|
LETTO
A TRE PIAZZE
di
Farfallina
AVVERTENZA
Il
linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel
racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto
possa offenderti sei invitato a uscire.
L 'autobus
della linea 11 procedeva lentamente,
rallentato nella corsa da una lunga fila
di autovetture che occupavano per intero
la sede stradale sulla circonvallazione
a ovest della città.
I sedili del mezzo pubblico
erano sgombri di persone come raramente
succedeva a quell’ora nei giorni
feriali. Un ragazzo niente male stava
seduto dirimpetto a me. Lo fissavo
mentre Giovanni e Walter, sistemati sui
sedili ai miei fianchi, mantenevano le
mani sotto il tessuto della mia gonna
carezzandomi l'interno delle cosce prive
di collant.
Dai vetri panoramici,
stirati verso il basso, un flusso d'aria
fresca riduceva, seppure in minima
parte, l'arsura. A dispetto della
canicola che incombeva sulla città mi
sentivo dannatamente viva, per niente
imbarazzata dalle carezze che i miei
compagni di viaggio spandevano sul mio
corpo.
Eccitata dalle carezze di
cui ero fatta attenzione non riuscivo a
togliere gli occhi dal ragazzo che mi
stava di fronte, visibilmente a disagio
per il modo in cui soggiacevo alle
smancerie di Giovanni e Walter.
Accettavo le attenzioni dei
miei due compagni senza reagire,
consapevole di suscitare scandalo fra i
passeggeri. Avevo la fica umida e
l'incavo fra le cosce reso colloso per i
toccamenti delle loro mani. Anche il
ragazzo che mi stava di fronte mostrava
d'essere turbato. Lo avevo intuito dal
gonfiore che mostrava la patta dei
pantaloni e dal modo in cui accavallava
con insistenza le gambe per separarle
subito dopo.
Giovanni, resosi conto
dell'interesse che il giovane mostrava
verso la mia persona, cominciò a
colmarmi la bocca di baci. Le sue labbra
calde e appassionate succhiarono il mio
respiro a più riprese, facendomi
precipitare in una sorta di deliquio.
Walter lo imitò posandomi la mano su di
una tetta, denudandola, e subito dopo
ficcandomi la lingua sul cuore.
Incominciai a mugolare di
piacere ostentando di gradire le loro
attenzioni, cosa che al ragazzo che mi
stava di fronte non sembrò dispiacere
poiché cominciò a strusciare il palmo
della mano sopra la patta dei pantaloni.
Giovanni e Walter non erano
soltanto miei compagni di giochi, ma
qualcosa di molto più importante. Mi
divertiva scandalizzare la gente
esibendomi in situazioni piccanti e
scollacciate, al limite dell'indecenza.
Entrambi non erano perfetti, ma erano la
cosa più vicina alla perfezione che mi
era capitata nella vita.
Mi costrinsero a sfilare le
mutandine in modo che il ragazzo potesse
guardare la fessura della fica mentre
liberavo l'indumento da sotto le gambe.
Prestai obbedienza ai loro ordini senza
fare delle storie. Levato il perizoma
disgiunsi le cosce allontanando le
labbra della fica, mostrandola nella sua
rosea magnificenza.
Quando l'autobus raggiunse
la fermata del Palasport scesi a terra
con i miei due amici. Salutai con una
strizzata d'occhio il ragazzo che invece
proseguì la corsa verso Vicofertile.
Noialtri tre c'incamminammo verso la mia
abitazione.
Nel cortile di casa
incappai in un gruppo di ragazzini
piuttosto vivaci che giocavano col
pallone. Uno di loro, Giorgio, abbandonò
i compagni e si accostò a noi. Il suo
viso era arrossato. Gocce di sudore gli
rigavano la fronte e le guance. Deglutì
un poco di saliva prima di parlare, poi
col respiro in affanno si rivolse a me.
- Ciao Erika! Sono i tuoi
morosi questi due? - disse indicando
Giovanni e Walter.
- Eh?
- Mamma dice che hai due
morosi, è vero?
- Sì. - risposi con un
certo imbarazzo.
Il maschietto dai capelli
corti, tagliati a spazzola, non si
trattenne oltre. Corse verso i compagni
di gioco e si affrettò a raccontare
quanto gli avevo confidato, poi
ricominciarono a dare calci al pallone
per niente turbati da ciò che gli avevo
rivelato.
Amavo due uomini e la cosa
mi sembrava del tutto normale. La
presenza di Giovanni e Walter nella mia
vita era una necessità. E anche loro
avevano bisogno di me. Tutt'e tre
avevamo bisogno gli uni degli altri.
Sdraiata sul letto, con
niente addosso, osservavo i movimenti
della tenda che ciondolava davanti alla
porta finestra del balcone. Trapassata
dal chiarore della luna la tela
oscillava qua e là sospinta dagli
sbuffi di vento senza una direzione
precisa, come la mia vita.
Avevo fatto un sogno
erotico, cosa che in verità mi succede
abbastanza spesso. Protagonisti erano i
miei due uomini e per colmo di sventura
lo ricordavo solo a sprazzi, senza
riuscire a goderne appieno come invece
avrei sperato.
Nuotavo fra i miei pensieri
lottando per cogliere almeno un ricordo
del mio sogno senza riuscirvi.
Innervosita incominciai a sbattere le
palpebre più volte, poi alzai gli occhi
verso l'alto e fissai le ombre di luce
che si agitavano sul soffitto. Di tutte
le cose eccitanti che mi frullavano per
la testa, l'unica di cui avevo certezza
era che la mia vita andava bene vissuta
così.
Avevo paura della troppa
felicità che mi era capitata nelle mani
e poteva dissolversi nel nulla da un
momento all'altro. Ho sempre avuto un
talento speciale per mandare in malora
le cose belle. E la storia d'amore che
stavo vivendo con Giovanni e Walter era
davvero speciale.
Gli occhi mi si gonfiarono
di lacrime, ma non riuscivo a piangere,
poi le gocce di pianto iniziarono a
rigarmi le guance terminando la corsa
sul guanciale, chiazzandolo. Walter era
immobile con il capo reclinato sulla mia
spalla, Giovanni stava riverso sul
fianco con le natiche rivolte nella mia
direzione. Io ero nel mezzo del letto a
tre piazze. Vivevamo in uno stato di
conservazione, un intreccio di
sentimenti dichiarati e mai rivelati
fino in fondo, in cui ognuno dei miei
compagni aveva paura di perdermi e io ne
avevo più di loro.
Conducevamo questo
triangolo amoroso in una condizione di
dubbi e incertezze. Una situazione che
si era andata evolvendosi nel tempo.
Tutt'e tre l'avevamo accettata di buon
grado andando contro quei principi
morali che per lungo tempo erano stati
alla base della nostra educazione.
Un tocco della mano di
Walter su di una tetta mi destò dal
torpore in cui ero sprofondata.
Accompagnai le sue dita sulla fica e le
feci scorrere, insieme alle mie, sulle
grandi labbra e il clitoride senza
destare il mio compagno dal sonno.
Insistetti a lungo nello
strusciarmi le dita sulla fica,
inumidendola di saliva, fintanto che
raggiunsi l'orgasmo senza che nessuno
dei due uomini se ne accorgesse. Subito
dopo m'infilai sotto il lenzuolo e
rimasi ad ascoltare il rumore del vento
che schiaffeggiava i battenti delle
finestre rimaste aperte.
Stamani prendendo servizio
in clinica sono stata avvicinata da una
collega infermiera. Stupita dal mio
stato di benessere, mi ha chiesto
notizie sul mio attuale compagno.
"Perché parli di una
persona sola?" Avrei voluto
risponderle.
Non sono mai stata brava a
mentire, stavolta ho preferito tacere
senza rivelarle la verità fingendo di
non essere diversa da lei e da tutte le
altre donne, ed è vero.
|
|
|