove stiamo andando? - chiesi.
   - Voglio farti vedere una cosa.
   - Di che si tratta?
   - E' una sorpresa.
   Poco dopo mi ritrovai in un'ampia radura plasmata a cerchio da querce secolari.
   - Questa è la zona più vecchia del parco. In questo spazio la tradizione popolare vuole che Maria Luisa d'Austria, moglie di Napoleone, si appartasse per farci l'amore con gli amanti.
   - E lei. - dissi rivolgendomi alla mia accompagnatrice. - Lei ha già avuto occasione di fare l'amore qui?
   - Io? Sì, ed è stato fantastico.
   Ero turbata, maledettamente turbata. Non opposi resistenza quando la sua bocca si posò sulla mia e mi baciò. Lo desideravo da troppo tempo per resisterle.

   Appiccicata con la schiena contro la corteccia di una quercia subii le sue carezze. Le sue mani frugarono fra le mie cosce eccitandomi a dismisura. La professoressa accompagnava i gesti con dei gemiti senza pronunciare una sola parola. Subivo quei toccamenti col fiato sospeso, respirando in maniera irregolare, innalzando il torace per inspirare l'ossigeno di cui avevo un dannato bisogno per sopravvivere alle carezze che riversava sulla mia pelle.
   Intrecciò le dita fra i miei capelli stirandoli. Le nostre lingue si cercarono titillando una contro l'altra. Ci toccammo reciprocamente le tette godendo del tocco delle dita che spremevano i capezzoli. Ero in balia del potere che esercitava su di me, consapevole che avrebbe ottenuto qualsiasi cosa se lo avesse voluto.
   Ci sdraiammo sull’erba del prato. Fu lesta a sollevarmi la gonna rivoltandola sull'addome e infilare una mano sotto l'elastico delle mutandine. Ero bagnata, bagnata fradicia, per l'eccitazione, indifesa di fronte alle sue avance.
   Rivolse le sue attenzioni su di me in maniera delicata carezzandomi con dolcezza le grandi labbra della figa. Mentre si adoperava a concupirmi mantenevo il capo girato da un lato per non incrociare il suo sguardo, certa che i suoi occhi fossero puntati sui miei. Stese la mano sull'elastico delle mutande come se stesse preparandosi ad abbassarle ma non lo fece.
   - Levale! - ordinò.
   Sollevai il bacino e lasciai scivolare il sottile tanga sopra le autoreggenti. Sfilai le mutandine e le feci passare oltre le caviglie. Divaricai le gambe senza che me lo chiedesse. Lei si mise in ginocchio fra le mie cosce, chinò il capo e annusò a lungo la mia figa prima di inumidirla con la lingua.
   Leccarmi le grandi labbra le piacque parecchio. Continuò a passarci sopra la lingua a lungo, senza decidersi a penetrarmi in profondità, accrescendo il desiderio che avevo di essere scopata e raggiungere al più presto l'orgasmo.
   Era instancabile nel leccarmi la passera. Accompagnava i movimenti della lingua carezzandomi le tette, pizzicandomi i capezzoli a più riprese. Ero fuori di testa, anzi in estasi.
   Aiutandosi con le mani mi schiuse le grandi labbra e arrivò alla carne rosea. Con l'estremità della lingua cominciò a leccare le piccole labbra, estrema protezione della vagina, decisa a penetrarvi, cosa che fece spingendosi con la punta della lingua in profondità.
   I movimenti erano misurati, la saliva che le usciva dalla bocca si mescolava al fluido che scemava dalla passera ammorbidendo la mucosa. Non resistetti a lungo nel godere di quel piacevole tormento. Cercai di chiudere le cosce a più riprese, ma la professoressa me lo impedì servendosi della forza delle braccia.
   Godevo, godevo come una cagna in calore e glielo dissi con voce rauca.
   - Godo! Godo! Mi fai godere da morire. Sì... Sì... continua. - dissi ripetendo le parole più volte.
   All'apice del piacere riversò la lingua sul clitoride. Cominciò a leccarlo insistendo nel succhiarmelo dopo che lo ebbe avvolto fra le labbra, accanendosi persino con i denti sulla piccola superficie erettile.
   - Sì... Sì... Mi fai male!... Mi fai male! - urlai colma di piacere.
   Mentre si accaniva con le labbra e la lingua sul clitoride mi penetrò la vagina con due dita. Incominciò a scoparmi facendole scorrere avanti e indietro. Mi lamentai con dei gemiti di piacere scuotendo le cosce di continuo. Compiaciuta dal mio modo di fare seguitò a succhiare il clitoride, poi tolse le dita dalla vagina e prese a toccarmi il piccolo dosso di carne che congiunge la passera all'ano.
   Con il dito medio bagnato andò a solleticarmi lo sfintere accennando a entrarvi. Inumidì di nuovo il dito di saliva e ripeté l'operazione sull'ano ammorbidendo la mucosa interna, poi m'infilò il dito nel culo.
   Ero in affanno e stavo per raggiungere l'orgasmo. Cominciai ad ansimare sempre più forte. Lei riprese a penetrarmi con le dita nella vagina fintanto che urlai scuotendo violentemente il corpo. Gli orgasmi si susseguirono a frotte, uno dopo l'altro. Stavo per perdere conoscenza nell'estasi di un ennesimo orgasmo multiplo, quando trovai la forza di gridare.
   - Basta!... Basta!... Ti prego... Ti prego.
   Serrai le cosce assumendo una posizione raggomitolata e rimasi a godermi gli ultimi istanti di piacere.

   Con il sopraggiungere dell'estate l'anno scolastico giunse a termine. Fui promossa al quinto anno del liceo, premiata per l'impegno che avevo messo nei lunghi pomeriggi trascorsi a ripetizione dalla professoressa Franchini. L'anno seguente ottenni il diploma liceale superando a pieni voti l'esame di stato e mi iscrissi alla scuola per infermieri professionali.

 

 

 
 

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