LE PALLE DI SAN MARTINO
di Farfallina

AVVERTENZA

Il linguaggio di sesso esplicito utilizzato nel racconto è indicato per un pubblico adulto.
Se sei minorenne o se pensi che il contenuto possa offenderti sei invitato a
uscire.

 

        Dovevo prendere servizio in clinica alle 6.00, sennonché ero maledettamente in ritardo. Uscendo dalla mia abitazione andai dritta verso la porta dell'ascensore. Ero in attesa che sopraggiungesse la cabina mobile quando lo sguardo mi cadde verso la porta della mia abitazione. Un foglio di carta sporgeva da sotto l'uscio. Incuriosita lo raccolsi e dopo averlo dispiegato notai che c'era una scritta eseguita con il  pennarello.

 


VUOI SAPERE QUANTO E' GRANDE IL MIO AMORE PER TE? 
CONTA LE STELLE
 


   Qualcuno, nottetempo, si era preso la briga d'infilare il pezzo di carta sotto la porta, ma chi era stato? Piegai il foglio e lo ficcai nella tasca della pelliccia, poi entrai nell'ascensore che nel frattempo era giunto al piano.
   La città a quell'ora era pressoché deserta. Impiegai poco più di dieci minuti per raggiungere l'ospedale. Negli spogliatoi della clinica m'imbattei nella figura di Giulia, una collega di lavoro.
   - Ciao Erika, dormito bene stanotte?
   Strana domanda la sua, pensai.
   - Dopo cena sono stata al Boogy un locale sulla Via Emilia. Ho bevuto un paio di birre di troppo e ho fatto ritorno a casa verso le due di notte.
   - Uhm... hai riposato poco allora.
   - Sì, certo... ho dormito davvero poco.
   Mentre mi cambiavo d'abito non feci troppo caso alle parole che Giulia si ostinava a scaricarmi addosso. Un pensiero fisso occupava la mia mente ed era il biglietto che avevo trovato sotto la porta di casa. Colui o colei che lo aveva scritto doveva essersi alzato di prima mattina, altrimenti avrei notato il biglietto tornando a casa dal pub, pensai. Ma chi era stato?
   Il condominio annovera vent'otto appartamenti. Quattro per ciascun piano, con una media di tre persone per nucleo famigliare. In totale sono più di cento le persone che vegetano nell'edificio. Escludendo le donne e i bambini rimanevano cinquanta maschi. Uno fra loro doveva essere il mio spasimante, pensai.
   - Ehi, sei pronta? - disse Giulia scuotendomi la spalla con la mano.
   - Sì, sì... mi sbrigo a indossare le calze e ti seguo. 
   Prima di chiudere a chiave l'armadietto dove avevo collocato gli abiti civili levai dalla tasca della pelliccia la missiva e la consegnai a Giulia.
   - Tieni, guarda questo foglio. Dimmi cosa ne pensi.
   Giulia afferrò il pezzo di carta e si mise a leggere il testo.
   - Romantico il tuo innamorato. Chi è? Lo conosco?
   - Non credo. Ho trovato il biglietto sotto la porta del mio appartamento stamattina. Cosa ne pensi? E' lo scherzo di qualche buontempone? 
   - Beh, non ci giurerei. Se è un tuo spasimante stai pur certa che si farà ancora vivo. 
   - Dici? 
   - Ne sono certa. Sbrighiamoci, dai, saliamo in reparto, siamo in ritardo. 
   - Sono pronta, andiamo. 
   Una volta indossato il velo a protezione dei capelli riposi il biglietto nella tasca della pelliccia, dopodiché raggiunsi Giulia dinanzi alla porta dell'ascensore. 
   Quel pomeriggio, tornando a casa, reduce dal posto di lavoro, parcheggiai l'auto nel garage, poi risalii la scala che dalle cantine conduce all'atrio del condominio. Prima d'infilarmi nell'ascensore diedi un'occhiata alla cassetta della posta in arrivo. Dentro vi trovai una missiva della banca e un foglio di carta azzurro, del tutto simile a quello che avevo scorto sotto la porta del mio appartamento.

 


NON TI ACCORGI CHE SEI BELLA
COME UN ANGELO?
 


   Dalla tasca della pelliccia tolsi l'altro foglio e lo confrontai con quello tirato fuori dalla cassetta della posta. La calligrafia era la stessa, anche la carta era la medesima. 
   Chi era il mio fantomatico corteggiatore? Mi domandai per l'ennesima volta. 
   La porta dell'ascensore si aprì e ne uscì il signor Piccioni, uno degli inquilini del quinto piano. Non era in compagnia della moglie come era solito accompagnarsi uscendo di casa. 
   - Buongiorno signorina Erika. Torna dal lavoro? 
   - Eh, sì, sono stanca morta e ho assoluto bisogno di riposo. 
   - Alla sua età le basterà poco per rimettersi in sesto. Stasera sarà di nuovo in pista, eh! 
   - Può scommetterci! 
   Il signor Piccioni s'incamminò verso la porta a vetri che dava sulla strada reggendosi a un bastone di legno. Aveva quasi ottant'anni e non poteva essere lui a bersagliarmi con le missive. A meno che...
   Uno in meno dalla lista, pensai. Ne restavano altri quarantanove. Presi posto sull'ascensore e pigiai il pulsante del settimo piano, quello del mio appartamento. Mentre salivo verso l'alto feci diverse ipotesi sull'identità degli inquilini del condominio.
   Entrai in casa e lasciai cadere la pelliccia sulla cassapanca. Qualche barlume di luce filtrava attraverso la tapparella scarcerando la stanza da letto dall'oscurità. Accesi il lettore di CD e pigiai il tasto play. La musica soffusa del pianoforte di Susanne Ciani riempì la stanza di calore. Rannicchiata sotto le coperte faticai non poco a prendere sonno. Mi girai più volte nel letto. Nessuno, prima del mio fantomatico spasimante, mi aveva onorato con dei biglietti d'amore. L'autore era un tipo romantico, non avevo dubbi su questo. Ma chi era costui?
   Passai in rassegna l'elenco degli uomini nel condominio iniziando da quelli che abitavano al primo piano. I loro volti si accavallarono nella mia mente uno dietro l'altro. Me li immaginai intenti a masturbarsi mentre scrivevano quelle frasi e la cosa mi eccitò. 
   Reputai Claudio e Giovanni, i gemelli che abitavano al secondo piano, i papabili autori delle missive. Frequentavano l'università e in più di un'occasione si erano mostrati pieni di attenzioni nei miei confronti. Uno dei due poteva essere l'autore dei biglietti, anzi ne ero sicura. Magari si erano messi d'accordo e avevano scritto insieme quei biglietti per burlarsi di me. 
   Mi ritrovai con la figa umida e una dannata voglia di masturbarmi. Iniziai a sfiorarmi i capezzoli facendo roteare le dita attorno le sporgenze carnose delle areole regalandomi un piacere a me familiare.
   Il mio corpo fu attraversato da brividi di calore. Avrei desiderato infilare l'estremità dei capezzoli fra le labbra per succhiarli, sennonché le mie tette sono troppo minute e non mi consentono di farlo, allora mi accontentai di guardarli mentre li toccavo. 
   Allargai le cosce e rasentai con le dita la vagina fradicia di umore. Mi tornarono in mente le parole che avevo letto sui biglietti e iniziai ad accarezzarmi il clitoride. Detersi di saliva l'estremità delle dita e solleticai la minuscola sporgenza erettile. 
   Il clitoride era gonfio da farmi male. Serrai un capezzolo fra le dita provocandomi una gradita sofferenza fisica. Avvertivo un forte desiderio di fare sesso e d'amore. Accelerai lo strofinamento sul clitoride ed ebbi un primo, gradito, sconquasso dello scheletro. M'inerpicai con la schiena all'indietro e seguitai a masturbarmi. Il respiro mi si fece affannoso e mi trovai nella condizione di chi è prossima ad avere un orgasmo. Serrai le cosce e un embolo di calore mi raggiunse il cervello scoppiando con la stessa intensità di un flash di luce. L'emissione luminosa fu breve e intensa come il mio orgasmo.
   Mi addormentai con le note del pianoforte di Susanne Ciani che addolcivano il mio ritorno alla vita. Quando mi svegliai erano già passate le cinque da qualche minuto.
   Jeans, maglione a girocollo, Moncler e un paio di guanti era quanto di più pratico potevo mettere addosso per ripararmi dal freddo e raggiungere in sella alla bicicletta il centro storico. Raccolsi i capelli a coda di cavallo tenendoli insieme con un elastico. Misi una cuffia di lana sopra il capo e uscii di casa. 
   L'ascensore mi accompagnò sino all'atrio del condominio. Scesi con prudenza le scale che conducevano alle cantine. Da lì avrei raggiunto il garage. Stavo percorrendo lo stretto corridoio che conduce all'area dei garage, quando la porta metallica di una cantina si spalancò ostruendomi il passaggio.
   Riccardo si affacciò da dietro la porta. Nelle mani stringeva due confezioni da sei bottiglie di acqua minerale. Le appoggiò sul pavimento e rinchiuse l'uscio alle sue spalle.
   - Ciao, Erika. 
   - Ciao, Riccardo! 
   - Vai al lavoro? 
   - No, vado a spasso in centro. Vieni anche tu? 
   - Magari! A Giovanna verrebbe un colpo se mi vedesse insieme te. 
   - E' sempre tanto gelosa tua moglie? 
   - Di te, sì. 
   Non avevo preso in considerazione Riccardo fra gli ipotetici autori delle missive. Era il tipo d’uomo che va per le spicce, mica quello romantico capace di perdersi a scrivermi frasi d'amore. 
   La luce a tempo determinato della cantina si spense e sprofondammo nel buio. Riccardo si avvicinò e mi cinse la vita con le braccia. Lo lasciai fare senza opporre resistenza 
   - Quand'è che lo facciamo di nuovo? 
   - Cosa? 
   - Dai, non fare la sciocca. Lo sai bene che mi è rimasta la voglia di scopare con te.
   - Dovrai fartela passare, allora.
   - Ti desidero. 
   Mi spinse contro la parete. Afferrò la linguetta della cerniera del Moncler e me l'abbassò. Posò le mani sulle tette e le avvolse per intero. Con le labbra mi lambì il collo e iniziò a baciarmi con dolcezza dietro la nuca: il mio punto debole.
   - Smettila, dai, qualcuno potrebbe vederci. 
   Le mie parole non lo fecero desistere dalle sue intenzioni. Con la punta della lingua mi leccò le sopracciglia provocandomi un piacevole solletico. Afferrò la mia mano e la trascinò sulla patta dei pantaloni. Aveva il cazzo duro e cominciò a strofinarci la mia mano sopra. 
   - Ti piace il mio cazzo, eh! 
   Certo che mi piaceva, ma non glielo dissi. Lasciai che fosse lui a guidare la mia mano. 
   La costrizione del gesto mi eccitò. Fui penetrata dalla sua lingua che si fece largo fra le mie labbra. Non avevo dato risposta alla domanda che mi aveva fatto. Mi ero incollata alla sua bocca e non avevo alcuna intenzione di rispondergli. Mi pizzicò i capezzoli con le dita e non mi ribellai. Ero in sua balia. Mi slacciò i bottoni dei jeans e infilò la mano attraverso l'elastico delle mutandine. Entrò con le dita nella passera e iniziò a masturbarmi. Dopo avergli slacciato i pantaloni gli liberai il cazzo e iniziai a menarglielo.
   Le nostre labbra rimasero a lungo aderenti una all'altra. Frugammo con la lingua dentro le bocche sbavando una grande quantità di saliva. Mentre ci baciavamo non m'importava granché di sapere se era lui il mio corteggiatore segreto. La situazione in cui mi ero venuta a trovare era perlomeno bizzarra. Stavo facendo del sesso con un uomo con cui avevo avuto una relazione, ed era sposato con la migliore delle mie amiche.
   Il buio ci era alleato e faceva da alibi ai nostri gesti, continuammo a masturbarci reciprocamente ritmando i movimenti delle mani con quelli delle nostre lingue. Tutt'a un tratto le lampade del corridoio si illuminarono. Dall'atrio giunsero fino a noi delle voci. Qualcuno stava scendendo la scala che conduceva alle cantine. Il rumore dei passi si sovrappose a quello delle voci, mi divincolai dalla stretta, raccolsi la borsetta da terra, e mi precipitai alla porta che dava sul cortile. Mentre camminavo allacciai i jeans e il Moncler. Davanti alla porta smerigliata che dava sul cortile mi girai e con la mano salutai Riccardo.

   Verso le 19.00 ero di nuovo a casa. Durante la passeggiata in centro città mi ero limitata a osservare gli oggetti esposti nelle vetrine dei negozi senza spendere un solo euro. Quando mi trovai dinanzi alla porta del mio appartamento un foglio debordava dal sotto l'uscio. Sfilai il pezzo di carta e lo aprii. 


TEMO I TUOI BACI MA TU NON DEVI TEMERE I MIEI.
MI E' PIACIUTO VEDERTI GODERE NELLO SCANTINATO


   Bestemmiai nell'apprendere che il mio spasimate si era messo a controllarmi. Sarei dovuta stare molto più attenta d'ora innanzi, pensai.
   Per una intera settimana non fui raggiunta da nuove missive. Forse il mio fantomatico corteggiatore si era stancato di scrivere messaggi, ma non fu così. Una sera, mentre stavo per raggiungere l'autorimessa per recarmi al lavoro, qualcuno aveva tracciato con le dita una frase sullo strato di brina della porta a vetri che conduce all'area dei garage.



NULLA E' DIFFICILE PER CHI AMA.
CIAO ERIKA


   Sfiorai il vetro col palmo della mano e cancellai la scritta. Rientrai a casa alle sette della mattina seguente dopo avere trascorso la notte a prendermi cura degli pazienti affidati alle mie cure. Mi coricai sotto le coperte e mi addormentai quasi subito.
   A mezzogiorno uscii da casa per recarmi al supermercato. Nell'atrio diedi uno sguardo alla cassetta della posta. Stavolta trovai un cartoncino di colore giallo. Era un avviso delle Poste. Un invito a ritirare un pacco depositato presso la sede di Via Montebello. 
   L'impiegata delle poste mi consegnò un pacco di piccole dimensioni tenuto insieme con uno spago. Uscendo dall'ufficio postale scartocciai l'imballaggio e guardai dentro il pacco.
   Due sfere, presumibilmente di materiale plastico, simili per forma e dimensione ai Ferrero Rocher erano racchiuse in un contenitore sferico, trasparente, in bachelite. Un sottile filo di corda collegava una sfera all'altra. Afferrai un lembo della cordicella e le sfere rimasero sospese nell'aria. Provai a scuoterle. Un rumore sordo uscì dalla membrana che faceva da cassa armonica a una seconda sfera contenuta all'interno di quella più esterna. Non mi lasciai sfuggire le palline dalla mano e le sbatacchiai per aria più volte. Una sorda vibrazione mi attraversò il palmo della mano. Mi domandai a cosa servissero quegli aggeggi. Un foglio di carta azzurrina sporgeva dall'involucro che teneva avvolte le due sfere. Gli diedi una scorsa. 


SE TI AMO COSI' MALE E' PERCHE' TI AMO TROPPO.
INSERISCI LE PALLINE NELLA VAGINA
E TIENILE DENTRO PER UNA INTERA GIORNATA


   Questo è matto davvero, pensai. Scaraventai le palline nella borsetta, avviai il motore della autovettura e mi trasferii al vicino parcheggio del supermercato per effettuare la spesa.
   Qualche giorno dopo, seduta sul divano, davanti alla tivù, infilai una dopo l'altra le palline nella vagina. Da alcuni giorni rimuginavo quell'idea, ma avevo resistito alla tentazione di farlo, poi avevo ceduto. Ero curiosa di sapere quale effetto avrebbero avuto su di me. 
   Nuda, sul divano, iniziai a muovere la cordicella il cui lembo fuoriusciva dalle grandi labbra, ma non riuscii a percepire alcun effetto piacevole. Le sfilai e ritornai a guardare la tivù. Il trillo di una suoneria mi distolse dal film che stavo guardando. Allacciai la vestaglia e andai ad aprire la porta. Non c'era nessuno fuori dalla porta. Sul pavimento individuai un foglio di carta. Lo raccolsi e iniziai a leggerlo. 


FAMMI GODERE UN'ULTIMA VOLTA
DOMANI INSERISCI LE PALLINE NELLA VAGINA.
TI PREGO.


   Stizzita, accartocciai il biglietto e lo riposi nella tasca della vestaglia. Andai a coricarmi sul letto e mi addormentai. 
   La suoneria del cellulare mi destò dal torpore della notte. Guardai l'orologio al polso. Le lancette segnavano le dieci. 
   - Pronto! 
   - Ti sei dimenticata che avevamo un appuntamento? 
   - Giusy, sei tu? 
   - E chi altro, cretina! 
   - Mi devi scusare. Alle otto ero sveglia, poi mi sono riaddormentata 
   - Ti sto aspettando da un quarto d'ora. Sono al Bistrot, ho fatto colazione e andrò in giro da sola a fare shopping. Sei una stronza! 
   - Hai ragione. Se mi aspetti ci vediamo fra mezz'ora. Ti raggiungo in centro. 
   - Sarà per un'altra volta. Ciao! 
   Uscii dal torpore in cui ero sprofondata e riconsiderai il significato del messaggio che avevo ricevuto la sera precedente. Se il mio bellimbusto desiderava che infilassi le sfere nella vagina, era perché aveva intenzione d'incrociarmi da vicino. In questo caso sarei riuscita a venirne a capo e sapere chi era.
   Entrai nel box della doccia e un getto d'acqua calda bagnò il mio corpo. Detersi la pelle con un sapone liquido profumato. Purificai ogni anfratto, anche quello che avrebbe dovuto accogliere le biglie. Poco prima di uscire di casa introdussi le sfere nella vagina. 
   Uscendo dall'ascensore mi trovai a camminare con passo incerto, ancora non mi ero abituata alle due boccette che tenevo fra le cosce. Nell'atrio non incontrai nessuno, proseguii verso la porta a vetri e mi trovai a camminare sul marciapiede. 
   Mentre camminavo avevo l'impressione di avere puntati sulla mia persona gli occhi della gente. La mucosa della vagina era sollecitata dal battito delle palline che percuotevano l'involucro sferico che le accoglieva.
   Temevo che il suono fosse percepito dalle persone che mi stavano intorno. Calzavo un paio di scarpe con tacchi alti e camminare non mi riusciva per niente facile. Le sfere si muovevano leggermente stimolandomi la vagina. La cosa mi eccitava e avevo addosso una strana sensazione di piacere. 
   La giornata era splendida. Mentre camminavo avevo l'impressione d'essere osservata dagli uomini più che in qualsiasi altra circostanza. L'assuefazione alle biglie mi consentì di accelerare il passo. Lo sfregamento era continuo e piacevole. Ero eccitatissima con i seni gonfi e i capezzoli turgidi. Avrei voluto masturbarmi, ma non sapevo dove andare a farlo. Così ci rinunciai. 
   Tornai a casa verso l'ora di pranzo. Dinanzi il marciapiedi del condominio trovai parcheggiato un camion dei traslochi. Mobili e masserizie erano accatastati dinanzi l'automezzo. Incrociai due operai intenti a trasportare un pensile da cucina. Nell'atrio vidi il signor Pecorari, uno degli inquilini del quarto piano, che sbraitava contro uno degli operai. 
   - Stia calmo signor Pecorari, non se la prenda in questo modo. - lo redarguii. 
   - Vorrei vedere lei al mio posto. Pago profumatamente questi operai per effettuare il trasloco e loro mi rompono gli oggetti. 
   - Va ad abitare altrove?
   - Sì, con la famiglia andiamo a vivere in collina.
   - Le faccio i miei auguri. 
   L'ascensore era occupato. Trascorsero alcuni secondi e la porta si aprì. Ne uscì Giancarlo, il figlio del Pecorari, accompagnato dalla madre. Nella mano stringeva una cordicella su cui erano collegate due sfere simili a quelle che avevo inserito nella vagina. Mi guardò e sorrise. Sua madre lo trascinò via trattenendolo per mano.
   - Andiamo ad abitare in collina. 
   - Lo so me lo ha detto suo marito. 
   - Beh, arrivederci. Se viene dalle nostre parti venga a trovarci. 
   - Volentieri. 
   - Saluta Erika, Giancarlo, fai il bravo. 
   Il ragazzo allungò la mano che stringeva le sfere e le lasciò cadere nella mia mano. Stavo per restituirgliele, ma se n'era già andato insieme alla madre.
   Lo vidi sparire nel viottolo che conduceva nella strada. Si girò un ultima volta nella mia direzione e mi strinse un occhio. 
   La vita è buffa pensavo che l'autore delle missive fosse un playboy o un bellimbusto, invece era solo un ragazzo. Purtroppo non c'è peccato peggiore che il rimpianto.

 

 
 

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